Obiettivo Siria
Come la CIA, le bande criminali e le ONG realizzano
stragi di massa e distorcono le informazioni per manipolare l'opinione pubblica
di Tony Cartalucci, Nile Bowie
Un libro per colpire i bombardamenti, svelare la Grande
Bugia in tempo, per fermare l’ennesima guerra “umanitaria”. La situazione della
Siria è drammatica. Il paese si dibatte in una cruenta guerra civile, oggetto
di spietati attacchi da parte di nemici interni ed esterni. La cosiddetta
“rivolta siriana” fa in realtà parte di una cinica strategia statunitense che
si serve di provocatori, mercenari, fanatici fondamentalisti e ONG corrotte.
Essi sono decisi a colpire uno stato arabo indipendente,
dove la ricchezza generata dal petrolio viene impiegata per finanziare lo stato
sociale, proprio come avveniva in Libia prima che questa fosse annientata con
analoghe modalità. I paesi vicini partecipano al massacro, come sciacalli e
iene che strisciano ai piedi del leone americano.
“Obiettivo Siria” è un ammonimento sul modo di operare
dell’onnipotente “Impero del Dollaro”. La trama americana, finanziata dai
“petrodollari” delle monarchie del Golfo, attiva la tattica delle
“counter-gang”: terroristi – mercenari e irregolari, la “legione straniera”
della CIA – che fanno saltare in aria edifici e massacrano gli innocenti, per
poi addossare le responsabilità della carneficina al governo preso di mira.
ONG come NED – National Endowment for Democracy –
incoraggiano gli “attivisti”, i cui leader sono ambiziosi sociopatici, intenti
ad aggiudicarsi avidamente una parte delle spoglie dello Stato abbattuto. I
mezzi d’informazione credono alla Grande Bugia e la celebrano propagandisticamente,
creando una realtà falsificata attraverso cui non è possibile farsi una
opinione critica, libera e indipendente.
“Obiettivo Siria” mostra come queste guerre siano
architettate attraverso la strumentalizzazione degli istinti più nobili
dell’animo umano, tramite l’inganno di coloro che altrimenti tenderebbero a
contrastare l’intervento armato, manipolandoli al servizio dell’assassinio di
massa e della dittatura globale del potere economico.
Anteprima - Obiettivo Siria - Libro di Tony Cartalucci, Nile
Bowie
Credo che le incaute speranze e gli ancor più incauti
entusiasmi per le cosiddette "primavere arabe" si siano ormai
volatilizzati, soprattutto in seguito alla vicenda che ha coinvolto Gheddafi in
Libia. Gheddafi è stato un tiranno a lungo tollerato e perfino adulato dagli
occidentali, finché questi non hanno cominciato ad accorgersi che il decisivo
intervento della NATO contro di lui si era concretizzato dal momento in cui
egli aveva cominciato a intralciare gli interessi francesi e britannici in
Libia, opponendosi contemporaneamente alle speculazioni di alcune
multinazionali nei lucrosi campi dell'acqua e della telefonia nel continente
africano.
Quelle "primavere" erano state tacitamente e
brutalmente soffocate nei Paesi della penisola arabica, alcuni governi dei
quali - e gli organismi mediatici che essi finanziano - sostengono invece
decisamente i gruppi fondamentalisti, che hanno animato, se non addirittura
egemonizzato, altrove la rivolta.
Infine - a parte l'iniziale "caso" tunisino,
che aveva forse preso in contropiede sia i governi che gli imprenditori
occidentali - la rivolta si è invariabilmente indirizzata contro i Paesi
musulmani retti da quei regimi che noi, impropriamente, definivamo
"laici". Nemmeno uno dei ricchi e feroci tirannelli degli emirati,
che il petrolio e il turismo hanno ormai reso arci-opulenti e che sono
interlocutori preziosi delle banche e delle lobby occidentali, è stato
rovesciato, mentre, fra i regimi arabi "laici", quello dei militari
algerini e rimasto indisturbato nonostante il responso negativo delle urne'.
Quanto alla Libia, i tragici fatti di Bengasi del 12
settembre scorso sono piuttosto eloquenti e gettano un'ombra inquietante sia
sulla leggerezza con la quale in passato, pur di rovesciare Gheddafi, si sono
sostenuti i gruppi fondamentalisti, sia sul trend statunitense degli ultimi
mesi di ricreare l'atmosfera da luna di miele tra gli USA e i fondamentalisti
sunniti dell'Iraq, dell'Iran, del Pakistan e dell'Afghanistan.
Il puzzle siriano
Questa premessa è indispensabile, per aiutarci a
osservare in modo più obiettivo e ragionevole ciò che sta accadendo proprio ora
in un Paese-chiave del vicino Oriente: la Siria.
Già, la Siria: un grande Paese, con una grande civiltà.
Storicamente, l'area, che già nell'antichità era una delle più civili e
popolose al mondo - con "culture di villaggio" fin dal VII millennio
a.C. e fiorenti centri urbani, come Ugarit e Mari, dal III a.C. - corrispondeva
al territorio oggi occupato dalla Siria, da Israele, dalla Giordania e dal
Libano. Si trattava di un'immensa area di più di 310.000 km, in gran parte
desertica, ma resa rigogliosa dai corsi dell'Eufrate, dell'Oronte e del
Giordano. L'area coincideva, pertanto, con gran parte della cosiddetta
"mezzaluna fertile", la fascia ubertosa e popolata attigua a quei
grandi fiumi.
