giovedì 23 agosto 2018

Guarire la nostra anima




Guarire la nostra anima: il primo passo per recuperare la nostra profonda essenza

Consapevolezza e Spiritualità      

Cosa significa guardarsi dentro? Seguendo i principi del Buddismo Bön tibetano scopriamo insieme perché è importante parlare alla nostra anima

di Andrea Giulia Pollini - 23/08/2018


Tenzin Wangyal Rnpoche nel suo libro “Guarire l’anima”, seguendo la filosofia del buddismo Bön tibetano, racconta come imparare a guarire la nostra anima guardandoci da vicino. Al giorno d’oggi, con le vite piene e intense che abbiamo, è sempre più difficile per ognuno di noi “guardarsi dentro”. Ma cosa significa guardarsi dentro? Non c’è nulla di strano in questa pratica che consiste nel: cercare di capire sé stessi, prendersi del tempo per ascoltarsi, fermarsi un attimo per provare a capirsi. Per farlo possiamo partire da quattro ambiti molto importanti nelle nostre vite.

I quattro passi fondamentali per guarire se stessi

Per prima cosa osservate la vostra vita personale, prendetevi del tempo per riflettere su voi stessi. Parlate con la vostra anima e cercate di capire che tipo di persona siete e come vi sentite.

Poi osservate la vostra vita familiare, cercate di capire come la vostra famiglia vive in voi, il primo passo per recuperare la nostra anima è capire cosa ci manca. In questo caso si tratta di capire se la vostra famiglia vi nutre o vi distrugge.

Di seguito osservate la vostra vita lavorativa, cercate di capire se il vostro lavoro vi piace e vi da soddisfazione, se ogni mattina vi alzate scontenti a causa del vostro lavoro o se vi sentite gratificati dalla vostra vita lavorativa.

Osservate il vostro rapporto con la natura, cercate di capire se conoscete il suo grande potere sacro e rigenerante.  Vi è mai capitato di fermarvi ad ascoltare il rumore del mare? Che sensazione vi trasmette? Oppure vi siete mai fermati a guardare il cielo? Mi ricordo sin da bambina ciò che era per me il mare: la sua immensità mi trasmetteva calma e sicurezza e mi costringeva a guardarmi dentro, mettendomi in contatto con il mio spazio sacro interiore. Per me, un elemento in grado di riconnettermi con il mio sé profondo era ed è il mare, essendoci cresciuta, per molti di voi potrebbe essere un bosco in montagna o un ruscello, un luogo dove potrete avvicinarvi alla forza rigenerante della natura. Al giorno d’oggi è molto difficile entrare in contatto con la natura: siamo tutti abituati alla vita frenetica e tecnologica delle città, ai bar affollati, alle spiagge caotiche di agosto, ai social. Il primo passo per guarire la nostra anima deve partire proprio dal riconoscere la presenza o l’assenza della grande vitalità che la natura ci trasmette.

Recuperare la nostra profonda essenza

Dopo che avrete osservato questi quattro aspetti della vostra vita, noterete sicuramente che se riscontrate dei problemi, questi potrebbero non colpire solamente uno di questi aspetti, bensì più di uno. Provate a fermarvi e domandatevi se in qualche situazione della vostra vita avete sentito la mancanza di qualcosa di positivo. Dopo aver dato la risposta a questa domanda, ed entrando più in intimità con la sensazione di “mancanza” potrete iniziare a identificare in modo più preciso la qualità che vi manca e comprendere quale sia il passo da compiere per compensare questa mancanza.

Ecco una frase che mi ha particolarmente colpito tratta dal libro “Guarire l’anima” di Tenzin Wangyal Rnpoche:

“Secondo gli insegnamenti tradizionali tibetani, quando si ha l’anima danneggiata diminuisce anche la forza vitale, cioè la vitalità di cui si dispone. La perdita dell’anima può portare alla debolezza fisica e alla malattia”.

È importante cercare di recuperare la nostra profonda essenza proprio perché trascurarla potrebbe portarci grossi problemi emotivi e fisici. Quando vi sentite insoddisfatti o tristi anche se cercate di distrarvi con qualcosa, dovete scavare fino in fondo per poter guarire davvero. Quando vi sentite disconnessi, c’è un momento di rottura, provate un senso di solitudine, la sensazione cronica di volere qualcosa di più diventa la vostra identità. Tutto ciò può portare a un disturbo post-traumatico da stress: le persone che ne soffrono potrebbero avere spesso degli incubi, un’ansia perenne e quindi una grande difficoltà nell’affrontare la vita di tutti i giorni. È proprio per questo che ognuno di noi deve concedersi dei momenti per capire sé stesso. Ascoltarsi e capirsi è il primo passo verso la guarigione.


Descrizione di Guarire l'Anima - Libro

Trasforma e riscopri la tua vita con l'antica pratica tibetana di recupero dell'Anima!

