martedì 21 luglio 2009

CRONOBIOLOGIA














CRONOBIOLOGIA

Cronobiologia: approccio olistico a mente-corpo

di Gianni Francesetti e Alessandro Meluzzi

La ciclicità è una caratteristica praticamente costante della materia vivente: esistono ritmi delle cellule, degli organi e sistemi, della biologia e del comportamento degli organismi e della specie. Così, ad esempio, è presente una ritmicità nel ciclo riproduttivo delle cellule del nostro organismo ed è ritmica l'attività elettroencefalografica cerebrale. Ma anche tutta la nostra vita psicosociale segue dei ritmi più o meno evidenti, come dimostrano il comportamento alimentare o sessuale e il ciclo sonno/veglia. A questo proposito alcune indagini epidemiologiche hanno evidenziato che l'attività sessuale nell'uomo, la frequenza dei rapporti sessuali, la masturbazione, la vendita di contraccettivi, i nuovi casi di malattie sessuale trasmesse, le violenze sessuali denunciate presentano un picco circannuale tra il mese di luglio e quello di ottobre.

Si è osservato, inoltre, che l'attività criminosa contro le persone presenta un picco massimo in estate, mentre quella contro la proprietà è massima in inverno.

Le convulsioni epilettiche variano la loro frequenza con un ritmo che segue le fasi lunari e con un ritmo circadiano. È per questo che gli antichi chiamavano l'epilessia "mal di luna"? Tutto ciò è in relazione col mito dei licantropi (uomini-lupo)?

La depressione e la mania sono sindromi tipicamente cicliche e a volte stagionali e anche l'incidenza dei suicidi presenta dei massimi e dei minimi annuali; per esempio alle nostre latitudini vi è un massimo al solstizio d'estate.

Qual è il significato e quali sono i meccanismi regolatori di questa sorta di cronometro o clessidra della biologia e dei comportamenti? Occorre innanzitutto precisare che esistono molti tipi di ritmi biologici: ci sono ritmi circadiani, della durata, cioè, di circa un giorno; ritmi infradiani, con un periodo maggiore di 24 ore, come quelli circamensili o circannuali; ritmi ultradiani, con un periodo inferiore alle 24 ore. Ogni ritmo biologico e comportamentale è la risultante di un elemento endogeno e di un sincronizzatore esterno; esiste infatti un ritmatore (nel nucleo soprachiasmatico ipotalamico) che genera dei ritmi con un periodo di circa 24 ore. A questo programma genetico si sovrappone l'influenza dei sincronizzatori ambientali: si tratta di fattori fisici (ciclo luce-buio, della temperatura, fasi lunari, campi geomagnetici) e psicosociali (turni di lavoro, orario dei pasti, ecc.). In condizioni di isolamento da questi fattori ambientali, (come durante l'isolamento in grotte), i ritmi biologici saranno l'espressione dei soli ritmatori endogeni che produrranno dei ritmi cosiddetti free-running perché non più controllati dall'esterno; ad esempio il ciclo sonnoveglia invece di essere di 24 ore acquisterà un periodo più lungo (di 25 ore circa). È dal reciproco contributo dei sincronizzatori interni ed esterni che nasce l'equilibrio cronologico dell'organismo.

Un "relais" fondamentale dell'adattamento temporale dell'individuo all'ambiente è costituito dalla ghiandola pineale o epifisi. Questa ghiandola venne definita da Cartesio la "sede dell'anima" e anello di giunzione fra la Res Cogitans e la Res Extensa (la coscienza e il corpo). Inoltre, per gli orientali, la pineale costituisce il "terzo occhio" o "occhio di Buddha", che, se aperta, penetra nelle dimore di cose ineffabili e a livello epifisario è posto il settimo chakra: il loto dell'illuminazione. L'epifisi secerne la melatonina in funzione del ciclo luce/buio e di altre determinanti ambientali come i campi elettromagnetici. La melatonina agendo sul sistema endocrino, sul sistema immunitario e verosimilmente su quello nervoso, informa l'organismo delle variazioni ambientali permettendogli di adeguarsi ad esse.

È evidente il significato adattivo di tutto ciò: un organismo è evolutivamente avvantaggiato dal fatto di essere programmato in anticipo per adottare la propria fisiologia e comportamento alle variazioni ritmiche ambientali; infatti, poiché la durata giornaliera della luce solare (fotoperiodo) varia col variare della stagione, la pineale modifica la sua funzione nei diversi periodi dell'anno e permette, ad esempio, all'animale che andrà in letargo di accumulare grassi in anticipo prima che il freddo e la scarsità di cibo si facciano sentire.

Ognuno di noi "funziona" quindi sulla base di una quantità innumerevole di ritmi qualitativamente eterogenei. Ritmi cellulari: ad esempio l'attività mitotica e metabolica; ritmi sistematici: per il sistema neuroendocrino ricordiamo l'attività ciclica circadiana e circannuale dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e quindi del cortisolo, ormone principe dello stress, e del sistema endorfinico del piacere-dolore (cioè il sistema delle endorfine, i cosiddetti oppioidi endogeni). Anche il sistema immunitario varia la sua attività lungo le 24 ore (ad esempio le cellule natural killer presentano la massima reattività alle 5 del mattino secondo un ciclo controllato dalla melatonina). Ad un livello ancora superiore si situano i ritmi organismici integrati: il ritmo sonno-veglia, con le sue farsi REM (sonno con sogno) e non REM (sonno senza sogno), i ritmi di attività e riposo, i ritmi emozionali, quelli sessuali e riproduttivi. Tutti questi sistemi sono strettamente integrati fra di loro: durante le fasi REM del sonno si osserva un incremento a picco dei tassi di IL-2 (interleukina 2), una sostanza endogena che stimola le Natural Killer che difendono l'organismo dai virus e dalle cellule neoplastiche che quotidianamente si formano nel nostro organismo. È possibile che tale azione sia mediata dalle beta-carboline, allucinogeni endogeni secreti anche dalla pineale e che possiedono importanti azioni sul sistema immunitario. È molto affascinante notare che queste stesse betacarboline sono contenute nelle piante allucinogene utilizzate dagli sciamani sudamericani nelle loro pratiche terapeutiche.

A questo proposito, come non ricordare la correlazione che molte civiltà proponevano fra attività onirica e condizioni di salute e malattia? I Greci, ad esempio, passavano le notti nei templi di Esculapio (Dio della medicina) aspettando la visita della divinità nel sogno. Al mattino si poteva essere o spacciati o guariti.

E ancora: durante il giorno abbiamo dei ritmi brevi, cosiddetti ultradiani, della durata di 90 minuti in cui alternativamente risulta attivato o l'emisfero destro o quello sinistro; ciò si può facilmente determinare controllando con quale narice si sta respirando: l'emisfero attivo è quello opposto alla narice aperta. Durante la dominanza dell'emisfero destro viene stimolata la fantasia e la creatività, come quando si sogna ad occhi aperti, ed è in questa fase che si verificano con più frequenza lapsus, distrazioni e incidenti; viceversa, quando è l'emisfero sinistro ad essere più attivo, siamo più vigili su ciò che ci circonda e sono più pronte le nostre capacità analitiche, matematiche, razionali. L'organizzazione bioritmica del nostro organismo, della quale abbiamo dato qualche esempio, è quindi essenziale per l'adattamento del nostro psicosoma all'ambiente in cui vive e, quindi, per il mantenimento dell'omeostasi. Infatti, quando quest'ultima viene persa e insorge la malattia, troviamo praticamente sempre delle alterazioni cronobiologiche.

Nel settore del disturbo mentale, una tipica disritmia è la psicosi maniaco-depressiva in cui sono presenti variazioni cicliche con periodo circadiano (il paziente sta regolarmente peggio al mattino) e con periodi maggiori mensili o annuali. In questa patologia si ritiene che un'alterazione dei ritmi possa giocare un ruolo causale nell'insorgere della malattia; infatti la luce, come risincronizzante se somministrata in particolari momenti del giorno, ha un effetto terapeutico (9,10) (Light-therapy).

I bioritmi possono alterarsi in seguito allo stress o per la desincronizzazione fra fattori regolatori ambientali e pacemakers endogeni. Lo stress causa alterazioni neuroendocrine importanti che sregolano il ritmo ormonale del soggetto e altera il normale alternarsi di dominanza emisferica. La desincronizzazione provoca il disadattamento fra individuo e ambiente: ciò accade ad esempio nei turni di lavoro e nei viaggi intercontinentali aerei. Queste situazioni sono accompagnate da una quantità di sintomi psicosomatici dei quali un tipico esempio è il jet-lag e che vanno dalla cefalea e disorientamento, all'insonnia o ipersonnia, ai disturbi gastrointestinali o dermatologici; inoltre nei disturbi somatoformi e dell'umore si riscontrano spesso alterazioni cronobiologiche ormonali che possono giovarsi di una terapia risincronizzante quale la somministrazione di ACTH (un ormone ipofisario che induce un aumento della cortisolemia) alle ore 7 del mattino.

In conclusione, la cronobiologia non deve essere intesa come un settore ultraspecialistico della medicina, dove alcune sofisticate elaborazioni matematiche permettono di misurare le variazioni temporali di alcuni parametri biologici. È invece un metodo di analisi della biologia e del comportamento che si fonda sul rapporto fra l'uomo e l'ambiente, fra ecosistema interno ed ecosistema esterno, fra microcosmo e macrocosmo. Si tratta quindi di un approccio profondamente olistico che nella valutazione dell'equilibrio omeostatico non tiene conto soltanto di fattori interni al sistema, ma anche del rapporto psicobiologico che si stabilisce in ogni momento con l'ecosistema esterno.

In questa prospettiva l'uomo non solo non è più la positivista e meccanicistica somma di cellule e organi, ma non è neppure una monade isolata dal proprio ambiente; la cronobiologia, inserendo la variabile "tempo" nell'indagine psicobiologica, ristabilisce il contatto di ogni nostro fenomeno fisico, chimico, biologico o psicologico con i parametri ecosistemici ambientali: la luce, le variazioni dei campi elettromagnetici, le rivoluzioni planetarie e il susseguirsi delle stagioni, rivelando così la presenza di una risonanza cosmica di ogni evento psicologico.


La ghiandola pineale - sincronizzatore dei ritmi

Un approccio olistico al rapporto mente/corpo

di G. Francesetti, M.Gecele, A.Meluzzi

Secondo gli studi storici eseguiti dal neutoanatomista J. Ariens Kappers, (l979), la ghiandola pineale fu scoperta più di 2300 anni fa da Herophilus (325-280 a.C.) un anatomico alessandrino, il quale riteneva che essa controllasse il flusso della memoria.

La letteratura indiana antica presenta numerosi riferimenti alla pineale come organo di chiaroveggenza o di meditazione, che permetteva all'uomo di ricordare le sue vite precedenti. Per i buddisti, quest'organo costituisce il "terzo occhio" che, se aperto, penetra nelle dimore di cose ineffabili. Finché il terzo occhio dorme l'adepto rimane inconsapevole dell'ineffabile. Sono tuttavia descritte molte tecniche per permettere agli aspiranti di "aprirlo", una di queste è la meditazione.

Questo terzo occhio è stato anche ampiamente rappresentato nelle opere di arte sacra orientale dove accade frequentemente di incontrare delle figure umane dotate di un occhio che si apre al centro della fronte. Il segno indù delle caste si trova in un punto scelto comunemente per simbolizzare l'"occhio", e anche il colore utilizzato rappresenta lo spazio di sviluppo spirituale.