La Siria di oggi è il risultato della provincia
dipendente dal governatorato di Adana creata dall'Impero ottomano, che fu
occupata dalle Truppe francesi nel 1919 in seguito alla violazione degli
accordi presi con le popolazioni arabe locali. Dopo oltre un quarto di secolo
di dure lotte, nel 1946 fu conquistata l'indipendenza e nacque così la
Repubblica Araba di Siria: 185.180 km in gran parte desertici, abitati da una
popolazione di oltre 22 milioni di abitanti in buona parte concentrata nelle
grandi città di Damasco, Aleppo e Homs.
Dopo l'effimera unione con l'Egitto nella Repubblica
Araba Unita, dal 1963 lo Stato siriano è dominato dal regime monopartitico del
partito Baalh ("rinascita"), originariamente a tendenza nazionalista
e socialista nasseriana. Dal 1970, il potere è prima nelle mani della famiglia
del generale Hafezel-Assad, e poi del figlio Bashar, il cui ruolo presidenziale
è stato confermato nel 2007 da un referendum.
Hafezel-Assad era un uomo duro (tristemente celebre la
repressione dei ribelli sunniti a Homs) e le accuse, che da parte
internazionale pesano sul governo siriano, riguardano la violazione dei diritti
umani in politica interna, il costante atteggiamento favorevole all'Iran in
politica estera, l'atteggiamento egemonico in Libano - culminato nel 2007
nell'assassinio del presidente libanese, il sunnita Hariri - e l'appoggio al
partito Hizbollab.
Sotto altri aspetti, tuttavia, gli osservatori
internazionali sono finora stati concordi nel sottolineare alcuni caratteri
positivi del governo di Bashar, che non ha ereditato la spietatezza paterna. Lo
Stato sociale siriano si è distinto per il buon funzionamento, per le
istituzioni e le strutture pubbliche e per il sistema di uvifere, nettamente
migliore rispetto a quello della maggior parte dei Paesi del vicino Oriente.
Giochi di potere
Le sanzioni, imposte dal 2004 alla Siria sulla base di
presunte e mai ben precisate connivenze con il "terrorismo islamico",
finora erano state applicate con mano leggera e il clima diplomatico, anche
rispetto agli USA, nel 2009 era nettamente migliorato. Le cose sono andate
diversamente con Israele, su cui pesano il contenzioso per il Golan (la regione
siriana in parte occupala da Israele, nel 1967, come conseguenza della crisi
arabo-israeliana) e i postumi del raid aereo israeliano del 2007 contro alcune
presunte installazioni nucleari siriane (la cui esistenza non è mai stata
comprovata).
Per una più corretta comprensione della situazione della
Siria di oggi, bisogna valutare anzitutto quattro cose:
dagli anni Sessanta, la Siria è stata lo più costante,
sicuro e valida interlocutrice-alleata, nei vicino Oriente, prima dell'URSS e
poi della Russia;
il governo di Assad, di famiglia alowita, controlla un
Paese, che è alt'80% di osservanza sunnita (gli alawiti, non più dell' 11%,
costituiscono piuttosto un gruppo "sciita-ereticale");
dal 1979 è sempre stato in buoni rapporti con il governo
della repubblica islamica dell'Iran, Paese sciita;
infine, permane l'occupazione israeliana del Golan, con
relativo sfruttamento delle sue risorse idriche, nonostante le risoluzioni
dell'ONU al riguardo.
A margine di questo, va tenuta in conto anche l'annosa
tensione tra la Siria e la Turchia, dovuta a questioni sia etno-religiose che
confinarie e idriche - le sorgenti dell'Eufrate sono in territorio turco - e
alla recente scoperta di giacimenti sottomarini di gas nelle acque territoriali
turche, cipriote, libanesi e siriane.
Inoltre, soprattutto in questo momento, bisogna
considerare che, visti anche i "venti di guerra" che sembrano
soffiare tanto dai Paesi arabi e sunniti del Golfo quanto da Israele contro
l'Iran, l'eliminazione del governo baathista siriano isolerebbe ulteriormente
il governo iraniano e indebolirebbe l'influenza della Russia nel Vicino
Oriente. Da qui, l'appoggio dei Paesi arabi sunniti (alcuni dei quali - come
per esempio il Bahrein, il Qatar e l'Oman - hanno al loro interno delle
minoranze sciite, nei confronti delle quali seguono una linea politica
ferocemente repressiva) al cosiddetto "esercito di liberazione" siriano,
che è in realtà una complessa galassia di gruppi comprendente anche molli
volontari non siriani, impegnati nella jihnd sunnita.
Uno degli aspetti più importanti da tenere presente,
infine, è che gli alawiti, nella cui dottrina musulmana sono presenti anche
elementi di origine cristiana e mazdaica, hanno sempre avuto tutto l'interesse
a mantenere in Siria un clima costituzionale, che noi definiremmo
"laico". Temendo l'egemonia sunnita, gli alawiti hanno fraternizzato
con i cristiani siriani - i quali, mettendo insieme le tre principali Chiese,
rappresentano il 9% della popolazione, cioè circa due milioni di persone - e con
le minoranze maronite, armene, e "caldee" che, pur avendo ormai
aderito alla Chiesa cattolica, hanno mantenuto i loro riti liturgici.
