giovedì 19 settembre 2013

Cerchi nel grano, opere dell'uomo

Cerchi nel grano, opere dell'uomo

Un nuovo libro indaga con piglio scientifico e storico il "mistero" dei cerchi del grano...

di Leonardo Dragoni - 18/09/2013


La storia dei cerchi nel grano (detti anche crop circles, pittogrammi, agroglifi, formazioni) ebbe origine un venerdì di ferragosto del 1980. Allora il Wiltshire Times pubblicò, per la prima volta in assoluto, una fotografia di un cerchio nel grano, in un articolo intitolato: “Cerchi misteriosi – il ritorno della ‘cosa’?”. La “cosa” era il termine utilizzato per indicare gli eventi accaduti tra il 1964 e il 1970 nella cittadina di Warminster, nel Sud-Ovest del Wiltshire (Inghilterra meridionale), dove gli abitanti locali udirono enigmatici suoni, di cui non riuscirono mai a determinare la provenienza. I “cerchi misteriosi” erano invece tre forme circolari impresse sul campo d’avena del signor John Scull, presso Bratton Castle, sempre nel Wiltshire.

Undici anni dopo, il 9 settembre del 1991, il quotidiano “Today” pubblicava in prima pagina una notizia sensazionale: Douglas Bower e David Chorley, due pensionati di Southampton, erano gli ideatori e gli artefici dei famigerati e misteriosi cerchi nel grano che campeggiavano nelle campagne inglesi da almeno un decennio.

Quell’articolo, di Graham Brough, era intitolato “Men who conned the world”, cioè “Gli uomini che hanno imbrogliato il mondo”. Fu una pagina di giornalismo che impresse un marchio indelebile sulla successiva storia dei cerchi nel grano, e che deflagrò con irruenza nella confraternita dei cerchi, facendo feriti e vittime tra gli esperti e i ricercatori, soprattutto tra coloro che si erano esposti a sostegno della natura non umana di questo fenomeno. Per qualcuno (Jurgen Kronig, Terry Wilson, John Macnish, Class Svahn, Ken Brown, per fare dei nomi noti nell’ambiente) fu l’inizio di un percorso di ripensamento dell’intero fenomeno, che evidentemente andava osservato con più distacco e raziocinio. Ma per le moltitudini quel pezzo fu un autentico spartiacque, che divise coloro che credettero al giornale e ai due simpatici artisti di Southampton, da coloro che al contrario ne divennero acerrimi delatori. Questi ultimi mossero innumerevoli critiche al giornale, e sollevarono contro Bower e Chorley un autentico tifone di collera, sospetti, accuse.

Oggi, a distanza di quasi un quarto di secolo, possiamo osservare quegli eventi dall’alto, con distacco, attingendo a fonti preziose che ci permettono di addivenire ad una ricostruzione storiografica puntuale.

Bisogna allora ammettere che - esattamente come raccontato da Bower e Chorley - gli uomini potevano e possono creare quei cerchi con mezzi rudimentali quali un fil di ferro arrotolato sul berretto che fungesse da puntatore, una tavola di legno e un metro a fettuccia. Con sistemi simili ne vennero realizzati molti anche nel 1992, in un pubblico concorso che diede risultati superiori ad ogni aspettativa. Bisogna soprattutto ammettere che la storia raccontata dalla coppia di Southampton è assolutamente attendibile e ricca di riscontri. Le di prove a suffragio della stessa, sono sostanziose e importanti. La storica foto pubblicata dal Wiltshire Times nel 1980, ad esempio, era stata scattata anche da Bower, da diverse angolazioni. Egli aveva inoltre conservato tutti i ritagli di giornale che parlavano di questa tematica, e possedeva molte foto di cerchi nel grano, alcuni perfino sconosciuti alla stampa e al pubblico. I due diedero anche delle dimostrazioni pratiche della loro arte di fronte alle telecamere e in pubblico, con risultati non ottimali ma neppure “vergognosi” come furono etichettati dai detrattori.

