giovedì 31 marzo 2016

Pranayama



Pranayama

Esercizi e Tecniche di Respirazione

di Swami Kuvalayananda



Pranayama - Libro

Swami Kuvalayananda è stato il primo ad iniziare e promuovere la ricerca scientifica applicata agli aspetti tradizionali dello yoga. Il suo lavoro verrà sempre ricordato nel mondo yogico.

Pranayama è tuttora considerato il libro migliore su questo argomento: contiene le tecniche descritte nel modo più sistematico e scientifico possibile, in un linguaggio semplice e chiaro. L’opera contiene disegni e foto originali impagabili che accompagnano la lettura. Il manuale, inoltre, contiene tre importanti appendici che lo rendono utile ad ogni praticante di yoga.

Lo sviluppo spirituale di uno studente di yoga dipende da due cose: egli deve innanzi tutto eliminare ciò che oscura la luce spirituale e secondariamente riuscire a fermare la sua mente vagante. Attraverso la pratica di Pranayama uno studente di yoga riesce a iniziare il cammino in entrambe le direzioni.

Dalla quarta di copertina

Dalla saggezza dell'India antica e contemporanea, un preziosissimo manuale di Pranayama, la sofisticata tecnica di controllo del respiro che lo yoga propone quale importante mezzo di guarigione.

Una guida completa e sicura per tutti i praticanti: infatti tutte le principali tecniche sono descritte in maniera sistematica e con un linguaggio semplice.

Disegni e foto originali confermano la sua autenticità e autorevolezza, e ci rendono partecipi della storia dello yoga.

Kuvalananda propone le posizioni e tutti i principali Pranayama nei dettagli; inoltre ne indica i benefici per il nostro organismo, in particolare per i sistemi nervoso, endocrino, respiratorio, circolatorio e digestivo. Il manuale comprende anche importanti e utili appendici tra cui:

un corso di cultura fisica yogica completo di tanti importanti suggerimenti
il glossario che fornisce la traduzione di molti termini sanscriti e fondamentali informazioni anatomiche e fisiologiche utili per la pratica.
I veggenti yogici dell'antica India consideravano il Pranayama come l'esercizio in grado di rendere sommamente sano ogni processo vitale. Alla luce della nostra esperienza possiamo dire con sicurezza che nessun altro esercizio fisico può avere neanche un centesimo dell'efficacia del pranayama.


Leggi in anteprima il capitolo 1 del libro di Swami Kuvalayananda "Pranayama"

Respirazione - Estratto da "Pranayama" libro di Swami Kuvalayananda

Il Pranayama è un esercizio yoga di respirazione. Pertanto è consigliabile per chi voglia praticarlo conoscere alcuni importanti dettagli del sistema respiratorio. In questo capitolo descriveremo quindi alcune conoscenze generali dell’anatomia e fisiologia della respirazione.

La respirazione consiste nella dilatazione e nella contrazione alternate del torace, per mezzo delle quali l’aria viene inspirata o espirata dai polmoni.

In questo capitolo considereremo dapprima i vari organi direttamente interessati in questo processo di passaggio dell’aria dai e nei polmoni, e in seguito vedremo come tali organi agiscono durante i vari stadi della respirazione.

Gli organi della respirazione possono essere così distinti: naso, faringe, laringe, trachea, bronchi e polmoni. I nervi e i vasi sanguigni connessi con queste parti possono anch’essi considerarsi organi di respirazione. Generalmente il naso non è incluso tra questi organi, ma se vogliamo considerare la respirazione dal punto di vista dello yoga non solo dobbiamo includere il naso, ma dobbiamo studiarlo dettagliatamente. Nella trattazione di tali organi procederemo descrivendo il passaggio dell’aria dall’esterno verso i polmoni e poiché lo si incontra per primo, inizieremo questo capitolo proprio descrivendo accuratamente il naso.

Il naso

Potremo studiare il naso sia esternamente che internamente con l’aiuto di uno specchio e delle illustrazioni di questo libro. Usando lo specchio dovremmo fare in modo che la luce alle nostre spalle cada sullo specchio tenuto di fronte a noi. Lo specchio dovrebbe essere tenuto in modo che la luce, senza abbagliare gli occhi, si rifletta nelle narici quando la testa è leggermente piegata all’indietro.

Siamo abituati a vedere il nostro naso allo specchio, ma quello che generalmente vediamo ne è solo la parte esterna: diamo ora invece un’occhiata anche alla parte interna delle narici. Troveremo che, nella cavità di ciascuna delle due narici, ai lati della parete che le separa, c’è un’apertura in alto. Si potrebbe pensare che queste due aperture siano una specie di comunicazione tra il naso e qualche altro organo situato all’interno della testa, ma ciò sarebbe completamente errato. Infatti il naso esterno è solo una parte dell’organo anatomicamente conosciuto come “naso”. La sua parte più importante è all’interno della testa, dietro le due aperture che abbiamo visto e al di sopra del palato duro che forma una parte del soffitto della bocca. Ma prima di esaminare l’interno terminiamo la descrizione della parte esterna del naso.

Se lo tocchiamo con le dita, troveremo che gran parte del naso è mobile; la ragione è che questa porzione del naso – incluso il setto divisorio – è costituita da diverse cartilagini, unite le une alle altre da una membrana resistente e ricoperta di pelle. Se guardiamo nuovamente nello specchio ed esaminiamo l’interno delle narici, troveremo che la pelle che ricopre la superficie esterna del naso continua verso l’interno e ricopre anche la cavità inferiore del naso interno, inclusa la parte inferiore del setto.

Sulle pareti di questa porzione inferiore del naso – detta “vestibolo” – si ergono spessi e rigidi peli: quelli che crescono nella parte anteriore sono proiettati all’indietro, mentre i peli che sorgono dalla parte posteriore sono proiettati in avanti. In questo modo formano, proprio all’entrata del naso (da cui il nome di “vestibolo”) una specie di setaccio. Il naso esterno ha due terminazioni: quella superiore, unita alla fronte, è chiamata “volta”, quella inferiore – libera – è denominata “apice”.

Tastando nuovamente la parte flessibile del nostro naso troveremo che i bordi superiori e posteriori sono duri; questo perché la parte elastica del naso è attaccata alle ossa.

Vediamo molto bene questa connessione nella figura 2, che rappresenta una sezione frontale del naso in cui le ossa sono visibili.

Notiamo immediatamente che i bordi delle ossa cui è attaccata la parte flessibile del naso formano un disegno esattamente simile al cuore disegnato sulle carte da gioco. Esaminiamo ora alcuni aspetti di questa apertura ossea, che ci riguardano direttamente. Sotto la fronte e tra gli occhi ci sono due ossa che possiamo sentire esternamente: sono dette “ossa nasali” (1) e formano quello che è conosciuto come “ponte del naso”. Una linea verticale (4), detta “setto nasale” divide l’apertura in due metà esatte. Le curve circolari visibili sul fondo sono formate dalle due ossa mascellari superiori (5). Queste curve segnano i bordi inferiori delle due aperture osservate nella descrizione della parte posteriore del naso esterno.

Abbiamo già detto che il naso esterno è solo una piccola parte dell’organo; la parte più importante si trova all’interno della testa, e ora la esamineremo, sempre con l’aiuto della figura 2.

L’apertura, divisa in due metà dal setto nasale, conduce a due cavità di forma ovoidale. Tali cavità continuano all’interno e si aprono nella gola con aperture simili a quelle presenti sulla superficie ossea di fronte a noi. Ognuna di queste cavità ha un pavimento, un tetto, una parete mediale e una laterale.

Il setto che divide queste due cavità forma la parte mediale di entrambe. È formata da ossa anche alla base, eccetto che nella parte frontale, dove una larga cartilagine chiude l’apertura. Il pavimento è osseo. La figura 1a mostra questa base in sezione: è formata da due ossa, la parte frontale è composta dalle ossa della mascella superiore e la parte posteriore dalle ossa del palato. Ci sono due ossa mascellari e due ossa del palato duro. Le ossa della mascella superiore sono situate l’una di fianco all’altra, a formare l’arcata in cui sono fissati i denti. Dietro la mascella superiore le ossa del palato stanno una accanto all’altra e formano il palato duro. Le superfici inferiori delle due ossa nelle mascelle superiori e le ossa del palato duro formano la “volta” della nostra bocca: se con le dita proviamo a esaminare questo “tetto”, procedendo all’indietro a partire dagli incisivi superiori, troveremo due superfici dure. Una è irregolare e l’altra è liscia. La superficie irregolare che sentiamo appena sopra ai nostri denti è formata dalle ossa della mascella, mentre la superficie liscia che attraversiamo muovendo il dito all’indietro appartiene alle ossa del palato duro, dietro cui possiamo facilmente sentire il palato molle.

La figura 1 mostra che le superfici superiori della mascella e del palato duro sono orizzontali, e questa è la ragione per cui anche la base delle cavità nasali è orizzontale. Così le ossa superiori della mascella e anche del palato formano contemporaneamente il tetto della bocca e la base del naso. Questo significa che le cavità nasali si trovano appena al di sopra del tetto della bocca. Le pareti laterali delle cavità nasali sono piuttosto complicate: formate da ossa, alla loro base sorgono a una certa distanza dal setto, ma subito si inclinano verso il setto, per incontrarlo alla sommità. Si può avere un’idea dell’inclinazione delle pareti laterali nella figura 2: qui l’apertura ossea rappresenta i bordi esterni delle pareti nasali. Queste cavità sono quindi larghe alla base ma si restringono alla sommità. Dalle pareti laterali sorgono all’interno delle cavità delle ossa simili a spirali (cornetto nasale), una delle quali è indicata nella figura 2 (2). Queste ossa si estendono per tutta la lunghezza delle pareti laterali e, dietro, si aprono nella gola.

Ora consideriamo il tetto (o volta): è una struttura ossea arcuata, nonostante la base delle cavità nasali sia orizzontale. Si può avere un’idea di questo arco nella figura 1b, dove si vede che il setto forma un arco alla sommità. Giacché il setto sale fino a incontrare il tetto – o volta – si può dire che l’arco del tetto è rappresentato dalla curva superiore del setto. Le ossa che formano il setto sono le ossa nasali che abbiamo già esaminato e che formano la parte frontale di questa volta ad arco. Dietro le ossa nasali la volta è formata da un grosso osso chiamato “etmoide”, che è allo stesso tempo il tetto del naso e una parte della base del cervello. Questo significa che esso separa le cavità nasali dal cervello; dunque le cavità nasali stanno tra la bocca e il cervello e si aprono posteriormente nella gola, proprio sopra il palato molle.