Il patriarca cristiano melkita Gregorio III Laham è più
volte intervenuto - in modo autorevole, ma restando inascoltato dai medio -
sull'attuale situazione, per sottolineare che, pur non essendo i cristiani
favorevoli al regime di Assad, fino ad oggi la costituzione e il governo di
Damasco abbiano garantito libertà e tutela alle Chiese cristiane e che, invece,
le Chiese cattoliche hanno motivo di temere che, nel fronte ribelle, possano
prevalere i sunniti fondamentalisti, i quali hanno aumentato le rappresaglie
anticristiane; il patriarca ha inoltre denunciato le forti presenze e ingerenze
straniere e occidentali all'interno del fronte sunnita. Insomma, una Siria 2012
che comincia stranamente a somigliare, per certi versi, alla Spagna 1936.
Le Chiese cristiane si sono in genere dette favorevoli al
piano di pace, proposto da Kofi Annan a nome dell'ONU e dalla lega Araba e
appoggiato dai movimenti siriani non-violenti come l'interreligioso Mussatoli.
Analoghe posizioni sono, nella sostanza, sostenute da uno dei più seri e
intelligenti conoscitori italiani della questione siriana, il gesuita Paolo
DalI'Oglio, che pure è stato espulso dalla Siria, nel giugno del 2012, dopo
esservi vissuto per trent'anni e avervi fondato la bella comunità di Deir Mar
Musa. DalI'Oglio è stato espulso perché, fin dall'inizio del movimento che noi
chiamiamo "Primavera Araba", ha parlato apertamente sia della spontaneità
e della sincerità dei tanti cittadini (soprattutto giovani), che chiedono
libertà e un futuro migliore, sia delle menzogne e delle violenze del governo;
egli ha anche sottolineato che, messi alle strette, gli alawiti ancora al
governo (che rappresentano un paio di milioni di persone) potrebbero puntare
sulla resurrezione dello Stato autonomo alawita - insediatosi nella zona
attorno a Lattakya, nel sud-ovest del Paese-che era stato prima riconosciuto
dalla Francia nel 1922 e poi eliminato nel 1946, alla fine del mandato
francese. Dall'Oglio, inoltre, sostiene che Assad, dopo avere visto fallire il
suo primitivo progetto di semplice repressione del movimento ribelle, ormai,
messo alle strette, ha tutto l'interesse a prolungare la resistenza, andando però
a rafforzare, sul fronte ribelle, la pericolosa componente sunnita
fondamentalista.
La posizione di DalI'Oglio, tuttavia, sembra
sottovalutare due dati effettivi: primo, la forza e l'intensità con cui i Paesi
arabi sunniti si sono impegnati per "islamizzare" la rivolta contro
Assad; secondo, il fatto che, per accelerare al massimo la soluzione del
conflitto, occorrerebbe un accordo internazionale e non l'invio di una Forza
ONU a sostegno dei ribelli - come è stato fatto in Libia, con le conseguenze che
tutti conosciamo - al quale, per il momento, si oppone la Russia (appoggiata da
Cina, ma anche da Brasile, India e Sudafrica) con il suo veto al Consiglio di
Sicurezza. La Russia chiede che si conducano le trattative, tenendo presenti
anche le posizioni del governo di Damasco e non facendo di esso un
pregiudiziale capro espiatorio; però le posizioni russe vengono presentate dai
media come ispirate da una diplomazia che, per ragioni legale alla geopolitica
e al petrolio, è considerata "unilateralmente" filoiraniana.
In modo analogo, è passata sotto silenzio la lettera con
la quale Kofi Annan, l'inviato speciale delle Nazioni Unite, ha denunciato il
fatto che «si è insediata in Siria una forza terroristica, ostile a ogni
mediazione" e ha smascherato la speculazione mediatica sul famoso massacro
di Bilia, precipitosamente - e, a quel che pare, ingiustamente - attribuito
alle forze governative.
Ora, sono proprio queste continue forzature
interpretative a scoprire una parte importante della realtà. Qui non si tratta
di isterico complottismo antiamericano, si tratta della più che ragionevole
ipotesi che, alla base dell'impegno teso a eliminare il governo baathista, ci
sia la volontà, da parte di alcuni ambienti statunitensi e israeliani, di
portare un attacco militare diretto contro le vere o supposte installazioni
nucleari iraniane. E anche questo è un tipo di isterismo complottista, uguale e
contrario al complottismo antiamericano, ma molto più forte politicamente e
militarmente, e potrebbe anche prevalere, se i repubblicani vincessero le
elezioni statunitensi del prossimo novembre.
Che le cose stiano così, risulta chiaro facendo una
pacata analisi di quanto è accaduto da un anno a questa parte: non a caso, il
n. 1 del 2012 di Limes, "Protocollo Iran", già mesi fa collegava
correttamente il problema dell'atomica iraniana ("minaccia o
pretesto"?) alla questione dell'estrazione e del commercio del petrolio -
quindi alle tensioni arabo-iraniane nel Golfo di Hormuz, minacciato dal blocco
— e alla crisi siriana, nonché alla situazione irakena, afghana e pakistana.
"Primavera" o disgregazione del mondo arabo?
L'evidenza, però, è sotto il naso di tutti: mentre, da un
lato, dalla primavera del 2011 si diradavano o cessavano del tutto le notizie
sulle manifestazioni - e sulle repressioni - dall'Algeria al Marocco e alla
penisola arabica, dall'altro prendeva corpo il "caso" egiziano e si
addomesticavano le rivolte, mettendo in evidenza quelle che servivano e facendo
sparire le altre.
