Pranayama
Esercizi e Tecniche di Respirazione
di Swami Kuvalayananda
Pranayama - Libro
Swami Kuvalayananda è stato il primo ad iniziare e
promuovere la ricerca scientifica applicata agli aspetti tradizionali dello
yoga. Il suo lavoro verrà sempre ricordato nel mondo yogico.
Pranayama è tuttora considerato il libro migliore su
questo argomento: contiene le tecniche descritte nel modo più sistematico e
scientifico possibile, in un linguaggio semplice e chiaro. L’opera contiene
disegni e foto originali impagabili che accompagnano la lettura. Il manuale,
inoltre, contiene tre importanti appendici che lo rendono utile ad ogni
praticante di yoga.
Lo sviluppo spirituale di uno studente di yoga dipende da
due cose: egli deve innanzi tutto eliminare ciò che oscura la luce spirituale e
secondariamente riuscire a fermare la sua mente vagante. Attraverso la pratica
di Pranayama uno studente di yoga riesce a iniziare il cammino in entrambe le
direzioni.
Dalla quarta di copertina
Dalla saggezza dell'India antica e contemporanea, un
preziosissimo manuale di Pranayama, la sofisticata tecnica di controllo del
respiro che lo yoga propone quale importante mezzo di guarigione.
Una guida completa e sicura per tutti i praticanti:
infatti tutte le principali tecniche sono descritte in maniera sistematica e
con un linguaggio semplice.
Disegni e foto originali confermano la sua autenticità e
autorevolezza, e ci rendono partecipi della storia dello yoga.
Kuvalananda propone le posizioni e tutti i principali
Pranayama nei dettagli; inoltre ne indica i benefici per il nostro organismo,
in particolare per i sistemi nervoso, endocrino, respiratorio, circolatorio e
digestivo. Il manuale comprende anche importanti e utili appendici tra cui:
un corso di cultura fisica yogica completo di tanti
importanti suggerimenti
il glossario che fornisce la traduzione di molti termini
sanscriti e fondamentali informazioni anatomiche e fisiologiche utili per la
pratica.
I veggenti yogici dell'antica India consideravano il
Pranayama come l'esercizio in grado di rendere sommamente sano ogni processo
vitale. Alla luce della nostra esperienza possiamo dire con sicurezza che
nessun altro esercizio fisico può avere neanche un centesimo dell'efficacia del
pranayama.
Leggi in anteprima il capitolo 1 del libro di Swami
Kuvalayananda "Pranayama"
Respirazione - Estratto da "Pranayama" libro di
Swami Kuvalayananda
Il Pranayama è un esercizio yoga di respirazione.
Pertanto è consigliabile per chi voglia praticarlo conoscere alcuni importanti
dettagli del sistema respiratorio. In questo capitolo descriveremo quindi
alcune conoscenze generali dell’anatomia e fisiologia della respirazione.
La respirazione consiste nella dilatazione e nella
contrazione alternate del torace, per mezzo delle quali l’aria viene inspirata
o espirata dai polmoni.
In questo capitolo considereremo dapprima i vari organi
direttamente interessati in questo processo di passaggio dell’aria dai e nei
polmoni, e in seguito vedremo come tali organi agiscono durante i vari stadi
della respirazione.
Gli organi della respirazione possono essere così
distinti: naso, faringe, laringe, trachea, bronchi e polmoni. I nervi e i vasi
sanguigni connessi con queste parti possono anch’essi considerarsi organi di
respirazione. Generalmente il naso non è incluso tra questi organi, ma se vogliamo
considerare la respirazione dal punto di vista dello yoga non solo dobbiamo
includere il naso, ma dobbiamo studiarlo dettagliatamente. Nella trattazione di
tali organi procederemo descrivendo il passaggio dell’aria dall’esterno verso i
polmoni e poiché lo si incontra per primo, inizieremo questo capitolo proprio
descrivendo accuratamente il naso.
Il naso
Potremo studiare il naso sia esternamente che
internamente con l’aiuto di uno specchio e delle illustrazioni di questo libro.
Usando lo specchio dovremmo fare in modo che la luce alle nostre spalle cada
sullo specchio tenuto di fronte a noi. Lo specchio dovrebbe essere tenuto in
modo che la luce, senza abbagliare gli occhi, si rifletta nelle narici quando
la testa è leggermente piegata all’indietro.
Siamo abituati a vedere il nostro naso allo specchio, ma
quello che generalmente vediamo ne è solo la parte esterna: diamo ora invece
un’occhiata anche alla parte interna delle narici. Troveremo che, nella cavità
di ciascuna delle due narici, ai lati della parete che le separa, c’è
un’apertura in alto. Si potrebbe pensare che queste due aperture siano una
specie di comunicazione tra il naso e qualche altro organo situato all’interno
della testa, ma ciò sarebbe completamente errato. Infatti il naso esterno è
solo una parte dell’organo anatomicamente conosciuto come “naso”. La sua parte
più importante è all’interno della testa, dietro le due aperture che abbiamo
visto e al di sopra del palato duro che forma una parte del soffitto della
bocca. Ma prima di esaminare l’interno terminiamo la descrizione della parte
esterna del naso.
Se lo tocchiamo con le dita, troveremo che gran parte del
naso è mobile; la ragione è che questa porzione del naso – incluso il setto
divisorio – è costituita da diverse cartilagini, unite le une alle altre da una
membrana resistente e ricoperta di pelle. Se guardiamo nuovamente nello
specchio ed esaminiamo l’interno delle narici, troveremo che la pelle che
ricopre la superficie esterna del naso continua verso l’interno e ricopre anche
la cavità inferiore del naso interno, inclusa la parte inferiore del setto.
Sulle pareti di questa porzione inferiore del naso –
detta “vestibolo” – si ergono spessi e rigidi peli: quelli che crescono nella
parte anteriore sono proiettati all’indietro, mentre i peli che sorgono dalla
parte posteriore sono proiettati in avanti. In questo modo formano, proprio
all’entrata del naso (da cui il nome di “vestibolo”) una specie di setaccio. Il
naso esterno ha due terminazioni: quella superiore, unita alla fronte, è
chiamata “volta”, quella inferiore – libera – è denominata “apice”.
Tastando nuovamente la parte flessibile del nostro naso
troveremo che i bordi superiori e posteriori sono duri; questo perché la parte
elastica del naso è attaccata alle ossa.
Vediamo molto bene questa connessione nella figura 2, che
rappresenta una sezione frontale del naso in cui le ossa sono visibili.