Finora abbiamo studiato la struttura ossea del naso esterno e le cavità nasali. Noteremo ora come queste superfici dure sono tutte rivestite di mucosa: tale tessuto è continuo e riveste l’interno del naso esterno – eccetto il vestibolo – e riveste anche la base, il tetto e le pareti delle cavità nasali che continuano nella faringe. Esaminando questa mucosa vediamo che funzionalmente possiamo tracciarne due aree: l’area superiore copre 1⁄3 della superficie totale e l’area inferiore i rimanenti 2⁄3. Poiché qui è situato il senso dell’odorato, l’area superiore è detta “regione olfattiva”, mentre quella inferiore è chiamata “regione respiratoria” poiché forma il passaggio attraverso cui l’aria entra ed esce durante la respirazione. Ciò significa che le due cavità del naso hanno due distinti apparati per le due differenti funzioni che svolgono: se dividiamo l’altezza delle narici in 3 parti uguali avremo che la parte superiore è usata per odorare e le due parti inferiori sono utilizzate per respirare. Nessuno dovrà supporre, comunque, che la parte superiore non possa essere usata anche per la respirazione; infatti – sebbene nella respirazione normale e tranquilla si usino solo le due parti inferiori – nella respirazione forzata si utilizza anche il terzo superiore delle cavità nasali. Il senso dell’odorato invece è circoscritto solamente alla terza parte superiore e non ha nulla a che fare con le due regioni inferiori: ciò perché il senso dell’odorato dipende da terminazioni olfattive che sono distribuite soltanto in quella zona, come si può vedere nella figura 1 (4).

Vi sono due aspetti che distinguono la mucosa che copre la regione olfattiva da quella che ricopre il tratto respiratorio, e meritano la nostra attenzione. La mucosa che ricopre il tratto respiratorio è spessa e spugnosa, mentre quella che ricopre la regione olfattiva è più soffice e delicata. L’altro aspetto riguarda la presenza di un ricco plesso venoso che rende la regione nasale molto vascolarizzata, e questi particolari anatomici hanno un’importanza fisiologica. Come abbiamo detto, durante una respirazione tranquilla l’aria passa attraverso i 2⁄3 inferiori dell’area nasale e l’aria nel rimanente 1⁄3 è scarsamente disturbata. Dunque la mucosa che riveste la regione dove passa l’aria dev’essere più robusta di quella che riveste il tratto in cui l’aria “staziona” durante le ore di respirazione normale. Anche la maggiore vascolarizzazione del tratto respiratorio ha uno scopo: i numerosi vasi sanguigni contribuiscono a riscaldare e umidificare l’aria proveniente dall’esterno; se arrivasse fredda ai polmoni potrebbe danneggiarne la delicata struttura.

Parliamo ora del senso dell’olfatto che, come abbiamo visto, è situato nella parte superiore delle cavità nasali: tale senso è costituito da filamenti nervosi molto sottili, da 12 a 20, distribuiti come una fitta spazzola sia sul setto sia sulle pareti laterali. Da qui tali nervi olfattivi discendono attraverso l’osso etmoide che – come abbiamo visto – separa le cavità nasali dal cervello. Attraverso l’etmoide i nervi olfattivi sono collegati con il bulbo olfattivo, che a sua volta è unito alla base del cervello tramite il tratto olfattivo. La figura 1 illustra i nervi, il bulbo, il tratto olfattivo e la base del cervello. Quando le terminazioni dei nervi olfattivi sono stimolate da particelle che recano con sé degli odori si ha la sensazione dell’odorato.

Osserviamo ora alcune caratteristiche di questo importante senso: la delicatezza dell’olfatto è notevole; si è calcolato che riesca a percepire 2 miliardesimi di grammo di vaniglia in 1 cm3 d’aria! Quando tuttavia le particelle provenienti da una sostanza odorifera sono pochissime, la loro presenza nell’aria può non essere notata durante la respirazione normale, perché passano solo attraverso il tratto respiratorio e non vengono in contatto con le terminazioni nervose della regione olfattiva; in questo caso, se si inspira improvvisamente e intensamente, l’aria è forzata a passare anche dal tratto olfattivo e si potrà percepire così anche un odore debole. Inoltre, pure una gran quantità di particelle odorifere nell’aria può non essere avvertita: affinché si attivi il senso dell’odorato la mucosa dev’essere né troppo umida né troppo asciutta; ecco che quando abbiamo il raffreddore il nostro senso dell’olfatto risulta intorpidito a causa dell’eccesso di umidità (poi c’è un’altra ragione per cui quando siamo raffreddati non percepiamo perfettamente gli odori: la mucosa congestionata e gonfia copre i filamenti nervosi, rendendoli inaccessibili alle particelle odorifere).

È esperienza comune quella per la quale appena percepiti, i profumi, siano molto forti, mentre tendano a indebolire, o addirittura svanire, se rimaniamo a lungo in loro presenza. Questa circostanza può essere spiegata con l’“affaticamento” del senso dell’odorato: l’apparato si esaurisce, impedendo la sua funzione. Se però facciamo un giro all’aria aperta l’apparato si rinfresca e noi possiamo nuovamente apprezzare l’odore.

Faringe

Abbiamo già visto che le cavità nasali si aprono posteriormente nella gola. Queste aperture sono situate al di sopra del palato molle e sotto la base del cranio; qui inizia la faringe.

Guardando nuovamente nello specchio con la bocca spalancata, osserviamo qualcosa di simile a una parete carnosa tutta ricoperta di mucosa, che si allunga dietro la lingua inarcandosi sotto al palato molle, assumendo la forma di una cupola. È esattamente sotto questa “cupola” che sono situate le aperture posteriori del naso. Sotto la lingua la parete discende a forma di un sacco per finire in due aperture, una che conduce all’esofago e l’altra alla laringe (figura 3). Dalle aperture posteriori delle cavità nasali alle aperture inferiori che conducono all’esofago e alla laringe, è un medesimo canale che si allunga in modo continuo ed esso è conosciuto come faringe. Sappiamo già che la bocca è solo un’apertura nella parte anteriore della faringe, dunque finora abbiamo notato cinque aperture della faringe: due nasali, una orale, una all’esofago e una alla laringe. Ci sono poi due altri orifizi situati nelle pareti laterali della faringe, uno a fianco dell’altro, sopra il palato molle: sono gli “orifizi di Eustachio” perché segnano le aperture delle “trombe di Eustachio” che portano alle cavità dell’orecchio interno. La parte della faringe situata sopra al palato molle è detta “parte nasale” della faringe, mentre quella situata dietro la bocca è chiamata “parte laringea”.

La faringe permette il passaggio dell’aria sia verso l’interno sia verso l’esterno. Nell’inspirazione, l’aria respirata attraverso le cavità nasali passa dalle parti nasali e orali della faringe, scende lungo la laringe, va nella trachea e quindi nei polmoni. Nell’espirazione l’aria espulsa dai polmoni segue il percorso inverso. Nella respirazione l’esofago e le trombe di Eustachio rimangono chiusi, evitando così che l’aria prenda una strada sbagliata; e anche tra il palato molle e la parte posteriore della faringe c’è un’apertura sufficiente per il libero movimento dell’aria, che non incontra perciò alcuna ostruzione.

Quando si parla, invece, il palato molle copre completamente la parte superiore della faringe, cosicché l’aria non possa assolutamente risalire nella parte nasale. Ma in alcune persone il palato molle è difettoso e ha una piccola fenditura, così, quando parlano, un po’ dell’aria proveniente dai polmoni passa attraverso quella fenditura e trova la sua via nei passaggi nasali, che sono sempre aperti, aggiungendo una tonalità, appunto nasale, alla loro voce.

Anche per deglutire usiamo una parte della faringe: il cibo passa attraverso la bocca nella faringe laringea e da qui nell’esofago. Come mai il cibo, scendendo lungo la faringe, non entra nella laringe ma è sempre sospinto nell’esofago? A questo proposito ci dobbiamo rivolgere a un piccolo organo, chiamato “epiglottide”.

L’epiglottide è situata alla radice della lingua (figura 3), e serve da riparo per la laringe, quando è necessario. Nell’atto di inghiottire, la laringe si solleva e il boccone discendente abbassa l’epiglottide che, incontrando la laringe sollevata, ne copre completamente l’imboccatura. Pertanto, essendo la laringe chiusa, il cibo trova la sua strada verso l’esofago. Il sollevamento della laringe può essere sentito da chiunque, collocando le dita a metà della gola e imitando l’atto di inghiottire. Se però, per sbaglio, anche una piccola particella di cibo imbocca una strada errata, ossia entra nella laringe, ne segue una violenta tosse, e il sistema cerca di espellere l’“intruso”. Il cibo non può introdursi nella parte nasale perché il palato molle isola completamente quella porzione durante l’atto della deglutizione.

La mucosa che ricopre il naso continua nella faringe, ricoprendo anche tutti i passaggi che partono dalla faringe. Perciò un disturbo iniziato dalla gola molto spesso si propaga al naso, alle orecchie e alla laringe. È per questo che il colare del naso, la sordità delle orecchie e la tosse in molte occasioni arrivano insieme.

Laringe

Abbiamo già notato che la faringe ha due passaggi che si aprono nella sua estremità inferiore: l’esofago e la laringe. Sia l’esofago sia la laringe sono nel collo, il primo situato nella parte posteriore e l’altra nella parte anteriore. La laringe inizia di fronte alla terza vertebra cervicale, estendendosi lungo la quarta, quinta e sesta. L’esofago inizia di fronte alla sesta vertebra cervicale; è chiaro pertanto che la laringe si trova, nel collo, più in alto rispetto all’esofago (cfr. figura 3). Poiché l’esofago rimane costantemente chiuso a eccezione di quando si inghiotte, l’aria proveniente dalla faringe entra nella laringe, che a questo scopo è sempre aperta ed è chiusa solo durante l’atto della deglutizione. Abbiamo già visto che la laringe è situata nella parte frontale del collo, e si estende dalla base della lingua verso il basso. La laringe è una struttura anatomica simile a una scatola fatta di differenti cartilagini, e misura in media 5 cm. Due di queste cartilagini possono essere sentite anche dall’esterno della gola: partendo dall’incavo giugulare saliamo, tastando la superficie della gola con le dita e incontreremo la prima prominenza a breve distanza. Questa è la cartilagine cricoide (cfr. figura 3). Continuando oltre, arriviamo alla prominenza successiva, visibilmente sporgente, specialmente nelle persone magre, questa è la cartilagine tiroidea e la sporgenza è popolarmente nota come “pomo d’Adamo”. Queste e altre cartilagini – inclusa l’epiglottide – sono messe in funzione da muscoli che le muovono secondo la necessità della situazione. Abbiamo già imparato come, durante la deglutizione, la laringe venga sollevata e l’epiglottide abbassata; non appena la deglutizione è cessata la laringe si abbassa e l’epiglottide si solleva, lasciando liberi i passaggi per l’aria che entra ed esce durante la respirazione.