In questo modo, le folle che chiedevano la democrazia in
Siria, così come in Libia, diventavano un argomento dell'informazione
quotidiana, anche se Assad, già dai primi di novembre del 2011, aveva accettato
il piano di pacificazione con l'"esercito di liberazione", proposto
dalla Lega Araba. Invece che all'avvio di detto piano, si assistè a
un'escalation di notizie unilaterali - garantite dalla sola autorità del
Consiglio Nazionale Siriano in esilio a Istanbul, organizzazione
dell'opposizione - sulle violenze governative e sulle pretese basi nucleari,
nonché al successivo ritiro, alla fine del gennaio 2012, degli osservatori
della Lega Araba dalla missione internazionale in Siria, in attesa delle
decisioni degli altri membri. La lega Araba, ritirandosi, non trovava niente di
meglio che auspicare l'invio in Siria dei "caschi blu" del ONU.
Tra gennaio e febbraio, vista l'opposizione russa e
cinese alla prospettiva di un intervento armato in Siria, caldeggialo
soprattutto dai francesi e dai britannici, da parte dei Paesi occidentali
veniva intensificata l'attività di sostegno diplomatico e finanziario alle
opposizioni', mentre al governo siriano venivano regolarmente imputale azioni
-come quella di Homs, durante la quale perse la vita il giornalista francese
Jacque Jacquier - che erano piuttosto frutto di attività
"patriottiche" (o "terroristiche", come indubbiamente
sarebbero definite in differenti contesti). Sempre ai primi di febbraio, il
"portale" Debkaftle, vicino a Israele, annunciava l'invasione della
Siria da parte di truppe britanniche e qatariote, mentre dalla Libia
"liberata" giungeva l'auspicio che i reggimenti turchi arrivassero
per primi: essendo formali da musulmani sunniti, sarebbero stati accolti meglio
dei "caschi blu".
In seguito al clima internazionale così instauratosi,
alla fine di gennaio la Russia annunciava il suo rifiuto di partecipare al
"gruppo di contatto" sulla Siria, previsto per il febbraio
successivo. Si profilava, infatti, l'eventualità che il "gruppo di
contatto" appoggiasse il progetto di Hisamuddin al-Awk, un ufficiale
siriano disertore in Egitto, che mirava a mettere insieme un corpo di
mercenari, per spedirlo a combattere nel suo Paese. In tale situazione, il
referendum indetto dal governo siriano per il 26 gennaio 2012, che prevedeva
una riforma costituzionale in senso pluralistico, non solo non veniva tenuto in
alcun conto, ma veniva immediatamente derubricato con noncuranza come
demagogico, senza alcuna considerazione per il suo significato distensivo.
Intanto, i media occidentali davano rilievo alle noli-zie
sulle "fughe all'estero" dei capitali dell'elite di governo e sulle
defezioni di alcuni collaboratori di Assad, e trascuravano, come del tutto
irrilevanti, le denunce alI'ONU dell'ambasciatore russo Vitaly Churkin
sull'ingerenza libica nella crisi siriana e sui volontari di al-Qaida
addestrali in Libia.
Il piano di pace dell'ONU venne presentato tra l'11 e il
12 aprile 2012; secondo l'Osservatorio Siriano sui Diritti Umani,
organizzazione dell'opposizione con sede a Istanbul, il governo siriano vi si è
subilo opposto. In realtà, una delle ultime scelte del francese Sarkozy, prima
di andarsene dall'Eliseo, fu tesa a vanificare il piano di pace dell'ONU per
favorire invece i "corridoi umanitari, in modo da tenere in vita
l'opposizione" ad Assad. La posizione francese è stata portala poi avanti
dal governo Hollande, con l'appoggio concreto di fondi ed equipaggiamenti
attraverso l'associazione "Amis du Peuple Syrien".
Alla fine di maggio, al suo arrivo a Damasco, Kofi Annan
ha parlato di un cessate il fuoco e di una concreta disponibilità governativa,
ma le diplomazie occidentali replicavano che ormai in Siria si era alla guerra
civile e si formulavano ipotesi unilaterali sulla nofly zone in territorio
siriano, garantita dal Qatar e dalla Turchia. Nonostante la grande abbondanza
di informazioni attingibili, i principali media dell'Europa occidentale si
affidavano solo alle notizie diffuse dal network «Al Jazeera» e ad alcuni
commenti diffusi da Twitter, come ha fatto correttamente notare Eduardo Za rei
li in un articolo comparso sul numero di luglio-agosto 2012 di Diorama.
Tutto il resto non contava. Per esempio, il 17 maggio
2012 in Siria si sono tenute le elezioni amministrative, che hanno visto
un'affluenza alle urne del 51,26%, una percentuale molto alta, tenendo conto
del contesto; tuttavia, i commenti al riguardo sono stati a priori: si è
parlato, infatti, di "manipolazione", di "intimidazione"e
di "propaganda governativa". Il 29 maggio, il Corriere della Sera -
con un linguaggio, che il Minculpop (il Ministero della Cultura Popolare
italiano di epoca fascista) avrebbe trovato massimalista - diffondeva la
notizia che il giornalista e filosofo Bernard Henri Lévy, da Parigi, definiva
«disfattismo» l'atteggiamento di tutti coloro che, a proposito della situazione
siriana, esigevano prudenza e maggiori informazioni. Lévy, quindi, considerava
dei disfattisti «che si sono sempre sbagliati» coloro che «la vigilia della caduta
di Tripoli, prevedevano ancora un pantano». I fatti di Bengasi dell' 11-12
settembre - con l'assassinio dell'ambasciatore americano in Libia - confermano
che, anche nel caso di Lévy, i cattivi profeti e i profeti cattivi coincidono
sempre.