Pensa a un momento della tua vita in cui ti sei sentito completo, soddisfatto, pienamente vivo e "a casa" in te stesso. Immagina di poterti sentire così non solo di tanto in tanto, ma per la maggior parte del tempo.

In questo libro, l'insegnante di meditazione Tenzin Wangyal illustra potenti pratiche che ti aiuteranno a connetterti profondamente con la tua natura autentica e a guarire la tua anima, affinché tu possa condurre una vita più gioiosa e appagata.

Secondo gli insegnamenti buddisti, infatti, se l'anima è danneggiata, la propria forza fisica e la vitalità diminuiscono, si diventa malati e si può anche morire. Per risolvere questo problema, l'autore propone diverse pratiche per ritrovarla (il silenzio, lo spazio e l'immobilità nella natura) che conducono dentro di se dove è possibile analizzare, senza giudizio, le proprie esperienze dolorose.

Partendo dagli insegnamenti tradizionali di recupero dell'anima del buddismo Bön tibetano, Tenzin Wangyal offre una guida pratica per superare ogni sensazione di disconnessione e insoddisfazione, e risvegliare la creatività, l'allegria e il senso di tranquillità che sono innati in te.

Le tecniche presentate dall'autore se praticate quotidianamente possono aiutarti a:

Superare le difficoltà che la vita vi pone
Far svanire le emozioni negative e coltivare qualità positive
Rivitalizzare le vostre relazioni personali e professionali
Sentirti più coinvolti e produttivi nel lavoro
Sperimentare la guarigione su tutti i livelli, fisico, emotivo ed energetico
Portare felicità e benessere agli altri

Avvalendoti delle meditazioni e delle pratiche informali proposte nel Tenzin Wangyal, puoi imparare ad attingere alla forza guaritrice della natura così come alla tua capacità di autoguarigione.

Questo libro offre pratiche in grado di recuperare l'anima e di guarire le persone malate.
Inoltre nel libro sono inclusi un Ebook e Meditazione Guidata da scaricare gratuitamente.

“In un momento in cui abbiamo perduto la nostra anima collettiva e quella personale, Tenzin Wangyal ci offre una bussola infallibile per ritrovare il nostro sé originale e integro. Leggete questo libro e trovate la vostra strada per fare ritorno alla salute e alla pienezza!”.
Alberto Villoldo, Autore di One Spirit Medicine

 Indice

Hanno detto del libro

Prefazione

Introduzione

Che cos’è l’anima?
Cause della perdita dell’anima
Una via verso la guarigione
Il miglior rimedio
Meditazione terapeutica

Capitolo 1 - OSSERVARE LA PROPRIA VITA DA VICINO

Tempo per l’autoriflessione
Osservate la vostra vita personale
Osservate la vostra vita familiare
Osservate la vostra vita lavorativa
Osservate il vostro rapporto con la natura
I cinque elementi
La vostra relazione con la terra
La vostra relazione con l’acqua
La vostra relazione con il fuoco
La vostra relazione con l’aria
La vostra relazione con lo spazio
Riflettere sull’elemento che si ha troppo in abbondanza
Il passo successivo: impegnarsi a cambiare

Capitolo 2 - RECUPERARE DALLA NATURA

Radici tibetane
Prendere appuntamento con gli elementi
Prendere le tre famose pillole
Aprire il cuore e la mente con gratitudine e compassione
Recuperare le essenze degli elementi
Aprirsi a una saggezza più profonda
– Pratica autoguidata –
Recuperare dalla natura

Capitolo 3 - RECUPERARE RIFUGIANDOSI DENTRO DI SÉ

Il rifugio dello spazio sacro illimitato
Il rifugio dell’infinita consapevolezza
Il rifugio del calore genuino
La ricchezza del rifugio interno
Recuperare dal rifugio interno
Il vostro rifugio più sicuro
Al di là dell’ego
– Meditazioni autoguidate –
Recuperare dal rifugio interno

Capitolo 4 - RECUPERARE DALLE RELAZIONI

Dare l’esempio, non parlare
Connessioni inaspettate
Nutrire le qualità degli elementi
Condividere le qualità degli elementi
Dare spazio alla sofferenza
Quando le emozioni sono difficili
Dissolvere l’identità del dolore
– Pratiche autoguidate –
Recuperare dalle relazioni
Capitolo 5 - SUPERARE LA SOLITUDINE

Quando nasce la solitudine
Trovare l’amico dentro di sé
– Pratica autoguidata
Trovare l’amico dentro di sé

Capitolo 6 - NUTRIRE IL PROPRIO ESSERE INTERIORE

Ricaricare la propria batteria
Avere fiducia
Un cambio d’abitudine
Calore spontaneo
– Meditazioni autoguidate –
Nutrire il proprio essere interiore

Capitolo 7 - NUTRIRE IL PROPRIO CORPO FISICO

Una sola medicina per tutti i mali
Spostare l’attenzione
Il produttore del dolore
Dolore come apparenza: vedere con l’occhio della saggezza
Il potere del calore
Una pratica per la guarigione fisica
– Meditazioni autoguidate –
Nutrire il proprio corpo fisico
Postfazione