L'epifisi assume un ruolo importante anche nella visione energetica dei sette chakra dell'uomo. Gli studi classici della medicina greco - romana considerano l'epifisi una struttura capace di materializzare e guidare il fluido del pensiero dal terzo al quarto ventricolo cerebrale, attraverso, cioè, quel sistema di canalicoli e cisterne nei quali fluisce il liquido cefalo - rachidiano. Galeno, medico del II secolo a.C., considerò la pineale come una struttura simile alle ghiandole linfatiche. Questa interpretazione venne accettata nella cultura occidentale per molti secoli, finché in epoca rinascimentale, qualcuno non tornò ad occuparsi di ghiandola pineale. Nel 1640, Descartes definisce l'epifisi come "la sede dell'anima" e anello di congiunzione tra res cogitans e res extensa, postulando anche l'esistenza di una connessione occhio - epifisi - muscolo e attribuendo così, intuitivamente, un significato funzionale all'epifisi come mediatore degli effetti della luce sull'apparato muscolare. Questa piccola struttura cerebrale era quindi in grado di trasformare un immateriale pensiero in un'azione e di risolvere in questo modo, molti problemi alla costruzione filosofica cartesiana.

In seguito, sotto l'influenza del pensiero cartesiano, molti studiosi del XVII e XVIII secolo associano la pineale e le sue calcificazioni alla pazzia e alla patologia psichiatrica in genere.

Da allora la pineale resta sostanzialmente nell'oblio e l'aggettivo "vestigiale" è quello più frequentemente applicato a questa ghiandola.

Tuttavia recenti ricerche psiconeuroendocrinoimmunologiche hanno riportato l'attenzione sull'epifisi.

Le attuali conoscenze neurofisiologiche evidenziano come la pineale non sia semplicemente una ghiandola, ma, come la midollare del surrene, un trasduttore neuroendocrino: converte infatti un input nervoso, u~n neurotrasmettitore, in un output ormonale che va in circolo. L'input nervoso è la noradrenalina, rilasciata dai nervi ortosimpatici postgangliari, l'output ormonale è in primo luogo la melatonina. la sua sintesi della serotonina è catalizata da due enzimi (n - acetil - transferasi , SNAT, e idrossindol - O - metil transferasi o HIOMT) che sono caratteristici della pineale. I pinealociti sintetizzano esso stessi la serotonina dal triptofano aminoacido essenziale, tramite la stessa via utilizzata nei neuroni.

La sintesi e la secrezione di melatonina sono regolate dalla percezione della luce: è interessante osservare che la pineale deriva da un organo fotorecettoriale, funzionalmente "un terzo occhio", presente in alcune specie di rettili ed anfibi. La pineale dei mammiferi non risponde però direttamente alla luce, ma l'impulso luminoso, raccolto dalla retina, giunge al nucleo sporachiasmatico, regione coinvolta nella genesi dei ritmi biologici; di qui l'informazione passa all'ipotalamo laterale da cui si dipartono le fibre efferenti dirette al midollo toracico dove originano le fibre che terminano nei neuroni pregangliari del nucleo cervicale superiore che proiettano alla pineale. La luce quindi determina il ritmo circadiano e circannuale della melatonina, la cui secrezione è massima di notte e minima di giorno (il picco massimo si situa intorno alle 02,00 di notte).

La pineale riceve però anche informazioni direttamente dal SNC tramite fibre nervose che collegano l'abenula, la commisura posteriore, i nuclei paraventricolari con il peduncolo e il parenchima epifisario. D'altra parte esistono dei recettori specifici per la melatonina nel SNC, in particolare nel nucleo soprachiasmatico ipotalamico che rappresenta un centro di primaria importanza cronobiologica.

Anche le influenze ormonali sembrano giocare un ruolo importante nella fisiologia epifisaria, ed esistono sicure relazioni tra pinea1e e altri sistemi endocrini, in particolare le gonadi.

Oltre alla luce, anche i campi elettromagnetici influenzano l'attività della pineale, la quale sembra essere un mediatore fondamentale degli effetti sistemici di questi campi sui sistemi biologici. La pineale si presenta quindi come un fondamentale detector di alcune variabili ambientali, in grado di trasferire le informazioni dall'ecosistema esterno a quello interno, permettendo così la sincronizzazione fra ritmi ambientali e ritmi biologici dell'organismo. Quest'organo ricopre infatti un ruolo centrale nell'organizzazione cronobiologica del nostro organismo, consentendo ad esso di adattarsi in modo ottimale alle variazioni temporali ambientali.

L'azione dei secreti pineali, in gran parte ancora ignota, si esplica sul sistema endocrino immunitario e nervoso in modo estremamente complesso. I prodotti epifisari meglio conosciuti (melatonina e betacarboline) sono delle molecole a struttura chimica indolica, come la serotonina. Questo tipo di anello strutturale è presente in tutte quelle molecole che a livello animale e vegetale mediano il rapporto esterno - interno in modo sincronizzato. La melatonina, oltre ad un effetto antigonadotropo, evidente soprattutto negli animali, presenta una attività immunostimolante e antagonizzante gli effetti immunodepressivi di stress. Tratteremo a questo proposito soprattutto della melatonina, ma sarebbe un errore identificare la pineale con questo ormone. Infatti, l'epifisi è sede di produzione di molte altre molecole, come le beta-carboline, la cui funzione è attualmente in gran parte sconosciuta.

Recenti osservazioni depongono per un ruolo immunomodulatore della pineale in senso stimolante e antagonista nei confronti dello stress, tramite l'azione della melatonina su cellule immunocompetenti e con la mediazione degli oppioidi endogeni.

Oltre ad un'azione immunomodulatrice, gli indoli (in particolare le beta-carboline e i serotoninergici) influenzano gli stati di coscienza, controllando in particolare il ritmo veglia/sonno e l'attività onirica. Le beta-carboline, in modo specifico, sono implicate nella produzione dei sogni notturni e possono forse spiegare il fisiologico ritmo di alternanza della dominanza emisferica cerebrale della durata di circa 20 minuti. Durante la predominanza dell'emisfero destro si attiva la sfera affettiva, emozionale e creativa con una più o meno spiccata estraniazione dall'ambiente esterno. In questi momenti ci sorprendiamo a sognare ad occhi aperti o a commettere lapsus verbali o errori nel nostro lavoro. Nella fase di predominanza emisferica sinistra è invece la nostra parte logico - razionale e analitica ad essere più attiva.

L'andamento bilanciato e armonicamente fasico di questi diversi stati di coscienza è alla base di un buon equilibrio psicosomatico, perché ì meccanismi che controllano questa altalena della coscienza sono gli stessi che modulano l'attività neuroendocrinoimmunitaria del soggetto.

Non deve quindi stupire che uno degli strumenti terapeutici più utilizzati in diverse medicine tradizionali, sia costituito proprio da sostanze contenenti indoli. E' per esempio il caso dello sciamano dell'Amazzonia che usa l'ayahuasca, una liana ricca di beta-carboline e con proprietà allucinogene, per indurre uno stato di coscienza fortemente alterato e condurre cosi alla catarsi e alla guarigione. Ciò che fa lo sciamano è indurre, con tecniche comunicative che creano lo specifico contesto emozionale e con l'assunzione e la somministrazione di indoli, una "tempesta psicobiologica" riomeostatizzante per un meccanismo di tipo psiconeuroendocrinoimmunologico. L'azione dell'allucinogeno, per un meccanismo serotoninergico, si esplica inoltre a livello del rafe mesencefalico e dell'attività epifisaria, con una conseguente modulazione cronobiologica dell'orologio endogeno.

In questo senso la pineale rappresenta un fondamentale centro di sincronizzazione dei ritmi dell'organismo ai ritmi ambientali, tramite un'azione su diversi sistemi, fra cui come abbiamo detto, quello immunitario.

La regolare cadenza dei singoli bioritmi e il loro sincronismo rappresentano una delle condizioni essenziali per un adeguato funzionamento dell'essere vivente. Infatti, la caratteristica essenziale dei ritmi biologici di alternare periodi di riposo a periodi di attività funzionale permette di mantenere i vari distretti a un livello ottimale di funzionamento.

E' dunque evidente che ogni fattore che interferisce col normale svolgersi dei complessi cicli bioritmici dell'organismo, non solo altera una normale sequenza adattativa e difensiva, ma favorisce la formazione dei precursori della malattia somatica.

E' un dato di fatto che vari bioritmi fondamentali risultano alterati in numerose malattie considerate come psicosomatiche quali l'asma .bronchiale, l'ipertensione essenziale, l'ulcera gastroduodenale, le malattie coronariche, ed altre.

Inoltre, alcuni importanti bioritmi psiconeuroendrocrini, fra cui lo stesso ritmo della melatonina, sono profondamente modificati nei disturbi dell'umore (per intenderci: nelle sindromi depressive).

In queste situazioni l'alterazione cronobiologica è qualcosa di più di un mero epifenomeno, sembra cioè rivestire un ruolo causale nell'insorgenza del quadro psicopatologico; a conferma di ciò stanno le recenti acquisizioni terapeutiche che svolgono la loro azione proprio agendo sui bioritmi (la fototerapia). Inoltre, anche molti farmaci antidepressivi, dal litio alla clorgilina e imipramina, hanno dei rilevanti effetti sull'andamento dei bioritmi. E' quindi evidente come la modificazione della normale oscillazione ritmica dei diversi parametri fisiologici si associ all'insorgenza di situazioni patologiche.

Ma quali sono le principali cause di disorganizzazione bioritmica?

In primo luogo la causa della desincronizzazione può essere endogena, e sembra essere il caso, ad esempio, di alcuni disturbi psichiatrici come la depressione endogena.

In secondo luogo, possono essere causa di alterazioni cronobiologiche gli eventi psicosociali, lo stress, le alterazioni di parametri ambientali.

Mentre nelle società contadine ad economia agricola i ritmi del lavoro, dell'alimentazione e del riposo attività tendevano ad essere sincroni con i ritmi biologici e con il variare periodico degli eventi naturali, la rivoluzione industriale ha progressivamente modificato questa situazione. La moderna società urbana industriale ha infatti sempre più imposto i propri ritmi, legati a esigenze di tipo economico e tecnologico, sui ritmi biologici individuali e di gruppo. Così il progressivo aumento di attività lavorative legate ai turni notturni, i rapidi spostamenti attraverso i fusi orari che avvengono nei viaggi aerei, ma soprattutto l'induzione di ritmi comportamentali uguali per tutti e vincolati a necessità produttive ha portato a sincronismi artificiali con serie conseguenze sul piano psicosomatico infatti i ritmi comportamentali e i ritmi biologici sono fra loro armonicamente collegati per un migliore adattamento dell'individuo alle richieste dell'ambiente.

La situazione ottimale di minor rischio psicosomatico viene dunque raggiunta quando due serie di ritmi sono in fase perfetta fra di loro e il comportamento riceve esattamente il supporto biologico di cui ha bisogno in quel momento. Però quando per l'azione di determinanti psicosociali, i bioritmi comportamentali - emozionali vengono forzati in direzioni diverse da quelle dei loro ritmi biologici di supporto, si crea una dissociazione fra programmi biologici e comportamenti che è una delle principali condizioni per la formazione dei precursori della malattia.