Notiamo immediatamente che i bordi delle ossa cui è
attaccata la parte flessibile del naso formano un disegno esattamente simile al
cuore disegnato sulle carte da gioco. Esaminiamo ora alcuni aspetti di questa
apertura ossea, che ci riguardano direttamente. Sotto la fronte e tra gli occhi
ci sono due ossa che possiamo sentire esternamente: sono dette “ossa nasali”
(1) e formano quello che è conosciuto come “ponte del naso”. Una linea
verticale (4), detta “setto nasale” divide l’apertura in due metà esatte. Le
curve circolari visibili sul fondo sono formate dalle due ossa mascellari
superiori (5). Queste curve segnano i bordi inferiori delle due aperture
osservate nella descrizione della parte posteriore del naso esterno.
Abbiamo già detto che il naso esterno è solo una piccola
parte dell’organo; la parte più importante si trova all’interno della testa, e
ora la esamineremo, sempre con l’aiuto della figura 2.
L’apertura, divisa in due metà dal setto nasale, conduce
a due cavità di forma ovoidale. Tali cavità continuano all’interno e si aprono
nella gola con aperture simili a quelle presenti sulla superficie ossea di
fronte a noi. Ognuna di queste cavità ha un pavimento, un tetto, una parete
mediale e una laterale.
Il setto che divide queste due cavità forma la parte
mediale di entrambe. È formata da ossa anche alla base, eccetto che nella parte
frontale, dove una larga cartilagine chiude l’apertura. Il pavimento è osseo.
La figura 1a mostra questa base in sezione: è formata da due ossa, la parte
frontale è composta dalle ossa della mascella superiore e la parte posteriore
dalle ossa del palato. Ci sono due ossa mascellari e due ossa del palato duro.
Le ossa della mascella superiore sono situate l’una di fianco all’altra, a
formare l’arcata in cui sono fissati i denti. Dietro la mascella superiore le
ossa del palato stanno una accanto all’altra e formano il palato duro. Le
superfici inferiori delle due ossa nelle mascelle superiori e le ossa del
palato duro formano la “volta” della nostra bocca: se con le dita proviamo a
esaminare questo “tetto”, procedendo all’indietro a partire dagli incisivi
superiori, troveremo due superfici dure. Una è irregolare e l’altra è liscia.
La superficie irregolare che sentiamo appena sopra ai nostri denti è formata
dalle ossa della mascella, mentre la superficie liscia che attraversiamo
muovendo il dito all’indietro appartiene alle ossa del palato duro, dietro cui
possiamo facilmente sentire il palato molle.
La figura 1 mostra che le superfici superiori della
mascella e del palato duro sono orizzontali, e questa è la ragione per cui
anche la base delle cavità nasali è orizzontale. Così le ossa superiori della
mascella e anche del palato formano contemporaneamente il tetto della bocca e
la base del naso. Questo significa che le cavità nasali si trovano appena al di
sopra del tetto della bocca. Le pareti laterali delle cavità nasali sono
piuttosto complicate: formate da ossa, alla loro base sorgono a una certa
distanza dal setto, ma subito si inclinano verso il setto, per incontrarlo alla
sommità. Si può avere un’idea dell’inclinazione delle pareti laterali nella
figura 2: qui l’apertura ossea rappresenta i bordi esterni delle pareti nasali.
Queste cavità sono quindi larghe alla base ma si restringono alla sommità.
Dalle pareti laterali sorgono all’interno delle cavità delle ossa simili a
spirali (cornetto nasale), una delle quali è indicata nella figura 2 (2). Queste
ossa si estendono per tutta la lunghezza delle pareti laterali e, dietro, si
aprono nella gola.
Ora consideriamo il tetto (o volta): è una struttura
ossea arcuata, nonostante la base delle cavità nasali sia orizzontale. Si può
avere un’idea di questo arco nella figura 1b, dove si vede che il setto forma
un arco alla sommità. Giacché il setto sale fino a incontrare il tetto – o
volta – si può dire che l’arco del tetto è rappresentato dalla curva superiore
del setto. Le ossa che formano il setto sono le ossa nasali che abbiamo già
esaminato e che formano la parte frontale di questa volta ad arco. Dietro le
ossa nasali la volta è formata da un grosso osso chiamato “etmoide”, che è allo
stesso tempo il tetto del naso e una parte della base del cervello. Questo
significa che esso separa le cavità nasali dal cervello; dunque le cavità
nasali stanno tra la bocca e il cervello e si aprono posteriormente nella gola,
proprio sopra il palato molle.
Finora abbiamo studiato la struttura ossea del naso
esterno e le cavità nasali. Noteremo ora come queste superfici dure sono tutte
rivestite di mucosa: tale tessuto è continuo e riveste l’interno del naso
esterno – eccetto il vestibolo – e riveste anche la base, il tetto e le pareti
delle cavità nasali che continuano nella faringe. Esaminando questa mucosa
vediamo che funzionalmente possiamo tracciarne due aree: l’area superiore copre
1⁄3 della superficie totale e l’area inferiore i rimanenti 2⁄3. Poiché qui è
situato il senso dell’odorato, l’area superiore è detta “regione olfattiva”,
mentre quella inferiore è chiamata “regione respiratoria” poiché forma il
passaggio attraverso cui l’aria entra ed esce durante la respirazione. Ciò
significa che le due cavità del naso hanno due distinti apparati per le due
differenti funzioni che svolgono: se dividiamo l’altezza delle narici in 3
parti uguali avremo che la parte superiore è usata per odorare e le due parti
inferiori sono utilizzate per respirare. Nessuno dovrà supporre, comunque, che
la parte superiore non possa essere usata anche per la respirazione; infatti –
sebbene nella respirazione normale e tranquilla si usino solo le due parti
inferiori – nella respirazione forzata si utilizza anche il terzo superiore
delle cavità nasali. Il senso dell’odorato invece è circoscritto solamente alla
terza parte superiore e non ha nulla a che fare con le due regioni inferiori:
ciò perché il senso dell’odorato dipende da terminazioni olfattive che sono
distribuite soltanto in quella zona, come si può vedere nella figura 1 (4).
Vi sono due aspetti che distinguono la mucosa che copre
la regione olfattiva da quella che ricopre il tratto respiratorio, e meritano
la nostra attenzione. La mucosa che ricopre il tratto respiratorio è spessa e
spugnosa, mentre quella che ricopre la regione olfattiva è più soffice e
delicata. L’altro aspetto riguarda la presenza di un ricco plesso venoso che
rende la regione nasale molto vascolarizzata, e questi particolari anatomici
hanno un’importanza fisiologica. Come abbiamo detto, durante una respirazione
tranquilla l’aria passa attraverso i 2⁄3 inferiori dell’area nasale e l’aria
nel rimanente 1⁄3 è scarsamente disturbata. Dunque la mucosa che riveste la
regione dove passa l’aria dev’essere più robusta di quella che riveste il
tratto in cui l’aria “staziona” durante le ore di respirazione normale. Anche
la maggiore vascolarizzazione del tratto respiratorio ha uno scopo: i numerosi
vasi sanguigni contribuiscono a riscaldare e umidificare l’aria proveniente
dall’esterno; se arrivasse fredda ai polmoni potrebbe danneggiarne la delicata
struttura.