Kofi Annan ha affermato chiaramente che è impossibile
invitare le parti contrapposte a un confronto costruttivo, in quanto una di
esse - le "forze di liberazione" - non ha una leadership
riconoscibile ed è fortemente inquinata da istanze fondamentaliste; le stesse,
che si rivelano sempre più importanti in quella "nuova Libia
democratica", che piace tanto a Bernard Henri Levi. Ma il sangue di un
diplomatico statunitense, in seguito a una sconsiderata provocazione e a una
feroce reazione, è stato sparso, in una Bengasi "liberata", dai
democratici fondamentalisti libici, di nuovo alleati dell'Occidente (come lo
erano in Afghanistan nei primi Anni Novanta del Novecento), non dai servi del
"tiranno" di Damasco.
Si tratta di quegli stessi democratici che, appena
qualche mese prima, erano stati aiutati dalla NATO a "liberarsi" di
un altro tiranno... E allora, Monsieur Levi, davanti all'ipotesi che i
"Caschi Blu" domani possano fare in Siria quello che ha fatto ieri la
NATO in Libia, con il Suo permesso, sono un disfattista anch'io: anch'io chiedo
prudenza e maggiori informazioni.
Introduzione - Obiettivo Siria - Libro di Tony
Cartalucci, Nile Bowie
Questi avvenimenti sono stati censurati dai media
appartenenti al mainstream, i quali proseguono senza tregua il loro sforzo, finalizzato
a indurre l’opinione pubblica di tutto il mondo a credere che gli eventi
siriani siano una nuova “rivoluzione del popolo”, mentre i fatti dimostrano
chiaramente che si tratta di un altro sanguinoso “cambio di regime” incentivato
dal Governo americano.
Questa non dovrebbe essere una sorpresa. La storia
ricorda che la CIA ha orchestrato innumerevoli insurrezioni violente in diversi
Paesi del mondo, armando bande di mercenari e “squadroni della morte”, con
l’obiettivo di rovesciare i governi nazionali ed espandere la dominazione
americana in ogni angolo del globo.
Nel 1988, l’allora comandante del locale distaccamento
John Stockwell, che portò avanti la guerra segreta in Angola, valutò che la CIA
avesse organizzato approssimativamente 3000 operazioni maggiori e 10.000
operazioni minori di questa tipologia, che provocarono la morte di più di 6
milioni di persone. Citato anche nel libro Assuefatto alla guerra, egli
scrisse:
Ora abbiamo una massiccia documentazione su quella che
viene chiamata “la guerra segreta della CIA”. Non abbiamo bisogno di
immaginare, né di supporre. È stata oggetto d’indagine da parte della
Commissione investigativa Church, nel 1975, e questo ci ha permesso di
effettuare una prima, vera analisi in profondità di questa struttura. Il
senatore Church disse anche di avere scoperto che, nei 14 anni precedenti la
sua indagine, erano state svolte 900 operazioni maggiori e 3000 minori. Se
moltiplichiamo questo dato per i 40 anni in cui è stata operativa la CIA,
possiamo concludere che il computo totale ammonta a circa 3000 operazioni
maggiori e 10.000 minori. Ciascuna di esse illegale; ciascuna di esse con
effetti devastanti sulle vite e sulla società di altre persone e molte di esse
più cruente e sanguinose di quanto si possa immaginare.
Ogni guerra occulta costituisce una violazione della
Costituzione americana, la quale esige che le azioni militari vengano
dichiarate dal Congresso e non attuate da un corpo segreto e non eletto. Per
finanziare un business su così vasta scala, bisogna avere il controllo del
traffico globale di droga, che è presumibilmente la causa reale della guerra in
Afghanistan.
La stima di Stockwell non include le operazioni
NATO-Gladio in Europa; inoltre, aggiungendo altri 15 anni che hanno visto la
CIA al lavoro, probabilmente con un ritmo crescente e con obiettivi sempre più
globali, le operazioni segrete saranno oramai più di 20.000, un numero
sbalorditivo. Questo dato, in fondo, non dovrebbe destare grande sorpresa nei
lettori se, come gli indizi fanno pensare, si identifica la crisi siriana come
un’altra operazione della CIA.
Nel corso di un’intervista, rilasciata il 2 marzo del
2007 a Amy Goodman, il generale americano Wesley Clark ha spiegato che
l’amministrazione Bush aveva programmato di “far fuori” sette Paesi in cinque
anni: Iraq, Siria, Libano, Somalia, Sudan, Iran e Libia. La Siria è sempre
stata sulla “lista delle faccende da sbrigare” di Israele, proprio perché è
l’ultimo Stato arabo indipendente, secolarizzato e multietnico in Medio
Oriente, fedele alleato dell’Iran e, in quanto tale, un ostacolo per l’egemonia
israeliana sulla regione.
Ma quella siriana non è una dittatura? Anche questo fa
parte del grande gioco del NIGYSOB (Now I’ve Got You you Son Of a Bitch, ovvero
“Ora ti ho in pugno, figlio di puttana”), in virtù del quale i governi arabi
che rifiutano di sottomettersi al dominio occidentale e israeliano vengono
tormentati e destabilizzati di continuo, fino a essere costretti, se vogliono
sopravvivere, a sviluppare un apparato di sicurezza che, per un verso o per
l’altro, risulta totalitario. A questo punto, quando fa loro più comodo, le
potenze occidentali e Israele possono evidenziare, con toni accusatori, la
mancanza di “libertà” all’interno delle nazioni prese di mira e avviare il
processo di rovesciamento del Governo. Basti pensare a come viene additato il
presidente venezuelano Hugo Chavez, per avere un esempio di come venga
praticato questo “gioco” dalle forze occidentali.
