giovedì 21 novembre 2013

Mindfulness e Cervello

Mindfulness e Cervello

Gli effetti neurofisiologici della presenza mentale

di Marco Vignali - 20/11/2013



È concepibile una modalità di conoscenza che sia oltre il pensiero? La prospettiva della mindfulness ci indica la possibilità di una conoscenza che si manifesta quando l’attività discorsiva ininterrotta della mente si placa creando lo spazio perché emerga, spontaneamente, una consapevolezza silente, una presenza al di là delle parole, dei concetti, del pensare, dell’intendere, del significare. Questa modalità di comprensione non concettuale, di semplice presenza mentale, attenzione cosciente a ciò che appare nella mente, apre la possibilità alla disidentificazione dai «contenuti» mentali, un atto di profonda potenzialità terapeutica. Cosa indica la parola mindfulness? Uno stato mentale che ha a che fare con particolari qualità dell’attenzione e della consapevolezza che possono essere coltivate e sviluppate attraverso la meditazione.

Una possibile descrizione è la seguente: la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza momento per momento:
a) con intenzione;
b) nel presente;
c) in modo non giudicante.

La meditazione di mindfulness comprende una gamma di tecniche e di approcci originari di ogni tradizione, tradizioni che però convergono su alcune caratteristiche essenziali le quali consentono una nitida distinzione rispetto a ciò che la meditazione in senso proprio, si potrebbe forse dire tradizionale, non è. Non è una condizione di trance, con indebolimento o scomparsa della consapevolezza. Non è una condizione mistica, intesa come involontario presentarsi di immagini e visioni di significato «religioso». Non è, soprattutto, una tecnica di rilassamento, un metodo il cui scopo sia il raggiungimento di uno stato di «benessere» fisico o mentale, anche se, a volte, questo può esserne un effetto collaterale. Lo sviluppo della consapevolezza, pur nella molteplicità di pratiche delle diverse tradizioni, è l’opposto di tutto questo: il suo scopo è divenire attenti e presenti a ciò che la propria mente sta vivendo.

Noi passiamo gran parte del nostro tempo assorbiti dalle costruzioni verbali dell'esperienza e dimentichiamo la nostra eperienza diretta. Le conseguenze più evidenti del potere delle parole sono la tendenza a creare giudizi e preconcetti per cui una certa cosa è buona o cattiva, bella o brutta, giusta o sbagliata. La pratica della mindfulness è un modo per riappropriarsi della esperienza diretta, senza pregiudizi, senza chiusure, senza negazioni, senza rifiuti.
Si tratta dunque di coltivare la capacità di accogliere i propri stati mentali per quelli che sono, senza rimanere affascinati da ciò che è attraente e senza rifiutare ciò che è sgradevole. Tale atteggiamento di accettazione radicale è essenziale per superare le trappole tessute dalle costruzioni mentali. La mente, infatti, nel tentativo di rifiutare ciò che è sgradevole finisce per farci rimanere intrappolati nella sofferenza.

Il cervello “mindful”

Nel giugno del 2002, Richard Davidson e i suoi collaboratori, hanno posizionato 128 elettrodi sulla testa di Mattieu Ricard, monaco di origine francese del monastero Shechen di Katmandu, che aveva maturato oltre 10 mila ore di meditazione. Essi hanno chiesto a Ricard di meditare sui concetti di “compassione e amore incondizionati” notando immediatamente una forte attività gamma – ovvero di onde cerebrali oscillanti a circa 40 cicli per secondo – indicativa di un pensiero intensamente focalizzato. Le onde gamma, generalmente deboli e difficili da visualizzare, in quanto legate a stati intensamente energetici, sono correlate con la volontà, i processi mentali superiori e l’autosservazione del sé. Quelle emessa da Ricard erano invece evidentissime, anche in modalità elettroencefalogramma. Non solo: le oscillazioni delle diverse parti della corteccia erano assolutamente sincronizzate (un fenomeno che qualche volta si verifica nei pazienti sotto anestesia).