Parliamo ora del senso dell’olfatto che, come abbiamo
visto, è situato nella parte superiore delle cavità nasali: tale senso è
costituito da filamenti nervosi molto sottili, da 12 a 20, distribuiti come una
fitta spazzola sia sul setto sia sulle pareti laterali. Da qui tali nervi
olfattivi discendono attraverso l’osso etmoide che – come abbiamo visto –
separa le cavità nasali dal cervello. Attraverso l’etmoide i nervi olfattivi
sono collegati con il bulbo olfattivo, che a sua volta è unito alla base del
cervello tramite il tratto olfattivo. La figura 1 illustra i nervi, il bulbo,
il tratto olfattivo e la base del cervello. Quando le terminazioni dei nervi
olfattivi sono stimolate da particelle che recano con sé degli odori si ha la
sensazione dell’odorato.
Osserviamo ora alcune caratteristiche di questo
importante senso: la delicatezza dell’olfatto è notevole; si è calcolato che
riesca a percepire 2 miliardesimi di grammo di vaniglia in 1 cm3 d’aria! Quando
tuttavia le particelle provenienti da una sostanza odorifera sono pochissime,
la loro presenza nell’aria può non essere notata durante la respirazione
normale, perché passano solo attraverso il tratto respiratorio e non vengono in
contatto con le terminazioni nervose della regione olfattiva; in questo caso,
se si inspira improvvisamente e intensamente, l’aria è forzata a passare anche
dal tratto olfattivo e si potrà percepire così anche un odore debole. Inoltre,
pure una gran quantità di particelle odorifere nell’aria può non essere
avvertita: affinché si attivi il senso dell’odorato la mucosa dev’essere né
troppo umida né troppo asciutta; ecco che quando abbiamo il raffreddore il
nostro senso dell’olfatto risulta intorpidito a causa dell’eccesso di umidità
(poi c’è un’altra ragione per cui quando siamo raffreddati non percepiamo
perfettamente gli odori: la mucosa congestionata e gonfia copre i filamenti
nervosi, rendendoli inaccessibili alle particelle odorifere).
È esperienza comune quella per la quale appena percepiti,
i profumi, siano molto forti, mentre tendano a indebolire, o addirittura
svanire, se rimaniamo a lungo in loro presenza. Questa circostanza può essere
spiegata con l’“affaticamento” del senso dell’odorato: l’apparato si esaurisce,
impedendo la sua funzione. Se però facciamo un giro all’aria aperta l’apparato
si rinfresca e noi possiamo nuovamente apprezzare l’odore.
Faringe
Abbiamo già visto che le cavità nasali si aprono
posteriormente nella gola. Queste aperture sono situate al di sopra del palato
molle e sotto la base del cranio; qui inizia la faringe.
Guardando nuovamente nello specchio con la bocca spalancata,
osserviamo qualcosa di simile a una parete carnosa tutta ricoperta di mucosa,
che si allunga dietro la lingua inarcandosi sotto al palato molle, assumendo la
forma di una cupola. È esattamente sotto questa “cupola” che sono situate le
aperture posteriori del naso. Sotto la lingua la parete discende a forma di un
sacco per finire in due aperture, una che conduce all’esofago e l’altra alla
laringe (figura 3). Dalle aperture posteriori delle cavità nasali alle aperture
inferiori che conducono all’esofago e alla laringe, è un medesimo canale che si
allunga in modo continuo ed esso è conosciuto come faringe. Sappiamo già che la
bocca è solo un’apertura nella parte anteriore della faringe, dunque finora
abbiamo notato cinque aperture della faringe: due nasali, una orale, una
all’esofago e una alla laringe. Ci sono poi due altri orifizi situati nelle
pareti laterali della faringe, uno a fianco dell’altro, sopra il palato molle:
sono gli “orifizi di Eustachio” perché segnano le aperture delle “trombe di Eustachio”
che portano alle cavità dell’orecchio interno. La parte della faringe situata
sopra al palato molle è detta “parte nasale” della faringe, mentre quella
situata dietro la bocca è chiamata “parte laringea”.
La faringe permette il passaggio dell’aria sia verso
l’interno sia verso l’esterno. Nell’inspirazione, l’aria respirata attraverso
le cavità nasali passa dalle parti nasali e orali della faringe, scende lungo
la laringe, va nella trachea e quindi nei polmoni. Nell’espirazione l’aria
espulsa dai polmoni segue il percorso inverso. Nella respirazione l’esofago e
le trombe di Eustachio rimangono chiusi, evitando così che l’aria prenda una
strada sbagliata; e anche tra il palato molle e la parte posteriore della
faringe c’è un’apertura sufficiente per il libero movimento dell’aria, che non
incontra perciò alcuna ostruzione.
Quando si parla, invece, il palato molle copre
completamente la parte superiore della faringe, cosicché l’aria non possa
assolutamente risalire nella parte nasale. Ma in alcune persone il palato molle
è difettoso e ha una piccola fenditura, così, quando parlano, un po’ dell’aria
proveniente dai polmoni passa attraverso quella fenditura e trova la sua via
nei passaggi nasali, che sono sempre aperti, aggiungendo una tonalità, appunto nasale,
alla loro voce.
Anche per deglutire usiamo una parte della faringe: il
cibo passa attraverso la bocca nella faringe laringea e da qui nell’esofago.
Come mai il cibo, scendendo lungo la faringe, non entra nella laringe ma è
sempre sospinto nell’esofago? A questo proposito ci dobbiamo rivolgere a un
piccolo organo, chiamato “epiglottide”.
L’epiglottide è situata alla radice della lingua (figura
3), e serve da riparo per la laringe, quando è necessario. Nell’atto di
inghiottire, la laringe si solleva e il boccone discendente abbassa
l’epiglottide che, incontrando la laringe sollevata, ne copre completamente
l’imboccatura. Pertanto, essendo la laringe chiusa, il cibo trova la sua strada
verso l’esofago. Il sollevamento della laringe può essere sentito da chiunque,
collocando le dita a metà della gola e imitando l’atto di inghiottire. Se però,
per sbaglio, anche una piccola particella di cibo imbocca una strada errata,
ossia entra nella laringe, ne segue una violenta tosse, e il sistema cerca di
espellere l’“intruso”. Il cibo non può introdursi nella parte nasale perché il
palato molle isola completamente quella porzione durante l’atto della
deglutizione.