I due artisti vennero allo scoperto quando si resero conto che in giro per le campagne inglesi (e non più solo inglesi) c’era qualcun altro che faceva il loro lavoro, e lo faceva meglio di loro. Ad esempio il gruppo di circlemakers (così si chiamano coloro che realizzano questi pittogrammi) chiamato “United Bureau of Investigation” (UBI), capitanato da John Martineau; oppure gli “Amershan”, o ancora gli “Wessex Skeptics” fondati nel 1990 da Robin Allen, o anche individualità come Julian Richardson (alias Bill Bailey), o Adrian Dexter. A partire dal 1987 si stava formando un folto e segreto sottobosco proliferante di circlemakers (così si chiamano gli artisti che realizzano questi pittogrammi) che di li a pochi anni avrebbero surclassato i fondatori, giungendo a realizzare crop circles geometricamente e simbolicamente complessi ed esteticamente sbalorditivi e incantevoli.

Cosa sarebbe accaduto se una di queste persone o uno di questi gruppi fosse stato scoperto, o fosse venuto esso stesso allo scoperto prima di Bower e Chorley?

All’interno dunque di un quadro ben dipinto dai due artisti di Southampton, e quindi credibile e solido, restano però alcune crepe sui cui fanno leva i detrattori, e attraverso le quali rischia di infiltrarsi di nuovo il germe del dubbio e dello scompiglio. Su queste incrinature crediamo che i successivi storici o ricercatori dovrebbero tentare di fare luce.

Ad esempio la dichiarazione che Bower rilasciò nel dicembre del 1998, contraddittoria con quanto detto fino ad allora. Egli disse infatti che “c’era qualcosa lì fuori” che gli diceva di fare i cerchi nel grano, come se fosse stato un automa programmato dall’esterno, una sorta di “Manchurian Candidate”. Aggiunse inoltre di credere agli alieni e agli UFO. Chorley era morto nel 1996, e poco prima Bower gli aveva promesso che si sarebbe continuato a battere per far emergere la verità. Perché allora, dopo sei anni dalla sua apparizione, e meno di due anni dopo la morte dell’amico, introduceva questo argomento fuorviante nella sua versione dei fatti? La nostra sensazione è che mentì, e che introdusse questo argomento in modo strumentale. Bisognerebbe tuttavia accertarne le ragioni.

C’era poi stata anche un’altra occasione in cui Bower aveva dichiarato qualcosa del genere, e lo aveva fatto in tempi non sospetti. Ci riferiamo all’intervista rilasciata a John Macnish per la BBC Television, in cui Bower dichiarava: "Mah... sà... è come se qualcosa ce li facesse fare [i cerchi]”. Allora sembrò una risposta di circostanza, per indicare una motivazione poco precisa. Oppure una frase concordata che poteva far parte del copione del film. Alla luce però delle successive dichiarazioni di Bower (del 1998), quella asserzione si dipinge di foschi sospetti e assume un diverso rilievo.

Un altro dubbio riguarda il motivo per cui Bower, durante la conferenza alla Nafferton Hall del luglio 1993, retrodatò l’origine della sua attività al 1975. Ai giornalisti del “Today” aveva detto di aver iniziato nel 1978. Aveva poi confermato questa data nell’aprile 1993 in una intervista con Class Svahn. Perché tre mesi dopo cambiava le carte in tavola? Si può ipotizzare che avesse subodorato che qualcuno avrebbe presentato delle evidenze fotografiche di cerchi precedenti al 1978 (ad esempio P. Fuller, o C. Andrews). Bower dovette pensare che stiracchiando di altri tre anni all’indietro questa data, dal 1978 al 1975, si sarebbero ridotti i rischi di perdere la “genitorialità” del fenomeno. A lui interessava essere riconosciuto come fondatore di questo fenomeno, e temeva di essere scavalcato. Era questo uno dei motivi che due anni prima lo aveva spinto, insieme a Chorley, a venire allo scoperto. Questa preoccupazione di Bower la si deduce anche dalla frase di apertura di Ken Brown nel successivo convengo, che si sarebbe tenuto solo una settimana dopo: “Stasera siamo qui per evidenziare il fatto che i cerchi nel grano furono un’idea originaria di Doug Bower”.

