lunedì 31 gennaio 2022

Il DNA spazzatura? Un'antenna di biofotoni


Il DNA spazzatura? Un'antenna di biofotoni

Medicina Integrata

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Una scoperta semplice ma rivoluzionaria: le nostre cellule contengono ed emettono luce.

Gli studi pionieristici del Professor Fritz Albert Popp e i suoi successivi sviluppi ci hanno permesso di capire come ogni essere vivente emetta costantemente una radiazione ultra debole chiamata biofotone, così debole da essere equiparata alla visione della fiamma di una candela posta a 20 km di distanza.

Vincenzo Primitivo - 30/01/2022

L’emissione biofotonica del DNA

Ancora più rivoluzionaria è la scoperta che questa emissione ultra debole origina nel DNA.

Il DNA è stato sempre esclusivamente considerato come la molecola che contiene le informazioni genetiche necessarie per la sintesi delle proteine, gli elementi che sono alla base dell'identità degli organismi viventi.

Queste funzioni vengono svolte in realtà solo dal 5% del DNA esistente mentre il restante 95% veniva definito DNA spazzatura proprio perché non se ne conosceva l'utilità. I nuovi studi e le ricerche più recenti hanno conferito invece dignità biologica a questa porzione, assegnandole un ruolo fondamentale nel funzionamento dei sistemi viventi, come guida per tutti i processi cellulari.

Si è visto come questa parte di DNA agisca come un'antenna ricevendo ed emettendo segnali luminosi, trattenendo ed emettendo fotoni, i quali garantiscono una serie di fondamentali funzioni biologiche: in essi sono contenute e veicolate le informazioni che servono per regolare le attività fisiologiche e i processi cellulari, le reazioni biochimiche, la conduzione degli impulsi nervosi, la regolazione del sistema immunitario, l'alternarsi dei ritmi biologici, in buona sostanza il mantenimento in vita degli esseri viventi. Vita che deriva dalla luce ed è da essa sostenuta grazie a informazioni energetiche ben precise, che non lasciano spazio alla casualità.

L'insieme delle reazioni biochimiche all'interno di un ciclo biologico non avviene in base a incontri casuali fra molecole non collegate fra loro, ma grazie a informazioni provenienti dal vuoto quantistico, che permettono la selezione non casuale del proprio partner di azione all'interno di un numero elevatissimo di altre ipotesi. L'informazione che permette il meccanismo di selezione del partner molecolare riduce il caos che deriverebbe da una selezione casuale della scelta e di conseguenza riduce l'entropia del sistema. Il ricevimento dell'informazione dal vuoto quantico non sarebbe possibile se il sistema vivente non fosse aperto ad uno scambio con l'ambiente esterno.

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venerdì 28 gennaio 2022

Entanglement: connessioni fisica coscienza


L'entanglement: connessioni fra fisica e coscienza

Scienza e Fisica Quantistica

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La fisica quantistica e la coscienza umana sono strettamente correlate tra loro.

Nella sua opera Entanglement, il dottore in astrofisica e ricercatore internazionale Massimo Teodorani ci conduce sulle tracce di un’incredibile scoperta, in cui furono implicate personalità scientifiche di grande prestigio: la coscienza umana è una funzione della natura, rivelata e definita dalla fisica quantistica.

Redazione - Scienza e Conoscenza - 27/01/2022

A cura della redazione della collana Scienza e conoscenza

Il lavoro di Stuart Hameroff (medico anestesista statunitense e professore presso l'Università dell'Arizona) consisteva nel trovare possibili locazioni e strutture nel cervello in grado di permettere effetti di computazione quantistica, però mancava ancora l’ossatura fisica della teoria quantistica della coscienza. Fu così che entrò in scena Roger Penrose, il quale spiegò quali sono i meccanismi fisici che determinano la formazione di momenti di coscienza nel cervello, tramite stati di entanglement e coerenza presenti nei microtubuli e il collasso della funzione d’onda che raccoglie tutti assieme gli stati quantistici all’interno dei microtubuli.

Il suddetto collasso si verifica in una maniera estremamente sofisticata e avviene non tramite un processo di misura ma tramite la gravità quantistica. Questo collasso porta ad atti elementari di coscienza, che però non sono computabili in senso convenzionale (si tratta cioè di processi non-algoritmici), come invece si era ritenuto fino a ora, cioè che fossero i neuroni con i loro meccanismi di trasmissione elettrica i principali protagonisti del processo.

Affinché abbia luogo tutto questo è necessario che il cervello realizzi uno stato di coerenza quantistica macroscopica, e che tale stato sia mantenuto per un certo tempo. Come vedremo, il collasso degli stati di sovrapposizione quantistica che si verificano nel cervello tramite i microtubuli, ha luogo in media ogni quarantesimo di secondo. Come concordano sia Penrose che Hameroff, la coscienza è un processo che sta al confine tra il mondo quantistico e il mondo classico.

Esso si articola in due fasi fondamentali:

Nella prima fase abbiamo un “momento inconscio” corrispondente alla sovrapposizione quantistica di tutti gli stati delle tubuline nei microtubuli, una specie di limbo della coscienza di brevissima durata.

Nella seconda fase abbiamo il “momento conscio” vero e proprio corrispondente al collasso della funzione d’onda che raccoglieva in sé in un unico stato quantistico il complesso entanglement globale che unisce i microtubuli nel cervello: questa seconda fase viene denominata “riduzione obiettiva orchestrata”. Obiettiva perché il collasso della funzione d’onda riduce uno stato quantistico a uno stato classico. Orchestrata perché il momento di coscienza risulta dall’azione concertata di un certo numero di microtubuli entangled nel cervello.

In base ai calcoli, si è in grado di stabilire che per generare un momento di coscienza corrispondente alla riduzione orchestrata, sia necessario un numero di 109 tubuline. Questa seconda fase innesca, automaticamente in seguito al collasso della funzione d’onda, i normali processi elettrici tramite i quali neuroni e sinapsi comunicano tra loro tramite segnali convenzionali.

Le conoscenze tradizionali sul funzionamento del cervello non erano sbagliate in sé, ma solo profondamente incomplete, dal momento che prendevano in considerazione solo gli effetti delle cose ma non le cause (questa è una caratteristica costante di tutta la scienza tradizionale di stampo prettamente Newtoniano).