La mucosa che ricopre il naso continua nella faringe,
ricoprendo anche tutti i passaggi che partono dalla faringe. Perciò un disturbo
iniziato dalla gola molto spesso si propaga al naso, alle orecchie e alla
laringe. È per questo che il colare del naso, la sordità delle orecchie e la
tosse in molte occasioni arrivano insieme.
Laringe
Abbiamo già notato che la faringe ha due passaggi che si
aprono nella sua estremità inferiore: l’esofago e la laringe. Sia l’esofago sia
la laringe sono nel collo, il primo situato nella parte posteriore e l’altra
nella parte anteriore. La laringe inizia di fronte alla terza vertebra
cervicale, estendendosi lungo la quarta, quinta e sesta. L’esofago inizia di
fronte alla sesta vertebra cervicale; è chiaro pertanto che la laringe si
trova, nel collo, più in alto rispetto all’esofago (cfr. figura 3). Poiché l’esofago
rimane costantemente chiuso a eccezione di quando si inghiotte, l’aria
proveniente dalla faringe entra nella laringe, che a questo scopo è sempre
aperta ed è chiusa solo durante l’atto della deglutizione. Abbiamo già visto
che la laringe è situata nella parte frontale del collo, e si estende dalla
base della lingua verso il basso. La laringe è una struttura anatomica simile a
una scatola fatta di differenti cartilagini, e misura in media 5 cm. Due di
queste cartilagini possono essere sentite anche dall’esterno della gola:
partendo dall’incavo giugulare saliamo, tastando la superficie della gola con
le dita e incontreremo la prima prominenza a breve distanza. Questa è la
cartilagine cricoide (cfr. figura 3). Continuando oltre, arriviamo alla prominenza
successiva, visibilmente sporgente, specialmente nelle persone magre, questa è
la cartilagine tiroidea e la sporgenza è popolarmente nota come “pomo d’Adamo”.
Queste e altre cartilagini – inclusa l’epiglottide – sono messe in funzione da
muscoli che le muovono secondo la necessità della situazione. Abbiamo già
imparato come, durante la deglutizione, la laringe venga sollevata e
l’epiglottide abbassata; non appena la deglutizione è cessata la laringe si
abbassa e l’epiglottide si solleva, lasciando liberi i passaggi per l’aria che
entra ed esce durante la respirazione.
La laringe è popolarmente conosciuta come “la scatola
della voce”. Ora dunque vediamo come essa sia responsabile della voce umana.
Come la faringe, anche la laringe è rivestita all’interno da una mucosa
ripiegata in parecchie pieghe. Due di queste iniziano dalla parte frontale
della “scatola” a metà della sua altezza e attraversano la cavità giungendo al
lato opposto. Esse sono molto sottili e sono unite nella parte frontale, ma
possono essere separate nella parte posteriore, e sono situate proprio dietro
la cartilagine tiroidea cui abbiamo già fatto riferimento. La figura 4a
illustra queste pieghe vicine tra loro e la 4c come siano separate, mentre la
4b mostra la loro posizione mediana. Le tre figure in cui è suddivisa la figura
4 indicano come apparirebbero le corde guardando la laringe da sopra. Queste
pieghe possono venire unite così strettamente da impedire completamente il
passaggio dell’aria da sotto, perfino in presenza di una grande pressione e
possono avvicinarsi con modalità diverse: durante la respirazione normale sono
separate e il passaggio dell’aria è tranquillo e senza suono; ma quando sono
ravvicinate l’aria che passa attraverso la stretta fessura le fa vibrare e
“vibra” a sua volta: è questo “tremolio” che produce il suono ascoltato dalle
nostre orecchie. Essendo perciò queste pieghe responsabili della voce umana
sono chiamate le “vere corde vocali”, e lo stretto spazio compreso tra di loro
è chiamato “glottide”. Queste corde vocali sono dette “vere” per distinguerle
dall’altro paio di pieghe – o corde – simili, situate proprio sopra di loro,
dette “false corde vocali”, perché non sono coinvolte nella produzione della
voce.
La mucosa che forma le corde vocali continua a coprire –
sotto forma di due sottili strisce – la parte posteriore della laringe, e si
estende nella trachea, dove la laringe si apre.
Trachea
La trachea è una struttura anatomica simile a un tubo
lungo circa 10 cm e con un diametro di circa 2,5 cm. Inizia alla base della
laringe e dietro la cartilagine cricoide e si estende nel torace proprio dietro
lo sterno. Nelle persone magre la parte superiore della trachea può essere
sentita con le dita, sotto la cricoide.
Il tubo della trachea è formato da anelli di cartilagine
– da 16 a 20 – situati uno sull’altro e tenuti insieme da una membrana
fibro-elastica che li unisce. Questi anelli non sono perfettamente circolari,
ma appiattiti posteriormente e situati in modo che la parte circolare risulta
frontale. Naturalmente la parte appiattita del “tubo” è ricoperta dalla
membrana fibrosa che riveste l’intera trachea. La figura 5a rappresenta la
trachea vista di fronte, e la figura 5b la rappresenta posteriormente. Abbiamo
già visto che l’esofago è proprio dietro la trachea, tanto che le loro due
parti membranose decorrono insieme; ed ecco perché ogni ostruzione dell’esofago
produce un senso di soffocamento, sebbene il passaggio dell’aria sia libero. Un
gran numero di ghiandole è situato nella mucosa sulla superficie interna della
trachea. Queste ghiandole in condizioni normali producono del muco per
mantenere umido il passaggio, ma se la quantità di muco diventa eccessiva viene
immediatamente espulso: la mucosa interna della trachea è rivestita di epitelio
ciliato , e queste ciglia si muovono costantemente verso l’alto, così spingono
le secrezioni in eccesso verso la laringe, da dove sono espulse mediante la
tosse.
Bronchi
La trachea, quando discende nel torace a livello della
quinta vertebra toracica, si divide in due diramazioni chiamate bronchi. La
diramazione a forma di tubo sul lato sinistro entra nel polmone sinistro ed è
conosciuta come bronco sinistro, quella sul lato destro entra nel polmone
destro ed è chiamata bronco destro (cfr. figura 5). Dopo essere entrati nei
polmoni, i bronchi si dividono in diversi rami che a loro volta si dividono
ulteriormente a formare ramificazioni sempre più piccole. Queste suddivisioni
continuano a penetrare sempre più profondamente nella massa polmonare, fino a
diventare così piccole che il loro diametro misura appena 6 mm. La trachea con
i due bronchi e numerosi rami sempre più piccoli che ne dipartono avrebbero, se
fossero separati dai polmoni, l’apparenza di un albero rovesciato con il tronco
rivolto all’insù (cfr. figura 5). Quando i tubi sono ridotti a 3 mm non si
suddividono più. I bronchioli si allargano e terminano in piccolissimi alveoli
di diametro appena di 2 mm. Un grappolo d’uva può dare molto bene l’idea
grafica delle minute ramificazioni bronchiali con gli alveoli raggruppati
intorno. Quando l’aria – attraverso le narici, la faringe, la laringe, la
trachea e successivamente i bronchi nelle loro varie diramazioni – raggiunge
gli alveoli, a questo livello viene diffusa nel sangue attraverso la parete
degli alveoli stessi. Ma prima di studiare questo fenomeno, occorre notare
alcuni punti importanti riguardo l’albero bronchiale.