Temendo che ci fosse qualcosa di sbagliato nella strumentazione o nelle tecniche utilizzate, gli studiosi hanno poi confrontato altri monaci con un gruppo di controllo formato da studenti con nessuna esperienza di meditazione. I religiosi producevano onde gamma trenta volte più potenti di quelle emesse dai ragazzi. Inoltre, presentavano aree cerebrali attive più ampie, specialmente nella corteccia prefrontale sinistra, la porzione del cervello responsabile delle emozioni positive.
Davidson realizzò subito che quella scoperta presentava significative implicazioni per gli studi, sempre più diffusi, sulla capacità di alterare le funzioni mentali con l’esercizio.
Un altro studio successivo di Lazar, Kerr, Wasserman e collaboratori (2005) ha rilevato un aumento dello spessore di due parti del cervello come effetto correlato all’esercizio costante della mindfulness:

•    l’area mentale prefrontale, bilateralmente
•    un circuito neurale, l’insula.

Questo studio mostra inoltre come l’attivazione delle aree coinvolte durante la meditazione portano ad una sincronizzazione e ad una integrazione emisferica. Ossia ad uno stato di più ampia presenza mentale (prefrontale) e di aumentata emotività (insula).

Fino a vent’anni fa si pensava che il cervello si formasse durante le varie tappe evolutive, fino a fissarsi con il passaggio all’età adulta, ecco l’assunto: da quel momento in poi si formano pochissime nuove connessioni. Negli ultimi vent’anni, però, la situazione è totalmente cambiata, gli scienziati hanno riscontrato che un allenamento continuativo può fare la differenza, perché il cervello è plastico, quindi, soggetto a modificazioni. Le ricerche citate hanno dimostrato che tale potenzialità può essere estesa anche ai centri emozionali. I monaci hanno risposto alla richiesta di meditare sulla compassione generando onde cerebrali di straordinaria intensità. Forse tale segnale potrebbe  indicare anche uno stato d’animo corrispondente al pensiero su cui si sono focalizzati. Se così fosse , ciò vorrebbe dire che la compassione può essere esercitata, come un muscolo; e che con un adeguato esercizio si sarebbe in grado di aumentare le proprie capacità di empatia. Non solo: se la meditazione può aumentare “attenzione e processi affettivi” – le emozioni in gergo tecnico – la stessa pratica può essere utilizzata anche per agire sulle risposte emotive negative, così diffuse nelle patologie.

Quindi perché il modo in cui prestate attenzione al momento presente modifica il vostro cervello? Perché promuove la plasticità neurale, il cambiamento delle connessioni neurali in risposta all’esperienza.

Bibliografia

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Davidson R.J., Kabat-Zinn J., Schumacher J., Rosenkranz M., Muller D., Santorelli S.F. et al. (2003) Alterations in brain and immune function produced by mindfulness meditation, Psychosomatic Medicine, 65(4):564-570
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Kabat-Zinn J. (1990) Full Catastrophe Living, A Delta Book
Kabat-Zinn J. (2005) Coming to Our Senses, Hyperion
Segal, Z.J., Williams, M.G., & Teasdale, J.D. (2002). Mindfulness based cognitive therapy for
depression: a new approach to preventing relapses. New York: Guildford Press.
Siegel D.J. (2009) Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina Editore
Sternberg, R.J. (2000). Images of mindfulness. J Soc Issues, 56, 11-27.
Taylor, J.G. (2001). The central role of the parietal lobes in consciousness. Conscious Cogn, 10(3),
379-417.

Daniel J. Siegel
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Editore: Raffaello Cortina Editore
Data pubblicazione: Dicembre 2009
Formato: Libro - Pag 363 - 15x23

Antonella Montano
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Editore: Ecomind
Data pubblicazione: Gennaio 2007
Formato: Libro - Pag 176 -