Nella attuale organizzazione urbano - industriale inoltre i ritmi comportamentali dell'attività, della sessualità e riproduzione, dell'alimentazione sono scarsamente sincronizzati con i ritmi biologici che ad essi sottendono e sono per lo più fissi nel tempo in contrasto con il variare ciclico delle determinanti fisiche ambientali quali il variare delle stagioni. E' come se vivessimo a livello emozionale - comportamentale in un limbo metacronologico, dissociato di ritmi ambientali.

Per quanto riguarda lo stress, 1'organizzazione cronobiologica sembra essere molto protetta da alterazioni indotte dallo stress. Ciò conferma come quest'ultimo sia una reazione biologico - comportamentale utile e necessaria per la vita e, d'altra parte, comunque la stabilità e la regolarità dei bioritmi sia importante per la sopravvivenza dell'individuo, e della specie.

Tuttavia le situazioni di stress acuto strettamente intenso oppure cronico producono nell'individuo delle alterazioni cronobiologiche associate all'insorgenza di disturbi psicopatologici e psicosomatici.

Quale ruolo ha la pineale in questo processo di insorgenza della malattia da desincronizzazione? La ricerca in questo settore è tutt'altro che conclusa, tuttavia se pensiamo da un lato alla funzione cronobiologica della pineale e dall'altro all'attività che la melatonina e le beta-carboline svolgono sul sistema neuroendocrino e sul sistema immunitario, la pineale diventa in modo evidente un possibile mediatore degli effetti patologici della desincronizzazione.

A questo proposito si sta aprendo strada il concetto che la pineale possa svolgere un ruolo di "regolatore dei regolatori" nell'organismo animale, venendo a configurarsi come mediatore ambiente - individuo e come modulatore teso a mantenere l'omeostasi contrastando tutto ciò che minaccia di comprometterlo.

Non solo, quindi, un "ormone antistress", ma più generalmente un modulatore omeostatico che antagonizza gli effetti dello stress quando questo Si presenta come una "inhibiction de l'action" (inibizione dell'azione) in senso laboritiano ed è quindi pericoloso per la sopravvivenza dell'individuo.

Occorre infine ricordare che la pineale è sensibile alle variazioni dei campi elettromagnetici ambientali e possiede quindi le. caratteristiche di "terzo occhio" che nel passato alcuni pensatori gli hanno intuitivamente attribuito; é, quindi affascinante utilizzare come ipotesi di lavoro la possibilità che questo organo funga da antenna per le cosiddette energie "sottili" che ci giungono dall'ecosistema esterno.

Lo studio della ghiandola pineale e dei suoi secreti è quindi un chiaro esempio di ricerca olistica, in quanto deve considerare l'oggetto di ricerca non più isolatamente e non soltanto come facente parte di un organismo più complesso, ma deve tenere conto anche dell'ecosistema in cui questo organismo. si trova. D'altra parte per questo studio è necessario un approccio transdisciplinare che si arricchisca dell'interazione tra i diversi approcci al problema, e che deve saper comprendere e parlare sia il linguaggio del biochimico che quello dell'antropologo, sia quello del fisico che quello dello sciamano.

Questa prospettiva transdisciplinare, interattiva e complessa, è quella che nell'attuale paradigma scientifico può farsi crogiolo di nuove conoscenze, in quanto capace di utilizzare, oltre al microscopio, anche il macroscopio e percepire così non solo le cose, ma anche le relazioni fra le cose.


Ghiandola pineale: stress e sistema immunitario

di G. Francesetti e A. Meluzzi

La pineale non è semplicemente una ghiandola, ma, come la midollare del surrene, un trasduttore neuroendocrino: converte infatti un input nervoso, (un neurotrasmettitore), in un output ormonale che va in circolo.

L'input nervoso è la NA, (Noradrenalina) l'output ormonale è la melatonina. La sintesi della Melatonina dalla serotonina è catalizzata dalla pineale che la sintetizza essa stessa dal triptofano, aminoacido essenziale.

La sintesi e la secrezione di melatonina sono regolate dalla percezione della luce: è interessante osservare che la pineale deriva da un organo fotorecettoriale, funzionalmente "un terzo occhio", presente in alcune specie di rettili ed anfibi. La pineale dei mammiferi non risponde però direttamente alla luce, ma all'impulso luminoso, raccolto dalla retina. La secrezione della melatonina è massima di notte e minima di giorno (il picco massimo si situa intorno alle 02,00 di notte).

Esistono dei recettori specifici per la melatonina nel SNC, in particolare nel nucleo soprachiasmatico ipotalamico che rappresenta un centro di primaria importanza cronobiologica. Oltre alla luce, anche i campi elettromagnetici influenzano l'attività della pineale, la quale sembra essere il mediatore principale degli effetti di questi campi sui sistemi biologici. La pineale si presenta quindi come un fondamentale detector di alcune variabili ambientali, in grado di trasferire le informazioni dall'ecosistema esterno a quello interno, permettendo così la sincronizzazione fra ritmi ambientali e ritmi biologici dell'organismo. Quest'organo ricopre infatti un ruolo centrale nell'organizzazione cronobiologica del nostro organismo consentendo ad esso di adattarsi in modo ottimale alle variazioni temporali ambientali.

L'azione dei secreti pineali, in gran parte ancora ignota (infatti a tutt'oggi è stata isolata solo la melatonina), si esplica innanzitutto sul sistema endocrino e immunitario in modo estremamente complesso.

Soffermiamoci ad analizzare le influenze su quest'ultimo, riportando alcune delle numerose osservazioni effettuate in tal senso:

- nel topo il blocco dell'attività della pineale (con somministrazione serale di propanololo) sopprime la risposta anticorpale primaria contro le emazie di pecora. Tale soppressione non si manifesta se si somministra contemporaneamente la melatonina.

- nel topo la somministrazione di melatonina aumenta la risposta anticorpale primaria in vivo contro le emazie di pecora.

- la melatonina contrasta gli effetti immunosoppressori dello stress da immobilizzare (un tipica situazione di "inibizione dell'azione") sulla risposta anticorpale primaria e sul peso del timo nel topo.

- in topi che hanno ricevuto una dose subletale di virus encefalomiocarditico, lo stress causa una mortalità del 90% circa degli animali. La contemporanea somministrazione di melatonina riduce la mortalità al 10% circa.

- l'effetto immunostimolante della melatonina segue un ritmo circadiano con un effetto massimo per la somministrazione serale.

- la melatonina interferisce con il ritmo circadiano dell'attività delle cellule NK (Natural Killer) producendo un aumento di attività fino al 20% dopo due ore dalla somministrazione e una diminuzione dopo 6 ore.

- la melatonina aumenta l'attività interferon-dipendente delle cellule NK.

Queste osservazioni depongono per un ruolo della pineale stimolante sul sistema immunitario e antagonista nei confronti dello stress.

Quindi la pineale sembra essere un fondamentale centro di sincronizzazione dei ritmi dell'organismo ai ritmi ambientali, tramite un'azione su diversi sistemi, fra cui come abbiamo detto, quello immunitario.

La regolare cadenza dei singoli bioritmi e il loro sincronismo rappresentano una delle condizioni essenziali per un adeguato funzionamento dell'essere vivente. Infatti, la caratteristica essenziale dei ritmi biologici di alternare periodi di riposo a periodi di attività funzionale permette di mantenere i vari distretti a un livello ottimale di funzionamento.

È dunque evidente che ogni fattore che interferisce col normale svolgersi dei complessi cicli bioritmi dell'organismo, non solo altera una normale sequenza adattativa e difensiva, ma favorisce la formazione dei precursori della malattia somatica. È un dato di fatto che vari bioritmi fondamentali risultano alterati in numerose malattie considerate come psicosomatiche quali l'asma bronchiale, l'ipertensione essenziale, l'ulcera gastroduodenale, le malattie coronariche ed altre. Inoltre, alcuni importanti bioritmi psiconeuroendocrini, fra cui lo stesso ritmo della melatonina, sono profondamente modificati nei disturbi dell'umore (per intenderci nelle sindromi depressive).

In queste situazioni l'alterazione del ritmo cronobiologico sembra essere qualcosa di più di un mero effetto secondario, sembra cioè rivestire un ruolo causale nell'insorgenza del quadro psicopatologico; a conferma di ciò stanno le recenti acquisizioni terapeutiche che svolgono la loro azione proprio agendo sui bioritmi (la fototerapia). Inoltre, anche molti farmaci antidepressivi, dal litio alla clorofilla e imipramina, hanno dei rilevanti effetti sull'andamento dei bioritmi.

È quindi evidente come la modificazione della normale oscillazione ritmica dei diversi parametri fisiologici si associ all'insorgenza di situazioni patologiche.

Ma quali sono le principali cause di disorganizzazione bioritmica?

In primo luogo la causa della desincronizzazione può essere endogena, e sembra essere il caso, ad esempio, di alcuni disturbi psichiatrici come la depressione endogena.

In secondo luogo, possono essere causa di alterazioni cronobiologiche gli eventi psicosociali, lo stress, le alterazioni di parametri ambientali.

Mentre nelle società contadine ad economia agricola i ritmi del lavoro, dell'alimentazione e del riposo - attività tendevano ad essere sincroni con i ritmi biologici e con il variare periodico degli eventi naturali, la rivoluzione industriale ha progressivamente modificato questa situazione.

La moderna società urbana industriale ha infatti sempre più imposto i propri ritmi, legati a esigenze di tipo economico - tecnologico, sui ritmi biologici individuali e di gruppo. Così, il progressivo aumento di attività lavorative legati ai turni notturni, i rapidi spostamenti attraverso i fusi orari che avvengono nei viaggi aerei, ma soprattutto l'induzione di ritmi comportamentali uguali per tutti i vincolati a necessità produttive ha portato a sincronismi artificiali con serie conseguenze sul piano psicosomatico. Infatti i ritmi comportamentali e i ritmi biologici sono fra loro armonicamente collegati per un migliore adattamento dell'individuo alle richieste dell'ambiente. La situazione ottimale di minor rischio psicosomatico viene dunque raggiunta quando due serie di ritmi sono in fase perfetta fra di loro e il comportamento riceve esattamente il supporto biologico di cui ha bisogno in quel momento. Però, quando per l'azione di determinanti psicosociali, i bioritmi comportamentali-emozionali vengono forzati in direzioni diverse da quelle dei loro ritmi biologici di supporto, si crea una dissociazione fra programmi biologici e comportamenti che è una delle principali condizioni per la formazione dei precursori della malattia. Nella attuale organizzazione sociale urbano-industriale i ritmi comportamentali dell'attività, della sessualità e riproduzione, dell'alimentazione sono scarsamente sincronizzati con i ritmi biologici che ad essi sottendono e sono per lo più fissi nel tempo in contrasto col variare ciclico delle determinanti fisiche ambientali quali il variare delle stagioni. È come se vivessimo, a livello emozionale-comportamentale, in un limbo metacronologico, dissociato dai ritmi ambientali.

Per quanto riguarda lo stress, il ritmo cronobiologico sembra essere molto protetto da alterazioni indotte dallo stress. Ciò conferma come lo stress inizialmente sia una reazione biologico-comportamentale utile e necessaria per la vita e, dall'altra parte, come la stabilità e la regolarità dei bioritmi sia importante per la sopravvivenza dell'individuo e della specie.