Abbiamo già visto che la trachea è formata da anelli di
cartilagine. Parti simili di cartilagine sono presenti lungo tutti i tubi
bronchiali, tranne che nelle ultime ramificazioni più sottili. La presenza di
questi anelli è assolutamente necessaria a mantenere il lume dei bronchi
costantemente aperto per il passaggio dell’aria dall’esterno verso i polmoni e
viceversa. In caso contrario i bronchi sarebbero esposti al pericolo di un
collasso. Il tessuto fibroso che tiene unite le parti di cartilagine per tutta
la lunghezza del tubo bronchiale è molto elastico, e questo permette ai tubi di
adattarsi ai movimenti delle pareti anatomiche che li circondano. Come nella
trachea, anche nei bronchi la mucosa interna è rivestita di epitelio ciliato, e
le ghiandole mantengono umido il passaggio, in condizioni di salute. Ma in caso
di malattia, quando la secrezione è eccessiva, i bronchi corrono il rischio di
essere bloccati. Qui entrano in gioco le ciglia che con il loro perpetuo
movimento verso l’alto spingono la secrezione verso la laringe; a questo
livello le terminazioni nervose determinano lo stimolo della tosse, che elimina
la secrezione.
Polmoni
Nella parte precedente abbiamo fatto riferimento agli
alveoli: questi vengono tenuti insieme da tessuti fibrosi e sono attraversati
da vasi sanguigni che si dividono e suddividono in miriadi di capillari,
ricoprendone completamente la parete. Anche qui c’è una rete di nervi che si
dirama attraverso queste strutture. Tutte queste parti – gli alveoli, i vasi
sanguigni, i nervi – si dividono in due masse di sostanza spugnosa, ognuna
delle quali costituisce un polmone. Li studieremo ora in maniera più
dettagliata.
Tutti gli alveoli si sviluppano intorno a un sottile tubo
bronchiale, assumendo l’aspetto di un grappolo d’uva, e formano il così
chiamato “lobulo finale”. Diversi lobuli finali costituiscono un lobulo e
diversi lobuli sono contenuti in un lobo. Il polmone destro ha tre di questi
lobi, mentre il sinistro ne ha due (cfr. figura 6).
Le pareti di questi alveoli, raggruppati intorno alle
finissime diramazioni bronchiali, sono costituite di tessuto muscolare
elastico, disposto in circolo. Tali pareti sono molto sottili affinché l’aria
che fluisce in questa cavità attraverso i condotti aerei possa diffondersi
liberamente attraverso di esse, anche se qui il flusso diretto è bloccato.
Abbiamo fatto riferimento alle miriadi di capillari che ricoprono gli alveoli:
sono le suddivisioni finali, le più sottili, dei vasi sanguigni che arrivano e
si dipartono dai polmoni. I vasi che giungono ai polmoni vi portano il sangue
impuro proveniente dal cuore, che verrà purificato nei polmoni. Quelli che ne
escono portano al cuore il sangue ossigenato. La rete di capillari che ricopre
gli alveoli è estremamente fine e le pareti dei capillari sono
straordinariamente sottili. Esaminando un alveolo vediamo che al suo interno
c’è una riserva d’aria fresca, contenuta in una cavità circondata da tessuto in
due sottilissimi strati, uno appartenente all’alveolo e l’altro ai capillari.
Al di là di questi strati c’è il sangue che scorre nei capillari in flussi
estremamente sottili. I due strati di tessuto sono così sottili da permettere
un libero scambio – detto “osmosi” – tra l’ossigeno degli alveoli e l’anidride
carbonica dei capillari.
Il numero dei capillari che circonda gli alveoli è così
grande che supera ogni immaginazione. Si calcola che i capillari dei due
polmoni, se messi su un’unica linea, unirebbero Bombay a Londra! Ma si può
capire la necessità di tale enorme lunghezza di capillari pensando alla
quantità di sangue che vi transita attraverso per essere portata agli alveoli
ed essere qui ossigenata. Se si spargesse in uno strato sottile tutta la
quantità di sangue presente nei polmoni in un certo momento, coprirebbe una
superficie di almeno 92 m2 . Capiamo così che la disposizione degli alveoli e
dei capillari è fatta in tale modo per assicurare una grandissima diffusione
polmonare in uno spazio ristretto come è quello del torace.
Questa descrizione dei polmoni non sarebbe completa senza
par- lare dei due rivestimenti che li avvolgono, contenendoli in due “sacche” a
tenuta d’aria. Tali rivestimenti sono detti “pleure” e consistono in una
membrana sierosa liscia e lucente, che secerne un liquido lubrificante. Ogni
polmone ha la sua pleura separata, ripiegata in due strati, cosicché i due
strati lo ricoprano completamente. In questo modo abbiamo una doppia sacca – a
prova d’aria – di membrana sierosa, avente due guaine una dentro l’altra, e
ciascun polmone è contenuto in questo sacco. Sappiamo anche che i polmoni sono
situati nel torace: lo strato esterno della pleura ricopre la superficie
interna della cavità toracica, ed è chiamato strato parietale, mentre lo strato
interno che aderisce ai polmoni è detto strato viscerale.
Possiamo farci una discreta idea delle connessioni tra
polmoni, pleura e torace, paragonando quest’ultimo a un pallone da calcio. Il
sacco di cuoio spesso che forma il rivestimento esterno del pallone è il
robusto torace; all’interno c’è la camera d’aria, un sacco di gomma che viene
gonfiato quando occorre usare il pallone; ora, invece di una sola camera
d’aria, immaginiamo che ce ne siano due, una dentro l’altra, che si gonfiano
quando pompiamo l’aria all’interno; la “camera d’aria” esterna aderirà al
rivestimento di cuoio – nel quale le sacche sono contenute – e quella interna
aderirà alla sacca di gomma esterna. Anche nel corpo umano i due strati della
pleura giacciono esattamente l’uno contro l’altro, come due sacchi di gomma.