Sino a oggi, la “rivoluzione” siriana è stata una copia
carbone della maggior parte dei “cambi di regime” incoraggiati dalla CIA negli
ultimi sessant’anni: mercenari e “squadroni della morte” importati nel Paese
per “accendere la miccia”, seguiti da una campagna di bombardamenti al momento
opportuno. Questo è esattamente ciò che è accaduto in Libia, con britannici,
americani e israeliani che hanno coordinato le loro risorse e condiviso le
dotazioni costituite dai gruppi di combattenti di Al Qaeda reclutati nel corso
degli anni. Diversi leader della ribellione contro la Libia sono ora attivi in
Siria, come testimoniato dal giornalista spagnolo Daniel Iriarte. Questi ex
terroristi islamici, convertiti in combattenti per la libertà sotto l’egida
della NATO, non sono altro che sicari senza scrupoli, pronti a combattere per qualsiasi
causa fintanto che ci sarà qualcuno disposto a pagare loro centinaia di
migliaia di dollari.
Nell’aprile del 2011, la televisione di Stato siriana ha
trasmesso le testimonianze di tre uomini, arrestati perché sospettati di avere
attaccato dei civili e le Forze di sicurezza siriane. Nel corso di un programma
registrato, Anas al Kanj, che si è presentato come capo del “gruppo armato
terrorista”, avrebbe ammesso di avere ricevuto «armi e denaro » da un membro
della bandita Fratellanza Musulmana della Siria.
Kanj ha riferito che gli era stato dato il compito di
«incitare la popolazione a protestare, in particolare all’esterno della moschea
Umayyad di Damasco» e nelle città chiave della ribellione – Daraa, Latakia e
Banias – allo scopo di «fomentare il malcontento per rovesciare il regime e
portare a termine atti di sabotaggio». L’agenzia France Presse, citando il
quotidiano siriano Ath-Thawra, ha riportato che Kanj, in base alle istruzioni
ricevute, doveva «aprire il fuoco sui manifestanti per seminare il panico e
indurre la popolazione a credere che fossero le Forze di sicurezza a sparare
sulla gente».
Il piano era quello di spingere il popolo e le autorità a
farsi la guerra, sbandierando nel frattempo, grazie ai media globali, la
brutale repressione delle proteste da parte del regime. Questa testimonianza è
molto interessante, perché coglie un paio di passaggi fondamentali della
dottrina di guerra non convenzionale del Pentagono, che esamineremo
dettagliatamente nel terzo capitolo.
A seguire, una panoramica sulla strategia di gioco
attuata in Siria:
viene fondata una ONG, per creare un clima di protesta
nel Paese preso di mira;
alcuni provocatori organizzano delle manifestazioni, per
poi sparare sui dimostranti e sulle Forze di sicurezza, allo scopo di
alimentare le violenze;
dei video artefatti e manipolati creano l’illusione della
repressione da parte del regime;
i mass media ripetono senza sosta la Grande Bugia che il
leader del Paese è un brutale dittatore;
si procede quindi all’invasione delle città di confine
con forze speciali e “squadre della morte” (gli psicopatici di Al Qaeda, la
“legione straniera” della CIA), fanatici e mercenari;
si fomenta la guerra civile sulla base delle divisioni
etniche e si fabbricano i pretesti per un intervento militare da parte delle
Nazioni Unite o della NATO;
il Paese subisce una regressione all’età della pietra,
per poter essere conquistato e comandato dai terroristi islamici, i pupazzi
della NATO;
il socialismo arabo e il governo popolare vengono
sradicati e rimpiazzati da una cricca assoggettata a Wall Street e ai banchieri
di Londra;
le multinazionali americane firmano contratti miliardari
per la “ricostruzione” e la “sicurezza”, conseguendo guadagni astronomici
grazie alla rovina portata dalla guerra;
il Libano, la Palestina, l’Iraq e l’Iran vengono isolati
e viene data carta bianca a Israele per il controllo del Medio Oriente.
Nel dicembre del 2011, in un post comparso sul suo sito
internet, la turco-americana Sidel Edmonds, già traduttrice e informatrice
dell’FBI, ha dichiarato:
Gruppi militari stranieri, sembra diverse centinaia di
individui, hanno cominciato a distribuirsi nella Giordania settentrionale, nei
pressi dei villaggi della città di Al-Mafraq, prossima al confine
giordano-siriano. Stando alle dichiarazioni di un ufficiale militare giordano,
il quale ha chiesto di rimanere anonimo, nei due giorni passati centinaia di
soldati che parlano lingue diverse dall’arabo sono stati visti fare la spola,
su veicoli militari, fra la base aerea Re Hussein di Al-Mafraq – che dista 10
km dal confine siriano – e i dintorni dei villaggi giordani adiacenti al confine.
Nel gennaio del 2012, il sito britannico “Elite UK
Forces” ha scritto che «ci sono voci di corridoio sempre più insistenti,
secondo cui le Forze speciali britanniche stanno in qualche modo assistendo i
gruppi allineati contro il regime siriano».