Tuttavia le situazioni di stress acuto estremamente intenso oppure cronico producono nell'individuo delle alterazioni cronobiologiche associate all'insorgenza di disturbi psicopatologici e psicosomatici.

Quale ruolo ha la pineale in questo processo di insorgenza della malattia da desincronizzazione? La ricerca in questo settore è tutt'altro che conclusa, tuttavia se pensiamo da un lato alla funzione cronobiologica della pineale e dall'altro all'attività che la melatonina svolge sul sistema neuroendocrino e sul sistema immunitario, la pineale diventa in modo evidente un possibile mediatore degli effetti patologici della desincronizzazione.

A questo proposito si sta aprendo strada il concetto che la pineale possa svolgere un ruolo di "regolatore dei regolatori" nell'organismo animale, venendo a configurarsi come mediatore ambiente-individuo e come modulatore teso a mantenere l'omeostasi contrastando tutto ciò che minaccia di comprometterla. Non solo, quindi, un "ormone antistress", ma più generalmente un modulatore omeostatico che antagonizza gli effetti dello stresso quando questo si presenta come una "inibizione dell'azione" in senso Laboritiano ed è quindi pericoloso per la sopravvivenza dell'individuo.

Vorremmo concludere riassumendo l'ipotesi che abbiamo tentato di delineare in questo intervento. Si tratta di una affascinante ipotesi di lavoro e d'interpretazione dei dati esistenti e non ancora di una conclusiva e organica teoria, anche se è possibile fin d'ora intravedere in tal senso delle applicazioni terapeutiche. In sostanza l'ipotesi è questa: l'azione di fattori endogeni e esogeni (fattori psicosociali, stress, fattori fisici ambientali) causano, tramite l'azione sui detectors (recettori sensoriali) l'alterazione dei sistemi cronobiologici, neuroendocrino-immunitari, determinando così l'insorgere della malattia. Il principale candidato mediatore di questo gioco sembra essere la ghiandola pineale. Quindi, uno dei meccanismi attraverso cui il dato psicologico-sociale-ambientale può, quanto meno, preparare il terreno alla insorgenza, della malattia, è proprio un meccanismo cronobiologico mediato dalla pineale.

mercoledì 15 luglio 2009

Apprendimento e Memoria

Apprendimento e Memoria
Normalmente usiamo solo il 4/5% delle nostre potenzialità mnemoniche e meno del 10% di quelle mentali; possiamo invece usare al meglio la nostra mente conoscendo come funziona e come stimolarla. Con le mnemotecniche subliminali ad infrasuoni ed HRM, quindi con l’utilizzo bilanciato dei nostri due emisferi cerebrali, con il rilassamento fisico e mentale, con le tecniche di concentrazione e gestione dello stress e di controllo della propria emotività possiamo acquisire una consapevolezza vincente.
La Memoria
La memoria: che cos’è e come funziona
Più che di memoria, dovremmo parlare di memorie al plurale. Ma che cos’è quella che Baudelaire definì la "madre dei ricordi, padrona delle padrone", sulla quale gli uomini si interrogano sin dagli albori della storia? Teorie, ipotesi, sguardi.
Le tre fasi della memorizzazione Ogni teoria sulla memoria prende in considerazione tre diversi momenti del processo di memorizzazione: la codifica, la ritenzione e il recupero. Per codifica si intende il modo in cui l’informazione in arrivo è immagazzinata nel sistema; la ritenzione è il modo in cui questa informazione viene conservata nel corso del tempo; il recupero si riferisce al modo in cui l’informazione viene estratta da un sistema. Le prime teorie sulla memoria sono attribuibili a Platone che paragonava la memoria umana a morbida cera sulla quale le esperienze imprimevano dei segni. Aristotele parlava invece di "associazioni" per esprimere il concetto per il quale due idee sono associate se il ricordo dell’una è un buon indice di richiamo dell’altra. Agli inizi del secolo vennero formulate le prime teorie davvero psicologiche sulla memoria. Alcuni studiosi consideravano il sistema di memorizzazione costituito da "vie neurali", una sorta di sentieri mentali che diventavano più chiari e distinti a forza di essere usati.
I tempi della memoria La prima importante teoria della memoria venne proposta nel 1971 da Atkinson e Shiffrin. La loro teoria multiprocesso o multimodalità considerava il funzionamento del sistema mnestico frutto dell’interazione tra sistemi diversi interconnessi e non, come sottintendevano le teorie precedenti, riconducibili ad un sistema unico. Secondo questi autori l’informazione in entrata viene conservata per pochissimo tempo in un sistema di memoria sensoriale, poi viene parzialmente codificata e conservata nella memoria a breve termine e infine, ma solo in certi casi, viene trasferita nella memoria a lungo termine. Vediamo più nel dettaglio ognuno di questi sistemi. La memoria sensoriale implica la conservazione dell’informazione visiva o uditiva (ecoica) per qualche secondo. Facciamo un esempio. Chi ha provato a muovere velocemente una sigaretta nel buio sa che viene percepita una striscia rossa nell’aria. Ebbene, in realtà la luce della brace continua a essere vista qualche tempo dopo che ha cessato di essere presente in quel punto dell’aria e quindi dopo che ha cessato di cadere su porzioni particolari nella retina oculare. Questo semplice esempio mostra come l’informazione visiva viene conservata in memoria per qualche secondo, generalmente uno o due. Alcune osservazioni sperimentali hanno messo in evidenza come queste informazioni vengono conservate in un codice molto simile all’informazione originale e che possono essere disturbate da informazioni percepite successivamente.
La memoria a breve termine è quello spazio mentale in cui le informazioni vengono conservate per periodi più lunghi. Secondo alcuni autori questo tipo di memoria può anche essere considerata una memoria di lavoro (working memory) perché deputata alla manipolazione non meno che alla conservazione dell’informazione. Questo magazzino di informazioni ha una capacità limitata. Sottoponendo alcuni soggetti a una prova di ricordo di sequenze di numeri e lettere, Miller (1956) giunse alla conclusione che si possono ricordare al massimo sette (più o meno due a seconda della difficoltà del compito) elementi nella memoria a breve. Nei compiti di rievocazione è possibile osservare un curioso fenomeno. Si ha la sensazione, tra l’altro confermata dagli esperimenti di laboratorio, che le informazioni ricordate più facilmente all’interno di una qualsiasi sequenza siano le prime o le ultime. Le prime perché sono quelle memorizzate quando "la mente era più fresca” (effetto primacy), le ultime perché sono le informazioni assimilate più di recente (effetto regency). Quale di questi due fenomeni sia prevalente sull’altro non è stato mai stabilito.
La memoria a lungo termine è quella che conserva tutte le informazioni sul nostro passato. Se ricordiamo episodi della nostra infanzia è grazie a questa componente del sistema di memoria. I meccanismi che trasferiscono un’informazione dalla memoria a breve alla memoria a lungo termine sono oggetto di un infinito dibattito. E’ possibile fare una distinzione tra diversi tipi di memoria a lungo termine. La prima distinzione che può essere fatta è tra conoscenza procedurale e dichiarativa. Quest’ultima corrisponde alla conoscenza fattuale, ad esempio "Roma è la capitale dell’Italia". Spesso questa conoscenza può essere appresa attraverso lo studio o anche mediante una sola osservazione. La conoscenza procedurale ci dice invece come fare qualcosa. Se sappiamo allacciarci le scarpe o tagliare una torta è perché abbiamo acquisito questo tipo di conoscenza attraverso l’esercizio e la ripetizione. Vi sono due tipi di conoscenza dichiarativa: quella episodica e quella semantica. La prima riguarda proposizioni circa esperienze o episodi del passato come "L’anno scorso sono andato a Parigi". La conoscenza semantica rappresenta invece fatti indipendenti dal momento in cui sono stati appresi, ad esempio "2 x 2 = 4". Alcune recenti teorie sulla struttura della memoria parlano invece di reti neurali, considerando la memoria nient’altro che una rete di associazioni tra contenuti, fatti e procedure. Tale teoria avrebbe anche un corrispettivo fisiologico nella struttura del sistema nervoso centrale costituito da collegamenti (sinapsi) tra neuroni. Una conferma di questa teoria viene da una specifica mnemotecnica che suggerisce, quando non si ricorda qualcosa, di cercare di ricordare qualcosa di "prossimo" a quel ricordo, magari legato al momento in cui si è memorizzata l’informazione o a contenuti o emozioni ad esso vicini.
L’apprendimento
Imparare ad apprendere Tutti sappiamo che è più "facile" imparare concetti e nozioni che ci interessano. Eppure gli studi hanno dimostrato che la nostra performance può essere ottimale indipendentemente dal nostro interesse in un dato argomento. Perché? E che cosa possiamo fare per imparare meglio, più in fretta e più profondamente? L’apprendimento è un processo psicologico complesso che interessa le facoltà superiori della nostra mente. Quando poi l’apprendimento è rivolto verso specifiche materie di studio si fa evidente la necessità di adottare delle strategie efficaci che ci permettono di acquisire una serie di nozioni in un tempo ragionevole. Da tempo gli psicologi hanno individuato una specifica abilità generale di apprendimento: il learning to learn (apprendere ad apprendere). Questa capacità può essere sviluppata e migliorata attraverso varie tecniche.
Le variabili sulle quali è più opportuno agire per migliorare la propria capacità di apprendimento sono la motivazione e l’attenzione. Difficilmente il livello attentivo e motivazionale si mantiene costante nel tempo. Più spesso succede che ci sono momenti in cui è facile prestare la propria totale attenzione a un testo, mentre altre volte ciò ci risulta molto difficile. Generalmente l’attenzione varia con un ciclo caratterizzato da un periodo di circa un’ora e mezza. Questo significa che in questo periodo viviamo una fase di circa 45 minuti nei quali la nostra attenzione è molto vigile e 45 minuti in cui l’attenzione è bassa. Si tratta ovviamente di tempi medi, variabili a seconda del soggetto, della natura del compito, del tipo di sollecitazione esterna. Quando si è molto motivati ad apprendere, ad esempio perché sappiamo che è imminente un importante esame, i momenti di disattenzione, pur presenti, sono ridotti a periodi di pochi minuti. In questi casi una breve pausa o una variazione dell’attività è spesso sufficiente a recuperare le energie attentive per riprendere lo studio. A molti sarà capitato di fare giorni di studio intenso pochi giorni prima di un esame. Livelli di motivazione molto alti, infatti, consentono di poter studiare per molte ore con il massimo grado di rendimento. E’ infatti noto che la nostra mente lavora molto meglio e apprende più velocemente quando è sotto stress (lo stress benefico o eustress). Periodi di studio così intensi, tuttavia, possono essere tollerati solo per tempi piuttosto brevi, altrimenti si assisterebbe a un aumento incontrollato dell’ansia e degli effetti negativi dello stress (distress).
Una serie di capacità sicuramente fondamentali per iniziare un periodo di apprendimento particolarmente produttivo vanno sotto il nome di "autocontrollo", intendendo con questo termine la capacità di porsi degli obiettivi in modo autonomo, stabilire dei piani e delle strategie efficaci per raggiungerli e organizzarsi per mettere in atto quanto deciso. L’autocontrollo ci permette di essere molto controllati nella nostra attività di apprendimento e di essere guidati più dalla nostra volontà che da eventi esterni o da decisioni prese da altri.
Gli ostacoli I principali ostacoli a qualsiasi attività di apprendimento sono le "idee irrazionali" che al di là di ogni logica e di ogni buon senso, per il loro contenuto sono alla base di molti insuccessi personali, scolastici, professionali, sportivi. E’ possibile citare tre esempi di queste idee: la tendenza a catastrofizzare gli eventi temuti, la tendenza a crearsi degli obblighi, la tendenza a far dipendere il giudizio globale su di noi dal risultato di una performance. Generalmente questi pensieri portano ad una eccessiva drammatizzazione del compito, alla percezione che dalla sua buona riuscita dipenda il nostro valore (ai nostri occhi e agli occhi degli altri). Questi pensieri sono spesso il risultato della storia di una persona, sono il frutto di un modo di pensare che si è consolidato con l’esperienza. Un buon metodo per superare le difficoltà che nascono da questi pensieri consiste nell’identificare le condizioni in cui si manifestano queste idee, la dinamica con la quale si sviluppano e con la quale, spesso, prendono il totale controllo della nostra mente e del nostro comportamento. Spesso è utile fare ricorso ad alcune semplici strategie quali un buon esame di realtà, che permette di prendere in considerazione le possibili (reali) conseguenze negative di un insuccesso, oppure attraverso l’ironia.
Il modo migliore per apprendere qualsiasi cosa è adottare una corretta metodologia si studio. Un errore che viene spesso commesso dagli studenti è quello di cercare di apprendere tutto già alla prima lettura. Questa strategia, tuttavia, risulta spesso poco produttiva perché non permette di acquisire una visione globale dell’argomento. Una prima lettura veloce e generica del testo è un inizio sicuramente migliore anche perché fornisce una migliore chiave di comprensione per gli approfondimenti successivi. Solo in un secondo momento potrà essere effettuata una lettura più approfondita, punto per punto, per poter memorizzare ogni elemento importante. Alla fase di comprensione del testo deve necessariamente seguire una fase di rielaborazione personale, per assicurare un ricordo a lungo termine del materiale appreso. Attraverso una ripetizione partecipe e attiva si potrà organizzare sistematicamente ogni argomento e lo si integrerà con quanto già appreso in precedenza. Per consolidare ulteriormente il ricordo può essere opportuna una fase di verifica, ad esempio sfogliando rapidamente il materiale o ripassando velocemente quanto appreso. Questa verifica è particolarmente utile per mettere in evidenza pericolose lacune e a fare interessanti associazioni tra le varie parti del materiale in corso di studio. E’ forse la parte più creativa del processo di apprendimento.
L'oblio La rievocazione immediata di un'informazione può mancare perché non è stata trasmessa alla memoria a lungo termine. La rievocazione di un'informazione della memoria a lungo termine può mancare perché non ci sono sufficienti legami per metterli a fuoco. Questa teoria spiega anche perché taluni ricordi appaiono "rimossi": tali ricordi sono inaccessibili perché la loro presenza sarebbe inaccettabile per il soggetto a causa dell'ansia o dei sentimenti di colpa che potrebbero attivare. Non sono perciò scomparsi, ma il subconscio evita che le associazioni necessarie si formino. Gli individui colpiti da amnesia non dimenticano tutto, solo degli elementi personali. Ciò avviene spesso per un trauma emotivo al quale l'amnesia permette di sfuggire. Spesso poi parte di tali ricordi riaffiora quando vengono evocati dalle giuste associazioni.
Consigli pratici Poiché l'ippocampo si occupa della funzione di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative. L'ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore dei ventricoli laterali, sopra il cervelletto. L'ippocampo fa parte del "sistema limbico" che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni. Se si prova disgusto per una materia, la possibilità di apprenderla è scarsa. Un apprendimento di base positivo ("apprendimento giocoso") stimola il ritmo di trasferimento nella memoria secondaria, al contrario un atteggiamento negativo rende più difficile l'apprendimento. Un atteggiamento positivo può nascere spontaneamente, ma può essere notevolmente incrementato stimolando la motivazione, anche l'auto-motivazione. Essendo l'ippocampo deputato alla filtrazione dei stimoli da trasferire alla memoria, bisogna cercare di associare alle nozioni che si vogliono ricordare delle emozioni positive. Bisogna cercare di trovare, anche in una materia apparentemente ostica, dei motivi di interesse sia diretti, sia indiretti (per esempio dei vantaggi che tale conoscenza potrebbe fornire). Bisogna cercare motivazioni positive e, se non ci sono, crearsele con l'automotivazione. In questa fase di automotivazione si devono utilizzare tutte le tecniche di convincimento e di comunicazione di cui si dispone. Può durare anche a lungo, ma i risultati sono sorprendenti. Se si intraprende un nuovo corso di studi, se si decide di imparare una lingua bisogna prima essere "realmente" convinti che la materia ci interessa e cercare di stimolare tale interesse al massimo, apprezzandone tutti gli aspetti positivi, anche marginali o indiretti. Questo processo può richiedere molto tempo e può avvenire in contemporanea allo studio. Per migliorare l'apprendimento di una singola nozione, tenendo conto dei meccanismi citati, conviene ripeterla più volte e creare più associazioni possibile. In tal modo sarà certamente più facile richiamarla. Per un nome si possono creare associazioni tra una parte di esso e nozioni a noi note, per un numero, ad esempio una data, delle associazioni con altri numeri o semplicemente delle associazioni "interne" al numero stesso.
con estratti di Daniele Monzani (duepiu.net) e benessere.com - adattamento di Alan Perz