Ma che cosa determina il collasso della “funzione d’onda cerebrale”?

Non si tratta di un processo di misura o osservazione come avviene nei normali processi quantistici, né della decoerenza per via delle interazioni distruttive a livello quantistico che possono avvenire nel cervello. Qui si tratta di un processo completamente diverso che ha le sue radici nella gravità quantistica. Sembrerà strano, un collasso gravito-quantistico all’interno del cervello sarebbe davvero una cosa buffa, ma è reale ed è comprensibile una volta che si capisce il contesto fisico preciso in cui essa avviene. Penrose ritiene che le sovrapposizioni quantistiche di stati a livello delle tubuline nei microtubuli si manifestino come “separazioni” a un livello molto elementare della realtà: l’ultima delle realtà possibili, almeno in base alle più avanzate conoscenze di fisica teorica. Si tratta proprio del campo di Planck, quella “zona” denominata anche “schiuma quantistica” (o vuoto quantistico, che è solo un falso vuoto), dove il mondo quantistico e il mondo relativistico finiscono per coincidere per forza, dal momento che questo campo è al contempo materia-energia (soggetta a effetti quantistici) e spazio-tempo.

Secondo la teoria della relatività, una massa ha la caratteristica di incurvare lo spazio-tempo. Penrose ritiene che proprio la gravità, generata dalla massa, sia importante per comprendere gli enigmi della meccanica quantistica, e che la meccanica quantistica debba essere modificata per lasciare spazio agli effetti della gravità, piuttosto che il contrario. E il campo di Planck è il contesto ideale dove sviluppare questa fisica.

Roger Penrose ha infatti studiato a fondo il problema dell’unificazione tra meccanica quantistica e relatività generale sotto forma della sua teoria degli “spin network”, e proprio nel cervello avrebbe trovato una zona ideale dove questa unificazione può avere luogo, solo che prima del collasso della funzione d’onda (il momento di coscienza) è come se gli elementi che forniscono coscienza al cervello si trovassero in uno stato di animazione sospesa in un’altra dimensione: appunto il campo di Planck, con una lunghezza caratteristica di 10-33 cm.

Cosa sono gli stati di sovrapposizione quantistica?

Cosa succede quando abbiamo gli stati di sovrapposizione quantistica nell’orchestra di microtubuli entangled che animano il cervello? Questi corrispondono a delle separazioni (o bolle) nello spaziotempo, e si tratta di fattori che lo fanno collassare allo stesso modo in cui una massa collassa in un buco nero. Quella “informazione sospesa” che caratterizza gli stati di sovrapposizione, è quella che da Penrose viene denominata “informazione protoconscia”. Essa risiede nel campo di Planck, ma Penrose estende proprio a questa scala la teoria della relatività generale (in cui una massa curva lo spazio tempo). In tal modo, arrangiamenti specifici di masse come ad esempio quelle dei microtubuli, rappresentano allora configurazioni specifiche della geometria dello spaziotempo.

Ma qui non ci troviamo attorno all’ergosfera di un buco nero, ma in un ambiente microscopico e allora agli effetti relativistici vanno aggiunti quelli quantistici: in tal modo la massa-energia delle tubuline nei microtubuli incurva lo spazio-tempo, e quando le tubuline si trovano in stato di sovrapposizione quantistica, questo nello spazio-tempo si manifesta come “separazioni” della massa totale, che non è altro che un effetto simultaneo (per entanglement) di curvatura spazio-temporale in opposte direzioni. In queste circostanze una proteina come la tubulina viene a trovarsi in due stati sovrapposti corrispondenti a due alternative curvature spazio-temporali: ciò corrisponde esattamente a uno stato di sovrapposizione quantistica di 0 e 1.

Il cervello umano: un computer quantistico?

Si immagini il numero di tubuline che si trovano in questo stato all’interno di un singolo microtubulo e al numero totale di microtubuli nel cervello: avremo un numero spropositato di Qubit. Ma questa non è altro che la manifestazione di un computer quantistico! Infatti, in fase di sovrapposizione le tubuline comunicano con le altre tubuline entangled che si trovano nello stesso microtubulo, negli altri microtubuli che si trovano nello stesso neurone, e nei microtubuli dei neuroni vicini e poi attraverso regioni macroscopiche del cervello. Ma tutti questi processi traggono la loro origine dalla scala di Planck, ovvero dal vuoto quantistico! Sembra che il vuoto quantistico sia una “zona” lontana da noi; in realtà si trova nello spazio interatomico, cioè ovunque, e quindi anche nel nostro corpo e nei microtubuli. Ma all’aumentare delle dimensioni di un dato sistema di sovrapposizioni quantistiche come nel caso dell’immenso mare di microtubuli nel cervello, ci si viene a trovare a un punto – un valore di soglia – in cui un “fattore obiettivo” rappresentato dalla gravità quantistica del campo di Planck determinerà il collasso di tutta questa sovrapposizione.

Sul piano di Planck – ovvero del vuoto quantistico – ciò si manifesta quando una curvatura nello spazio-tempo diventa troppo grande: finirà per collassare in uno stato o in un altro, sotto l’azione della gravità stessa!

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L'intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza

Massimo Teodorani

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mercoledì 26 gennaio 2022

Esperimento Young: prova natura ondulatoria luce


Esperimento di Young: prova concreta della natura ondulatoria della luce

Scienza e Fisica

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Se fino alla fine del Settecento era predominante la concezione newtoniana secondo cui la luce sarebbe composta da particelle, nel 1802 il medico inglese Thomas Young realizzò un esperimento sensazionale che sembrò sbaragliare il modello corpuscolare. L’esperimento di Young è molto semplice.

Davide Fiscaletti - 25/01/2022

La luce entra in una piastra con due fenditure. Si osserva quindi, su un apposito schermo, posizionato a una certa distanza dietro la fenditura, il comportamento della luce dopo che ha attraversato le fenditure. La cosa interessante, e a quei tempi rivoluzionaria, è che Young vide sullo schermo bande chiare e scure che si alternavano.

Se però copriva una delle due fenditure in modo che la luce passasse solo dall’altra, le bande scomparivano. Supponendo che la luce sia composta da particelle, la luminosità dovrebbe dipendere direttamente dal numero di particelle: più particelle arrivano in un punto, più esso ci apparirà luminoso.

