Vaccini: perché tutti si vaccinano?
I soggetti vaccinati sono sempre di più: scopri cosa
comporta questa immunità di gregge?
di Stefano Montanari, Antonietta Gatti - 17/12/2015
Vaccini: perché tutti si vaccinano?
Estratto da “Vaccini. Si o no?” di Stefano Montanari e
Antonietta M.Gatti
Immunità di gregge
Occorre pure puntualizzare qualcosa a proposito della
cosiddetta immunità di gregge cui si è già accennato.
Di fatto non esiste alcuna prova di quel 95% cui ci si
sta riferendo con insistenza come soglia di soggetti vaccinati, al di sotto
della quale si rischia la recrudescenza della malattia fino a condizioni
epidemiche.
Se si consulta il ponderoso testo Janeway’s Immunobiology
di Kenneth Murphy della Washington School of Medicine di Saint Louis, un testo
universalmente ritenuto autorevole, vi si trova, ad esempio, un valore dell’80%
ma anche in questo caso non ci sono giustificazioni basate sui fatti e tutto è confinato
all’opinione, una cosa che, pur abbondantemente praticata, in campo scientifico
non trova cittadinanza legittima dove tutto va rigorosamente dimostrato.
Peraltro, nazioni come l’Austria, ad esempio, godono di
una copertura vaccinale decisamente al di sotto dei valori dichiarati critici e
non pare esistano situazioni degne di un qualche allarme.
È sempre oggetto di sorpresa sentire qualcuno
che c’informa di come nel nostro corpo
vivano in perfetta e indispensabile simbiosi con noi
più o meno due chili e mezzo di batteri.
Un concetto su cui vale la pena meditare è quello
relativo all’abitudine che, nel paio di milioni di anni della nostra vita su
questo pianeta - vita dell’Uomo come animale in genere, naturalmente – abbiamo
di convivere con un’infinità di batteri, virus e quant’altro, moltissimi dei
quali potenzialmente patogeni.
È proprio questo contatto ravvicinato durato per millenni
e ripetuto generazione dopo generazione che ha fatto in modo di mettere in atto
una convivenza pacifica o, quanto meno, tollerabile tra noi e queste forme di
vita (o “ai margini della vita” come è per i virus) che, se affrontate senza la
dovuta preparazione immunitaria, potrebbero fare disastri.
Notissimo è l’incontro del XVI secolo tra gli Americani -
quelli veri, cioè i nativi di quei territori - con gli Spagnoli. Gli invasori,
di fatto quattro gatti, portarono in America l’influenza e qualche altra
malattia infettiva che noi Europei superiamo senza particolari difficoltà o
malattie che, come il vaiolo, uccidevano da noi solo in una frazione dei casi
d’infezione.
Esportate in America, queste patologie fecero vere e
proprie stragi, trovando popolazioni che, separate da noi Europei da un oceano
allora arduo da attraversare, non avevano mai incontrato certi patogeni.
Il risultato fu che la convivenza tra americano (quello
autoctono) e virus o batterio non si rivelò possibile.
Se noi continuiamo a farci vaccini in maniera indiscriminata
nei confronti di ogni malattia, in particolare quelle meno aggressive, ciò che
rischiamo è di costituire una popolazione protetta solo in maniera blanda e,
nel contempo, incapace di allestire difese immunitarie efficaci, passandole,
magari, alla prole.
La conseguenza, osservabile già ora nei neonati che si
ammalano di malattie una volta destinate a bambini più maturi, è di rendere
decisamente più prepotenti patogeni tutto sommato di scarsa importanza.
Insomma, semplificando molto…
I nostri anticorpi hanno bisogno di esercitarsi sul campo
e, se continueremo a farne dei “rammolliti”, il rischio non proprio impossibile
che potremmo correre è quello di far nascere davvero le pandemie che finora
sono state previste, spesso minacciate, senza mai avverarsi.
Nel massimo rispetto per la Medicina e, anzi, con
ammirazione, ci permettiamo di ricordare una frase del filosofo inglese Francis
Bacon o, come usava ai suoi tempi, Francesco Bacone: «La Natura si domina solo
obbedendole».
Stefano Montanari, Antonietta Gatti
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laboratorio con il microscopio elettronico delle sostanze presenti nei vaccini