Note

Ringraziamenti

L’Autore

Guarire l'Anima - Libro
Tenzin Wangyal Rinpoche

venerdì 17 agosto 2018

La parola del medico



La parola del medico: comunicazione e medicina narrativa nel rapporto medico-paziente

Medicina Non Convenzionale      

La comunicazione medico-paziente, la medicina narrativa, l'ascolto empatico e le cure amorevoli svolgono un ruolo determinante in ogni tipo di cura e terapia: scopriamo perché

Redazione Scienza e Conoscenza - 17/08/2018

Tratto dal libro Ascoltando la pelle di Antonio Del Sorbo.

Sia in termini di efficacia che di effetti collaterali, la parola del medico può essere equiparata a un farmaco, e va pertanto utilizzata con attenzione, dal momento che i possibili effetti indesiderati non sempre sono reversibili nel breve periodo. Anche quando dobbiamo comunicare una diagnosi, una prognosi o una terapia importante, occorre farlo con tatto8, ricorrendo a una comunicazione empatica e non invasiva, ed evitando, quando possibile, la traumatica violazione dell’aspettativa.

Comunicazione verbale e non verbale vanno modulate a seconda della persona che abbiamo di fronte, dato il loro potenziale ipnotico e subliminale su individui particolarmente sensibili. Gli strumenti diagnostici utilizzati per misurare lo stato di salute della pelle (dermatoscopia, corneometria, sebometria, evaporimetria, spettrocolorimetria, biopsia, penoscopia, vulvoscopia), alcuni dei quali utilizzati anche in dermatologia sperimentale, perdono man mano di importanza se non incrociamo quei dati numerici9 con il riscontro clinico dello stato di salute del nostro interlocutore.

Il paziente non va soltanto osservato e misurato, ma soprattutto ascoltato, insieme con il bagaglio di sofferenze, aspettative, vulnerabilità, delusioni, dubbi e paure che porta con sé al momento della visita. Se la quantità di sebo può essere misurata, la sofferenza deve essere raccontata.

Con gli strumenti attuali possiamo quantificare una risposta biologica di un singolo tessuto, ma non possiamo certamente accedere al vissuto emozionale della persona che abbiamo di fronte, se non attraverso un profondo ascolto attivo, captando informazioni qualitative preziose ai fini terapeutici anche quando di tipo non numerico o difficilmente convertibili in dati statistici.

Man mano che ci spostiamo dalla gestione dell’individuo al dosaggio del singolo enzima, la Medicina inizia a sbriciolarsi in settori sempre più specialistici e poco comunicanti sia tra di loro, che con il paziente. La pelle è una finestra socchiusa che si apre sul nostro universo interno, e rappresenta per il medico un osservatorio privilegiato, poiché facilmente accessibile attraverso una semplice visita. Stiamo barattando l’insostituibile capitale umano con una Medicina dei servizi sempre più tecnocentrica e farmacocentrica, rischiando di smarrire per sempre l’unica chiave che ci consente di accedere a un mondo soggettivo, così ricco di informazioni e istruzioni, tuttora ancora poco esplorate. [...]

La medicina narrativa è tra i pochi aspetti che ancora differenziano noi medici da Internet. Sulle nozioni tecniche i motori di ricerca ci hanno ormai già superato da tempo.

Nessun medico ricorda a memoria la struttura dell’enzima telomerasi. Invece il dottor Internet la rammenta perfettamente, insieme alle formule chimiche di tutto ciò che ci circonda. Sa più cose di noi, è sempre aggiornato, risponde gratis in tutte le lingue del mondo, notte e giorno, non è mai stanco, non si arrabbia, non si ammala e non va neppure in vacanza. Fantastico! È il medico ideale. Ma è anche per gli aspetti umani e relazionali della medicina che il paziente si reca ancora dal medico e non si affida unicamente al fai da te online. E in cambio noi medici continuiamo a trascurare proprio la qualità della relazione umana, confondendo la medicina narrativa con le pratiche alternative.

Stiamo dimenticando gli aspetti umani della nostra professione rimpiazzandoli con linee guida standardizzate che trasformano noi medici in rigidi calcolatori. Di contro stiamo perfezionando software di intelligenza artificiale con algoritmi che conferiscono alle macchine sembianze quasi umane, con quell’apertura, pazienza, reciprocità e disponibilità che noi umani stiamo disimparando. Forse un giorno saremo visitati da macchine che rispetto a noi saranno dotate di una maggior intelligenza (gentilezza artificiale).

Comunicare con il paziente non è sinonimo di interrogare (anamnesi) ed è molto più che informare, per esempio, come assumere un farmaco.

Comunicare significa entrare in relazione con il nostro interlocutore e creare con lui un clima di apertura, serenità, reciprocità e fiducia, importante anche in termini di alleanza terapeutica (compliance).