 Quali che fossero le sue ragioni, è un fatto che Bower cambiò versione, e la cosa non può non destare sospetto. Rimane quindi incerta la data iniziale, laddove ad esempio Macnish la colloca nel 1975, Irving nel 1976 e Schnabel nel 1978.
Altra crepa nella tela di Bower e Chorley è rappresentata dal citato articolo del “Today”, che terminava scrivendo che i due protagonisti non erano prezzolati: il giornale non aveva pagato nulla per la storia. Le ultimissime parole erano però: “Copyright MBF Services”.
Pat Delgado prima, George Wingfiled poi, si convinsero che dietro quel “MBF Services” si celasse un inganno, e si dedicarono anima e corpo a svelare questo arcano. Non vi riuscirono, ma sollevarono abbastanza polvere da insinuare il dubbio che vi fosse qualcosa di losco. Dubbio che né il giornale, né gli scettici sono poi stati capaci di dirimere definitivamente.

Il caporedattore del “Today”, Lloyd Turner, spiegò che MBF era il nome di una libera agenzia di stampa che aveva messo in contatto Bower e Chorley col giornale. Venne però accusato di mentire: l’agenzia non compariva in alcun elenco o registro. Più probabile – come disse infatti Brough – che MBF fosse solo un nome fittizio, qualcosa che era stato propinato al giornale, e che era stato inventato un po’ per gioco e un po’ per proteggere il diritto d’autore e l’esclusiva della storia.

I delatori intanto indagavano, prima su una “MBF Limited” a Paisley, in Scozia, diretta da Norman MacFarlane. Poi, tramite un numero di telefono, risalirono allo studio commerciale di Berkley Jackson, che si scoprì avere come cliente un centro di ricerca e sviluppo denominato MBF. Era la “Maiden Beech Farm Consultancy Limited”, nel Somerset, diretta dal dottor Andrew Winsloe Clifford, scienziato specialista in ingegneria meccanica e metallurgia, il quale svolgeva anche dei lavori di natura confidenziale per il Ministero della Difesa. Il sospettato ideale, ma dopo successivi approfondimenti sembrò estraneo alla vicenda. La storia si scrive con i documenti, con i nomi, e con i fatti. Tutti elementi che, nel caso specifico, sono rimasti latitanti. Difficile dunque determinare come fossero andate realmente le cose. Rimane il fatto che la “questione MBF” presentava delle ombre, ad oggi di fatto non pienamente risolte. Turner, insieme a Brough e all’editore Dunn, saranno anche formalmente accusati di fronte alla “Press Complaints Commission”, uscendone assolti.

Questioni secondarie dunque, ma per il momento irrisolte. Non è abbastanza per scalfire le solide evidenze presentate da Bower e Chorley, la cui storia sembra reggere bene ai reiterati attacchi dei detrattori. Ma è forse abbastanza per ammettere qualche legittimo sospetto, e insinuare il dubbio almeno tra i malpensanti e chi vuole il mistero (o gli ufo) ad ogni costo. Costoro però, bisogna dire, di evidenze storiche o scientifiche a loro sostegno, non ne hanno mai presentata neppure mezza.

Leonardo Dragoni
La Verità sui Cerchi nel Grano >> http://goo.gl/Ep8WcO
Edizioni Alvorada
Editore: Edizioni Alvorada
Data pubblicazione: Dicembre 2011
Formato: Libro - Pag 402 - 15x21