La laringe è popolarmente conosciuta come “la scatola della voce”. Ora dunque vediamo come essa sia responsabile della voce umana. Come la faringe, anche la laringe è rivestita all’interno da una mucosa ripiegata in parecchie pieghe. Due di queste iniziano dalla parte frontale della “scatola” a metà della sua altezza e attraversano la cavità giungendo al lato opposto. Esse sono molto sottili e sono unite nella parte frontale, ma possono essere separate nella parte posteriore, e sono situate proprio dietro la cartilagine tiroidea cui abbiamo già fatto riferimento. La figura 4a illustra queste pieghe vicine tra loro e la 4c come siano separate, mentre la 4b mostra la loro posizione mediana. Le tre figure in cui è suddivisa la figura 4 indicano come apparirebbero le corde guardando la laringe da sopra. Queste pieghe possono venire unite così strettamente da impedire completamente il passaggio dell’aria da sotto, perfino in presenza di una grande pressione e possono avvicinarsi con modalità diverse: durante la respirazione normale sono separate e il passaggio dell’aria è tranquillo e senza suono; ma quando sono ravvicinate l’aria che passa attraverso la stretta fessura le fa vibrare e “vibra” a sua volta: è questo “tremolio” che produce il suono ascoltato dalle nostre orecchie. Essendo perciò queste pieghe responsabili della voce umana sono chiamate le “vere corde vocali”, e lo stretto spazio compreso tra di loro è chiamato “glottide”. Queste corde vocali sono dette “vere” per distinguerle dall’altro paio di pieghe – o corde – simili, situate proprio sopra di loro, dette “false corde vocali”, perché non sono coinvolte nella produzione della voce.

La mucosa che forma le corde vocali continua a coprire – sotto forma di due sottili strisce – la parte posteriore della laringe, e si estende nella trachea, dove la laringe si apre.

Trachea

La trachea è una struttura anatomica simile a un tubo lungo circa 10 cm e con un diametro di circa 2,5 cm. Inizia alla base della laringe e dietro la cartilagine cricoide e si estende nel torace proprio dietro lo sterno. Nelle persone magre la parte superiore della trachea può essere sentita con le dita, sotto la cricoide.

Il tubo della trachea è formato da anelli di cartilagine – da 16 a 20 – situati uno sull’altro e tenuti insieme da una membrana fibro-elastica che li unisce. Questi anelli non sono perfettamente circolari, ma appiattiti posteriormente e situati in modo che la parte circolare risulta frontale. Naturalmente la parte appiattita del “tubo” è ricoperta dalla membrana fibrosa che riveste l’intera trachea. La figura 5a rappresenta la trachea vista di fronte, e la figura 5b la rappresenta posteriormente. Abbiamo già visto che l’esofago è proprio dietro la trachea, tanto che le loro due parti membranose decorrono insieme; ed ecco perché ogni ostruzione dell’esofago produce un senso di soffocamento, sebbene il passaggio dell’aria sia libero. Un gran numero di ghiandole è situato nella mucosa sulla superficie interna della trachea. Queste ghiandole in condizioni normali producono del muco per mantenere umido il passaggio, ma se la quantità di muco diventa eccessiva viene immediatamente espulso: la mucosa interna della trachea è rivestita di epitelio ciliato , e queste ciglia si muovono costantemente verso l’alto, così spingono le secrezioni in eccesso verso la laringe, da dove sono espulse mediante la tosse.

Bronchi

La trachea, quando discende nel torace a livello della quinta vertebra toracica, si divide in due diramazioni chiamate bronchi. La diramazione a forma di tubo sul lato sinistro entra nel polmone sinistro ed è conosciuta come bronco sinistro, quella sul lato destro entra nel polmone destro ed è chiamata bronco destro (cfr. figura 5). Dopo essere entrati nei polmoni, i bronchi si dividono in diversi rami che a loro volta si dividono ulteriormente a formare ramificazioni sempre più piccole. Queste suddivisioni continuano a penetrare sempre più profondamente nella massa polmonare, fino a diventare così piccole che il loro diametro misura appena 6 mm. La trachea con i due bronchi e numerosi rami sempre più piccoli che ne dipartono avrebbero, se fossero separati dai polmoni, l’apparenza di un albero rovesciato con il tronco rivolto all’insù (cfr. figura 5). Quando i tubi sono ridotti a 3 mm non si suddividono più. I bronchioli si allargano e terminano in piccolissimi alveoli di diametro appena di 2 mm. Un grappolo d’uva può dare molto bene l’idea grafica delle minute ramificazioni bronchiali con gli alveoli raggruppati intorno. Quando l’aria – attraverso le narici, la faringe, la laringe, la trachea e successivamente i bronchi nelle loro varie diramazioni – raggiunge gli alveoli, a questo livello viene diffusa nel sangue attraverso la parete degli alveoli stessi. Ma prima di studiare questo fenomeno, occorre notare alcuni punti importanti riguardo l’albero bronchiale.

Abbiamo già visto che la trachea è formata da anelli di cartilagine. Parti simili di cartilagine sono presenti lungo tutti i tubi bronchiali, tranne che nelle ultime ramificazioni più sottili. La presenza di questi anelli è assolutamente necessaria a mantenere il lume dei bronchi costantemente aperto per il passaggio dell’aria dall’esterno verso i polmoni e viceversa. In caso contrario i bronchi sarebbero esposti al pericolo di un collasso. Il tessuto fibroso che tiene unite le parti di cartilagine per tutta la lunghezza del tubo bronchiale è molto elastico, e questo permette ai tubi di adattarsi ai movimenti delle pareti anatomiche che li circondano. Come nella trachea, anche nei bronchi la mucosa interna è rivestita di epitelio ciliato, e le ghiandole mantengono umido il passaggio, in condizioni di salute. Ma in caso di malattia, quando la secrezione è eccessiva, i bronchi corrono il rischio di essere bloccati. Qui entrano in gioco le ciglia che con il loro perpetuo movimento verso l’alto spingono la secrezione verso la laringe; a questo livello le terminazioni nervose determinano lo stimolo della tosse, che elimina la secrezione.

Polmoni

Nella parte precedente abbiamo fatto riferimento agli alveoli: questi vengono tenuti insieme da tessuti fibrosi e sono attraversati da vasi sanguigni che si dividono e suddividono in miriadi di capillari, ricoprendone completamente la parete. Anche qui c’è una rete di nervi che si dirama attraverso queste strutture. Tutte queste parti – gli alveoli, i vasi sanguigni, i nervi – si dividono in due masse di sostanza spugnosa, ognuna delle quali costituisce un polmone. Li studieremo ora in maniera più dettagliata.

Tutti gli alveoli si sviluppano intorno a un sottile tubo bronchiale, assumendo l’aspetto di un grappolo d’uva, e formano il così chiamato “lobulo finale”. Diversi lobuli finali costituiscono un lobulo e diversi lobuli sono contenuti in un lobo. Il polmone destro ha tre di questi lobi, mentre il sinistro ne ha due (cfr. figura 6).

Le pareti di questi alveoli, raggruppati intorno alle finissime diramazioni bronchiali, sono costituite di tessuto muscolare elastico, disposto in circolo. Tali pareti sono molto sottili affinché l’aria che fluisce in questa cavità attraverso i condotti aerei possa diffondersi liberamente attraverso di esse, anche se qui il flusso diretto è bloccato. Abbiamo fatto riferimento alle miriadi di capillari che ricoprono gli alveoli: sono le suddivisioni finali, le più sottili, dei vasi sanguigni che arrivano e si dipartono dai polmoni. I vasi che giungono ai polmoni vi portano il sangue impuro proveniente dal cuore, che verrà purificato nei polmoni. Quelli che ne escono portano al cuore il sangue ossigenato. La rete di capillari che ricopre gli alveoli è estremamente fine e le pareti dei capillari sono straordinariamente sottili. Esaminando un alveolo vediamo che al suo interno c’è una riserva d’aria fresca, contenuta in una cavità circondata da tessuto in due sottilissimi strati, uno appartenente all’alveolo e l’altro ai capillari. Al di là di questi strati c’è il sangue che scorre nei capillari in flussi estremamente sottili. I due strati di tessuto sono così sottili da permettere un libero scambio – detto “osmosi” – tra l’ossigeno degli alveoli e l’anidride carbonica dei capillari.

Il numero dei capillari che circonda gli alveoli è così grande che supera ogni immaginazione. Si calcola che i capillari dei due polmoni, se messi su un’unica linea, unirebbero Bombay a Londra! Ma si può capire la necessità di tale enorme lunghezza di capillari pensando alla quantità di sangue che vi transita attraverso per essere portata agli alveoli ed essere qui ossigenata. Se si spargesse in uno strato sottile tutta la quantità di sangue presente nei polmoni in un certo momento, coprirebbe una superficie di almeno 92 m2 . Capiamo così che la disposizione degli alveoli e dei capillari è fatta in tale modo per assicurare una grandissima diffusione polmonare in uno spazio ristretto come è quello del torace.

Questa descrizione dei polmoni non sarebbe completa senza par- lare dei due rivestimenti che li avvolgono, contenendoli in due “sacche” a tenuta d’aria. Tali rivestimenti sono detti “pleure” e consistono in una membrana sierosa liscia e lucente, che secerne un liquido lubrificante. Ogni polmone ha la sua pleura separata, ripiegata in due strati, cosicché i due strati lo ricoprano completamente. In questo modo abbiamo una doppia sacca – a prova d’aria – di membrana sierosa, avente due guaine una dentro l’altra, e ciascun polmone è contenuto in questo sacco. Sappiamo anche che i polmoni sono situati nel torace: lo strato esterno della pleura ricopre la superficie interna della cavità toracica, ed è chiamato strato parietale, mentre lo strato interno che aderisce ai polmoni è detto strato viscerale.