La medicina narrativa è una medicina di contesto (biologico, sociale) poiché consente un approccio sistemico al paziente, durante il quale anche il sintomo isolato viene narrato all’interno della propria biografia, fatta non solo di momenti bui ma anche di nuove opportunità di ripresa, da cui ripartire.

Anche in quelle persone che in maniera saccente e frettolosa definiamo “malati immaginari” vi è sempre tanta sofferenza, reale e per niente immaginaria. Possiamo liquidarle in trenta secondi, etichettandole come persone ipocondriache, malati mentali o immaginari perché in assenza di segni clinici, oppure provare a ricordare di essere innanzitutto dei medici e che la sofferenza umana è il segno clinico più importante in Medicina, forse quello per il quale alcuni di noi hanno scelto proprio questa missione tra decine di altre professioni.

Ascoltando la Pelle - Libro
Il dermatologo risponde
Antonio Del Sorbo

giovedì 16 agosto 2018

Epigenetica e PNEI in medicina



Epigenetica e PNEI in medicina: ce ne parla Giovanni Abbate Daga

Medicina Non Convenzionale
      
Che cosa sono la PNEI e l'epigenetica e in che modo stanno cambiando la scienza e la medicina? Lo scopriamo in questa intervista al professor Giovanni Abbate Daga - psichiatra e direttore del Master di I livello in PNEI che si tiene presso l’Università di Torino - che sarà presente anche al Congresso SaluScienza che si terrà a Varignana (BO), il 23, 24 e 25 Novembre 2018

Redazione Scienza e Conoscenza - 15/08/2018

Epigenetica e PNEI stanno cambiando i paradigmi in medicina e nelle scienze umane: alla luce di queste discipline possiamo rivedere e arricchire percorsi eziologici, diagnostici e terapeutici. Per capire quali prospettive si stanno aprendo, soprattutto nell’indagare quanto la madre, prima, e i genitori, poi, possano “influire” sulla salute fisica ed emotiva del nascituro abbiamo incontrato Giovanni Abbate Data, psichiatra e ricercatore in ambito PNEI.

Ci può spiegare come, a suo avviso, la PNEI sta cambiando la medicina e, più in generale, le scienze umane?

La PNEI, ovvero la Psicoconeuroendocrinoimmunologia, è una concezione diversa di approcciare il paziente e di concepire il "sistema uomo", che viene visto non più con una prevalenza della mente sul corpo o del corpo sulla mente, ma con l'idea che esso sia un'interazione di sistemi diversificati e in continua e complessa connessione tra loro. Questi sistemi si regolano, si parlano, cooperano, qualche volta si contraddicono.

Tutto questo ha un impatto molto forte sull'aspetto medico, perché possiamo pensare che agendo su un sistema si interagisca anche con gli altri.

Facciamo un esempio: da un punto di vista clinico, una dieta non cura solamente gli esami, non fa solo scendere o aumentare di peso, ma può curare la salute mentale. Sarebbe lungo e complesso darne qui la spiegazione scientifica, basti dire che vi sono alcuni studi secondo i quali una dieta mediterranea impostata in un certo modo è in grado, in un determinato lasso di tempo, di dimezzare il rischio depressione.

E l’epigenetica? È anch’essa una rivoluzione?

Più che una rivoluzione, l'epigenetica è un passo in avanti. Da quando, negli anni Cinquanta, è stato scoperto il DNA, la genetica ci affascina molto. Nei primi anni Duemila abbiamo scoperto e codificato il genoma umano: il vero problema è non tanto sapere cosa siano i geni, ma come interagiscono fra di loro, quando si attivano e quando si disattivano. La genetica fornisce una serie di strumenti di base, diversificati fra gli esseri viventi e gli esseri umani, ma poi la vera differenza la fa l'utilizzo di questi strumenti.

In questo contesto l'epigenetica è come l'esperienza della vita, i quando ci aiuta e ci insegna a utilizzare il DNA; questo vale sia per attivazioni e disattivazioni rapide, ma anche – e questo è più importante per la medicina – per il fatto che l'epigenetica può avere dei fattori costanti e che si mantengono nel tempo. Questo avviene per tutti gli eventi che intervengono nella nostra vita, soprattutto in gravidanza, nel periodo prenatale o nei primi anni di vita, dove la regolazione dei sistemi impara i suoi pattern. Cosa significa tutto questo? Oggi sappiamo che alcuni eventi, modificando in parte il DNA (si parla di acetilazione, si parla di metilazione di alcuni geni), rendono alcuni geni più attivi o meno attivi in certi momenti o per tutta la vita, cosa che può modificare il nostro approccio, ad esempio, allo stress.