venerdì 10 luglio 2009

Mal di testa e cefalea

Mal di testa e cefalea
Mal di testa è un'espressione generica con la quale si definiscono patologie molto diverse fra loro. Sono state individuate tredici forme di cefalea (termine scientifico con cui si indica il mal di testa) suddivise, a loro volta, in primarie e secondarie, con oltre novanta diverse "sottocategorie". Caratteristiche fondamentali per la classificazione dei vari tipi di cefalea sono: qualità, intensità, ciclicità del dolore e sua modalità di insorgenza. La cefalea primaria rappresenta una malattia vera e propria, indotta da cause non sempre immediatamente identificabili, nell'ambito delle quali si possono individuare alcuni fattori scatenanti di natura ormonale o ambientale. L'emicrania, la cefalea tensiva e la cefalea a grappolo sono le tre principali forme di cefalea primaria. Le cefalee secondarie sono invece dei sintomi indicativi di altri disturbi (allergie, difficoltà digestive, sinusite, ipertensione o artrosi) o scatenati da un motivo preciso, come l'assunzione o la mancata assunzione di particolari sostanze quali caffeina, alcool o alcuni tipi di farmaci. Il mal di testa è una patologia molto diffusa: in Italia ne soffrono 26 milioni di persone (Eurisko, Nov.1999), di cui la maggior parte donne. È anche una malattia sociale che fa perdere oltre duecento milioni di ore di lavoro all'anno e che incide sulla qualità della vita di chi ne è colpito. Il mal di testa è un'esperienza comune alla maggior parte delle persone. Ognuno di noi ha certamente avuto occasione di sperimentare, almeno una volta nella vita, una crisi di cefalea, associandola di volta in volta a ragioni diverse: ansia, insonnia, stress, stanchezza, fumo, alimentazione, sforzi fisici, eccetera. Ma quali sono le cause del mal di testa? La difficoltà nel rintracciare con sicurezza le cause del mal di testa risiede in gran parte nel fatto che la cefalea può configurarsi come sintomo di diversi disturbi di natura patologica. Il primo passo da compiere è dunque quello di distinguere tra cefalee primarie (cefalee-malattia) e cefalee secondarie (cefalee-sintomo). Mentre le secondarie rappresentano un sintomo di altre malattie, le primarie sono esse stesse la malattia. Nell'ambito delle principali forme di cefalee primarie (cefalea tensiva, emicrania e cefalea a grappolo) i meccanismi da cui scaturiscono gli attacchi sono poi di natura diversa a seconda dei casi. È importante distinguere tra cause e fattori scatenanti. Con il termine cause si intendono quelle alterazioni di fattori fisiologici interni al nostro organismo (alterazioni di tipo vascolare, nervoso, muscolare, ormonale, eccetera) che sono responsabili dell'insorgere del dolore. I fattori scatenanti sono rappresentati, invece, dall'insieme di elementi e situazioni in grado di indurre, in qualche modo, le modifiche funzionali che causano il dolore, quindi stress, intensa attività lavorativa, mancanza di sonno, esposizione a particolari fattori ambientali, fumo, alimentazione inadeguata, consumo eccessivo di alcool, mantenimento di posizioni scorrette, eccetera. Le modalità con cui i fattori scatenanti interagiscono con il nostro organismo non sono completamente note. Le diverse forme di cefalea, emicrania, cefalea a grappolo, cefalea tensiva, hanno ciascuna una cura specifica, che è correlata con le cause che determinano l'insorgere del dolore. Affinché la cura sia veramente efficace, quindi, è fondamentale identificare con la maggior precisione possibile il tipo di mal di testa in questione e le sue caratteristiche. A questo scopo ci si può servire di un "diario del mal di testa", dove annotare sintomi, fattori scatenanti e, in generale, tutto ciò che accompagna la crisi dolorosa. È uno strumento utile per avere una diagnosi precisa e per permettere al medico di scegliere la terapia migliore. Un altro metodo per monitorare il proprio mal di testa è compilare il Midas (Migraine Disability Assesment Scale), un test di carattere scientifico che consente di calcolare il grado di disabilità determinato dalla cefalea. Una volta accertata la natura della cefalea, si può scegliere il trattamento più adatto, che è quasi esclusivamente di tipo farmacologico nel caso dell'emicrania e della cefalea a grappolo. Soprattutto nel caso della cefalea tensiva si può ricorrere anche a metodi di cura alternativi. Per trovare sollievo al dolore si può ricorrere anche a quelli che possiamo definire "i rimedi della nonna", tramandati dalla tradizione popolare. Una precauzione importante da prendere durante la crisi di mal di testa è il riposo: buio, silenzio e sonno sono spesso in grado di porre fine all'attacco e favoriscono la velocità d'azione di un farmaco.
Altri tipi L'IHS (International Headache Society) ha classificato ben tredici tipi di cefalee, suddividendole in due categorie: primarie e secondarie. Le cefalee primarie sono vere malattie e non hanno una causa specifica che ne giustifichi l'insorgere. Appartengono a questo gruppo emicrania, cefalea tensiva, cefalea a grappolo e altri tipi di cefalee non associate a lesioni strutturali, ma innescate da vari, e spesso insospettabili, fattori. Le cefalee secondarie, invece, sono scatenate da cause diverse da quelle del mal di testa e possono essere sintomo di un'altra malattia. Si manifestano come conseguenza di: traumi cranici o, comunque, lesioni del capo; malattie o disfunzioni dei vasi sanguigni della circolazione celebrale, per esempio ischemia, trombosi, aneurisma ed emorragia cerebrale; malattie del cervello o delle strutture circostanti, come tumori o meningiti; assunzione o sospensione di sostanze esogene, come alcool, caffeina, oppiacei; infezioni virali o batteriche; malattie del metabolismo, come diabete o malattie renali; dolori facciali legati a patologie del cranio, del collo, delle orecchie, del naso, dei denti, della bocca; nevriti e nevralgie craniche.
Vi è poi un certo numero di cefalee non classificabili. Possiamo ricordare in particolare alcune delle patologie elencate. La nevralgia del trigemino è l'irritazione di uno dei due nervi cranici (localizzati uno a destra e uno a sinistra del cranio) che danno mobilità e sensibilità al volto. Il dolore si manifesta solo su metà della faccia, è intensissimo e compare all'improvviso. Il dolore è scatenato ogni volta che si muove o si stimola la parte interessata (per esempio parlare, masticare, lavarsi il volto), dura uno spazio di tempo di solito breve, ma può presentarsi più volte al giorno. Anche la sinusite, l'infiammazione dei seni nasali e paranasali, ha tra le sue conseguenze un fastidioso mal di testa in corrispondenza delle arcate sopracciliari, sotto gli occhi e alla radice del naso. Il dolore è di tipo gravativo ed è descritto come un peso, acutizzato dalla pressione delle dita sulla zona interessata. Il mal di testa dovuto alla malocclusione dell'articolazione temporo-mandibolare si localizza sotto l'orecchio, diffondendosi verso le guance e il collo. È causato dal fatto che le arcate mandibolari non combaciano perfettamente, per motivi di costituzione fisica o per interventi dentistici mal riusciti o non effettuati.
Alcune cause e fattori scatenanti
La postura Forse ti può sembrare strano, ma il cerchio alla testa che ti infastidisce tanto può avere un'origine banale: una posizione scorretta del corpo. Una postura errata può provocare un'eccessiva tensione dei muscoli della testa e del collo, condizione che rappresenta una delle principali cause della cefalea tensiva, una delle forme più comuni di mal di testa. In questi casi il rimedio è semplice, basta scoprire quali posizioni mettono a dura prova nervi e muscoli e imparare a governare meglio i movimenti. In automobile, per esempio, guidare tenendo il corpo proteso verso il volante può mettere in tensione la muscolatura e far partire "in quarta" il mal di testa. La soluzione è semplice: guida sempre con la schiena appoggiata al sedile, dopo averlo regolato nella posizione più comoda. Se il traffico è intenso, oltre ad aumentare lo stress aumenta anche la tendenza ad aggrottare continuamente la fronte e il cerchio alla testa si stringe sempre più. Se non riesci a sfuggire alla congestione del traffico, ti consigliamo di farti accompagnare, durante la guida, da una rilassante musica di sottofondo. Passare molto tempo alla scrivania, con la testa reclinata in avanti per leggere o scrivere, non è molto salutare. Se non vuoi che il mal di testa ti faccia compagnia, usa una sedia con schienale e sedile regolabili e tieni la schiena dritta e gli avambracci appoggiati sul tavolo con i gomiti ad angolo retto. Sciogli almeno ogni due ore i muscoli delle spalle, rimanendo con la schiena diritta e lasciando cadere le braccia lungo il corpo. Se poi usi un computer c'è qualche regola in più da seguire. Attenzione anche al letto! Un cuscino o un materasso troppo duri o troppo molli possono causare un'antipatica cefalea al risveglio. Infine un'avvertenza per tutte le donne: i tacchi alti possono provocare il mal di testa, perché il corpo è costretto a irrigidire i muscoli del dorso per mantenere il giusto equilibrio nella posizione eretta. Anche in questo caso il rimedio è semplice: scarpe con un tacco non più alto di tre o quattro centimetri e, quando puoi, cammina a piedi nudi.
Al computer Quando ti siedi davanti al computer segui queste semplici regole ti aiuteranno a mantenere una posizione corretta e a evitare inutili affaticamenti che possono sfociare in un fastidioso mal di testa. 1. La parte superiore del monitor deve stare al livello degli occhi o appena più in basso, così puoi tenere la testa e il collo eretti. 2. Colloca la tastiera in una posizione centrale sulla scrivania, davanti al monitor o ai documenti che stai consultando. 3. La distanza della tastiera ti deve permettere di tenere gli avambracci stesi e rilassati e di appoggiarli sulla scrivania. 4. Cerca di usare un sedile regolabile in altezza. 5. Sistema lo schienale del sedile in modo che sostenga la zona lombare, con un inclinazione tra i 90º e 110º. 6. Quando digiti tieni le mani e le dita rilassate. 7. Appena senti un fastidio al collo o alle mani fermati, alzati e fai quattro passi nella stanza. 8. In ogni caso prenditi una pausa dopo due ore passate davanti al computer.
Lo stress Che stress! Quante volte hai usato questa espressione?! Sicuramente molte, e a ragione: lo stress è considerato la malattia del secolo, ne soffrono addirittura due italiani su tre. Ma cos'è lo stress? Possiamo definirlo "ansia da prestazione". Ci assale, infatti, quando affrontiamo in maniera troppo emotiva le situazioni quotidiane, oppure in tutte quelle occasioni della vita in cui siamo presi da mille cose o ci sentiamo in dovere di dare il cento per cento di noi stessi. E queste occasioni sono veramente numerose: una scadenza molto vicina, un lavoro urgente, un'interrogazione o un compito in classe e, ancora, i conflitti familiari, le emozioni intense, le malattie, le fasi di cambiamento di vita, come il matrimonio o la nascita di un bimbo. Il problema dello stress interessa in special modo i manager o chiunque occupi ruoli di grande responsabilità, e le donne, sempre più spesso divise fra gli impegni della famiglia e quelli del lavoro. Ma cosa c'entra lo stress con il mal di testa? C'entra, c'entra ... Quando ti trovi nel bel mezzo di una situazione snervante, anche se non te ne accorgi, irrigidisci e tieni contratti i muscoli del collo, delle spalle e del cranio. Questo atteggiamento può farti scattare il cosiddetto "cerchio alla testa", provocandoti un attacco di cefalea tensiva, una forma di mal di testa non particolarmente dolorosa ma molto fastidiosa. Lo stress è anche uno dei fattori che possono scatenare l'emicrania, che si manifesta con un dolore pulsante che interessa un solo lato della faccia. Nelle crisi di cefalea tensiva il dolore si fa sentire proprio mentre stai vivendo la situazione stressante, al contrario nell'emicrania questo compare in un momento successivo alla fase di stress, mentre ti stai rilassando. Questo è quanto accade, per esempio, con la cosidetta cefalea da week end, un attacco di emicrania che aggredisce abitualmente