Con questa ipotesi non è però possibile spiegare le bande effettivamente osservate da Young. In particolare, non si riesce assolutamente a spiegare perché in certi punti avvenga un fenomeno bizzarro: la diminuzione della luminosità se sono aperte entrambe le fenditure e l’aumento della luminosità quando solo una fenditura è aperta. Insomma, l’ipotesi secondo la quale la luce è composta da particelle sembra essere smentita dall’osservazione sperimentale di bande chiare e scure.

I risultati ottenuti da Young possono essere invece compresi facilmente ipotizzando che la luce si comporti come un’onda sul lago, che la luce sia un’onda che si diffonde nello spazio. L’esperimento di Young evidenzia il cosiddetto fenomeno di interferenza di due onde luminose, cioè della sovrapposizione di due onde luminose provenienti da due sorgenti coerenti (che emettono onde di eguale frequenza e mantengono inalterata la differenza di fase): dietro le due fenditure compaiono due onde che nelle zone in cui oscillano nella stessa direzione si rafforzano generando bande chiare (interferenza costruttiva), mentre nelle zone in cui oscillano in direzioni opposte si annullano a vicenda generando bande scure (interferenza distruttiva).

Ecco cosa potrai approfondire nella versione completa dell'articolo sulla rivista

Maxwell e l'elettromagnetismo

Einstein: i fotoni

Dualismo oggettivo onda-corpuscolo versus principio di complementarità

Esperimenti sulla luce nella seconda metà del Novecento

La luce nella teoria quantistica dei campi

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lunedì 17 gennaio 2022

Biofisica Quantistica: sottili connessioni


Biofisica e Fisica Quantistica: le sottili connessioni

Scienza e Fisica Quantistica

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La nostra redazione ha intervistato il professor Edilio Giannazzo, docente di biofisica che ci parla della relazione che intercorre tra la fisica quantistica e la biofisica stessa.

Redazione - Scienza e Conoscenza - 16/01/2022

Professor Giannazzo grazie per la disponibilità a questa intervista. Inizio con una domanda che possa chiarire meglio il campo in cui iniziamo a muoverci. Lei è docente di biofisica: che cos'è la biofisica e di che cosa si occupa principalmente?

La base culturale della Biofisica ha una duplice realtà in biologia: la biofisica fisiologica, che studia i processi fisiologici, quale espressione di precise leggi fisiche che governano l’organizzazione funzionale delle strutture biologiche e le tecnologie biofisiche, nate dalla ricerca multidisciplinare di fisici, ingegneri, biologi e medici che, nella quasi totalità sfruttano l’interazione dei campi elettromagnetici (c.e.m.) con la struttura biologica.

Quali sono i punti di contatto tra la biofisica e la fisica quantistica?

Non mi limiterei a definirli punti di contatto, ma una stretta correlazione tra la biofisica e la fisica quantistica. È evidente che mi riferisco essenzialmente alle tecnologie biofisiche. Ricordiamo che il passaggio dalla fisica classica alla quantistica fu dovuto alle scoperte fisiche a cavallo del XIX e il XX secolo, con la definizione della fisica delle particelle atomiche, la relazione tra materia e onde elettromagnetiche e la definizione della singolarità dei quanti (fotoni) componenti le o.e.m.. Va precisato che fra le tecnologie biofisiche, intendo riferirmi anche alla nuova disciplina, la medicina quantistica.

Queste discipline ci danno una nuova chiave di lettura dei processi biologici? Questa chiave, a suo parere, è stata recepita dalla medicina tradizionale?

Ancora una volta non mi limiterei a definire nuova chiave di lettura ma realtà scientifica dei processi biologici che spero di poter chiarire successivamente. Relativamente alla seconda domanda, va specificato che la medicina tradizionale ha recepito e accettato, anche dal punto scientifico, quanto riguarda la realtà diagnostica e terapeutica delle radiazioni X, gli impieghi delle radiazioni nucleari, del laser, della magnetoterapia.

Anche se non sono stati riconosciuti, queste metodiche fanno parte della fisica quantistica, proprio come interazione dei c.e.m. con le strutture biologiche Diverso è l’atteggiamento della medicina tradizionale nei riguardi della biofisica clinica che sta alla base della medicina quantistica.

Oggi si parla molto di medicina quantistica, a volte anche in maniera un po' fumosa: potrebbe darcene una visione e un quadro chiaro dal suo punto di vista?

L’interazione così vantaggiosa per la nostra esistenza si differenzia nettamente dalla interazione di altre radiazioni come le radiazioni X e nucleari, riconosciute radiazioni ionizzanti, che nella loro interazione con la struttura biologica, sono in grado di causare effetti collaterali dannosi e irreversibili. È stato possibile accertare che il limite di transizione è legato all’energia propria di ciascuna radiazione. Così è notorio che le radiazioni con energia (hν) superiore all’ultravioletto, definiscono il limite che divide le onde elettromagnetiche tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti. Inoltre, da oltre due secoli sono noti gli effetti positivi della omeopatia, anch’essa osteggiata dalla medicina tradizionale, anche se due premi nobel, Benveniste e Montagnier sono riusciti a dimostrare che il beneficio dei rimedi omeopatici è riconducibile all’interazione delle debolissime o.e.m. memorizzate nella estrema diluzione del simillimum.

Lei ha condotto diversi studi scientifici sull'efficacia diagnostica e terapeutica di alcune metodologie alternative, come l'elettroagopuntura di Voll e la Mora terapia: come è nato in lei l'interesse verso un campo di ricerca che molti definirebbero di confine?

La preparazione di Fisica elettronica di base, l’insegnamento di Biofisica Medica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania e l’appartenenza all’equipe di ricerca del dipartimento di Scienze Fisiologiche, mi ha sempre portato ad impegnarmi nella ricerca in Biofisica Fisiologica, in Elettronica e Informatica Biomedicale e nei fenomeni d’interazione tra campi elettrici ed elettromagnetici e strutture biologiche.