Faccio un esempio caro al mio mestiere, in quanto faccio lo psichiatra. Da più di cent'anni la psicologia, la psicanalisi e la psichiatria conoscono il fatto che gli eventi precoci incidono notevolmente sulla nostra vita futura. Gli eventi precoci, nel mondo attuale, sono soprattutto eventi di interazione umana: l'importanza del rapporto con la madre, con il padre, con la famiglia, ma anche gli eventi traumatici o meno. Un evento traumatico – l'esempio classico è quello dell'abuso che un bambino può subire – può permanentemente metilare l'espressione di alcuni geni che hanno a che fare con i recettori del cortisolo a livello ippocampale. In sintesi possiamo affermare che un bambino abusato sarà un adulto più sensibile agli stimoli stressanti, con meno risorse su questo fronte.

Per far capire meglio la differenza tra genetica ed epigenetica sono state coniate alcune metafore particolarmente esemplificative. Una metafora interessante è quella dello spartito musicale e dell'esecuzione dello spartito. Nella tradizione musicale, dall’antichità ai giorni nostri, ci sono casi in cui abbiamo solo qualche traccia di spartito, come ad esempio per le tragedie greche e il coro, e non sappiamo nulla di come quello spartito venisse eseguito. Abbiamo perduto per sempre quella musica in quanto non sappiamo, effettivamente, come gli antichi greci cantassero e suonassero. Laddove, invece, abbiamo una cultura che si è mantenuta – pensiamo al Settecento, a Bach, a Beethoven – non c'è solo lo spartito che ci dice com’è quella musica, ma c'è anche l'esecuzione. L'esecuzione è qualcosa che si impara. L'orchestra si esercita a lungo per poter eseguire una sinfonia e tale esercizio è la segnatura epigenetica dei pezzi e dell'interazione dei sistemi. Pertanto, la genetica sta allo spartito, così come l'epigenetica sta poi all'esecuzione, che l'orchestra impara. Cito anche Francesco Bottaccioli, che invece utilizza la metafora del libro: la genetica è il libro e l'epigenetica sono gli appunti a margine che si annotano per tutta la durata della vita.

Continua la lettura su:

Scienza e Conoscenza n. 65 - Luglio-Settembre 2018 >> https://goo.gl/oH72LH
Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza

martedì 14 agosto 2018

Dilemma su coscienza e cervello olografico




Il dilemma sulla coscienza e il cervello olografico

Neuroscienze e Cervello       

Che cos'è la coscienza? Che rapporto c'è tra mente e cervello? È possibile parlare di processi quantistici e olografici della mente? Ce ne parla Alberto Lori, giornalista e divulgatori scientifico, nel suo ebook Coscienza Quantica.

di Alberto Lori - 10/08/2018

Tratto dal libro Coscienza Quantica di Alberto Lori

Che la coscienza sia un fenomeno complesso di difficile soluzione sul piano strettamente scientifico non lo scopro certo io. È materia di studio che richiede l’interdisciplinarietà di diversi settori di ricerca, dalla filosofia alla psicologia, dalla medicina alla psichiatria, ma anche di una scienza esatta come la fisica.

Senza dubbio è un fenomeno soggettivo che ognuno può interpretare come vuole, ma che non può in alcun modo essere negato, poiché è davvero una riserva inesauribile di sensazioni, emozioni, intuizioni, ispirazioni, attraverso cui, ciascuno è in grado di discernere il bene dal male, il vero dal falso, ma soprattutto ciascuno, grazie ad essa, trova in sé la potenzialità per costruirsi una realtà scevra dai condizionamenti, dalle credenze limitanti, dai pregiudizi, dalle manipolazioni vere e presunte di chi controlla i nostri modelli mentali.

In ogni caso, sono troppe le evidenze grazie alle quali la coscienza non può essere considerata come una “semplice” manifestazione della neocorteccia cerebrale. Anzi, quelle stesse evidenze dimostrano come essa, lo afferma il fisico Luigi Maxmilian Caligiuri, «sia caratterizzata da un’esistenza propria, con tutta probabilità attinente a un livello più profondo di realtà, e sia in grado di interagire con la materia. Ciò è indicativo di come la coscienza potrebbe avere essa stessa una connotazione materiale, ma di quale tipo di materia possa trattarsi e a quale dinamica essa risponda sono interrogativi tutt’altro che semplici cui rispondere».

Sulla natura della coscienza: Eccles e Dobbs

Nonostante ciò sono molti i ricercatori che hanno tentato di dare una risposta alla natura della coscienza. Per essi, a cominciare dal neurofisiologo John Eccles (1903-1997), coscienza e mente sono la stessa cosa, in ogni caso differenziata dal cervello. In altre parole, abbiamo la mente, una struttura fisica ancora sconosciuta, e il cervello che ha il compito di garantire ed eseguire le attività fisiologiche necessarie alla vita dell’organismo cosciente.

Nel 1967 il matematico inglese A. Dobbs ha proposto un modello fisico della mente secondo cui la materia pensante sarebbe costituita da un sistema complesso composto di unità quantistiche elementari denominate “psitroni”, ovvero particelle, simili ai tachioni, aventi massa propria immaginaria e, di conseguenza, caratterizzati da una velocità superiore a quella della luce nel vuoto.