durante il fine settimana. Il rimedio al "mal di testa da stress" è semplice, almeno a dirsi: prova a eliminare l'ansia e la tensione ed evita, per quanto è possibile, le situazioni che te le provocano. Per combattere lo stress devi prima di tutto saperne riconoscere le cause e poi imparare a gestirlo nella maniera migliore. Un valido aiuto è rappresentato dalle tecniche di rilassamento: puoi scegliere tra quelle di origine orientale, come lo yoga e l'agopuntura di tipo new age, come la musicoterapia e il rebirthing o che utilizzano sofisticate apparecchiature tecnologiche, come il biofeedback. Ricorda che, analogamente allo stress, anche uno sforzo fisico intenso può provocare un mal di testa pulsante e persistente, specie se non sei al massimo della forma o sei particolarmente stanco. Quindi tieniti pure in esercizio con l'allenamento, ma fai attenzione a graduare l'intensità dell'attività fisica. Lo stress e tutti gli stati emotivi ad esso associati, come ansia, depressione, stanchezza, tensione nervosa e insonnia, sono considerati i principali fattori scatenanti la cefalea tensiva, tanto che questa viene spesso considerata un disturbo psicosomatico. Quando ci si trova in questi stati si tende a convogliare nelle spalle la tensione accumulata e a contrarre le fasce muscolari del cranio e del collo. Questo sforzo, involontario ma continuo, si traduce in mal di testa. È stato inoltre dimostrato che le persone particolarmente stressate hanno una soglia del dolore alterata, più bassa della media, a causa della diminuzione del livello delle endorfine. Queste sono sostanze prodotte dal cervello, che funzionano come analgesici naturali svolgendo un ruolo fondamentale nel ridurre la sensibilità al dolore. Quando il livello di endorfine diminuisce, anche una semplice contrattura muscolare può essere avvertita in maniera più dolorosa e intensa. Bisogna infine segnalare che, mentre l'attacco di cefalea tensiva causato da stress si verifica nel momento stesso in cui si vive la situazione stressante, nel caso dell'attacco di emicrania indotto dallo stress, il dolore arriva quando l'episodio che lo ha provocato è terminato.
Tabacco e alcol "Bacco, tabacco e Venere riducono l'uomo in cenere" recita il famoso proverbio. Forse esagera ma certamente gli stravizi non giovano alla salute. Nel caso del mal di testa, poi, possono rivelarsi la causa di una crisi, specialmente per chi è naturalmente predisposto alla cefalea. Il fumo, tra le sue tante controindicazioni, ha anche quella di mettere in circolo nel sangue una grande quantità di monossido di carbonio, che va a sostituirsi all'ossigeno nei globuli rossi. Mancando l'ossigeno, il cervello ne patisce e si mettono in moto fenomeni di vasomotilità, cioè di cambiamento del calibro dei vasi sanguigni, che provocano il dolore. Smettere di fumare, quindi, o almeno diminuire il numero delle sigarette giornaliere, è una buona norma in generale e un'ottima regola se vuoi evitare un fastidioso mal di testa. Cosa dire poi delle bevande alcoliche? L'alcol è un potente vasodilatatore e, in più, aumenta la produzione di istamina, una sostanza in grado di provocare mal di testa. Gli effetti di tutto questo, se sei predisposto, sono dannosi anche se bevi "solo un goccio". Il ben noto mal di testa da sbornia, dovuto agli effetti residui del troppo alcol, si accompagna a un generale stato di malessere. Per evitare le conseguenze più spiacevoli di un'abbondante bevuta, mangia un po' di miele prima di andare a dormire. Il miele, infatti, contiene il fruttosio, lo zucchero derivato dalla frutta, che aiuta l'organismo a smaltire più rapidamente l'alcol. Parliamo ora di Venere. La cosiddetta cefalea da rapporto sessuale colpisce "durante" e interessa esclusivamente quei maschi che sono naturalmente predisposti a questo tipo di mal di testa. Non è dovuta alla qualità o alla quantità delle "prestazioni" ma dipende dall'aumento della pressione arteriosa che accompagna l'eccitazione sessuale. Anche dormire troppo o troppo poco può dare alla testa, perché altera i ritmi naturali di sonno e veglia e, di conseguenza, la produzione di alcune sostanze che influiscono sul nostro benessere. Un tipico caso è la cefalea del nottambulo, il mal di testa che viene quando fai le ore piccole la notte e poi tenti di recuperare durante il giorno il sonno perduto. Un altro è la cefalea da week end, che colpisce durante il fine settimana quando si modificano gli orari del sonno rispettati dal lunedì al venerdì.
L'ambiente L’ambiente in cui vivi, come è facile immaginare, influisce fortemente sulla qualità della tua vita e sul tuo stato di salute. In particolare, esistono numerosi fattori di natura ambientale che possono scatenare o aggravare le crisi di cefalea nei soggetti predisposti. Ecco i principali. Sei ha naso e orecchie "sensibili" cerca di evitare i rumori e gli odori troppo intensi. Il chiasso assordante, un suono acuto e prolungato, aromi e fragranze pungenti ma anche un profumo particolarmente intenso possono, infatti, farti scattare il mal di testa. Un effetto analogo può avere la luce troppo forte, soprattutto quando fissata a lungo. Se quota e testa non vanno d'accordo, attento alle escursioni in alta montagna. L'effetto che l'altitudine esercita sulla qualità dell'aria in alta quota può, infatti, avere ripercussioni anche su di te. Con l'aumento della quota, l'aria diventa più rarefatta e può provocare mal di testa, vertigini e nausea. Per evitare questo sgradevole effetto da altura basta salire in modo graduale e fermarsi spesso durante il percorso per consentire all'organismo di adattarsi un po' per volta al cambiamento di altitudine. Paura di volare? Se soffri di questa fobia, hai una scusa in più per preferire altri mezzi di trasporto. La pressurizzazione cui sono sottoposte le cabine degli aerei e gli effetti spesso destabilizzanti del cambiamento di fuso orario sono, infatti, due fattori che possono indurre mal di testa, insonnia e senso di stordimento. Quando ti sposti in aereo, soprattutto per destinazioni lontane, cerca di dormire almeno qualche ora durante il viaggio e di non appesantirti eccessivamente con il cibo prima e durante il volo. Tra i fattori ambientali che più influiscono sulla comparsa del mal di testa, possiamo sicuramente citare il clima e l'inquinamento nelle sue diverse forme Un discorso a parte merita la casa, il primo ambiente con cui ci rapportiamo ogni giorno.
I cibi Ti è mai capitato di avere mal di testa dopo un pranzo, una cena o magari un banale spuntino? Se la risposta è sì, probabilmente hai mangiato qualche cosa che te lo ha scatenato. Esistono molti alimenti che possono determinare una crisi di mal di testa. Questo perché i cibi in questione contengono particolari sostanze vasodilatatrici che, inducendo un allargamento dei vasi sanguigni (compresi quelli del cranio), provocano il dolore. Non confondere, però, questo tipo di mal di testa, generalmente sopportabile, con quello causato dalle allergie alimentari! In questo caso il dolore è una risposta del corpo a qualche sostanza che ti scatena una reazione immunitaria. Riconoscere questo mal di testa "allergico" è facile perché spesso è accompagnato da altri fastidiosi sintomi, come eruzioni cutanee, aumento del battito del cuore, disturbi intestinali. Per evitare il mal di testa da cibo l'unico rimedio è quello di prestare attenzione a ciò che si mangia. Cerca, quindi di riconoscere e di limitare, o meglio ancora eliminare, le pietanze e le bevande "a rischio". Segui una dieta sana e bilanciata, ricca di alimenti come carni e verdure fresche che contengono magnesio, sostanza che sembra capace di prevenire la cefalea. Altri cibi consigliati sono latte, yogurt, pane bianco, zucchero, miele, pesce e cereali. Durante la gravidanza e l'età dello sviluppo, o nella stagione estiva, dovresti associare alla dieta vitamine e sali minerali, la cui carenza, dovuta allo sforzo e al caldo, rende più esposti alla crisi. Abbonda pure con il peperoncino che, grazie alla capsaicina (sostanza capace di regolarizzare la circolazione del sangue e di ridurre la produzione delle sostanze che trasmettono il dolore) sembra essere un ottimo antidolorifico. Anche il digiuno può scatenare il mal di testa. Quando assumi pochi zuccheri puoi incorrere in una crisi ipoglicemica (il cosidetto "calo di zuccheri") che ha un effetto dilatante sui vasi sanguigni del cranio. Per evitare questo fastidio, che generalmente compare a metà mattina e per garantirti una riserva di energia, fai una prima colazione completa, abbinando a caffè, tè o latte, biscotti, fette biscottate, magari con la marmellata e cereali. Vi è, infine, un mal di testa dovuto alla temperatura del cibo. Quando mangiamo un gelato o un ghiacciolo, si manifesta un dolore lancinante e improvviso, dovuto all'eccessiva sollecitazione delle terminazioni nervose del palato. Anche in questo caso l'unico consiglio è quello di evitare di mangiare troppi cibi freddi o, quanto meno, di mangiarli lentamente.
La donna Lo stato di salute di una donna dipende molto dal suo delicato equilibrio ormonale, spesso soggetto ad alterazioni durante le diverse fasi della vita. Il ciclo mestruale, la gravidanza, la menopausa, l'uso di contraccettivi orali, sono tutte situazioni in cui si verificano variazioni ormonali che possono scatenare attacchi di mal di testa. Quando il mal di testa è … donna! Per molte donne, il legame tra ciclo mestruale e mal di testa è un evento tristemente noto. Secondo l'ACHE (American Council for Headache Education) almeno il 60% delle donne che soffre di mal di testa lamenta un aumento nel numero di attacchi di cefalea durante il periodo mestruale. Mentre una percentuale minore (circa il 10%) riferisce di accusare crisi di emicrania solo in corrispondenza dei giorni del ciclo e non altrimenti. In realtà, anche se l'effetto esercitato dalle variazioni ormonali sul "mal di testa femminile" è da tempo una conoscenza acquisita, il meccanismo con cui tale influenza si verifica rimane ancora in parte sconosciuto. Perché gli ormoni ci danno alla testa? L'origine del "mal di testa al femminile" è legata alle variazioni ormonali che si verificano in particolare momenti della vita di una donna. Anche se il meccanismo di interazione non è ancora del tutto chiaro, è stato ipotizzato da tempo che gli estrogeni (gli ormoni sessuali femminili) giochino un ruolo determinante nel causare la cosiddetta "sindrome mestruale". Sembra, infatti, che il brusco calo di estrogeni, che si verifica in concomitanza dell'arrivo del ciclo, causi una riduzione di alcune sostanze prodotte dal cervello (le Beta-endorfine) che svolgono un ruolo determinante nel ridurre la sensibilità al dolore. Con il calo degli ormoni, aumentano invece le prostaglandine, sostanze responsabili dei processi infiammatori che facilitano gli squilibri nella circolazione sanguigna cerebrale. Anche il progesterone, altro ormone sessuale femminile, è coinvolto nell'insorgenza del mal di testa femminile: il suo livello scende alcuni giorni prima dell'inizio delle mestruazioni causando quella che alcuni identificano come "emicrania premestruale".
Metodi di prevenzione e trattamento
Norme generali Prevenire il mal di testa è possibile applicando e rispettando, innanzitutto, alcune semplici norme e buone abitudini di vita: controllare la propria dieta, eliminare o ridurre il fumo e l'alcol, fare un'adeguata attività fisica, non assumere o mantenere a lungo posizioni del corpo scorrette, cercare di gestire ansia e stress.
Prevenzione farmacologica La prevenzione attraverso i farmaci (terapia di profilassi), è consigliata nei casi di dolore cronico o frequente e nelle forme di cefalea particolarmente dolorose, varia a seconda del genere di mal di testa e deve essere studiata in base alle indicazioni e alle caratteristiche del paziente. L'assunzione dei medicinali deve avvenire, naturalmente sotto il controllo del proprio medico curante. Nel caso dell'emicrania si interviene con la terapia di profilassi quando si hanno tre o più crisi al mese, che durano almeno due giorni. La profilassi è particolarmente indicata nel caso della cefalea a grappolo, perché può aiutare a ridurre la durata degli attacchi e anche perché, data la brevità delle crisi, spesso il trattamento sintomatico non ha il tempo di agire. La cefalea tensiva può richiedere un trattamento preventivo nel caso sia cronica, con più di due attacchi alla settimana.
