venerdì 13 novembre 2015

Teoria dei molti mondi: di cosa si tratta?



Teoria dei molti mondi: di cosa si tratta?

Definizione della "teoria dei molti mondi", dal Dizionario enciclopedico di Fisica Quantistica

La redazione S&C - 12/11/2015



Teoria dei molti mondi: di cosa si tratta?

ll "Dizionario enciclopedico di Fisica Quantistica" è una guida alla realtà quantistica, dove tuttta la storia della fisica, dalla A alla Z, viene affrontata con piglio appassionato ed entusiasmante.

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Estratto dal libro "Dizionario enciclopedico di Fisica Quantistica"

La teoria dei molti mondi, viene definita anche, alternativamente, teoria dei multi mondi o interpretazione dei molti mondi.

Cosa esprime?
Esprime che: “ogni qual volta il mondo deve affrontare una scelta a livello quantistico, l’universo si divide in due (ovvero in tante parti quante sono le scelte possibili), di modo che vengano realizzate tutte le possibili opzioni.

Come se un elettrone potesse scegliere di passare tra due fenditure e in un mondo l’elettrone passa attraverso la fenditura A, nell’altro, attraverso la fenditura B.

Non sempre viene debitamente evidenziato che all’origine di questa idea c’è proprio lo sviluppo dell’interpretazione di Copenhagen, che risale al 1927 a opera di Niels Bohr.
In realtà, Bohr suggerì che si sarebbe potuto pensare all’esperimento della doppia fenditura in termini di due realtà diverse, in ognuna delle quali l’elettrone seguiva un percorso differente. Tuttavia considerò il nostro mondo, il mondo così come lo sperimentiamo, come un ibrido delle due possibilità, che producono interferenze tra i due mondi.

Quando ci mettiamo a osservare in quale fenditura sia passato l’elettrone, rendiamo reale uno dei due monti, mentre l‘altro scompare, e quindi non c’è interferenza.

Quella dei molti mondi è quindi una caratteristica dell’interpretazione di Copenhagen, ma si tratta di mondi fantasma, che non si ritiene abbiano una realtà fisica.

Secondo l’ipotesi di Bohr, se analizziamo la situazione e scopriamo che l’elettrone è passato attraverso la fenditura A, la faccenda si conclude.

Non viene ipotizzato che in una qualche realtà alternativa ci sia una situazione analoga in cui però l’elettrone passa per la fenditura B. Ma perché no?

All’inizio degli anni ’50, Hugh Everett, un laureando a Princeton, lavorò sull’interpretazione di Copenhagen e sul magico collasso della funzione d’onda, e decise che aveva più senso trattare ognuno dei possibili eventi quantici come se esistesse realmente, in una realtà concreta.
 
Nel classico esempio del gatto di Schrödinger, ciò implica che, se l’esperimento fosse realmente intrapreso, l’universo si dividerebbe in due: in una realtà il ricercatore, aprendo la scatola, troverebbe un gatto morto, mentre nell’altra realtà si troverebbe un gatto vivo.

Incoraggiato da John Wheeler, supervisore della sua tesi, Everett sviluppò quest’idea fino a farne un’interpretazione pienamente funzionante della teoria quantistica, e dimostrò che l’idea che “tutte le possibilità quantistiche siano contemporaneamente reali”  portava alle stesse previsioni sperimentali dell’interpretazione di Copenhagen.
Ciò si rivelò positivo, in un senso, negativo nell’altro.
Era positivo perché ogni esperimento intrapreso era in accordo con le previsioni dell’interpretazione di Copenhagen e, quindi, in quel contesto, la teoria dei molti mondi non poteva essere considerata errata. Ma d’altro canto non c’era più modo di verificare, con adeguati esperimenti, quale delle due interpretazioni “rivali” fosse veramente “corretta”. A quel punto, la scelta diventava questione di gusti personali.

La ricerca di Everett venne pubblicata sulla rivista Rewviews of Modern Physics nel 1957 assieme a una nota di Wheeler che ne sottolineava l’importanza.

Nonostante ciò, quella teoria fu ampiamente ignorata, finché Bryce DeWitt, dell’università della Carolina del Nord, se ne appropriò verso la fine degli anni ’60.

Quel parziale insuccesso era sicuramente dovuto alle sconvolgenti implicazioni dell’accettare che ci fossero un numero infinito di realtà alternative, “là fuori”, coesistenti in un certo senso a quella da noi sperimentata, nelle quali ogni possibile scelta quantistica veniva concretizzata in un mondo o nell’altro.

Lo stesso DeWitt, scrivendo su Psysics Today (settembre 1970) descrisse lo shock subito contemplando per la prima volta la possibilità che esistessero circa «10100 copie di se stesso, leggermente diverse, che continuano a duplicarsi all’infinito».

John Gribbin
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