L’unica differenza è che la membrana tra le pleure secernerà sempre un liquido
lubrificante che permetterà ai due strati di scivolare facilmente uno
sull’altro durante il costante movimento della respirazione. Nel caso del
pallone da calcio l’interno è vuoto, mentre negli strati pleurici l’interno è
costituito dalla sostanza spugnosa dei polmoni. Inutile dire che il tubo
attraverso il quale l’aria viene pompata nel pallone può efficacemente
rappresentare la trachea.
Lo spazio tra i due strati della pleura è chiamato
“cavità pleurica”. In condizioni normali di salute i due strati aderiscono e
non c’è alcuno spazio tra loro, ma in caso di infiammazione della membrana –
per esempio in caso di pleurite – la cavità si allarga a causa dell’aumento del
liquido ivi contenuto.
Abbiamo già detto che i polmoni sono contenuti nel
torace, ma i polmoni non sono i soli organi che si trovano in questa cavità: il
cuore, i grandi vasi sanguigni, la trachea, l’esofago, sono situati tra le due
pleure – a destra e a sinistra – e la cavità che li contiene è detta “cavità
mediastinica”.
I polmoni sono corti davanti e più lunghi dietro: sul
davanti arrivano alla sesta costola, mentre dietro si allungano fino
all’undicesima. Tale posizione è determinata da quella del diaframma, che forma
il “pavimento” del torace. Occorre ricordare che in alto i polmoni salgono un
po’ oltre le clavicole. In un adulto il polmone destro pesa in genere 22 once
(623 g), il sinistro solo 20 once (567 g).
Finora abbiamo considerato gli organi attraverso cui
passa l’aria durante la respirazione. Osserviamo ora i meccanismi muscolari e
nervosi responsabili dei movimenti che compiono gli organi della respirazione,
studiandone anche i vasi sanguigni connessi.
Il meccanismo muscolare
«La forza usata quotidianamente per dilatare il torace
nell’inspirazione sarebbe sufficiente ad alzare una persona all’altezza della
cattedrale di San Paul a Londra ed è soltanto circa 1/6 della forza spesa per
la circolazione. La respirazione comprende due fasi: inspirazione ed
espirazione. L’inspirazione è uno sforzo muscolare forzato eseguito da tre
distinti insiemi di muscoli: quelli che agiscono sulle coste, quelli che
agiscono tra le coste, e il diaframma, che è la base del torace.
Nell’inspirazione la cavità toracica si fa più larga, più
lunga e più profonda. In posizione di riposo le coste, unite posteriormente
alla colonna vertebrale e anteriormente allo sterno, si abbassano come
l’impugnatura di ferro ai lati di un secchio (cfr. figura 7): se la solleviamo si
muove non solo verso l’alto, ma anche verso l’esterno, e lo stesso accade alle
coste; anche lo sterno, essendo mobile, si solleva e il torace diventa più
profondo e ampio. Diventa più lungo perché – in riposo – il muscolo diaframma
forma una base inarcata, che “entra” nel torace come una cupola su cui poggiano
i polmoni. Quando questo muscolo si contrae la base si appiattisce e tira verso
il basso i polmoni, che così risultano più lunghi, dalla base alla sommità.
I muscoli che sollevano le coste sono divisi in due
gruppi: quelli che agiscono sulle coste e quelli che agiscono tra le coste. Le
coste superiori sono tirate verso l’alto dall'azione dei muscoli che partono
dal collo. Tra una costola e l’altra c’è un doppio strato di muscoli, chiamati
intercostali, che contraendosi le sollevano. In particolare le coste superiori
– fisse – tendono a sollevare quelle inferiori alle quali sono unite; così –
agendo insieme – tutte le coste vengono sollevate una dopo l’altra. Questo
costituisce il movimento dell’inspirazione.
Nell’espirazione il torace ritorna senza sforzo alla sua
dimensione originale, principalmente grazie a un “ritorno elastico”. I polmoni
sono pieni di tessuto elastico che viene stirato quando i polmoni sono espansi;
non appena cessa l’azione muscolare, la forza elastica è così grande che i
polmoni tirano di nuovo le coste verso il basso e la base del diaframma verso
l’alto.
Quando inspiriamo profondamente l’addome si gonfia: ciò è
causato dalla contrazione del diaframma, che spinge in basso tutti gli organi
della digestione e li spinge anche contro le pareti. Nell’espirazione l’addome
torna nuovamente piatto, mentre la base del diaframma si solleva ancora una
volta e i muscoli addominali sono contratti.
La forza richiesta per distendere il tessuto elastico in
una normale inspirazione corrisponde a circa 170 libbre [1 libbra=453,59 g,
quindi circa 77 kg; N.d.R.]; e la forza usata giornalmente per respirare è pari
a quella richiesta per sollevare una tonnellata di peso all’altezza di 6 m»13.
In una respirazione straordinaria o forzata la forza
richiesta è ovviamente molto maggiore: sia nell’inspirazione sia
nell’espirazione si azionano ulteriori muscoli, situati nel collo e nel torace.
Nell’espirazione forzata giocano inoltre un ruolo molto importante i muscoli
addominali, attivati soprattutto nelle azioni di parlare, cantare, soffiare
ecc. – che sono sforzi espiratori volontari – e di starnutire, tossire ecc. –
che sono involontari.
Quando si trattiene il respiro dopo una profonda
inspirazione, tutti i muscoli dell’inspirazione rimangono contratti e la
glottide è perfettamente chiusa. La glottide rimane perfettamente chiusa anche
quando si trattiene il respiro dopo una profonda espirazione, ma in questo caso
sono i muscoli dell’espirazione che rimangono pienamente contratti. Occorre
notare che l’aria esterna comunica liberamente con i polmoni quando la glottide
è aperta, e giacché la glottide rimane chiusa solo nel momento della
deglutizione, l’aria esterna comunica liberamente con i polmoni durante tutte
le 24 ore del giorno. Ora: l’aria esterna è sempre a una certa pressione
atmosferica e, se entra in contatto con uno spazio in cui la pressione è
inferiore, fluirà in quello spazio finché la pressione esterna e interna siano
uguali. Questo è esattamente ciò che accade al momento dell’inspirazione:
quando i polmoni diventano più larghi, profondi e lunghi grazie all’espandersi
del torace, la pressione all’interno si abbassa e l’aria esterna entra
attraverso la trachea, finché la pressione interna diventa uguale a quella
dell’atmosfera. E questo costituisce l’atto dell’inspirazione.Nei paragrafi
precedenti abbiamo già osservato come nell’inspirazione le coste siano
sollevate e il diaframma si abbassi, premendo i visceri addominali e facendo
sporgere in avanti la parete addominale. Quando l’intero meccanismo muscolare
della respirazione è sano, il sollevamento delle coste e la dilatazione
dell’addome sono proporzionati. Ma in caso di meccanismo respiratorio
difettoso, il movimento addominale o quello costale sono più pronunciati, e
questo ha portato a una distinzione tra i tipi di respirazione: quando
predomina il movimento costale la respirazione è detta “costale” o “toracica” e
quando è più evidente la dilatazione dell’addome la respirazione è chiamata “addominale”
o “diaframmatica”. Il secondo tipo di respirazione ha due nomi perché i
movimenti addominali dipendono da quelli del diaframma. A causa dell’età
avanzata o di malattia il torace può diventare rigido e la respirazione diverrà
addominale; o spesso la gente – con il suo modo di vestire – rende quasi
impossibile il movimento dell’addome. Se questa abitudine continua a lungo, la
respirazione diventa costale invece che addominale; perciò è consigliabile
lasciare grande libertà di movimento al meccanismo della respirazione.