Trattamento farmacologico L'efficacia del trattamento farmacologico dell'emicrania dipende, in buona misura, dalla tempestività con cui si interviene. Gli analgesici da banco, soprattutto se assunti all'insorgere dei primi sintomi, possono risultare efficaci nel contrastare il dolore provocato dagli attacchi emicranici di minore intensità. Questi farmaci esercitano, infatti, azione antidolorifica e antinfiammatoria. Nei casi di crisi più dolorose e acute, si può ricorrere ai triptani, farmaci che agiscono sui recettori della serotonina riducendo la dilatazione dei vasi cerebrali. Queste sostanze, però, possono avere effetti collaterali (costrizione al petto, stanchezza) e sono controindicati in determinate situazioni. In passato venivano usati gli ergotaminici (derivati dell'ergot), farmaci che, esercitando un'azione vasocostrittrice, contrastano la fase di vasodilatazione cranica responsabile dell'insorgere del dolore. In tutti i casi, dal momento che la nausea è spesso un sintomo di accompagnamento nelle crisi emicraniche, è preferibile (quando possibile) limitare l'uso di farmaci per somministrazione orale per evitare il rischio che questi possano indurre il vomito. È bene ricordare, infine, che l'assunzione di farmaci dovrebbe sempre avvenire dietro indicazione del proprio medico. Alcuni di questi farmaci possono, infatti, presentare effetti collaterali, risultare inadeguati per chi soffre di altre patologie (disturbi cardiaci, circolatori o renali) o essere sconsigliati durante la gravidanza.
Metodi "dolci"
Massoterapia La massoterapia consiste in massaggi che aiutano a decontrarre e sciogliere i muscoli ed è utile soprattutto quando la cefalea tensiva si manifesta insieme ad artrosi cervicale, oppure quando si hanno difficoltà nella rotazione del capo.
Training autogeno È una tecnica che insegna al paziente a rilassarsi in maniera profonda. Ci si concentra su alcune parti del corpo con immagini e sensazioni distensive, fino a non percepirne più la sensibilità fisica. Così anche la mente comincia a rilassarsi e riesce a tenere sotto controllo non solo il mal di testa, ma anche i dolori articolari e muscolari.
Yoga Secondo lo yoga, il dolore è provocato da uno squilibrio tra le forze negative della luna e quelle positive del sole. Con l'apprendimento delle diverse posizioni, si può arrivare a controllare il respiro e, quindi, a raggiungere un benefico rilassamento fisico e mentale.
Rebirthing Questa tecnica serve per correggere il proprio ritmo respiratorio. Con poche sedute si può imparare a respirare in modo lento e profondo, aumentando l'ossigenazione del sangue e favorendo l'eliminazione delle tossine. Si raggiunge così una sensazione di benessere che aiuta il rilassamento dei muscoli e, quindi, combatte uno dei principali fattori scatenanti la cefalea tensiva.
Musicoterapia Si basa sul principio che la musica ha una grande influenza sull'equilibrio psicofisico dell'uomo e che il suo ritmo ha effetto sulla pressione sanguigna, la respirazione e il battito cardiaco. Il paziente soggetto ad ansia o stress può raggiungere uno stato di relax e di benessere generale ascoltando i brani musicali più indicati per lui, individuati e selezionati da un musicoterapeuta.
Meditazione Comprende una serie di pratiche contemplative che aiutano a sviluppare o aumentare la concentrazione e la consapevolezza di se stessi e quindi a migliorare la qualità della vita. La meditazione, grazie a semplici esercizi di respirazione, rilassamento e visualizzazione, permette di vincere lo stress e ritrovare calma mentale e serenità.
Aromoterapia Le proprietà terapeutiche delle erbe e degli oli essenziali da esse derivati sono note da sempre: tutte le antiche civiltà hanno utilizzato aromi e unguenti profumati con scopi medicinali, oltre che cosmetici e rituali. L'aromoterapia, riprendendo queste millenarie conoscenze, sfrutta l'azione dei principi attivi contenuti nelle piante per ripristinare il corretto scorrere delle energie vitali nel corpo e per garantire un benessere psicofisico generale. Gli oli essenziali hanno, infatti, un grande potere antisettico e agiscono solo contro i virus e i batteri patogeni e non contro la flora batterica non dannosa. Esercitano anche una funzione stimolante sul sistema immunitario e contribuiscono all'espulsione delle tossine dall'organismo. Gli oli essenziali dell'aromoterapia possono essere utilizzati secondo differenti modalità: per via orale: è il sistema adatto per combattere mal di testa, tosse, raffreddore, indigestione, calcoli. Si possono diluire da una a tre gocce di olio in acqua e miele o su una zolletta di zucchero; impacchi: da utilizzare in caso di malattie della pelle e contusioni. Bisogna impregnare un panno di cotone con acqua e tre o quattro gocce di olio e applicare sulla zona interessata; bagni: sono utili per dolori mestruali, insonnia, disturbi circolatori, tensione nervosa, ritenzione idrica. L'acqua in cui sciogliere gli oli deve essere molto calda e il bagno deve durare almeno un quarto d'ora, per avere gli effetti desiderati; inalazioni: sono consigliate a chi non può assumere farmaci e servono contro disturbi respiratori e tensioni muscolari. Bisogna mettere una decina di gocce su un fazzoletto da portare al naso, o anche scioglierle in acqua bollente e inalarne i vapori; massaggi: il metodo più comune e più efficace di applicazione dell'aromoterapia, perché, in questo modo, le essenze curative penetrano più in profondità, frizionando la parte del corpo in questione con gocce d'olio. In particolare, il massaggio effettuato con aromi e oli essenziali allevia i dolori, favorisce il rilassamento e aiuta a eliminare la tensione muscolare, una delle principali cause della cefalea tensiva. Gli aromi più indicati per il mal di testa sono il basilico, la rosa, l'origano, il cipresso. Per combattere lo stress si può ricorrere al rosmarino o alla salvia sclarea, mentre contro l'ansia sono utili il neroli, essenza ricavata dai fiori d'arancio, la lavanda e lo ylang ylang.
Biofeedback Biofeedback significa, letteralmente, "ritorno biologico". Questa tecnica è nata negli Stati Uniti e si sta diffondendo rapidamente anche in Italia. Viene utilizzata in molti ospedali come cura della cefalea tensiva e di altre patologie legate agli stati d'ansia e a disturbi psicosomatici. Il biofeedback utilizza apparecchiature elettroniche per insegnare al paziente a rilassare i muscoli contratti. Il soggetto viene collegato, tramite dei sensori posti sulla fronte o sul collo, a uno strumento in grado di misurare la tensione muscolare. Ad ogni contrazione dei muscoli interessati, la macchina emette un segnale sonoro o luminoso, che diminuisce di intensità quando la tensione si attenua. Il paziente si rende conto delle contrazioni involontarie che scatenano l'attacco di cefalea tensiva e impara, anche con esercizi di rilassamento, a controllare e a rilasciare la muscolatura, ponendo fine alla crisi dolorosa. Il biofeedback è una terapia di successo perché non è invasiva e non presenta effetti collaterali. Richiede, però, tempi piuttosto lunghi, almeno dieci sedute, e una buona facoltà di concentrazione. I risultati migliori sono stati ottenuti con i bambini e i giovani, perché in questa fascia di età si hanno maggiori capacità di apprendimento e minori resistenze mentali. Il biofeedback viene praticato oggi in molte strutture sanitarie, tra le quali segnaliamo i Centri Cefalee Italiani, accreditati dalla Federazione Europea delle Cefalee (EHF).
Agopuntura Riconosciuta anche dall'Organizzazione mondiale della sanità, l'agopuntura è un'antica tecnica della medicina tradizionale cinese che considera la salute come un'armonia dell'uomo con se stesso, con la natura e con l'ambiente. Secondo questa disciplina, l'introduzione di aghi in determinati punti della cute stimola le energie vitali, ristabilendo l'equilibrio interno e rilassando il corpo. Secondo l'agopuntura, il dolore nasce da un'alterazione del flusso di energia che scorre all'interno del corpo, lungo una rete di meridiani. La cefalea tensiva, in particolare, è dovuta a un eccesso di energia nel fegato, l'organo che sovrintende alle emozioni, mentre l'emicrania dipende da una carenza di energia nei reni. Per rimediare a questi disordini, l'agopuntore inserisce gli aghi nei punti dei meridiani del corpo interessati. In questo modo, si aumenta la produzione di alcune sostanze, come l'endorfina e la serotonina, che hanno un'azione antidolorifica. Sono utilizzati da quattro a dodici sottilissimi aghi che vengono inseriti, a seconda del disturbo da curare, in punti precisi individuati dal medico e riscaldati o con un massaggio delle dita, o con una foglia di artemisia essiccata. L'agopuntura è utilizzata sia nella prevenzione degli attacchi, sia nel controllo del dolore, ma per avere dei risultati occorrono una decina di sedute, non più di due alla settimana, con un richiamo dopo qualche mese.
Shiatsu Lo shiatsu, termine giapponese che significa "pressione con le dita", è una pratica di massaggio che mira a ristabilire il corretto flusso dell'energia lungo il corpo. Secondo questa tecnica, il dolore nasce dalla mancanza di armonia tra corpo, mente e spirito e, per combatterlo, è necessario ristabilire il giusto equilibrio energetico della persona, stimolando alcuni punti particolari, detti tsubo. Secondo la pratica shiatsu la cefalea è dovuta a un ristagno di energia nella testa, e per farla passare, bisogna far defluire questa energia verso il basso. Lo shiatsu si pratica e si riceve vestiti in modo confortevole, in un ambiente tranquillo, senza indossare scarpe, anelli o qualsiasi altro indumento che possa dare fastidio. La pressione, esercitata con le dita o con i palmi della mano, deve essere piuttosto forte, senza però causare dolore, e va mantenuta per venti o trenta secondi. Il movimento deve essere ripetitivo e "cullante". Un trattamento richiede da trenta minuti a un'ora e i suoi effetti si protraggono a lungo nel tempo. È possibile effettuare anche l'automassaggio (autoshiatsu), dopo averlo imparato da un terapeuta esperto.
I rimedi della nonna Il mal di testa è un problema antico come l'uomo. Anche le cure per contrastarlo, quindi, hanno una lunga storia, tramandata dalle tradizioni popolari. Certo, l'efficacia di questi rimedi non è scientificamente provata, ma il loro vantaggio è di non avere particolari controindicazioni e di poter quindi essere sperimentati liberamente. Si può allora provare ad alleviare il dolore con impacchi di foglie di cavolo fresche o di cipolla o rafano crudi, avvolti in garze e applicati sulla nuca per venti minuti. Sembra essere efficace anche applicare fette di limone fresco o di patate crude sulle tempie, o frizionare le tempie stesse e la fronte con olio essenziale di menta o di lavanda. Sollievo dovrebbe offrire anche un pediluvio con un'acqua molto calda, nella quale aggiungere una manciata di sale grosso o un cucchiaio di olio di rosmarino. Lo zenzero, una radice aromatica di origine orientale, è indicato in tutte le sue forme (crudo, come caramella o come preparato per tisane) per combattere il mal di testa. Il peperoncino è un ottimo antidolorifico, così come risultano utili come lenitivi liquirizia, pepe, anice, zafferano e curry. Salutari sono anche le bacche di ginepro, da masticare senza inghiottirle. Vi sono poi numerose piante medicinali con proprietà analgesiche, note fin dall'antichità. Il partenio, ad esempio, veniva usato contro i dolori mestruali. I fiori d'arancio e la lavanda hanno proprietà sedative e antispastiche e sono indicate per i mal di testa da stress. Si possono preparare delle tisane, sciogliendo un cucchiaio di preparato ottenuto dai germogli delle due piante in 200 ml di acqua bollente e lasciando riposare l'infuso per dieci minuti. Lo stesso discorso vale per la menta piperita.
Informazioni tratte dal sito http://www.chemalditesta.it , adattamento di Alan Perz