Possiamo farci una discreta idea delle connessioni tra polmoni, pleura e torace, paragonando quest’ultimo a un pallone da calcio. Il sacco di cuoio spesso che forma il rivestimento esterno del pallone è il robusto torace; all’interno c’è la camera d’aria, un sacco di gomma che viene gonfiato quando occorre usare il pallone; ora, invece di una sola camera d’aria, immaginiamo che ce ne siano due, una dentro l’altra, che si gonfiano quando pompiamo l’aria all’interno; la “camera d’aria” esterna aderirà al rivestimento di cuoio – nel quale le sacche sono contenute – e quella interna aderirà alla sacca di gomma esterna. Anche nel corpo umano i due strati della pleura giacciono esattamente l’uno contro l’altro, come due sacchi di gomma. L’unica differenza è che la membrana tra le pleure secernerà sempre un liquido lubrificante che permetterà ai due strati di scivolare facilmente uno sull’altro durante il costante movimento della respirazione. Nel caso del pallone da calcio l’interno è vuoto, mentre negli strati pleurici l’interno è costituito dalla sostanza spugnosa dei polmoni. Inutile dire che il tubo attraverso il quale l’aria viene pompata nel pallone può efficacemente rappresentare la trachea.

Lo spazio tra i due strati della pleura è chiamato “cavità pleurica”. In condizioni normali di salute i due strati aderiscono e non c’è alcuno spazio tra loro, ma in caso di infiammazione della membrana – per esempio in caso di pleurite – la cavità si allarga a causa dell’aumento del liquido ivi contenuto.

Abbiamo già detto che i polmoni sono contenuti nel torace, ma i polmoni non sono i soli organi che si trovano in questa cavità: il cuore, i grandi vasi sanguigni, la trachea, l’esofago, sono situati tra le due pleure – a destra e a sinistra – e la cavità che li contiene è detta “cavità mediastinica”.

I polmoni sono corti davanti e più lunghi dietro: sul davanti arrivano alla sesta costola, mentre dietro si allungano fino all’undicesima. Tale posizione è determinata da quella del diaframma, che forma il “pavimento” del torace. Occorre ricordare che in alto i polmoni salgono un po’ oltre le clavicole. In un adulto il polmone destro pesa in genere 22 once (623 g), il sinistro solo 20 once (567 g).

Finora abbiamo considerato gli organi attraverso cui passa l’aria durante la respirazione. Osserviamo ora i meccanismi muscolari e nervosi responsabili dei movimenti che compiono gli organi della respirazione, studiandone anche i vasi sanguigni connessi.

Il meccanismo muscolare

«La forza usata quotidianamente per dilatare il torace nell’inspirazione sarebbe sufficiente ad alzare una persona all’altezza della cattedrale di San Paul a Londra ed è soltanto circa 1/6 della forza spesa per la circolazione. La respirazione comprende due fasi: inspirazione ed espirazione. L’inspirazione è uno sforzo muscolare forzato eseguito da tre distinti insiemi di muscoli: quelli che agiscono sulle coste, quelli che agiscono tra le coste, e il diaframma, che è la base del torace.

Nell’inspirazione la cavità toracica si fa più larga, più lunga e più profonda. In posizione di riposo le coste, unite posteriormente alla colonna vertebrale e anteriormente allo sterno, si abbassano come l’impugnatura di ferro ai lati di un secchio (cfr. figura 7): se la solleviamo si muove non solo verso l’alto, ma anche verso l’esterno, e lo stesso accade alle coste; anche lo sterno, essendo mobile, si solleva e il torace diventa più profondo e ampio. Diventa più lungo perché – in riposo – il muscolo diaframma forma una base inarcata, che “entra” nel torace come una cupola su cui poggiano i polmoni. Quando questo muscolo si contrae la base si appiattisce e tira verso il basso i polmoni, che così risultano più lunghi, dalla base alla sommità.

I muscoli che sollevano le coste sono divisi in due gruppi: quelli che agiscono sulle coste e quelli che agiscono tra le coste. Le coste superiori sono tirate verso l’alto dall'azione dei muscoli che partono dal collo. Tra una costola e l’altra c’è un doppio strato di muscoli, chiamati intercostali, che contraendosi le sollevano. In particolare le coste superiori – fisse – tendono a sollevare quelle inferiori alle quali sono unite; così – agendo insieme – tutte le coste vengono sollevate una dopo l’altra. Questo costituisce il movimento dell’inspirazione.

Nell’espirazione il torace ritorna senza sforzo alla sua dimensione originale, principalmente grazie a un “ritorno elastico”. I polmoni sono pieni di tessuto elastico che viene stirato quando i polmoni sono espansi; non appena cessa l’azione muscolare, la forza elastica è così grande che i polmoni tirano di nuovo le coste verso il basso e la base del diaframma verso l’alto.

Quando inspiriamo profondamente l’addome si gonfia: ciò è causato dalla contrazione del diaframma, che spinge in basso tutti gli organi della digestione e li spinge anche contro le pareti. Nell’espirazione l’addome torna nuovamente piatto, mentre la base del diaframma si solleva ancora una volta e i muscoli addominali sono contratti.

La forza richiesta per distendere il tessuto elastico in una normale inspirazione corrisponde a circa 170 libbre [1 libbra=453,59 g, quindi circa 77 kg; N.d.R.]; e la forza usata giornalmente per respirare è pari a quella richiesta per sollevare una tonnellata di peso all’altezza di 6 m»13.

In una respirazione straordinaria o forzata la forza richiesta è ovviamente molto maggiore: sia nell’inspirazione sia nell’espirazione si azionano ulteriori muscoli, situati nel collo e nel torace. Nell’espirazione forzata giocano inoltre un ruolo molto importante i muscoli addominali, attivati soprattutto nelle azioni di parlare, cantare, soffiare ecc. – che sono sforzi espiratori volontari – e di starnutire, tossire ecc. – che sono involontari.

Quando si trattiene il respiro dopo una profonda inspirazione, tutti i muscoli dell’inspirazione rimangono contratti e la glottide è perfettamente chiusa. La glottide rimane perfettamente chiusa anche quando si trattiene il respiro dopo una profonda espirazione, ma in questo caso sono i muscoli dell’espirazione che rimangono pienamente contratti. Occorre notare che l’aria esterna comunica liberamente con i polmoni quando la glottide è aperta, e giacché la glottide rimane chiusa solo nel momento della deglutizione, l’aria esterna comunica liberamente con i polmoni durante tutte le 24 ore del giorno. Ora: l’aria esterna è sempre a una certa pressione atmosferica e, se entra in contatto con uno spazio in cui la pressione è inferiore, fluirà in quello spazio finché la pressione esterna e interna siano uguali. Questo è esattamente ciò che accade al momento dell’inspirazione: quando i polmoni diventano più larghi, profondi e lunghi grazie all’espandersi del torace, la pressione all’interno si abbassa e l’aria esterna entra attraverso la trachea, finché la pressione interna diventa uguale a quella dell’atmosfera. E questo costituisce l’atto dell’inspirazione.Nei paragrafi precedenti abbiamo già osservato come nell’inspirazione le coste siano sollevate e il diaframma si abbassi, premendo i visceri addominali e facendo sporgere in avanti la parete addominale. Quando l’intero meccanismo muscolare della respirazione è sano, il sollevamento delle coste e la dilatazione dell’addome sono proporzionati. Ma in caso di meccanismo respiratorio difettoso, il movimento addominale o quello costale sono più pronunciati, e questo ha portato a una distinzione tra i tipi di respirazione: quando predomina il movimento costale la respirazione è detta “costale” o “toracica” e quando è più evidente la dilatazione dell’addome la respirazione è chiamata “addominale” o “diaframmatica”. Il secondo tipo di respirazione ha due nomi perché i movimenti addominali dipendono da quelli del diaframma. A causa dell’età avanzata o di malattia il torace può diventare rigido e la respirazione diverrà addominale; o spesso la gente – con il suo modo di vestire – rende quasi impossibile il movimento dell’addome. Se questa abitudine continua a lungo, la respirazione diventa costale invece che addominale; perciò è consigliabile lasciare grande libertà di movimento al meccanismo della respirazione.

Quando il torace comincia a contrarsi, la pressione all’interno dei polmoni aumenta e diventa maggiore rispetto alla pressione all’esterno. Pertanto l’aria viene espulsa dai polmoni attraverso la trachea, fino a che il movimento elastico di ritorno sia completato e la pressione interna e quella esterna si equivalgono. Ciò costituisce l’atto dell’espirazione.

Qualunque sia il volume d’aria all’interno dei polmoni (sia durante l’inspirazione sia durante l’espirazione), quell’aria esercita un’uguale pressione su ciascun polmone contemporaneamente e li mantiene entrambi, in qualsiasi posizione, strettamente a contatto con le pareti e con la base del torace.

In condizioni normali, una persona esegue dalle 14 alle 20 respirazioni in 1 minuto.

Dopo aver studiato il meccanismo muscolare della respirazione, ora procederemo a studiarne il meccanismo nervoso.

Il meccanismo nervoso

Il centro respiratorio è un meccanismo nervoso situato nella parte posteriore del cervello, quasi alla sua estremità inferiore. Il centro del respiro è responsabile del controllo dell’attività dei muscoli che producono sia l’inspirazione sia l’espirazione, effettuando un controllo di tipo sia volontario sia involontario.

Praticamente la respirazione è sotto il nostro controllo, finché la vita non viene messa in pericolo. Noi possiamo infatti respirare in qualsiasi maniera e a qualsiasi velocità desideriamo: se così non fosse, parlare sarebbe impossibile. Possiamo anche trattenere il respiro fino a un certo punto; ma quando la vita inizia a essere minacciata il controllo volontario termina e, nonostante i più grandi sforzi di volontà, siamo spinti a respirare. Il controllo involontario agisce continuamente, anche quando non pensiamo assolutamente al nostro respiro. Nessuno dei processi vitali richiede la nostra costante attenzione; tuttavia possiamo controllarne qualcuno; fino al punto di pericolo, ma non oltre.