In quest’ambito, sono venuto a conoscenza di nuove tecnologie che, sfruttando le interazioni delle onde elettromagnetiche LEF con l’organismo, possono essere utilizzate per effettuare sia esami diagnostici che trattamenti terapeutici mirati. Devo confessare che, alla richiesta di un amico di valutare l’apparecchiatura che aveva acquistato il figlio, capace di realizzare dette tecnologie, la mia risposta (da ignorante) fu “di queste cose non me ne devi parlare”. La sua risposta fu: “sei il biofisico della Facoltà, desidero che sia tu a valutare la realtà biofisica su cui si basano queste tecnologie”.

Avendo riconosciuto validi i principi biofisici di base ed anche della diagnostica kinesiologica che non conoscevo, ho voluto sottoporre dette tecnologie ad una sperimentazione scientifica, ritenendo che, per la singolarità e l’originalità, questi nuovi approcci, attualmente classificati tra le medicine non convenzionali, dovevano essere adeguatamente veri-ficati dalla ricerca di base. Pertanto, prima di accertarle in fede, abbiamo programmato di sperimentarle per confermarne la validità.

La Mente e la Medicina Quantistica - eBook >> https://bit.ly/3qwYJnG

L’incontro tra le Teorie Quantistiche, la Mente e la Spiritualità

Gioacchino Pagliaro

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sabato 15 gennaio 2022

Fisica quantistica: il salto quantico


Fisica quantistica: il salto quantico

Scienza e Fisica Quantistica

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Nella società attuale viene spesso tirato in ballo, anche da politici e guru dell’economia, il concetto di salto quantistico. “Oggi l’economia sa che deve passare attraverso un'utopia spirituale, un salto quantistico che porti alla realizzazione di un nuovo concetto di valore”, “L'Europa ha bisogno di un salto quantico in avanti in tutti gli aspetti che sono, al momento, in discussione” o frasi analoghe si sentono e si leggono in televisione, su internet e nei giornali. Ma qual è il vero significato di questa espressione?

Davide Fiscaletti - 14/01/2022

L'articolo è tratto dalla Rivista Scienza e Conoscenza

In questa breve nota, senza pretendere di fornire una trattazione completa, intendiamo sottolineare alcuni aspetti e aneddoti significativi sul salto quantistico.

Con la nascita e lo sviluppo della fisica dei quanti, il concetto di salto quantistico fu introdotto per indicare il passaggio tra diversi stati di eccitazione, o meglio tra diversi stati dell’onda di probabilità, degli elettroni all’interno degli atomi, che avviene contemporaneamente all’emissione di luce. Questi salti di energia possono essere calcolati in modo molto preciso utilizzando l’equazione di Schrödinger e si possono verificare sperimentalmente misurando esattamente la luce emessa da un certo tipo di atomo. Il salto quantistico è un fenomeno del tutto spontaneo nel senso che avviene con una probabilità oggettiva e non è spiegabile con altre cause. Va quindi sottolineato che, contrariamente all’uso che spesso si fa di questa espressione nel linguaggio quotidiano, un salto quantistico non è qualcosa di grandioso, che porta a una nuova qualità o a qualcosa di molto interessante o nuovo, ma anzi è qualcosa di piccolissimo che avviene in modo del tutto spontaneo e non può essere influenzato da alcunché.

Il salto quantistico della fisica diventa il salto quantico della coscienza

A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’espressione salto quantistico cominciò ad essere usata per indicare anche uno shift o spostamento nella consapevolezza. Come suggerisce il Dr. Quantum Fred Alan Wolf nel suo famoso libro Taking the quantum leap, per comprendere il concetto di salto quantistico come salto di consapevolezza può essere utile prendere in considerazione il principio di complementarità della fisica dei quanti. Secondo questo principio, introdotto da Bohr nel 1927, due grandezze fisiche sono complementari se si escludono reciprocamente, nel senso che non è possibile conoscere con precisione entrambe. Questo è, per esempio, il caso della posizione e del momento di una particella o, nell’esperimento della doppia fenditura, della traiettoria e della figura d’interferenza. La complementarità comporta, in sostanza, che ciò che scegli di osservare influenza quello che puoi osservare. Da questo deriva, allora, che la consapevolezza ha la potenzialità di modificare una probabilità più certa in una probabilità meno certa. È, proprio questa considerazione che sta alla base dell’idea del salto quantico inteso come spostamento nella consapevolezza: infatti, in una tale situazione un osservatore può perdere un certo tipo di conoscenza ma guadagnarne un’altra, di tipo diverso. Quando questo accade, l'osservatore ha mutato la propria forma di conoscenza. La conoscenza pertanto rappresenta uno specifico risultato di uno spostamento nella consapevolezza ed è soggetta a dei cambiamenti. Potremmo avere conoscenza di un oggetto e nel tentativo di saperne di più su quello stesso oggetto potremmo perdere parte della nostra conoscenza iniziale.

Le ricerche

Per quanto riguarda l’idea del salto quantistico come salto di consapevolezza si può anche pensare che esista una stretta connessione della mente con un livello profondo, fondamentale che sottende la realtà esperita. Esistono svariate ricerche in questo senso: si pensi per esempio all’Ordine Implicito di Bohm o, più recentemente, al Campo Akashiko di Laszlo, alla Matrix Divina di Braden, al Campo del Punto Zero di Lynn McTaggart, allo spazio fisico atemporale dell’autore di questo breve articolo (insieme a Sorli), e all’Informazione Implicita di Anna Bacchia e dell’Associazione Vocal Sound. Tutte queste ricerche comportano che esiste un campo fondamentale, che connette tutta la creazione, che sta alla base di tutta la realtà e che la determina. È lecito quindi affermare che il salto quantistico di consapevolezza rappresenti, di fatto, un allineamento con questo campo fondamentale. L’informazione che deriva dal campo, dal livello fondamentale della realtà dirige il disegno delle nostre vite mentre noi siamo liberi di scegliere e, mediante un salto quantistico di consapevolezza, esiste per ciascuno di noi la possibilità di essere raggiunti da questa informazione.

