Mindfulness e Cervello
Gli effetti neurofisiologici della presenza mentale
di Marco Vignali - 20/11/2013
È concepibile una modalità di conoscenza che sia oltre il
pensiero? La prospettiva della mindfulness ci indica la possibilità di una
conoscenza che si manifesta quando l’attività discorsiva ininterrotta della mente
si placa creando lo spazio perché emerga, spontaneamente, una consapevolezza
silente, una presenza al di là delle parole, dei concetti, del pensare,
dell’intendere, del significare. Questa modalità di comprensione non
concettuale, di semplice presenza mentale, attenzione cosciente a ciò che
appare nella mente, apre la possibilità alla disidentificazione dai «contenuti»
mentali, un atto di profonda potenzialità terapeutica. Cosa indica la parola
mindfulness? Uno stato mentale che ha a che fare con particolari qualità
dell’attenzione e della consapevolezza che possono essere coltivate e
sviluppate attraverso la meditazione.
Una possibile descrizione è la seguente: la
consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi
dell’esperienza momento per momento:
a) con intenzione;
b) nel presente;
c) in modo non giudicante.
La meditazione di mindfulness comprende una gamma di
tecniche e di approcci originari di ogni tradizione, tradizioni che però
convergono su alcune caratteristiche essenziali le quali consentono una nitida
distinzione rispetto a ciò che la meditazione in senso proprio, si potrebbe
forse dire tradizionale, non è. Non è una condizione di trance, con
indebolimento o scomparsa della consapevolezza. Non è una condizione mistica,
intesa come involontario presentarsi di immagini e visioni di significato
«religioso». Non è, soprattutto, una tecnica di rilassamento, un metodo il cui
scopo sia il raggiungimento di uno stato di «benessere» fisico o mentale, anche
se, a volte, questo può esserne un effetto collaterale. Lo sviluppo della
consapevolezza, pur nella molteplicità di pratiche delle diverse tradizioni, è
l’opposto di tutto questo: il suo scopo è divenire attenti e presenti a ciò che
la propria mente sta vivendo.
Noi passiamo gran parte del nostro tempo assorbiti dalle
costruzioni verbali dell'esperienza e dimentichiamo la nostra eperienza
diretta. Le conseguenze più evidenti del potere delle parole sono la tendenza a
creare giudizi e preconcetti per cui una certa cosa è buona o cattiva, bella o
brutta, giusta o sbagliata. La pratica della mindfulness è un modo per
riappropriarsi della esperienza diretta, senza pregiudizi, senza chiusure,
senza negazioni, senza rifiuti.
Si tratta dunque di coltivare la capacità di accogliere i
propri stati mentali per quelli che sono, senza rimanere affascinati da ciò che
è attraente e senza rifiutare ciò che è sgradevole. Tale atteggiamento di
accettazione radicale è essenziale per superare le trappole tessute dalle
costruzioni mentali. La mente, infatti, nel tentativo di rifiutare ciò che è
sgradevole finisce per farci rimanere intrappolati nella sofferenza.
Il cervello “mindful”
Nel giugno del 2002, Richard Davidson e i suoi
collaboratori, hanno posizionato 128 elettrodi sulla testa di Mattieu Ricard,
monaco di origine francese del monastero Shechen di Katmandu, che aveva
maturato oltre 10 mila ore di meditazione. Essi hanno chiesto a Ricard di
meditare sui concetti di “compassione e amore incondizionati” notando
immediatamente una forte attività gamma – ovvero di onde cerebrali oscillanti a
circa 40 cicli per secondo – indicativa di un pensiero intensamente
focalizzato. Le onde gamma, generalmente deboli e difficili da visualizzare, in
quanto legate a stati intensamente energetici, sono correlate con la volontà, i
processi mentali superiori e l’autosservazione del sé. Quelle emessa da Ricard
erano invece evidentissime, anche in modalità elettroencefalogramma. Non solo:
le oscillazioni delle diverse parti della corteccia erano assolutamente
sincronizzate (un fenomeno che qualche volta si verifica nei pazienti sotto
anestesia).
Temendo che ci fosse qualcosa di sbagliato nella
strumentazione o nelle tecniche utilizzate, gli studiosi hanno poi confrontato
altri monaci con un gruppo di controllo formato da studenti con nessuna
esperienza di meditazione. I religiosi producevano onde gamma trenta volte più
potenti di quelle emesse dai ragazzi. Inoltre, presentavano aree cerebrali
attive più ampie, specialmente nella corteccia prefrontale sinistra, la
porzione del cervello responsabile delle emozioni positive.
Davidson realizzò subito che quella scoperta presentava
significative implicazioni per gli studi, sempre più diffusi, sulla capacità di
alterare le funzioni mentali con l’esercizio.
Un altro studio successivo di Lazar, Kerr, Wasserman e
collaboratori (2005) ha rilevato un aumento dello spessore di due parti del
cervello come effetto correlato all’esercizio costante della mindfulness:
• l’area mentale
prefrontale, bilateralmente
• un circuito neurale, l’insula.
Questo studio mostra inoltre come l’attivazione delle
aree coinvolte durante la meditazione portano ad una sincronizzazione e ad una
integrazione emisferica. Ossia ad uno stato di più ampia presenza mentale
(prefrontale) e di aumentata emotività (insula).
Fino a vent’anni fa si pensava che il cervello si
formasse durante le varie tappe evolutive, fino a fissarsi con il passaggio
all’età adulta, ecco l’assunto: da quel momento in poi si formano pochissime
nuove connessioni. Negli ultimi vent’anni, però, la situazione è totalmente
cambiata, gli scienziati hanno riscontrato che un allenamento continuativo può
fare la differenza, perché il cervello è plastico, quindi, soggetto a
modificazioni. Le ricerche citate hanno dimostrato che tale potenzialità può
essere estesa anche ai centri emozionali. I monaci hanno risposto alla
richiesta di meditare sulla compassione generando onde cerebrali di
straordinaria intensità. Forse tale segnale potrebbe indicare anche uno stato d’animo corrispondente
al pensiero su cui si sono focalizzati. Se così fosse , ciò vorrebbe dire che
la compassione può essere esercitata, come un muscolo; e che con un adeguato
esercizio si sarebbe in grado di aumentare le proprie capacità di empatia. Non
solo: se la meditazione può aumentare “attenzione e processi affettivi” – le
emozioni in gergo tecnico – la stessa pratica può essere utilizzata anche per
agire sulle risposte emotive negative, così diffuse nelle patologie.
Quindi perché il modo in cui prestate attenzione al
momento presente modifica il vostro cervello? Perché promuove la plasticità
neurale, il cambiamento delle connessioni neurali in risposta all’esperienza.
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Daniel J. Siegel
Mindfulness e Cervello - Libro >>> http://goo.gl/gP7XtS
Editore: Raffaello Cortina Editore
Data pubblicazione: Dicembre 2009
Formato: Libro - Pag 363 - 15x23
Antonella Montano
Mindfulness - Libro >>> http://goo.gl/rYo3Cj
Editore: Ecomind
Data pubblicazione: Gennaio 2007
Formato: Libro - Pag 176 -