Faremo di nuovo riferimento a questo meccanismo nervoso alla fine di questo capitolo.

La quantità d’aria che respiriamo

La quantità d’aria che respiriamo dipende dalla profondità della respirazione. In una respirazione normale la quantità d’aria che entra uniformemente è di circa 500 ml, la stessa quantità esce in una espirazione altrettanto normale. Quindi il volume di aria che costantemente fluisce dentro e fuori è di 500 ml, ed è chiamato “volume corrente”.

Ma se l’inspirazione dovesse essere più profonda, è ovvio che si immetterebbe una maggiore quantità d’aria: si ritiene che un adulto immetta circa 2500 ml nella sua più profonda inspirazione. Questa è chiamata “capacità inspiratoria” e include il volume corrente.

Ancora: un adulto medio può espellere circa 1300 ml di aria con un’espirazione forzata, contro i 500 ml di una normale espirazione. L’aria supplementare espulsa con un’espirazione forzata è detta “volume espiratorio di riserva”.

È da notare, tuttavia, che anche l’espirazione più profonda non permetterà di svuotare completamente gli alveoli; ci sarà sempre un residuo di aria nei polmoni: è calcolato in 1600 ml e chiamato “volume residuo”.

Al termine di una respirazione tranquilla, i polmoni contengono il volume espiratorio di riserva e la capacità residua (2900 ml).

La quantità d’aria inspirata al minuto è chiamata “volume respiratorio al minuto” o “ventilazione polmonare”. Poiché la velocità respiratoria a riposo è di circa 16 respirazioni al minuto e il volume corrente è di 500 ml, il volume al minuto è di circa 8 l. Nel corso di esercizi fisici può aumentare fino a 70 l.

Faremo nuovamente riferimento a questo meccanismo nervoso alla fine di questo capitolo.

Finora abbiamo visto come respiriamo e quanto respiriamo. Ora vedremo perché respiriamo.

Perché respiriamo

Si può avere una risposta a questo quesito confrontando la qualità dell’aria che inspiriamo e quella che espiriamo. Parlando approssimativamente, la composizione dei due tipi di aria è la seguente:

Vediamo subito che l’aria espirata ha perso 4,94 parti di ossigeno e ha guadagnato 4,34 parti di anidride carbonica nell’entrare e uscire dai polmoni. Dov’è andato l’ossigeno e da dove è venuta l’anidride carbonica? L’ossigeno è stato assorbito dal sangue che circola attraverso i capillari polmonari e l’anidride carbonica lo ha sostituito per la medesima via.

Se uniamo due recipienti contenenti due diversi gas, in modo che non vi sia divisione tra loro, i gas si mescoleranno accuratamente. E questa stessa cosa avviene anche nel caso che i due gas siano separati da una sottile membrana.

Ora noi sappiamo che il sangue che circola attraverso i capil- lari intorno agli alveoli e l’aria ivi contenuta sono separati solo da membrane, costituite dalle pareti stesse di capillari e alveoli. Così i gas dell’aria e il sangue si mescolano liberamente. Ciò è chiamato “diffusione dei gas”. Nelle cifre indicate nello schema a p. 35 troviamo che la quantità di ossigeno sostituita dall’anidride carbonica è maggiore dello 0,60 rispetto all’anidride carbonica. Ciò perché l’ossigeno è usato non solo nel formare anidride carbonica, ma anche per alcuni altri scopi fisiologici.

Ora vedremo perché il sangue circolante nei capillari dei polmoni necessita di ossigeno e cede anidride carbonica. A questo proposito dobbiamo ricordare che il corpo umano è costantemente al lavoro, anche quando apparentemente riposa. Il sistema circolatorio, il sistema respiratorio, il sistema digestivo ecc. non conoscono riposo, lavorano incessantemente. Questo lavoro perpetuo significa un continuo logorio dei tessuti corporei coinvolti, e la perdita di tessuto dev’essere compensata e le scorie devono essere rimosse ed espulse dal corpo. Per compensare la perdita, occorre portare nutrimento ai tessuti, e questo si fa non solo con cibo e bevande, ma anche con l’aria inspirata in forma di ossigeno. Anzi l’ossigeno rappresenta il più importante fattore di nutrimento. Noi non possiamo vivere senza ossigeno, neppure per pochi minuti. Dunque quando il sangue entra nei polmoni assorbe l’ossigeno dall’aria e lo porta alle diverse parti del corpo, attraverso il sistema circolatorio. Il sangue, nel percorso di ritorno, è pieno di anidride carbonica raccolta dai tessuti di tutto il corpo è cioè pieno di un prodotto di scarto derivante dal lavoro della “macchina corporale”. Se a questo gas fosse permesso di rimanere nel sistema, avvelenerebbe il corpo. Pertanto bisogna liberarsene. L’aria inspirata è più povera di anidride carbonica, pertanto la assorbe dal sangue e la porta via con l’espirazione. Ora sappiamo perché respiriamo. Respiriamo per assorbire ossigeno e per espellere anidride carbonica, essendo entrambi i processi assolutamente essenziali per la vita di un essere umano. Il sangue venoso, quando assorbe ossigeno e si libera di anidride carbonica è detto sangue arterioso. Il sangue venoso è prima raccolto nel cuore e da qui viene sospinto nei polmoni, dove diventa arterioso e viene nuovamente inviato al cuore per essere distribuito alle diverse parti del cuore come sangue venoso.

Il sangue venoso è violaceo a causa dell’anidride carbonica e il sangue arterioso è rosso scarlatto a causa dell’ossigeno. Ciò può essere provato con un esperimento. Se una certa quantità di sangue venoso viene messa in una bottiglia contenente ossigeno e agitata, diventerà rosso scarlatto; al contrario, se il sangue arterioso è messo in una bottiglia contenente anidride carbonica e agitato, diventerà violaceo.

Abbiamo detto che saremmo tornati al meccanismo nervoso della respirazione alla fine di questo capitolo. Ciò che vogliamo dire a questo riguardo è che la quantità di ossigeno e di anidride carbonica, e specialmente di quest’ultima, presente nel sangue ha una grande influenza sul centro respiratorio. Se la quantità di anidride carbonica, presente nel sangue supera la sua normale percentuale, il centro respiratorio diventerà subito più attivo e la respirazione più rapida. Ciò può essere osservato chiaramente quando una persona fa un faticoso esercizio muscolare. Al contrario, il centro si calma se la quantità di anidride carbonica presente nel sangue scende al di sotto della misura normale, con il risultato che la respirazione diventa più lenta del solito. Sebbene il fattore più importante nella regolazione della respirazione sia la quantità di anidride carbonica nel sangue che passa nel centro respiratorio, gli impulsi che raggiungono questo centro dalla carotide, dal seno carotideo e dal nervo del seno sono anch’essi responsabili del cambio di attività del centro respiratorio. Per capire gli effetti di questi impulsi, leggere Jalandhara-Bandha (Capitolo 2).


Indice

Prefazione (Sw. Kuvalayananda)
Prefazione (O. P. Tiwari)

Respirazione

Asana adatti al pranayama

Pranayama in generale

Ujjayi
Kapalabhati
Bhastrika
Suryabedhana
Sitkari
Sitali
Brahmari
Murccha
Plavini
Valori fisiologici e spirituali del pranayama

Appendice I
Appendice II
Appendice III

Note
Glossario

Indice delle illustrazioni

Indice delle illustrazioni

Fig. 1 - Sezione mediana della testa indicante il tratto respiratorio ecc.
Fig. 2 - Visione frontale del naso interno, con ossa, cavità nasali, mascella superiore a vista
Fig. 3 - La faringe
Fig. 4 - Le corde vocali
Fig. 5 - La trachea e i bronchi
Fig. 6 - Il torace
Fig. 7 - Le costole
Fig. 8 - Nasagra-Drishti o sguardo concentrato alla punta del naso
Fig. 9 - Bhrumadhya-Drishti o sguardo concentrato al centro della fronte
Fig. 10 - Uddiyana-Bandha da seduti
Fig. 11 - Uddiyana-Bandha da seduti (vista laterale)
Fig. 12 - Uddiyana-Bandha in piedi
Fig. 13 - Jalandhara-Bandha o Blocco del mento (vista frontale)
Fig. 14 - Jalandhara-Bandha o Blocco del mento (vista laterale)
Fig. 15 - Le carotidi
Fig. 16 - Preparazione per Padmasana
Fig. 17 - Padmasana o posizione del loto
Fig. 18 - Preparazione per Siddhasana
Fig. 19 - Siddhasana o posizione perfetta
Fig. 20 - Preparazione per Svastikasana
Fig. 21 - Svastikasana o posizione augurale
Fig. 22 - Preparazione per Samasana
Fig. 23 - Samasana o posizione simmetrica
Fig. 24 - Corretta posizione in piedi per Ujjayi
Fig. 25 - Jnana-Mudra o Simbolo della conoscenza
Fig. 26 - Preparazione per la chiusura delle narici
Fig. 27 - Brutte contorsioni del viso
Fig. 28 - La narice destra chiusa
Fig. 29 - La narice sinistra chiusa
Fig. 30 - Entrambe le narici chiuse
Fig. 31 - Entrambe le narici aperte
Fig. 32 - Iniziare l’inspirazione con muscoli addominali controllati (vista frontale)
Fig. 33 - Iniziare l’inspirazione con muscoli addominali controllati (vista laterale)
Fig. 34 - Inspirazione completa con muscoli addominali controllati (vista frontale)
Fig. 35 - Inspirazione completa con muscoli addominali controllati (vista laterale)
Fig. 36 - Inspirazione completa con addome protratto (vista frontale)
Fig. 37 - Inspirazione completa con addome protratto (vista laterale)
Fig. 38 - Espirazione completa (vista frontale)
Fig. 39 - Espirazione completa (vista laterale)
Fig. 40 - Addome e torace alla fine di Puraka in Kapalabhati
Fig. 41 - Addome e torace alla fine di Recaka in Kapalabhati
Fig. 42 - La bocca aperta
Fig. 43 - La lingua disposta come il becco di un uccello


Swami Kuvalayananda
Pranayama - Libro >> http://goo.gl/PekkQ0  
Esercizi e Tecniche di Respirazione


mercoledì 30 marzo 2016

Lascia che si Arrabbi


Lascia che si Arrabbi

Capire e affrontare la rabbia di tuo figlio dai 2 ai 13 anni

di Francesca Broccoli



Lascia che si Arrabbi - Libro

Un libro chiaro e pratico che permetterà ai genitori di comprendere le origini della rabbia, come si manifesta e soprattutto come scacciarla per sempre.