Salto-allineamento

A questo proposito, l’Associazione Vocal Sound ha anche introdotto un nuovo termine, ÌNIN, per indicare il processo attraverso cui l’informazione implicita si allinea con l’antenna intuitiva umana. Questo processo, in particolare, può essere riconosciuto come un allineamento con le frequenze del campo vibrazionale in cui siamo immersi, e che costituisce l’origine e la vera natura della realtà. In base all’approccio cognitivo sviluppato dall’Associazione Vocal Sound, l'uomo può riconoscere che è sempre in sintonia con questa natura profonda della realtà, dove esiste un allineamento con diversi livelli di frequenza che esprimono differenti livelli dell'esistenza: da quelli di natura più concreta, a quelli più sottili ed espansi. È importante sottolineare, che le informazioni implicite, che raggiungono la nostra antenna intuitiva in un salto quantistico di consapevolezza, non emergono solo dal campo sensoriale ed esplicito, ma in ogni nostra interrelazione quotidiana creante forme a tutti i livelli: forme parola, forme gesto, forme movimento, forme decisioni… Ogni forma visibile ci parla oltre la forma esplicita: ogni spazio architettonico, ogni volto, ogni sito web, ogni albero, ogni entità dell’universo con cui interagiamo o ci inter-relazioniamo ci parla oltre la sua forma. Ogni forma visibile esplicita e l’ambiente intero che ci circonda possono costituire un luogo unico, un ponte, un segno, un preludio che dischiude la sinfonia, un gate, una porta che ci mette in contatto con la dimensione implicita che emana costantemente informazioni. Attraverso questo processo di connessione con l’informazione implicita la coscienza può essere espansa e l’intero campo del concepire e del comprendere può essere totalmente rinnovato rispetto alle modalità della conoscenza ordinaria. Con l’esperienza ÌNIN, l’antenna umana ricevente è capace di essere orientata e la consapevolezza può espandersi dal conosciuto al conoscibile, dal percepito al percepibile, dall’invisibile che diventa visibile. L’esperienza ÌNIN introdotta dall’Associazione Vocal Sound può quindi essere considerata uno sviluppo rilevante e suggestivo dell’idea del salto quantistico come salto di consapevolezza.

Scienza e Conoscenza n. 76 - Aprile-Giugno 2021 >> https://bit.ly/3dKxwWX

Rivista - Autori vari

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giovedì 13 gennaio 2022

Lipton e l'evoluzione della Biologia


Bruce Lipton e l'evoluzione della Biologia

Scienza e Fisica Quantistica

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C’è una cosa che io chiamo umorismo dell’universo; altri possono chiamarlo scherzo cosmico. Ci sono state occasioni nella vita di tutti noi in cui abbiamo creduto di sapere esattamente quale sarebbe stato il risultato di qualche avvenimento o fatto.

Eravamo così convinti di sapere quello che sarebbe successo che avremmo potuto scommettere la fattoria di famiglia più il lavello della cucina sull’esito dell’evento. Ma...

Bruce Lipton - 12/01/2022

È in momenti come questi che l’universo ci sorprende compiendo una svolta a sinistra invece che a destra.

Mentre nella maggior parte dei casi una tale svolta potrebbe provocare rabbia, delusione o disillusione, io di solito reagisco scrollando la testa con profonda ammirazione nella perversa natura dell’umorismo dell’universo. Proprio quando pensavo di sapere esattamente come sarebbero andate a finire le cose mi trovo senza fiato per la sorpresa. Meravigliato, devo rivedere e riconsiderare le credenze che avevo e che mi hanno portato alla mia errata conclusione.

Quando l’umorismo dell’universo colpisce un individuo, riconoscere la propria sorprendente mancanza di consapevolezza può provocare un profondo cambiamento nella propria vita. A livello individuale, ognuno deve riconsiderare le proprie credenze per far posto a delle osservazioni sorprendenti.

Invece, il corso della storia umana muta radicalmente quando l’umorismo dell’universo sovverte una credenza che è parte della trama dell’intera società. Considerate come il corso della storia umana sia cambiato quando la credenza che il mondo fosse piatto fu sfidata dalla circumnavigazione del globo.

Nel 1893 l’ordinario di fisica dell’Università di Harvard avvisò i suoi studenti che non c’era più bisogno di ulteriori dottorati di ricerca nel campo della fisica. Affermò con vanto che la scienza aveva stabilito il fatto che l’universo era una macchina materiale, fatta di atomi fisici e indivisibili che obbedivano interamente alle leggi della meccanica newtoniana. Poiché tutte le leggi descrittive della fisica erano conosciute, il futuro della fisica sarebbe stato relegato a compiere misurazioni sempre più accurate.

Due anni dopo, il concetto newtoniano di un universo di sola materia fu rovesciato dalla scoperta di particelle subatomiche, raggi-x, e radioattività. Nel giro di dieci anni, i fisici avevano dovuto mettere da parte la loro credenza fondamentale in un universo materiale, poiché si riconosceva che esso era invece fatto di energia la cui meccanica obbediva alle leggi della fisica quantistica. Quel pizzico d’umorismo dell’universo cambiò profondamente il corso della civilizzazione, portandoci dalle macchine a vapore alle navicelle spaziali, dai telegrafi ai computer.

Bene … il giullare cosmico ha colpito ancora!

Com’è successo alcune volte in passato, l’esprimersi dell’umorismo dell’universo rovescia una credenza di base fondamentale sostenuta dalla scienza convenzionale. Lo scherzo è contenuto nei risultati del Progetto sul Genoma Umano. In tutto il trambusto sulla sequenza del codice genetico umano, assorbiti dalla brillante impresa tecnologica, non abbiamo guardato attentamente al vero significato dei risultati.

Una delle credenze centrali più importanti e fondamentali della biologia convenzionale è che i tratti e il carattere degli organismi sono controllati dai loro geni. Questa credenza si basa sul concetto della determinazione genetica, il dogma convenzionale che si trova praticamente in ogni libro di testo e in ogni corso di biologia. Come fanno i geni a controllare la vita? Ci si basa sul concetto che i geni sono auto-emergenti, cioè che essi sono capaci di accendersi e spegnersi da soli. I geni che si auto-attivano produrrebbero programmi simili a quelli del computer che controllerebbero la struttura e la funzione dell’organismo. Di conseguenza, la nostra credenza nella determinazione genetica implica che la complessità (livello evolutivo) di un organismo sarebbe proporzionale al numero di geni che esso possiede.