La coscienza secondo Roberto Assagioli

Lo psicologo transpersonale italiano, Roberto Assagioli [fondatore della Psicosintesi: 1888-1974; N.d.A.], fa ricorso all’archetipo uovo per rappresentare l’essere umano come un microcosmo.

Nella sua Psicosintesi, Assagioli vede la psiche umana come una figura ovoidale galleggiante nel grande mare dell’inconscio collettivo. Il cerchio tratteggiato al centro della figura rappresenta il campo di consapevolezza. Tutto ciò che non appartiene al campo, secondo Assagioli, è il subconscio e ancor più in basso l’inconscio profondo. È l’oceano tumultuoso nel quale sono immersi gli impulsi primari, le nostre abitudini, gli automatismi, i programmi autobloccanti, i problemi irrisolti. È la sede da cui originano spesso i nostri pensieri e stati d’animo negativi. C’è poi tutta una zona superiore al campo dell’Ego, che è dominio del super conscio, il livello dal quale provengono creatività, genialità, intuizioni, illuminazioni. «È qui che risiedono allo stato potenziale», dice Assagioli, «le energie superiori dello Spirito».

Se osserviamo bene la figura ovoidale, ci sono altri due punti degni di considerazione. Il puntino al centro del campo di consapevolezza rappresenta l’Io cosciente, autoconsapevole della propria individualità. L’Io cosciente, tuttavia, è soltanto un pallido riflesso dell’Io universale, la Coscienza primaria, l’Osservatore del Tutto, la vera essenza del nostro essere. Assagioli la descrive come una stella sulla punta dell’uovo, a metà sommersa nell’ovoide psichico individuale e metà partecipe del “Campo di coscienza universale” o “Inconscio collettivo”, dove esiste tutto ciò è stato, è e sarà.

La coscienza per Antonio Damasio

Per Antonio Damasio (1944), brillante neuroscienziato portoghese, la coscienza è un particolare stato della mente in cui vi è consapevolezza dell’esistenza propria e dell’ambiente circostante. La conoscenza del proprio esistere è determinata dal lavoro di concerto di aspetti diversi del Sé che Damasio definisce Proto-Sè (alla cui base sono le emozioni, sulle quali a loro volta si sviluppano i sentimenti), il Sé nucleare (è ciò che fornisce all’organismo il senso del qui e ora), il Sé autobiografico (livello di coscienza che richiede l’uso del linguaggio giacché solo grazie ad esso è possibile formulare la propria storia personale, fatta di ricordi, rimpianti, speranze). Il Sé, pur nelle sue diverse estensioni, è in ogni caso una manifestazione del corpo e in questo caso va riconosciuto a Damasio il merito di avere introdotto il corpo nella discussione scientifica sulla coscienza.

L'ipotesi olografica di Karl Pribram

Di grande fascino è poi stata la teoria olografica di Karl Pribram (1919-2015): secondo lo psichiatra austriaco, il cervello funziona in maniera olografica grazie alla presenza di cellule specializzate. Pribram ipotizzò nel 1960 che le informazioni non risiedessero nei neuroni o in reti neurali, ma nell’intreccio degli impulsi elettrici cerebrali lungo la superficie del cervello. L’esempio che fa è quello dell’ologramma creato allo stesso modo dall’intreccio dei raggi laser.

Una spiegazione agevole se si considera sia la mole d’informazioni che un cervello umano è in grado di immagazzinare, sino a dieci miliardi; sia che gli ologrammi in un centimetro cubo riescono a riporre miliardi di informazioni grazie a delle minime variazioni degli angoli di intersezione dei laser. Abbastanza agevole anche perché il modo in cui la mente è capace di richiamare istantaneamente sensazioni e ricordi per associazioni la fa sembrare molto simile a un sistema di correlazione incrociato. Agevole anche perché la mente è un grande elaboratore, decodificatore e codificatore di frequenze in immagini.

L'ordine implicato di Bohm

L’idea dell’ologramma, in ogni caso, non era nuova. Secondo il fisico americano David Bohm (1917-1992), la realtà stessa della nostra vita quotidiana è una sorta d’illusione. Sotto di essa vi è un altro livello di realtà, più vasto e profondo, che dà origine a tutti gli oggetti e alle apparenze del nostro mondo fisico, in modo molto simile a quello con il quale una porzione di pellicola olografica dà origine a un ologramma.

Bohm definisce il livello di realtà più profondo ordine implicato, nel senso di celato, mentre chiama ordine esplicato, nel senso di svelato, il nostro livello di esistenza. L’universo e la coscienza sono considerati da Bohm come un unicum indiviso, un ologramma, nel quale la registrazione fotografica degli oggetti reali contiene in ogni sua parte l’informazione relativa all’intero oggetto.