Leonardo fa una scenata al giorno.
Alessia si vergogna di essere così irascibile.
Max invece con la mamma non parla.

Età diverse, famiglie diverse, ma il problema è sempre lo stesso: la rabbia.
Un grumo di disagio che i bambini esprimono come possono, spesso spaventandosi per la violenza che li scuote.

Reprimere non serve, spiega la psicologa Francesca Broccoli: dobbiamo accompagnare i nostri figli a capire chi è la «Signora Rabbia» e da dove viene. Perché conoscerla è il miglior modo per mandarla via.

Un manuale ricco di casi concreti, che aiuta i genitori a comprendere il punto di vista dei piccoli e a comunicare con loro in modo semplice e rassicurante.

La rabbia: come interpretarla e spiegarla a bambini e ragazzi in un linguaggio adatto a loro.

La prima guida pratica che spiega

come riconoscere la rabbia anche quando non si manifesta
come capire che cosa l'ha provocata
a che cosa serve
come aiutare il bambino a usarla in modo costruttivo
quale linguaggio usare
in che modo gestire i capricci


Dalla quarta di copertina

Lorenza non ha nessuna intenzione di comprare le merendine al figlio Matteo. Lui urla, strepita e si butta a terra scalciando. Che cosa fare: accontentarlo, ignorarlo o gridare più forte di lui? Qualunque soluzione sembra sbagliata, soprattutto perché la mamma non capisce che cosa ha scatenato questa reazione esagerata.

Le sfuriate dei bambini sono un problema sempre più diffuso, che lascia spesso i genitori in preda ai sensi di colpa, disorientati e impotenti.

Tante sono le possibili cause - un’educazione troppo severa o permissiva, eventi traumatici, cambiamenti improvvisi, stress, tensioni famigliari, modelli comportamentali contraddittori - e tante le manifestazioni, che cambiano anche in base alla fascia di età, dall’irritabilità ai dispetti, dagli sbalzi d’umore ai disturbi del sonno.

Mai reprimere d’autorità, spiega Francesca Broccoli, psicologa e psicoterapeuta: la rabbia è un’emozione fondamentale per lo sviluppo emotivo e sociale dei più piccoli, che sono i primi a spaventarsi per quel grumo di malessere - un mostro che li invade - e devono riuscire a comunicarlo. Ma nel modo giusto.

Partendo dai casi reali incontrati nella sua esperienza e nei suoi corsi, Francesca Broccoli mostra come interpretare i segnali dei bambini e capire le ragioni del loro disagio, dà suggerimenti pratici sulla risposta più opportuna e ci guida nel dialogo con i nostri figli, per spiegare, in un linguaggio accessibile anche a loro, a capire, conoscere e gestire la rabbia. Senza pianti e musi lunghi.


Leggi un estratto dal libro di Francesca Broccoli "Lascia che si Arrabbi"

Introduzione - Lascia che si Arrabbi - Libro di Francesca Broccoli

Penso che le storie ci possano curare. In alcuni casi hanno addirittura la capacità di salvarci la vita. Forse per questo il libro che ho scritto è così pieno di storie.

Non sono le spiegazioni a farci capire, non sono elaborate dissertazioni a rimanere impresse nella nostra memoria, non sono le teorie più complesse a cambiare il modo di guardare noi stessi o le cose del mondo. Sono invece le storie a farci comprendere, a emozionare, a rimanere scolpite nei ricordi e a permetterci di adottare nuove prospettive.

Raccontare o ascoltare una storia può avere un effetto così potente da permetterci di uscire dalle situazioni più difficili.

Le storie ci accompagnano per tutta la vita. E, ancora prima, alcune di esse preparano il nostro ingresso nel mondo. Lavorano, dentro di noi, toccando pensieri, emozioni e affetti profondi.

Ricordo ancora quando, da bambina, mia madre mi accompagnava a letto la sera, e io ascoltavo le favole che mi raccontava, incantata e rapita. Un momento magico. Un angolo di calore, certezza, tranquillità e, nello stesso tempo, un momento ricco di tumulti emotivi, all'inseguimento di principesse e draghi, di animali dai poteri magici e bambini pronti a tutto per ritrovare la strada di casa o combattere malvagi avversari.

Nello stesso modo ricorderò per sempre le storie che ora io, diventata mamma, racconto al mio piccolo bambino prima che si addormenti.

In questo libro ho affrontato il tema della rabbia dei bambini.

Che cosa c'entra la rabbia con il potere curativo delle storie? vi chiederete. C'entra moltissimo.

Tutto è nato dal desiderio di permettere a noi adulti di incontrare la rabbia dei bambini cogliendone l'essenza, il significato più profondo. I bambini arrabbiati sono sempre bambini con delle storie: storie di crescita o di blocco, storie di paura, dolore, solitudine, storie di separazione, malattia, lutto, storie di rinascita e riconquista. Bellezza e sofferenza.

Questo libro è nato dal bisogno di andare oltre la fatica e la frustrazione suscitate dallo scontrarsi con la rabbia. Non è infatti di uno scontro che abbiamo bisogno.

I bambini, grandi maestri di vita, mi hanno insegnato che è solo attraverso l'incontro e la capacità di «stare» con la rabbia in modo curioso e, il più possibile, giocoso, che possiamo restituire a questa emozione il significato di cui è portatrice ed entrare nella storia di cui i bambini sono protagonisti.

La rabbia è la spavalda portavoce di un bisogno che in quella storia vibra e cerca spazio, parole, immagini.

E, innegabilmente, quando intraprendiamo un viaggio con un bambino, per quanto non siamo altro che appassionati accompagnatori, non possiamo che camminare al suo fianco, esplorando il suo mondo, i suoi sogni, i suoi inferi e le sue risorse curative. Diventiamo testimoni di sofferenze e liberazioni, di ferite dolorose e incredibili rinnovamenti. E con i bambini, rivisitiamo le storie di quando noi stessi eravamo piccoli e torniamo a sentire la voce della parte piccina che ancora abita dentro di noi.

Lavorando con i bambini che hanno condiviso le loro storie con me, ho potuto riflettere anch'io sul mio rapporto con la rabbia, ripercorrendo alcuni passaggi della mia vita che ancora mi suscitavano risentimenti e fastidi. Ho potuto prendermi cura della mia rabbia, ascoltarla con maggior affetto e consapevolezza, permetterle di pronunciarsi in modo chiaro, per proteggere i miei tesori più preziosi.

Questo processo in cui prendersi cura degli altri implica prendersi cura di sé - e solo la consapevolezza di se stessi permette di dedicarsi agli altri - mi stimola ad augurare a tutti voi, che vi apprestate a leggere, di intraprendere uno scambio aperto, divertente e fantasioso con i vostri figli, anche sui temi più seri e difficili, perché per i bambini non c'è niente di più serio e importante del gioco. E forse anche noi adulti dovremmo riappropriarci di questo importante segreto della vita.

Non per arrabbiarci meno, ma per arrabbiarci meglio.


Indice

Introduzione

Parte prima - Piacere, Signora Rabbia

La rabbia: di che cosa stiamo parlando?
Rabbia e bambini: un rapporto fondamentale
Parte seconda - Voci e volti della Signora Rabbia

Abiti e maschere della (Signora) rabbia: come si presenta?
Oltre la rabbia
E se il corpo prende la parola? Effetti indesiderati della rabbia nella quotidianità dei bambini
Parte terza - Pronto intervento per la Signora Rabbia

A tu per tu con la Signora Rabbia. Proposte di intervento con i bambini
La rabbia è una Signora che chiede di essere accolta e contenuta nello stesso tempo: una sfida possibile?
Bambini stressati, bambini arrabbiati?
Quale stile per i genitori di oggi?
Appunti finali per genitori che sanno fare e pensare
Bibliografia


Francesca Broccoli
Lascia che si Arrabbi - Libro >> http://goo.gl/T6NRLh
Capire e affrontare la rabbia di tuo figlio dai 2 ai 13 anni

martedì 29 marzo 2016

Il Gene della Compatibilita'



Il Gene della Compatibilita'

Come il nostro corpo combatte le malattie, attira gli altri e definisce se stesso

di Daniel M. Davis



Il Gene della Compatibilità - Libro

Un'incredibile scoperta, che rivoluzionerà il modo di concepire la medicina

"Il gene della compatibilità racconta in che modo gli scienziati abbiano faticosamente scoperto come un piccolo numero di geni influenzi in maniera cruciale vari aspetti della nostra vita, connettendoli tra loro in modo inaspettato.
Raramente il lavoro di laboratorio è stato reso in modo così avvincente ed eroico.»
Bill Bryson, The Guardian, Libro dell'anno

Tutti noi abbiamo nelle nostre cellule circa 25000 geni, che in buona parte condividiamo con altri animali, e persino con piante e funghi.

Ma c'è una manciata di questi geni che è del tutto particolare: sono i geni della compatibilità – tecnicamente MHC, o «geni del complesso maggiore di istocompatibiltà» –, e variano fortemente da individuo a individuo, tanto che costituiscono di fatto la nostra firma molecolare, ossia ciò che rende unico ciascuno di noi.

Questi pochi geni, insomma, ci distinguono l'uno dall'altro in termini biochimici.

In questo libro Daniel Davis racconta per la prima volta la straordinaria storia della loro scoperta, i decenni di pazienti e difficili ricerche da parte di scienziati eccezionali, costellate qua e là da improvvisi colpi di genio.

Grazie a queste scoperte ora sappiamo come questi geni combattono le malattie, e sappiamo che lo fanno in maniera diversa da individuo a individuo (sono proprio loro ad attivare le risposte del nostro sistema immunitario).

E sappiamo anche che la versione di questi particolari geni che abbiamo ereditato dai nostri genitori determina la nostra resistenza o la nostra predisposizione a molte patologie.

Ma da poco abbiamo scoperto anche che gli stessi geni che influenzano la struttura stessa del nostro cervello predicono in maniera affidabile persino di chi ci innamoreremo e con chi avremo maggiore probabilità di avere figli.

È così che in un futuro non troppo lontano i geni della compatibilità risulteranno fondamentali per determinare come vivremo e quando moriremo.