Prima che il Progetto Genoma Umano fosse iniziato, gli scienziati avevano stimato che la complessità umana necessitasse di un genoma superiore ai 100.000 geni. I geni sono principalmente modelli che racchiudono il codice della struttura chimica delle proteine, le “parti” molecolari che compongono la cellula. Si credeva che ci fosse un gene per codificare ognuna delle 70.000 o 90.000 proteine che compongono il nostro corpo.

Oltre ai geni che codificano le proteine, la cellula contiene geni che determinano il carattere di un organismo controllando l’attività di altri geni. I geni che programmano il funzionamento di altri geni si chiamano geni regolatori. I geni regolatori codificano informazioni sui complessi modelli fisici che realizzano anatomie specifiche, le quali rappresentano le strutture che distinguono ogni tipo di cellula (cellule muscolari da cellule ossee, per esempio) o di organismo (una scimmia da un essere umano). Inoltre, un sottogruppo di geni regolatori è associato al controllo di specifici modelli comportamentali. I geni regolatori orchestrano l’attività di un numeroso gruppo di geni le cui azioni contribuiscono collettivamente all’espressione di tratti quali la consapevolezza, l’emozione e l’intelligenza. Era stato stimato che ci fossero più di 30.000 geni regolatori nel genoma umano.

Considerando il numero minimo di geni necessari per formare un essere umano, per cominciare occorrerebbero oltre 70.000 geni, ovvero uno per ognuna delle oltre 70.000 proteine che si trovano in un corpo umano. Poi includeremo il numero di geni regolatori che necessitano per provvedere alla complessità di modelli espressi nella nostra anatomia, fisiologia e comportamento. Arrotondiamo il numero di geni umani a 100.000 tondi includendo un numero minimo di 30.000 geni regolatori.

Pronti per lo scherzo cosmico? I risultati del Progetto Genoma rivelano che ci sono solo circa 34.000 geni nel genoma umano. Due terzi degli attesi geni non esistono! Come possiamo rendere conto della complessità di un essere umano geneticamente controllato quando non ci sono geni sufficienti nemmeno per codificare le proteine? Più umiliante per il dogma della nostra credenza nella determinazione genetica è che non c’è molta differenza nel numero totale di geni trovati negli esseri umani e quelli trovati negli organismi primitivi che popolano il pianeta. Recentemente i biologi hanno completato la mappatura del genoma di due dei più studiati modelli animali nella ricerca genetica, la mosca della frutta e un microscopico verme (Caenorhabditis elegans).

Il primitivo verme caenorhabditis serve perfettamente come modello per studiare il ruolo dei geni nello sviluppo e nel comportamento. Quest’organismo primitivo dalla crescita e riproduzione rapide, ha un corpo precisamente modellato che comprende esattamente 1029 cellule ed un cervello semplice, di circa 200 ordinate cellule. Presenta un singolare repertorio di comportamenti e, più importante, si presta alla sperimentazione genetica. Il genoma del caenorhabditis è composto di oltre 18.000 geni. Il corpo umano con più di 50 trilioni di cellule ha un genoma con solo 15.000 geni in più di un misero e microscopico verme senza spina dorsale.

«Sul margine estremo della scienza cellulare sta emergendo il riconoscimento che l’ambiente e, più specificatamente, la nostra percezione dell’ambiente controlla direttamente il nostro comportamento e l’attività dei geni».

Appare ovvio che la complessità degli organismi non è riflessa nella complessità dei suoi geni. Ad esempio, si è recentemente scoperto che il genoma della mosca della frutta consiste di 13.000 geni. L’occhio della mosca della frutta è composto da più cellule di quelle che si trovano nell’intero verme caenorhabditis. Profondamente più complessa nella struttura e nel comportamento del microscopico verme, la mosca della frutta ha 5.000 geni in meno!

Il Progetto Genoma Umano è stato uno sforzo complessivamente dedicato a decifrare il codice genetico umano. Si pensava che il completo modello genetico umano avrebbe dato tutte le necessarie informazioni alla scienza per curare tutte le malattie dell’umanità. Si credeva inoltre che la consapevolezza del meccanismo del codice genetico umano avrebbe permesso agli scienziati di creare un Mozart o un altro Einstein.

Il fallimento dei risultati del genoma a conformarsi alle nostre aspettative rivela che le nostre aspettative di come funziona la biologia sono basate chiaramente su ipotesi o informazioni errate. La nostra credenza nel concetto di determinismo genetico è fondamentalmente errata! Non possiamo in vero affermare che il carattere delle nostre vite è la conseguenza della nostra programmazione genetica. I risultati del genoma ci portano a riconsiderare la domanda: da dove acquisiamo la nostra complessità biologica?

In un commento sui sorprendenti risultati dello studio sul genoma umano, David Baltimore, uno dei genetisti più importanti, vincitore del Premio Nobel, affrontò la questione della complessità:

«A meno che il genoma umano non contenga parecchi geni che risultino opachi ai nostri computer, è chiaro che non dobbiamo la nostra indubitabile maggior complessità rispetto ai vermi e alle piante a un maggior numero di geni. Capire cosa ci dà questa complessità – il nostro enorme repertorio comportamentale, abilità a produrre azioni consce, notevole coordinazione fisica, variazioni precisamente modulate in risposta ai cambiamenti dell’ambiente esterno, l’apprendimento, la memoria … ho bisogno di continuare? – rimane una sfida per il futuro». (Nature 409:816, 2001).

Gli scienziati hanno continuamente sostenuto che i nostri destini biologici sono scritti nei nostri geni. Davanti a quella credenza, l’universo ci prende in giro con uno scherzo cosmico: il controllo della nostra vita non è nei geni. Certamente la conseguenza più interessante dei risultati del progetto è che noi ora dobbiamo affrontare la “sfida del futuro” cui alludeva Baltimore. Che cosa controlla la nostra biologia, se non i nostri geni?

Negli anni scorsi, l’enfasi della scienza e della stampa sul potere dei geni ha oscurato il brillante lavoro di molti biologi che rivela una comprensione radicalmente diversa dell’espressione organismica. Sul margine estremo della scienza cellulare sta emergendo il riconoscimento che l’ambiente e, più specificatamente, la nostra percezione dell’ambiente controlla direttamente il nostro comportamento e l’attività dei geni.