La forma e la struttura dell’oggetto sono inviluppate in ogni porzione della lastra fotografica e quando queste sono sviluppate forniscono un’immagine tridimensionale dell’intero oggetto. Queste due realtà si fondono l’una nell’altra, interagendo. Il cervello umano le rappresenta entrambe. L’ordine esplicato è costituito dai neuroni. L’ordine implicato è costituito dalla coscienza.

Scopri il libro di Alberto Lori

eBook - Coscienza Quantica
Un percorso quantistico di sviluppo evolutivo
Alberto Lori

giovedì 9 agosto 2018

Che cos'e' la Medicina Narrativa




Che cos'e' la Medicina Narrativa e che ruolo svolge in un paradigma terapeutico di tipo olistico?

Medicina Non Convenzionale

Nella Medicina Narrativa la narrazione della patologia ad opera del paziente al medico è considerata fondamentale, al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa: scopriamo meglio di cosa si tratta

di Carmen Di Muro - 04/08/2018

Il concetto di Medicina Narrativa si è affacciato sulla scena internazionale verso la fine degli anni ‘90 grazie agli studi compiuti dai medici R. N. Remen e R. Charon. Il loro lavoro aveva come scopo principale quello di sensibilizzare il mondo medico verso l’utilizzo di un approccio narrativo ed empatico nella relazione con gli assistiti, dove i “racconti di malattia” fatti non solo dai pazienti, ma anche da medici, psicologi, infermieri e da quanti operavano nel sistema sanitario, assumevano un basilare valore terapeutico, divenendo il mezzo più diretto e veritiero per dare spazio al vissuto del soggetto e della sua famiglia, per comprenderne il significato in un quadro complessivo, sistemico e rispettoso della persona.

Che cos'è la Medicina Narrativa

Da qui nacque l’acronimo NBM (Narrative Based Medicine), dove la narrazione della patologia ad opera del paziente al medico è considerata fondamentale, al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa. La NBM non è in contrapposizione all’EBM (Evidence Based Medicine), ma entrambe si completano, non si elidono né si svalutano reciprocamente, ma si integrano rendendo le decisioni clinico-assistenziali più complete, efficaci ed appropriate.

Infatti, nell’incontro clinico avviene uno scambio di narrazioni e una negoziazione di significati che stimola la co-costruzione di una storia di cura, nonché il senso di identità della persona stessa. E poiché ogni storia esprime una prospettiva, la narrazione diviene il modo che dà senso ai fatti, mettendoli in ordine, in una trama specifica, sulla cui soglia vigila la coscienza riflessiva che permette non solo di ricomporre le proprie tracce, ma anche di raggiungere gli altri, coinvolgendoli attivamente.

Questo modello empatico, sviluppato presso la Harvard Medical School da B.J. Good, sottolinea, dunque, l'importanza delle “storie” nel valutare il rapporto medico-malato, prevedendo anche una ricerca qualitativa, attraverso la raccolta di dati sui vissuti del paziente (in termini di tristezza, sentirsi soli, provar dolore, sconforto) e sulla modulazione delle relazioni che egli vive nell’ambiente di cura. Il costrutto narrativo, che produce la sofferenza, presenta una ricchezza semantica che va oltre la valutazione delle peculiarità dell’attenzione sentita dal paziente (soddisfazione/insoddisfazione), ma mira a ridefinire la pratica clinica nel suo complesso. Le narrazioni di malattia sono, quindi, uno strumento di comprensione della relazione del paziente con la patologia stessa.

L'obiettivo è clinico-assistenziale e permette non solo di sviluppare un percorso di cura personalizzato, appropriato e in linea con le indicazioni dell'Evidence Based Medicine, contribuendo a migliorare la prognosi e l'alleanza terapeutica, ma diviene un potente strumento di trasformazione.

La Medicina Narrativa è una vera e propria metodologia

La pratica Narrativa non si limita a esortare i sanitari a un atteggiamento accogliente e solidale nei confronti del bisogno di raccontare che può avere il malato (e che questi può soddisfare attraverso altri canali, come quelli riconducibili alla “conversazione” o allo scambio sociale), né può essere confinata nella formula semplicistica di un tempo supplementare da dedicare alle narrazioni. Richiede, piuttosto, una competenza per discriminare le narrazioni funzionali da quelle disfunzionali, al fine di promuovere una medicina “sobria-rispettosa-giusta” in linea con la Slow Medicine (il movimento che si occupa della persona considerandola nella sua integrazione esistenziale a 360 gradi). La Medicina Narrativa, quindi, non richiede solo buona volontà, ma apprendimento metodico.

La metodologia narrativa, infatti, ha una precisa articolazione che procede per stadi: stimolare la narrazione, raccoglierne i contenuti, marcare e indicizzare gli stessi, costruire dei significati, elaborare il linguaggio narrativo, valutare in base all’impatto. Il professionista, oltre ad avere specifiche competenze comunicative e relazionali, deve essere opportunamente preparato così da analizzare preventivamente il contesto specifico, in modo da adottare lo strumento più idoneo e in linea con la persona per costruire un percorso di cura appropriato e condiviso.