Continuare a studiarli e capirne al meglio il funzionamento costituirà la chiave per la comprensione del nostro corpo e la speranza di vincere la lotta contro le malattie.


Daniel M. Davis, già docente di Immunologia molecolare presso l'Imperial College di Londra, è attualmente direttore del Manchester Collaborative Centre for Inflammation Research.
Davis è stato uno dei pionieri nell'utilizzo di nuove tecniche di imaging usate per visualizzare le componenti molecolari della risposta immunitaria.
Dal suo lavoro sono nate nuove, cruciali idee sulla comunicazione tra le cellule del sistema immunitario, che si sono rivelate di enorme interesse medico.
Autore di oltre 100 articoli specialistici, ha ricevuto il Lister Prize Fellowship, il Wolfson Royal Society Merit Award ed è membro della Academy of Medical Sciences.
Il gene della compatibilità è il suo primo libro.


Daniel M. Davis
Il Gene della Compatibilità - Libro >> http://goo.gl/UVEPiq
Come il nostro corpo combatte le malattie, attira gli altri e definisce se stesso


venerdì 25 marzo 2016

Basta Studiare!


Basta Studiare!

Da due Prof il metodo collaudato per uscire dall'ansia di compiti, insufficienze e debiti ad uso di genitori e studenti

di Marcello Bramati, Lorenzo Sanna



Basta Studiare! - Libro

Un metodo di studio per affrontare la scuola superiore che prende in considerazione la famiglia, supporto indispensabile per per studenti disorientati.

Il primo libro che fornisce risposte efficaci perché considera lo studio contemporaneamente da tutte le prospettive: banco, cattedra e casa.

Non ne ho voglia, Non serve a niente, Tanto non sono capace, Non troverò certo lavoro perdendo tempo sui libri: se avete un figlio adolescente queste frasi riguardo lo studio vi suoneranno familiari. E poi discussioni, ansie, porte sbattute.

Ma è davvero inevitabile passare così gli anni delle scuole superiori? C'è un modo per aiutare i nostri figli a studiare con meno fatica e brutti voti, a crescere in modo più consapevole e a godersi questo periodo? E noi con loro?

Marcello Bramati e Lorenzo Sanna, docenti e papà, sono convinti di sì. Forti di tante esperienze condivise con gli studenti, di pomeriggi e serate trascorse con i genitori, di riflessioni e confronti, hanno messo a punto un approccio che è un mix di organizzazione, dialogo e comportamenti capace di avvicinarci ai nostri figli, di capirli di più e di ottimizzare studio e impegni extrascolastici.

Il metodo BiEsse Basta Studiare! è articolato in sette punti ed è collaudato da ragazzi e genitori che hanno visto miglioramenti concreti nel rendimento, nel clima famigliare e nel rapporto con i professori.

Basato su semplici planning, facili accorgimenti nel modo di studiare, una pianificazione degli obiettivi e un'alleanza inedita e fruttuosa tra adulti e ragazzi, il metodo consente di aiutare i nostri figli a organizzarsi e a gestire le tante attività che rendono belli – e non insopportabili – i cinque anni delle superiori: lo studio, la scuola, gli amici, gli amori, le passioni e – perché no? – la famiglia.


Leggi un estratto dal libro "Basta Studiare!"

Che adolescente avete in casa?

Cari genitori, se avete tra le mani questo libro, significa che state cercando buone pratiche, consigli e, forse, un po’ di conforto per essere più efficaci nella vostra azione educativa con i figli adolescenti, che fanno ogni giorno i conti con la scuola.

Sicuramente siete stufi di litigi, discussioni, musi lunghi, mezze verità e molte bugie, in una continua corsa contro un tempo che sempre sfugge.

E di certo desiderate iniziare, o continuare, a vivere con serenità l’esperienza della scuola superiore dei vostri ragazzi, qualunque siano i loro obiettivi e ambizioni.

Per cominciare, vi proponiamo quattro profili di adolescenti, quattro tipologie chiare, nelle quali potrete riconoscere alcuni tratti dei vostri figli, dei loro amici o compagni di classe.

Il disinteressato

In prima superiore potrebbe maturare un atteggiamento, per così dire, di disinteresse che era probabilmente già emerso alla fine del ciclo di studi della primaria («Gli passerà, è solo una fase», avevamo forse immaginato) e che poi si era rivelato in maniera più evidente durante i tre anni delle medie. Arrivato alle superiori, i suoi non sono più solo dei segnali, ma quotidiane prove di resistenza passiva. Sbuffa, è musone, se studia lo fa puntando al minimo, senza passione, soltanto «perché lo devo fare».

Dinanzi ai tentativi dei genitori, che comprensibilmente provano a smuoverlo e che ogni tanto perdono anche la pazienza, si rifugia in silenzi, spallucce, alibi e qualche velata accusa. Una delle più frequenti è la recriminazione sul tipo di scuola scelta; l’adolescente non si impegna, non si appassiona e non studia perché – a suo modo di vedere – è stato estromesso dalla decisione: l’indirizzo di studi, l’istituto specifico, i compagni di classe, i professori, le materie, tutto sbagliato!

L’adolescente disinteressato rischia una deriva di continue delusioni, di ovvie valutazioni negative e quindi di perdere il contatto con la scuola, avendo altro per la testa.

Non si rende conto dei possibili esiti a breve termine (la bocciatura) e a lungo termine (la perdita di fiducia in se stesso, nelle proprie capacità, in un percorso qualsiasi di studio); non se ne rende conto perché, nella confusione tipica della sua età, ha davvero altro a cui pensare.

Nella sua testa ci sono recriminazioni, sensi di colpa, l’ancorarsi angoscioso a quello che diventa un abito sempre più rassicurante e identitario, seppur fallimentare: quello del disinteressato, che con il suo modo di fare punisce se stesso, i genitori e anche la scuola.

Come possono i genitori «gestire» un figlio o una figlia con queste caratteristiche e provare a suscitare in lui o lei una reazione?

Innanzitutto, la nostra esperienza insegna che sono necessarie la virtù della pazienza, la gradualità degli interventi e l’esemplarità, senza mai esternare scoramento o delusione, che al contrario potrebbero aumentare i sensi di colpa e i disagi.

Una prima ancora di salvezza è rappresentata dal senso del dovere che spesso emerge nei mugugni dell’adolescente disinteressato, ma ancora attento al voto o alle reazioni che provoca nei genitori. Il genitore può provare ad appellarsi a cosa sia giusto fare, dimostrando senso pratico e al tempo stesso attenzione alle esigenze del figlio: «Tu dedica due-tre ore del pomeriggio a studiare; dopo, sarai libero di fare quello che ti piace». Un dovere conveniente, per giunta.

Anche se l’interesse è ai minimi termini e l’ambiente gli risulta insopportabile, stare attento in classe, aprire il diario e svolgere tutti i compiti assegnati presenta notevoli e indiscutibili vantaggi: non avrà il fiato sul collo di docenti e genitori per le valutazioni negative, non dovrà farsi carico di lavoro extra (i debiti, i compiti aggiuntivi, i recuperi estivi), avrà più tempo ed energia (positiva) per fare altro.

Sappiamo benissimo che non sono le ragioni più opportune, ma appunto dobbiamo procedere per gradi, prima di affrontare discorsi motivazionali più maturi. Dobbiamo anche considerare, in prospettiva, che di norma il passaggio dal biennio al triennio della scuola superiore è segnato da una maggiore consapevolezza da parte dell’adolescente, che nel frattempo cresce, sovente si rasserena, scopre da sé, nel suo quotidiano, passioni e talenti, avvicinandosi con maturità a un ulteriore, più decisivo e autonomo passaggio, quello dalla scuola superiore al mondo del lavoro o dell’università. La scuola allora tornerà a servirgli, addirittura a piacergli.

Il biennio, però, va superato e non sempre l’adolescente sviluppa un sufficiente senso del dovere: potrebbe proprio non studiare, e basta. In quel caso ai suoi pensieri negativi si aggiungono giudizi e voti negativi: a quel punto l’insuccesso scolastico è inevitabile e la fiducia in se stessi crolla.

È basilare, inoltre, che i genitori non si facciano travolgere e mantengano la lucidità, affrontando progressivamente e in maniera distinta ciascuna problematica; da una parte le difficoltà concrete nelle singole materie, con l’insostituibile aiuto e sostegno della scuola, dall'altra la serenità e gli umori del figlio. Bisogna trovare una sorta di stella polare in quello che sembra profilarsi come un irreversibile abbattimento: punti di riferimento (adulti, amici, famigliari, docenti in grado di motivare e sostenere l’adolescente), luoghi diversi di studio, punti di forza, che possono essere materie verso cui dimostra interesse e in cui riesce a raggiungere risultati soddisfacenti (spesso accade con la storia, o con l’inglese) o attività extrascolastiche (la musica, lo sport).

Coinvolgere e farsi coinvolgere nei punti di forza può significare un attestato di fiducia e di stima per l’adolescente, che mai si deve sentire battuto, e dunque colpevole, agli occhi dei genitori.

Non vanno poi ignorate (o prese sottogamba) le sue oggettive carenze, programmando per tempo sostegni a casa e colloqui con i docenti. Non è scontato che un adolescente riesca a far fronte in autonomia alle lacune in matematica; non si può liquidare la questione imputandola a una vaga e indistinta mancanza di impegno. Al biennio le difficoltà vanno affrontate con cura, tempestivamente e, soprattutto, insieme.

Un’ultima annotazione merita il caso dell’adolescente che continua a impuntarsi sulla questione della scelta sbagliata della scuola superiore e sulla necessità di un cambio, e che non esita ad attribuire a questa decisione la sua scarsa motivazione e il cattivo rendimento. In base alla nostra esperienza, in una situazione simile è indispensabile agire subito per arginare l’inerzia e uscire da una rancorosa passività dall'esito irreparabile.

Il genitore può dare ascolto all'adolescente e motivarlo, invitandolo ad argomentare le sue ragioni e a discutere sull'alternativa concreta alla «scuola sbagliata»; soltanto rispondendo a tre interrogativi decisivi – perché vuole cambiare scuola, in quale vuole andare e cosa avrebbe di diverso rispetto a quella attuale – la passività negativa può essere sbloccata e nuove motivazioni potrebbero affacciarsi all'orizzonte. Se le risposte fossero sensate, si tratterebbe di portare a termine un anno o almeno un quadrimestre con successo e convinzione, programmando insieme con attenzione il passaggio successivo.