Sono stati recentemente identificati i meccanismi molecolari per cui gli animali, dalle singole cellule sino agli esseri umani, rispondono agli stimoli dell’ambiente ed attivano le risposte fisiologiche ed i comportamenti appropriati. Le cellule utilizzano questi meccanismi per adattare dinamicamente la loro struttura e funzione per adeguarsi alle richieste dell’ambiente in continuo mutamento. Il processo di adattamento è mediato dalla membrana cellulare (la pelle della cellula), che equivale al cervello della cellula. Le membrane cellulari riconoscono i segnali dell’ambiente attraverso proteine-recettori. I recettori riconoscono segnali sia fisici (ad es. sostanze chimiche, ioni) che energetici (ad es. forze elettromagnetiche e scalari).

I segnali dell’ambiente attivano le proteine-recettori, facendole agganciare a proteine reagenti. Le proteine reagenti sono “interruttori” che controllano il comportamento della cellula. Proteine recettori e reagenti danno alla cellula la consapevolezza attraverso la sensazione fisica. In senso stretto, questi complessi proteici della membrana rappresentano unità molecolari di percezione. Queste molecole di percezione della membrana controllano anche la trascrizione dei geni (l’accendersi o spegnersi dei programmi genetici) e sono state recentemente associate a mutazioni di adattamento (alterazioni genetiche che riscrivono il codice del DNA in risposta allo stress).

La membrana cellulare è l’omologo (equivalente) strutturale e funzionale di un chip del computer, mentre il nucleo rappresenta un leggi-e-scrivi hard disc caricato con programmi genetici. L’evoluzione degli organismi, risultante da un sempre maggior numero di unità percettive della membrana, potrebbe essere riprodotta usando la geometria frattale. I modelli frattali ripetuti permettono un controllo incrociato di struttura e funzione fra tre livelli di organizzazione biologica: la cellula, l’organismo multicellulare, e l’evoluzione sociale. Attraverso la matematica frattale possiamo ottenere una preziosa conoscenza del passato e del futuro dell’evoluzione.

L’ambiente, attraverso l’atto della percezione, controlla il comportamento, l’attività genetica, e persino la riscrittura del codice genetico. Le cellule imparano (si evolvono) creando nuove proteine percettive in risposta alle nuove esperienze ambientali. Le percezioni apprese, specialmente quelle derivate da esperienze indirette (ad es. genitori, coetanei, educazione accademica), potrebbero essere basate su informazioni scorrette o errata interpretazione. Poiché potrebbero essere o non essere vere, le percezioni sono in realtà… credenze!

La nostra nuova conoscenza scientifica sta ritornando all’antica consapevolezza del potere della credenza. Le credenze sono indubbiamente potenti – siano esse vere o false. Mentre abbiamo sempre sentito del potere del pensiero positivo, il problema è che il pensiero negativo è altrettanto potente, ma nella direzione “opposta”. I problemi che s’incontrano con la salute nel corso della nostra vita sono generalmente connessi alle errate percezioni acquisite nelle nostre esperienze conoscitive. La meravigliosa parte della storia è che le percezioni possono essere reimparate. Possiamo rimodellare le nostre vite nel riaddestrare la nostra consapevolezza. Questa è un riflesso della saggezza senza tempo che c’è stata tramandata ed è ora riconosciuta nella biologia cellulare.

Una comprensione dei nuovi meccanismi che descrivono il controllo cellulare causerà uno spostamento profondo nelle credenze biologiche quanto la rivoluzione quantistica ne ha causato nella fisica. La forza del nuovo emergente modello biologico è che unisce le filosofie di base della medicina convenzionale, della medicina complementare e della guarigione spirituale.

Bruce Lipton

Il Dr. Bruce Lipton, biologo cellulare, autore e ricercatore, è stato professore associato di anatomia alla Scuola di Medicina dell’Università del Wisconsin, dove ha partecipato al curriculum medico come ricercatore di biologia cellulare ed istologia. La sua ricerca di laboratorio sulla distrofia muscolare si è concentrata sulla biochimica...

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domenica 2 gennaio 2022

Entanglement: dove tutto è connesso


Entanglement: dove tutto è intimamente connesso

Scienza e Fisica Quantistica

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Ci si chiede in che cosa consista esattamente la natura dell’entanglement, da dove esso nasca, e per quale ragione esso si verifica nel mondo quantistico. Questo è sicuramente il quesito più difficile, a cui è veramente arduo rispondere. La fisica dei quanti ci spiega che l’entanglement si verifica realmente in natura, e si conosce anche piuttosto bene – sia a livello di teoria matematica che a livello di sperimentazione – come questo avviene, ma non conosciamo il perché. Possiamo solo prendere atto che questo fenomeno manda in pezzi tutte le concezioni della realtà che ci siamo costruiti per spiegare il mondo in cui viviamo.

Redazione - Scienza e Conoscenza - 30/12/2021

A cura di Elena Sanda Chira, coordinatrice della Collana Scienza e Conoscenza.

Il famoso autore e ricercatore Massimo Teodorani, nel suo capolavoro Entanglement- L’intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza spiega questo misterioso fenomeno fisico che influisce costantemente non solo sul comportamento delle particelle, ma anche sulla nostra vita.

Che cos’è l’entanglement?

La meccanica quantistica ci dimostra che la fisica non serve solo per descrivere il mondo della nostra esperienza sensoriale ma anche per penetrare nei meandri di un mondo a noi invisibile, il quale sembra reggere da solo la struttura della realtà per intero. Le nozioni di realtà che ci siamo costruiti in qualche secolo di scienza galileiana si sono talmente consolidate a livello della nostra psiche e a livello di un comune consenso collettivo, che perfino Albert Einstein nel secolo scorso si era lasciato condizionare dal senso comune, al punto tale che per tutta la vita ritenne che la meccanica quantistica (che anche lui aveva contribuito a creare con la sua scoperta dell’effetto fotoelettrico) non fosse una teoria completa.

Secondo Einstein dovevano per forza esistere delle “variabili nascoste” con cui si potesse dispiegare in maniera causale e non sincronica – come invece appariva – la reale struttura della meccanica quantistica. Einstein riteneva che la scoperta di variabili nascoste nella meccanica quantistica ne avrebbe tolto il suo carattere probabilistico per sostituirlo con uno deterministico, diventando così una teoria completa, nella quale come nel caso Newtoniano, sia le variabili sia le quantità possono essere conosciute e predette con un grado di precisione arbitrario. E sicuramente il meccanismo dell’entanglement rappresentava la massima sfida al senso comune.