L’ambasciatore americano in Siria, in carica dal 2010
fino alla chiusura dell’ambasciata di Damasco, era Robert Stephen Ford. Prima
di essere inviato in Siria, Ford era consigliere politico presso l’ambasciata
americana di Baghdad sotto John Negroponte, ai tempi collegato in maniera
infamante alle “squadre della morte” in Iraq. Secondo quanto riporta Wikipedia,
«l’ex funzionario della CIA Michael Sheuer ha dichiarato che Ford, prima di
essere rimosso, ha viaggiato per il Paese [la Siria; N.d.A.] incitando la gente
a rovesciare il governo».
La “rivoluzione” siriana vera e propria ha preso il via
nel marzo del 2011, quando sono scoppiati degli scontri nella città
relativamente piccola di Daraa, sul confine giordano, e non in grossi centri
come Damasco o Homs. Da allora, i media del mainstream hanno sistematicamente
alterato le proporzioni delle manifestazioni antigovernative, basandosi su
resoconti di parte per il conteggio delle vittime. Per esempio, quasi tutti i
primi rapporti sugli scontri di marzo a Daraa facevano riferimento ad attacchi
della polizia a dimostranti antigovernativi; eppure, altri dati stabilivano che
vi erano stati più morti tra i poliziotti che tra i contestatori. Allora chi,
esattamente, in una presunta “manifestazione pacifica”, è stato capace di
sparare a sette agenti, uccidendoli? E cosa, esattamente, ci si aspettava che
facesse, in risposta, il governo siriano? Dopo avere visto in quale modo la
polizia statunitense tratta i manifestanti realmente pacifici – per esempio,
quelli appartenenti al movimento Occupy Wall Street – possiamo solo immaginare
come reagirebbe il governo americano, se le sue Forze dell’ordine venissero
bersagliate dai manifestanti.
Nel giugno del 2011, i mezzi d’informazione statali
siriani hanno comunicato che almeno 120 membri delle Forze di sicurezza del
Paese sono stati uccisi, in un conflitto con quelle che vengono chiamate
“organizzazioni armate”. Secondo quanto riportato da Deborah Amos, della NPR,
«la televisione di Stato siriana ha descritto una cruenta battaglia nella città
settentrionale di Jisr al-Shughour, vicino al confine turco. Sempre secondo la
stessa fonte, gruppi dotati di armi automatiche hanno attaccato le Forze di
sicurezza e aperto il fuoco contro degli edifici governativi. Durante la trasmissione
del telegiornale della sera, un cittadino disperato ha telefonato chiedendo al
Governo di salvare la città».
Si noti che le notizie riguardanti gli scontri più seri
provengono dalle città di confine e questo è indicativo delle incursioni, nel
nord del Paese, da parte di gruppi armati provenienti dalla Turchia e, nel sud,
da parte di altri gruppi armati provenienti dalla Giordania, oltre che,
naturalmente, dall’Iraq, sotto controllo americano, nella zona orientale. In
effetti, i principali “centri di instabilità”, come vengono chiamati, sono
Daraa, vicino alla Giordania, Talkalakh, Homs, Talbiseh e Al-Rastan, vicino al
Libano, e Jisr ash-Shugur, vicino alla Turchia; sono tutti collocati lungo i
confini della Siria. Nel novembre del 2011, Albawaba ha riportato la notizia
che 600 combattenti erano già arrivati in Siria, dalla Libia, per supportare il
nascente “Esercito di liberazione siriano”.
Poche settimane dopo l’inizio della sollevazione in Siria
incoraggiata dalla CIA, il governo siriano ha espulso dal Paese la maggior
parte dei giornalisti stranieri e ha cominciato a controllare rigidamente le
attività di quelli rimasti. Secondo il metro di giudizio dei media occidentali
– l’arma di propaganda dei neocolonialisti – questa è stata una reazione
incomprensibile. Sfortunatamente, il governo siriano sembra avere sottovalutato
il grado di infiltrazione della CIA nel Paese.
Essendo le possibilità di accesso diretto agli eventi che
hanno luogo in Siria limitate o nulle, la maggior parte dei resoconti dei media
occidentali si basa sulle dichiarazioni di anonimi “attivisti dell’opposizione”
– che, francamente, potrebbero essere chiunque – e di un’organizzazione, che si
fa chiamare LCC, “Comitato Coordinatore Locale della Siria”, e asserisce di
rappresentare i «comitati locali dei villaggi e delle città di tutta la Siria,
che si incontrano, pianificano e organizzano eventi sul territorio». Abbastanza
stranamente, i siti web associati al Comitato sono localizzati in Germania e
sono di proprietà di una persona chiamata Andreas Bertsch. È stato il “Comitato
Coordinatore Locale della Siria” a diffondere per primo la storia fasulla che
il personaggio inventato di Amina, la “ragazza omosessuale proveniente da
Damasco”, era stato arrestato dalla polizia siriana.
Un video report pubblicato da RT.com mostra in che modo
possono essere fabbricate di sana pianta delle notizie riguardanti la severa
repressione attuata dal governo siriano:
Uomini armati sono venuti ad avvisare che avrebbe avuto
luogo un attacco da parte dell’esercito e della marina contro la città di
Latakia. Duemila persone hanno abbandonato la zona, e sono ritornate un paio di
giorni dopo, arrabbiate per la bugia che era stata raccontata loro: non c’era
stato, infatti, alcun attacco. Questa intimidazione è avvenuta il giorno dopo
una grande manifestazione pro Assad*.