Quando il torace comincia a contrarsi, la pressione
all’interno dei polmoni aumenta e diventa maggiore rispetto alla pressione
all’esterno. Pertanto l’aria viene espulsa dai polmoni attraverso la trachea,
fino a che il movimento elastico di ritorno sia completato e la pressione
interna e quella esterna si equivalgono. Ciò costituisce l’atto
dell’espirazione.
Qualunque sia il volume d’aria all’interno dei polmoni
(sia durante l’inspirazione sia durante l’espirazione), quell’aria esercita
un’uguale pressione su ciascun polmone contemporaneamente e li mantiene
entrambi, in qualsiasi posizione, strettamente a contatto con le pareti e con
la base del torace.
In condizioni normali, una persona esegue dalle 14 alle
20 respirazioni in 1 minuto.
Dopo aver studiato il meccanismo muscolare della
respirazione, ora procederemo a studiarne il meccanismo nervoso.
Il meccanismo nervoso
Il centro respiratorio è un meccanismo nervoso situato
nella parte posteriore del cervello, quasi alla sua estremità inferiore. Il
centro del respiro è responsabile del controllo dell’attività dei muscoli che
producono sia l’inspirazione sia l’espirazione, effettuando un controllo di
tipo sia volontario sia involontario.
Praticamente la respirazione è sotto il nostro controllo,
finché la vita non viene messa in pericolo. Noi possiamo infatti respirare in
qualsiasi maniera e a qualsiasi velocità desideriamo: se così non fosse,
parlare sarebbe impossibile. Possiamo anche trattenere il respiro fino a un
certo punto; ma quando la vita inizia a essere minacciata il controllo
volontario termina e, nonostante i più grandi sforzi di volontà, siamo spinti a
respirare. Il controllo involontario agisce continuamente, anche quando non
pensiamo assolutamente al nostro respiro. Nessuno dei processi vitali richiede
la nostra costante attenzione; tuttavia possiamo controllarne qualcuno; fino al
punto di pericolo, ma non oltre.
Faremo di nuovo riferimento a questo meccanismo nervoso
alla fine di questo capitolo.
La quantità d’aria che respiriamo
La quantità d’aria che respiriamo dipende dalla
profondità della respirazione. In una respirazione normale la quantità d’aria
che entra uniformemente è di circa 500 ml, la stessa quantità esce in una
espirazione altrettanto normale. Quindi il volume di aria che costantemente
fluisce dentro e fuori è di 500 ml, ed è chiamato “volume corrente”.
Ma se l’inspirazione dovesse essere più profonda, è ovvio
che si immetterebbe una maggiore quantità d’aria: si ritiene che un adulto
immetta circa 2500 ml nella sua più profonda inspirazione. Questa è chiamata
“capacità inspiratoria” e include il volume corrente.
Ancora: un adulto medio può espellere circa 1300 ml di
aria con un’espirazione forzata, contro i 500 ml di una normale espirazione.
L’aria supplementare espulsa con un’espirazione forzata è detta “volume
espiratorio di riserva”.
È da notare, tuttavia, che anche l’espirazione più
profonda non permetterà di svuotare completamente gli alveoli; ci sarà sempre
un residuo di aria nei polmoni: è calcolato in 1600 ml e chiamato “volume
residuo”.
Al termine di una respirazione tranquilla, i polmoni
contengono il volume espiratorio di riserva e la capacità residua (2900 ml).
La quantità d’aria inspirata al minuto è chiamata “volume
respiratorio al minuto” o “ventilazione polmonare”. Poiché la velocità
respiratoria a riposo è di circa 16 respirazioni al minuto e il volume corrente
è di 500 ml, il volume al minuto è di circa 8 l. Nel corso di esercizi fisici
può aumentare fino a 70 l.
Faremo nuovamente riferimento a questo meccanismo nervoso
alla fine di questo capitolo.
Finora abbiamo visto come respiriamo e quanto respiriamo.
Ora vedremo perché respiriamo.
Perché respiriamo
Si può avere una risposta a questo quesito confrontando
la qualità dell’aria che inspiriamo e quella che espiriamo. Parlando
approssimativamente, la composizione dei due tipi di aria è la seguente:
Vediamo subito che l’aria espirata ha perso 4,94 parti di
ossigeno e ha guadagnato 4,34 parti di anidride carbonica nell’entrare e uscire
dai polmoni. Dov’è andato l’ossigeno e da dove è venuta l’anidride carbonica?
L’ossigeno è stato assorbito dal sangue che circola attraverso i capillari
polmonari e l’anidride carbonica lo ha sostituito per la medesima via.
Se uniamo due recipienti contenenti due diversi gas, in
modo che non vi sia divisione tra loro, i gas si mescoleranno accuratamente. E
questa stessa cosa avviene anche nel caso che i due gas siano separati da una
sottile membrana.
Ora noi sappiamo che il sangue che circola attraverso i
capil- lari intorno agli alveoli e l’aria ivi contenuta sono separati solo da
membrane, costituite dalle pareti stesse di capillari e alveoli. Così i gas
dell’aria e il sangue si mescolano liberamente. Ciò è chiamato “diffusione dei
gas”. Nelle cifre indicate nello schema a p. 35 troviamo che la quantità di
ossigeno sostituita dall’anidride carbonica è maggiore dello 0,60 rispetto
all’anidride carbonica. Ciò perché l’ossigeno è usato non solo nel formare
anidride carbonica, ma anche per alcuni altri scopi fisiologici.