Chi mai a quel tempo tra gli scienziati di punta sarebbe stato disposto ad accettare che le nostre concezioni della realtà e dell’universo sono completamente inadeguate? Proprio su questo punto ebbe luogo una vera e propria sfida tra Einstein e il grande fisico teorico danese Niels Bohr, a quel tempo il principale propugnatore della meccanica quantistica. Ciò si manifestava con quelli che ancora oggi vengono definiti “esperimenti mentali”. Al tempo di Einstein il primo esperimento mentale che costituiva una sfida frontale alla meccanica quantistica, ebbe come oggetto proprio il meccanismo dell’entanglement. Il problema venne posto da Einstein e dai suoi collaboratori, l’israeliano Nathan Rosen e il russo Boris Podolsky, in questi termini: se davvero in fisica quantistica hanno luogo eventi sincronici – o per esprimerci in termini tecnici “non-locali” – allora le soluzioni sono due:

a) qualcosa non funziona nella meccanica quantistica e occorre trovare delle variabili nascoste che impediscono di trattare il problema in maniera causale e deterministica;

b) la teoria della relatività con il suo limite costituito dal valore finito della velocità della luce viene fortemente messa in dubbio.

Cos’è l’esperimento EPR?

L’esperimento mentale della disputa lanciata da Einstein, Podolsky e Rosen – poi definito come “esperimento EPR” – può essere formulato in maniera più semplice e diretta come saggiamente poi fece il loro collega David Bohm. Se noi prendiamo due particelle che per qualche ragione hanno interagito tra loro almeno una volta e poi le separiamo anche a distanze grandissime, nel momento in cui effettuiamo una misura su una delle due particelle noi determiniamo il collasso della funzione d’onda che ne descrive lo stato quantistico, rendendo manifesta una delle sue proprietà come ad esempio lo spin3 , ma allo stesso esatto momento l’operazione della misura sulla prima particella influenzerà istantaneamente l’altra particella a qualunque distanza essa si trovi dalla prima, la cui funzione d’onda anch’essa collasserà rendendo manifesta una sua proprietà.

L’entanglement viola il principio della causalità

Cosa significa tutto questo? Significa che quando due particelle sono legate – o entangled – in realtà non abbiamo due funzioni d’onda che ne descrivano i rispettivi stati, ma una sola funzione d’onda, che collassa in simultanea per entrambe le particelle nel momento in cui ne osserviamo una. Ovviamente questo non solo viola il principio di causalità ma ingenera per forza un meccanismo che apparentemente determina la propagazione istantanea di segnali.

In caso contrario come fa la seconda particella a sapere istantaneamente quello che è successo alla prima? Ma si tratta davvero di segnali superluminali, come molti ancora a torto si sentono portati a pensare? Oppure è davvero come se le due particelle non fossero per nulla separate dallo spazio? Tutto questo è davvero sconvolgente, ma reale, se per “reale” si intende una descrizione più completa dell’Universo, che vada oltre quello che i nostri sensi percepiscono nel mondo della causalità. Non si tratta di segnali superluminali, ma del fatto che nella struttura più intima dell’Universo, dove tutto esiste intimamente legato al di là dello spazio e del tempo.

In sintesi, se noi abbiamo due particelle che hanno in qualche modo interagito tra loro e poi le separiamo, fino a che noi non effettuiamo una misura su una di esse, esse si troveranno in una specie di limbo comune, e cioè in uno stato di sovrapposizione quantistica descrivibile da un’unica funzione d’onda. Ma teniamo ben presente che qui non si tratta di una sola particella bensì di due particelle entangled descrivibili da un’unica funzione d’onda. Vediamo dunque che il principio di sovrapposizione e il fenomeno dell’entanglement sono intimamente legati.

Cosa ne pensa Schrödinger?

Descrivere due o più particelle entangled significa descrivere in realtà un solo stato quantistico. È come se le particelle entangled fossero una sola particella! Possiamo a questo proposito riportare direttamente le parole dello stesso Schrödinger: quando due sistemi, dei quali conosciamo gli stati sulla base della loro rispettiva rappresentazione, subiscono una interazione fisica temporanea dovuta a forze note che agiscono tra di loro, e quando, dopo un certo periodo di mutua interazione, i sistemi si separano nuovamente, non possiamo più descriverli come prima dell’interazione, cioè dotando ognuno di loro di una propria rappresentazione.

Traiamo dunque una prima conclusione che ci riporta agli assunti fondamentali della meccanica quantistica, la quale descrive le bizzarre proprietà della materia e dell’energia sulla scala dell’infinitamente piccolo. Queste proprietà sono le seguenti:

a) la “coerenza quantistica” in cui le particelle individuali sono tra loro unite in un’entità collettiva descritta da un’unica funzione d’onda;

b) lo “entanglement quantistico” non-locale in cui stati quantistici descriventi particelle tra loro separate sono tra loro intimamente connessi da una unica funzione d’onda;

c) la “sovrapposizione quantistica”, in cui le particelle esistono in due o più stati (o luoghi) simultaneamente;

d) il “collasso quantistico” di uno stato descritto da una data funzione d’onda, in cui particelle che si trovano in stati sovrapposti vanno soggette a una riduzione su ben specifiche scelte determinate dal processo di misura.

Forse l’incredibile coesione mostrata dal volo sincronizzato di stormi di uccelli rappresenta la miglior rappresentazione iconografica che la natura ci mostra di un fenomeno di portata vastissima. Un fenomeno che si propaga in maniera “auto-simile” dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, passando attraverso il mondo biologico, l’uomo e la sua società: entanglement, ovvero: “intreccio”. Queste incredibili costanti che uniscono il mondo microscopico a quello macroscopico sembrano avere un loro corrispettivo nel mondo psichico e nelle sue sconcertanti manifestazioni ed è collegato direttamente a quello che chiamiamo Coscienza.

Approfondisci con la lettura del libro Entanglement!

Entanglement — Libro >> https://bit.ly/3EKxcTG

L'intreccio nel mondo quantistico: dalle particelle alla coscienza

Massimo Teodorani

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