Avere un’adeguata conoscenza delle metodologie e degli strumenti è il presupposto fondamentale, che mira non solo a rispondere al bisogno d’individuazione di una linea comune che permetta di fronteggiarne l’uso improprio, ma che soprattutto possa essere esperibile ai fini della ricerca, rispettando i princìpi di efficacia ed efficienza. Dato l’ampio spettro di esperienze analizzate nella relazione, non c’è un unico strumento per l’utilizzazione dell’approccio narrativo nel processo di care.

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Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza

giovedì 2 agosto 2018

5 alimenti amici del cuore




5 alimenti amici del cuore

Cosa può e non può mangiare chi soffre di problemi cardiovascolari? Il nuovo libro di Jane Esselstyn e Ann Crile Esselstyn è un manuale pratico con tantissime ricette per iniziare subito a prendersi cura del proprio cuore

Redazione Scienza e Conoscenza

Pioniere nella scoperta delle relazioni tra alimentazione e malattie cardiovascolari, il dottor Caldwell B. Esselstyn in oltre trent'anni di attività, ha messo a punto un programma alimentare per prevenire e curare le patologie legate al sistema cardiovascolare.

I principi su cui si basa la sua dieta sono 12: semplici passi da tenere sempre a mente per iniziare un percorso di guarigione dalle straordinarie potenzialità. Le linee guida per i cardiopatici sono semplici: niente carne; niente latticini; niente olio, neanche extra vergine di oliva, né semi oleosi; pochissimi sale e dolcificanti. Cosa possono mangiare? Un delizioso e colorato assortimento di ortaggi, frutta, legumi e cereali integrali, straboccanti di fibre, nutrienti e antiossidanti, tutti ottimi nutrimenti per il cuore e la salute in generale.

Qui di seguito trovate alcuni cibi permessi e salutari per il cuore, che vi aiuteranno ad affrontare con gioia un nuovo percorso alimentare.

Lievito di birra alimentare

L’abbiamo sempre in casa. È molto diverso da quello che si immagina. Il lievito alimentare è asciutto, in fiocchi o scaglie e di colore giallo chiaro. Lo si trova normalmente in confezioni nelle erboristerie e nei negozi di alimenti bio. È un’ottima fonte di proteine e ha un gradevole sapore di noce. Lo usiamo come si fa di solito con il parmigiano: mescolato ai cibi o sparso sopra. Dà loro più gusto e una consistenza cremosa.

Aceti aromatici

Il nostro arsenale è ben fornito di aceti: quelli che troviamo, quelli che ordiniamo apposta, quelli che ci regalano e quelli che usiamo quotidianamente. Quando cuociamo senza sale, l’aceto è utilissimo per esaltare il gusto, e lo si può trovare di vari tipi in molti negozi. Se non si vuole il colore scuro dei tradizionali aceti balsamici, si può utilizzare l’aceto aromatico bianco: è eccezionale sulle Bistecche di cavolfiore e sulla Vellutata di mais e scalogno. È bello trovare un negozio specializzato nell’aceto e gustarne la stupefacente varietà. Il vero balsamico tradizionale è di alta qualità, ma costoso; per l’uso quotidiano possono bastare buoni prodotti di base, anche aromatizzati in casa (la procedura è semplice).

Tofu

l tofu ha un alto contenuto di grassi, perciò lo usiamo con parsimonia e soprattutto nei dessert. In alcune ricette di dolci è fondamentale usare il tipo adatto per essere certi di ottenere una consistenza liscia ma soda. Noi usiamo il tofu seta (o tofu vellutato). Il tofu normale è più granuloso e alcuni tipi morbidi sono della consistenza di uno yogurt: nel libro non usiamo questi due.

Semi di lino macinati e semi di chia

Mangiateli ogni giorno spolverizzati sui cereali o nelle insalate per rifornirvi di acidi grassi omega 3. I semi di lino vanno sempre macinati prima del consumo, e dopo questa operazione dovrebbero essere conservati al fresco o congelati. I semi di chia non hanno bisogno di essere macinati né refrigerati. Entrambi i semi sono buoni addensanti. Per sostituire un uovo, mescolate 1 cucchiaio di farina di semi di lino e 3 di acqua, oppure 1 cucchiaio di semi di chia e circa 50 ml di acqua.

Latte vegetale

Ci sono molti tipi di latte vegetale: cercate quello più adatto per voi. Noi vi raccomandiamo il latte di mandorla o di avena non dolcificati. Si trova anche il latte di soia senza grassi, ma attenzione agli zuccheri aggiunti. Sconsigliamo il latte di riso, contiene olio aggiunto.

Cibo per il Cuore - Libro
L'alimentazione che cura - Menu completi per prevenire e guarire le malattie cardiache
Jane Esselstyn, Ann Crile Esselstyn