Ora vedremo perché il sangue circolante nei capillari dei
polmoni necessita di ossigeno e cede anidride carbonica. A questo proposito
dobbiamo ricordare che il corpo umano è costantemente al lavoro, anche quando
apparentemente riposa. Il sistema circolatorio, il sistema respiratorio, il
sistema digestivo ecc. non conoscono riposo, lavorano incessantemente. Questo
lavoro perpetuo significa un continuo logorio dei tessuti corporei coinvolti, e
la perdita di tessuto dev’essere compensata e le scorie devono essere rimosse
ed espulse dal corpo. Per compensare la perdita, occorre portare nutrimento ai
tessuti, e questo si fa non solo con cibo e bevande, ma anche con l’aria
inspirata in forma di ossigeno. Anzi l’ossigeno rappresenta il più importante
fattore di nutrimento. Noi non possiamo vivere senza ossigeno, neppure per
pochi minuti. Dunque quando il sangue entra nei polmoni assorbe l’ossigeno
dall’aria e lo porta alle diverse parti del corpo, attraverso il sistema
circolatorio. Il sangue, nel percorso di ritorno, è pieno di anidride carbonica
raccolta dai tessuti di tutto il corpo è cioè pieno di un prodotto di scarto
derivante dal lavoro della “macchina corporale”. Se a questo gas fosse permesso
di rimanere nel sistema, avvelenerebbe il corpo. Pertanto bisogna liberarsene.
L’aria inspirata è più povera di anidride carbonica, pertanto la assorbe dal
sangue e la porta via con l’espirazione. Ora sappiamo perché respiriamo.
Respiriamo per assorbire ossigeno e per espellere anidride carbonica, essendo
entrambi i processi assolutamente essenziali per la vita di un essere umano. Il
sangue venoso, quando assorbe ossigeno e si libera di anidride carbonica è
detto sangue arterioso. Il sangue venoso è prima raccolto nel cuore e da qui
viene sospinto nei polmoni, dove diventa arterioso e viene nuovamente inviato
al cuore per essere distribuito alle diverse parti del cuore come sangue
venoso.
Il sangue venoso è violaceo a causa dell’anidride
carbonica e il sangue arterioso è rosso scarlatto a causa dell’ossigeno. Ciò
può essere provato con un esperimento. Se una certa quantità di sangue venoso
viene messa in una bottiglia contenente ossigeno e agitata, diventerà rosso
scarlatto; al contrario, se il sangue arterioso è messo in una bottiglia
contenente anidride carbonica e agitato, diventerà violaceo.
Abbiamo detto che saremmo tornati al meccanismo nervoso
della respirazione alla fine di questo capitolo. Ciò che vogliamo dire a questo
riguardo è che la quantità di ossigeno e di anidride carbonica, e specialmente
di quest’ultima, presente nel sangue ha una grande influenza sul centro
respiratorio. Se la quantità di anidride carbonica, presente nel sangue supera
la sua normale percentuale, il centro respiratorio diventerà subito più attivo
e la respirazione più rapida. Ciò può essere osservato chiaramente quando una
persona fa un faticoso esercizio muscolare. Al contrario, il centro si calma se
la quantità di anidride carbonica presente nel sangue scende al di sotto della
misura normale, con il risultato che la respirazione diventa più lenta del
solito. Sebbene il fattore più importante nella regolazione della respirazione
sia la quantità di anidride carbonica nel sangue che passa nel centro
respiratorio, gli impulsi che raggiungono questo centro dalla carotide, dal
seno carotideo e dal nervo del seno sono anch’essi responsabili del cambio di
attività del centro respiratorio. Per capire gli effetti di questi impulsi,
leggere Jalandhara-Bandha (Capitolo 2).
Indice
Prefazione (Sw. Kuvalayananda)
Prefazione (O. P. Tiwari)
Respirazione
Asana adatti al pranayama
Pranayama in generale
Ujjayi
Kapalabhati
Bhastrika
Suryabedhana
Sitkari
Sitali
Brahmari
Murccha
Plavini
Valori fisiologici e spirituali del pranayama
Appendice I
Appendice II
Appendice III
Note
Glossario
Indice delle illustrazioni
Indice delle illustrazioni
Fig. 1 - Sezione mediana della testa indicante il tratto
respiratorio ecc.
Fig. 2 - Visione frontale del naso interno, con ossa,
cavità nasali, mascella superiore a vista
Fig. 3 - La faringe
Fig. 4 - Le corde vocali
Fig. 5 - La trachea e i bronchi
Fig. 6 - Il torace
Fig. 7 - Le costole
Fig. 8 - Nasagra-Drishti o sguardo concentrato alla punta
del naso
Fig. 9 - Bhrumadhya-Drishti o sguardo concentrato al
centro della fronte
Fig. 10 - Uddiyana-Bandha da seduti
Fig. 11 - Uddiyana-Bandha da seduti (vista laterale)
Fig. 12 - Uddiyana-Bandha in piedi
Fig. 13 - Jalandhara-Bandha o Blocco del mento (vista
frontale)
Fig. 14 - Jalandhara-Bandha o Blocco del mento (vista
laterale)
Fig. 15 - Le carotidi
Fig. 16 - Preparazione per Padmasana
Fig. 17 - Padmasana o posizione del loto
Fig. 18 - Preparazione per Siddhasana
Fig. 19 - Siddhasana o posizione perfetta
Fig. 20 - Preparazione per Svastikasana
Fig. 21 - Svastikasana o posizione augurale
Fig. 22 - Preparazione per Samasana
Fig. 23 - Samasana o posizione simmetrica
Fig. 24 - Corretta posizione in piedi per Ujjayi
Fig. 25 - Jnana-Mudra o Simbolo della conoscenza
Fig. 26 - Preparazione per la chiusura delle narici
Fig. 27 - Brutte contorsioni del viso
Fig. 28 - La narice destra chiusa
Fig. 29 - La narice sinistra chiusa
Fig. 30 - Entrambe le narici chiuse
Fig. 31 - Entrambe le narici aperte
Fig. 32 - Iniziare l’inspirazione con muscoli addominali
controllati (vista frontale)
Fig. 33 - Iniziare l’inspirazione con muscoli addominali
controllati (vista laterale)
Fig. 34 - Inspirazione completa con muscoli addominali
controllati (vista frontale)
Fig. 35 - Inspirazione completa con muscoli addominali
controllati (vista laterale)
Fig. 36 - Inspirazione completa con addome protratto
(vista frontale)
Fig. 37 - Inspirazione completa con addome protratto
(vista laterale)
Fig. 38 - Espirazione completa (vista frontale)
Fig. 39 - Espirazione completa (vista laterale)
Fig. 40 - Addome e torace alla fine di Puraka in
Kapalabhati
Fig. 41 - Addome e torace alla fine di Recaka in
Kapalabhati
Fig. 42 - La bocca aperta
Fig. 43 - La lingua disposta come il becco di un uccello
Swami Kuvalayananda
Pranayama - Libro >> http://goo.gl/PekkQ0
Esercizi e Tecniche di Respirazione