Il silente

Al di là dei risultati scolastici, che possono essere anche molto positivi, o comunque sufficienti e non allarmanti, al biennio potrebbe affacciarsi un altro personaggio: lo studente silente. Lui o lei compie il suo dovere, mostra spesso buone capacità e attitudini e, a scuola come a casa, sembra vivere il suo percorso di studi senza particolari scossoni. Però parla poco, non racconta nulla di sé e della scuola, non fa progetti, ma accetta tutto senza commentare. Alla lunga è una situazione per cui i genitori soffrono, soprattutto se nel ciclo di studi inferiore il ragazzo si era invece mostrato entusiasta e loquace.

La prima mossa, come sempre, è quella di confrontarsi con la scuola, alla ricerca di informazioni ulteriori e magari indizi di un atteggiamento diverso rispetto a quello osservato a casa. In secondo luogo è bene sempre rifuggire da eccessivi allarmismi e tener presente che l’adolescente ha pensieri e tempi «tutti suoi» e un necessario, forse nuovo, bisogno di introspezione, anche silenziosa. A volte va semplicemente lasciato stare. Tornerà a comunicare e a raccontarci cosa ha in testa, di bello, di complesso, di sorprendente o di banale.

Nel frattempo possono essere altri i segnali a cui fare attenzione, se vogliamo toglierci il dubbio che quei silenzi non nascondano un disagio più profondo.

Con un’osservazione discreta ma solerte, potremo scoprire quali sono i suoi interessi, come desidera vestirsi per uscire o andare a scuola, quanto e come usa pc e smartphone, alla ricerca di una normalità che in questa fase richiede soltanto rispetto e solitudine.

Senza rassegnarsi del tutto o tantomeno offendersi sentendosi esclusi (ripetiamo: è normale!), i genitori possono comunque adottare qualche accorgimento e cercare di lasciare più spazio all'adolescente silente, più occasioni e opportunità per prendere la parola a casa. A tavola, magari preparando il terreno e limitando fratelli e sorelle troppo loquaci e invadenti, o coinvolgendolo nell'organizzazione di una vacanza o di un’uscita serale, in libreria o a un concerto. L’obiettivo è quello di metterlo a proprio agio e imparare a conoscerne gli interessi o i nuovi lati di un carattere sempre in evoluzione.

Il ribelle

Rapper, emo, rocker, politicizzato, hipster, alternativo e chi più ne ha più ne metta. La lista che fa di un ragazzo un «ribelle» si aggiorna ogni anno, ma il profilo generale può essere tratteggiato con una certa linearità dal punto di vista comportamentale: il lessico cambia, così come le pettinature e le calzature, ma il modo di porsi nei confronti di un genitore, dei fratelli più piccoli o dei professori è sempre, inesorabilmente, lo stesso.

L’adolescente ribelle contesta, fugge, si oppone al dialogo, prova un’apparente ripulsa per tutto quanto aveva ricoperto di affetto o di attenzione fino a qualche mese o giorno prima. I docenti e i genitori vengono tollerati, ignorati e spesso maltrattati, a seconda dei momenti; fratellini e sorelline sono solo un fastidio.

La ribellione può assumere atteggiamenti diversi e concentrarsi sulla moda o comunque sul modo di vestirsi, presentarsi e atteggiarsi, sulle amicizie o sui gruppi che frequenta, sulla scuola o sulla famiglia stessa. Le ragioni spesso sono ignote allo stesso adolescente, che, in cerca di un’identità, «si traveste» da ribelle per essere accettato o notato, per lanciare segnali (anche a se stesso), per sperimentare reazioni e comportamenti. La scuola non ci rimette necessariamente e l’atteggiamento ribelle potrebbe essere ridotto a momenti del tempo libero o comunque non alterare buone intenzioni e passioni scolastiche, al di là delle capacità individuali.

A rimetterci, però, spesso è la serenità famigliare, tra incomprensioni e litigi, e quindi, a lungo termine, anche il rendimento dello studio a casa. Poiché risulta molto complesso suggerire soluzioni per casi molto diversi da persona a persona, ci permettiamo di segnalare alcuni atteggiamenti che potrebbero favorire una buona relazione famigliare.

Innanzitutto è bene armarsi di pazienza, buon senso e una certa dose di matura ironia. Le ribellioni adolescenziali comunque passano e alcuni imbarazzi sono da mettere in conto. Bisogna evitare, secondo noi, eccessive prese di posizione su aspetti «pittoreschi», come pettinature e vestiti, ma meno preoccupanti di altri atteggiamenti.

Non mostratevi offesi, delusi, imbarazzati: rischiate di aumentare da una parte il disagio di vostro figlio, che pur rifiutando in un momento di ribellione il giudizio della famiglia ne è sempre e comunque condizionato, e dall'altra la distanza tra figlio e genitori. Per la stessa ragione è bene evitare anche di prendere in giro e schernire la nuova moda davanti a famigliari e amici; a volte non ci rendiamo conto di quanto ancora siano ingenui e fragili gli adolescenti. Inoltre non smettete di dialogare e parlare, mostrandovi desiderosi di conoscere vostro figlio, cercando in qualche modo di offrire anche delle alternative ad alcuni nuovi modi di agire e di essere; non è necessario smentirlo o urlare, richiamarlo al rispetto, all'educazione, al dovere e alla serenità quotidiana, anche davanti ad affermazioni perentorie e ribelli del tipo «Non serve»; «Non mi interessa»; «Tanto non conta(te) niente», e altro ancora. Fondamentale, poi, non chiudere gli occhi, non cedere a un’arrendevolezza fatale su alcune delle regole stabilite in casa, per esempio gli orari o il modo di comunicare, o dalla legge e dal senso comune, come il fumo, l’alcol o le droghe (leggere).

Mai la ribellione deve identificarsi con l’annullamento della ragione e comunque della propria libertà; anche in questo caso bisogna avere il tempo e il desiderio di non interrompere il dialogo. Ricordiamoci, infine, che sono gli adolescenti stessi ad avere un disperato bisogno di limiti, regole, esempi e adulti autorevoli di riferimento; gli adolescenti necessitano di dialogo, rispetto, di essere capiti ma anche contenuti.

Il bambinone

È un ragazzo che in casa si trova molto, molto bene. È considerato un tipo in gamba, magari legge, sicuramente gioca, in sala o nella sua stanza. Ecco, camera sua è identica a quella di suo fratello di qualche anno più piccolo, semplicemente perché è la stessa di quando aveva sei anni, sette, otto. Non si cura di come si veste (sceglie la mamma), non ha interessi a uscire il pomeriggio, figurarsi la sera. È un tesoro.

Tutto bello, ma non sta vivendo la sua età e questo può portare a un ingresso molto difficile alle superiori: ritmi di studio inadeguati, tempi e spazi inadatti, pochi interessi in comune con i compagni di classe, tendenzialmente in fase ormonale.

Che fare? La situazione è in mano a voi genitori: dovete rendervi conto dell'età che ha vostro figlio, delle sue esigenze, dei suoi desideri legittimi, manifesti o da coltivare. Avere un i figlio che inizia le scuole superiori non è una tappa che vi avvicina, seppur di poco, alla pensione, ma è un impegno che va affrontato con serietà. Innanzitutto, dove possibile, occorre garantire luoghi adatti allo studio: forse bisognerà spostare una bacheca in camera, sarà necessario l'acquisto di una scrivania più grande o di una litigata per mandare in cantina scatole di Lego. Sono piccole battaglie da affrontare anche solo per comprendere che il tempo sta passando e che l'età è evolutiva, per cui necessita di nuovi strumenti. La vostra libreria in sala potrà essere la stessa per vent'anni, la stanza di vostro figlio no: di questo dovete tener conto.

Inoltre, l'adolescente «bambinone» - per usare un termine che non ci piace e che forse è ingeneroso nei confronti di quello che è un bravo ragazzo - dovrà fare i conti con nuove responsabilità: qualche soldo in tasca, le chiavi di casa; sono piccole tappe da disseminare dall'esame di terza media in poi, proprio per aiutarlo a diventare grande abbastanza.

A scuola può andare tutto per il meglio, oppure potranno esserci pianti scomposti, poiché il battesimo dei brutti voti tocca a quasi tutti in prima, così come potrebbe essere problematico il confronto con gli adolescenti doc con tanto di smartphone, jeans a vita bassa, stuoli di ragazzine intorno e la lingua lunga sempre pronta. Mica facile e certamente non immediata la soluzione a tutto ciò: per il momento limitiamoci a elencare situazioni possibili, già vissute e registrate, per mostrarle comuni e non nuove né uniche, e per questo drammatiche.

Attenzione: non curiamo un opposto con un altro! Non stiamo predicando la ricerca della moda, l'ultimo ritrovato della tecnologia da possedere, l'elogio del mondo da provare in tutte le sue spettacolari e vuotissime forme. In medio stat virtus: la moderazione vince, senza eccessi; è bene ripeterlo, dato che lo stiamo mettendo per iscritto.

Il bambinone in un anno può crescere molto, se aiutato da una famiglia in grado di cogliere il necessario cambio di passo comportamentale: è una questione di asticelle da alzare, di scarpe da cambiare, di nuovi orizzonti da mettere a fuoco.


Indice

Prefazione di Alessandro D'Avenia

Introduzione

Parte prima - Genitori e Figli: una piccola mappa

Che adolescente avete in casa?
Il test: voi che genitori siete?
Parte seconda - I 7 punti del metodo BiEsse

1. Seguite vostro figlio anche alla scuola superiore

2. Genitori: ecco il vostro ruolo!

3. Signore e signori, il planning

4. Osservate, ascoltate e rilanciate sempre

5. I nemici e gli alleati dello studio: imparate a conoscerli

6. Scoprite chi è vostro figlio dalle 8 alle 14

7. Motivate e allenate i figli, rispondete insieme alla scuola: basta studiare!

Parte terza - Anno zero

Tutti in classe
I passi da compiere
Spazi e tempi
L'arte del lavorare i trucchi del mestiere
Ora tocca a voi!
Conclusioni

Ringraziamenti


Marcello Bramati, Lorenzo Sanna
Basta Studiare! - Libro >> http://goo.gl/XRhPx2
Da due Prof il metodo collaudato per uscire dall'ansia di compiti, insufficienze e debiti ad uso di genitori e studenti