L’attacco non è mai avvenuto, ma questo i media non
l’hanno detto. Più e più volte gli organi di informazione e il Segretario di
Stato americano Hillary Clinton sono intervenuti per condannare il “massacro
perpetrato dal governo siriano”, prima che il polverone si placasse e dai fatti
emergesse che l’azione criminale era stata commessa dalle squadre di mercenari
salafiti al soldo della NATO o che si era trattato di un acceso scontro fra
fazioni rivali.
In entrambi i casi, risulta che l’esercito siriano abbia
fatto il proprio dovere, proteggendo la popolazione, ma naturalmente la
rettifica non è stata comunicata dai media e mai lo sarà. La Siria si è resa
conto che l’allontanamento dei giornalisti occidentali è stato un grosso errore
e ha revocato il provvedimento, ma, con il campo di battaglia già preparato per
il conflitto, questo non sarà di grande aiuto nella guerra dei media.
Ciò con cui abbiamo a che fare, qui, è una tecnica, nota
nei circoli militari come “guerra psicologica”: una strategia mirata a
influenzare le emozioni, il modo di ragionare e i comportamenti dell’opinione
pubblica, generalmente servendosi di cose inventate e presentate come verità.
In cima alla lista delle priorità della CIA per il
“cambio di regime” in Siria – così com’era avvenuto in occasione delle
invasioni criminali di Afghanistan, Iraq e Libia – c’è la creazione di un
embrionale governo in esilio siriano, costituito da conservatori e/o truffatori
pregiudicati. Nella prima parte del 2012, è stato creato il Consiglio Nazionale
Siriano, con quartier generale in Turchia. Per avere un’idea dell’orientamento
politico di questo organo, basta leggere le dichiarazioni del suo responsabile
Burhan Ghalioun, un professore francese di sociologia politica e potenziale
futuro presidente siriano. Il 2 dicembre del 2011, Ghalioun ha annunciato che,
qualora dovesse assumere il governo della Siria, il suo regime «interromperebbe
le relazioni militari con l’Iran, taglierebbe i rifornimenti di armi a
Hezbollah e Hamas e allaccerebbe un legame con Israele».Questa dichiarazione
d’intenti ha l’obiettivo di far sì che Israele sia più motivato e intensifichi
il proprio sostegno alle operazioni volte a spodestare Assad. Con un governo
filoisraeliano e filoamericano in Siria, l’apporto decisivo dell’Iran a
Hezbollah e ai Palestinesi verrebbe meno, lasciando Israele libero di attuare
la propria “soluzione finale” per la questione araba.
George Galloway ha fatto notare che fra i leader
dell’opposizione supportati dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita vi sono dei
personaggi, i quali, durante il periodo in cui ricoprivano importanti cariche
in Siria, sotto Hafez al-Assad, si sono resi responsabili di crimini contro
l’umanità e dell’appropriazione indebita di ingenti quantità di denaro: si
tratta degli espatriati Rifaat al-Assad e Abdul Halim Khaddam. Ancora una volta
si può notare il collegamento fra l’operazione Iraqi Freedom e questa corrotta
creatura della CIA, Ahmed Chalabi. I casi dell’Iraq e della Libia rappresentano
gli esempi più lampanti della crudeltà dell’imperialismo americano che,
nascosto dietro al paravento della “costruzione della nazione”, devasta e
saccheggia dei Paesi già altamente progrediti, mandandoli in rovina.
Indice del libro
Indice
Nota sull'opera
Prefazione
di Franco Cardini
Il puzzle siriano
Giochi di potere
"Primavera" o disgregazione del mondo arabo?
Introduzione
Le premesse
La cosiddetta "Primavera Araba"
La cronologia: 2008-2010, preparazione del campo di
battaglia
2011: l'anno dell'inganno
Rivolta e insurrezione in Siria
L'architettura dell'insorgenza
Gestione della percezione nella guerra psicologica
attraverso bugie,
disinformazione, montature e travisamenti
La prospettiva di una guerra regionale
Fasi della guerra non convenzionale
Struttura di un movimento di insorgenza o di resistenza
Giustizia poetica nel Golfo Persico
La Turchia e la questione curda
Israele e la strada verso la Persia
Sanzioni
Invasione
Un fronte unito contro l'Iran
La costruzione delle provocazioni
Rivoluzione colorata finanziata dall'estero
Assistere le rivoluzioni popolari con le forze armate
Terrorismo sponsorizzato dagli Stati Uniti
Mujahedin-e Khalq e l'insorgenza armata
Potenziali alleati etnici
Fomentare un colpo di stato militare
La posizione cino-russa
Conclusioni
Appendice 1 - Siria: la testimonianza di un sacerdote
Appendice 2 - Cos'è Amnesty International?
Il finanziamento di Amnesty International
La leadership di Amnesty International
Amnesty International tradisce la reale promozione dei
diritti umani
Appendice 3 – La cronaca occidentale sulla Siria sta
andando in pezzi
Appendice 4 – La Turchia tenta di provocare la guerra
alla Siria
Tony Cartalucci, Nile Bowie
Obiettivo Siria - Libro >> http://goo.gl/kszwsF
Come la CIA, le bande criminali e le ONG realizzano
stragi di massa e distorcono le informazioni per manipolare l'opinione pubblica
Editore: Arianna Editrice
Data pubblicazione: Ottobre 2012
Formato: Libro - Pag 261 - 15x21