giovedì 9 luglio 2009

Autoipnosi e terapia

Autoipnosi e terapia
Ogni ipnosi e' essenzialmente autoipnosi (Cheek e LeCron,1968) di Antonio Bufano (dal sito http://www.vertici.com/)
PREMESSE
Esiste un'ampia offerta di libri con materiale e istruzioni per sviluppare stati mentali alternativi a stati ordinari e finalizzati all'autoguarigione, ma molti hanno nessuna base sperimentale e una dubbia fondatezza scientifica. Per di più sembrano presupporre una idea della mente non ecologica e non integrativa e incoraggiano a instaurare un rapporto direttivo e coercitivo con una parte di sé. E' stato ormai ampiamente dimostrato che la mente umana è naturalmente predisposta a entrare in stati di coscienza alterati. Secondo alcuni Autori, viviamo continuamente in uno stato ipnotico, in un mondo di apparenze, di come se (Watzlawick 1988). E' stato anche osservato che il processo dell'apprendimento costituisce un fenomeno vitale per l'essere umano ed è significativamente stato-dipendente. Si può apprendere accidentalmente e casualmente e spesso il supporto di uno stato di coscienza autoindotto diventa determinante. Nel caso in cui si intenda indursi una trance deliberatamente risulta problematico ottenere autonomamente una disorganizzazione o una discontinuità della consapevolezza ordinaria. C'è però da considerare l'importanza della disponibilità mentale che ognuno si crea in riferimento all'accesso a esperienze non pienamente controllabili con la mente conscia. Entrare in trance significa accettare l'idea di far coabitare dentro di sé una parte razionale e una parte non razionale. E' importante sottolineare che per chi usa professionalmente ed esplicitamente la trance diventa prioritario conoscere tutte le potenzialità dello strumento ipnotico. In genere non si è mai stata data adeguata importanza alla mente del terapeuta fino a includere nel repertorio di abilità proprie dell'Operatore di ipnosi una serie di impieghi autoipnotici. La trance del terapeuta durante la seduta è stato per lo più stata trattata come un evento possibile e incidentale all'interno del lavoro terapeutico. Esiste una evidenza statistica che indica che molti terapeuti alla fine del percorso formativo in ipnosi abbandonano l'uso dell'ipnosi per prediligere altri strumenti a causa della difficoltà di gestire la propria trance (Wilbacher,1998). Però la mente del terapeuta deve poter procedere in più direzioni e deve essere dotata e allenata creativamente per affrontare efficacemente tutte le fasi della terapia. E' utile interrogarsi non solo se la terapia per il terapeuta e il paziente si esaurisca completamente all'interno della seduta, ma sostanzialmente come la sperimentazione degli stati ipnotici vada ad arricchire la dinamica degli stati di coscienza del soggetto nella vita quotidiana. E' plausibile pensare che il processo ipnotico si estenda con una continuità e con modalità sorprendenti nella vita di tutti i giorni. E' ipotizzabile che possano essere esaltati stati sonnambulici in cui la dotazione di una alta concentrazione possa agevolare l'esecuzione di compiti come guidare un automobile. La mente conscia del terapeuta nell'approccio al paziente può risentire di tutte le limitazioni proprie della sua natura, anche se ci permette di tenere un contatto determinante con la cosiddetta realtà condivisa. Nel corso della stesura del presente lavoro ci siamo posti una serie di domande che sono emerse spontaneamente e in questa sede tenteremo di dare delle risposte che certamente non potranno soddisfare tutti gli interrogativi di partenza. E' necessario avere una vita di veglia insoddisfacente per entrare in autoipnosi? Quanti eventi con alterazione spontanea di stato di coscienza possono definirsi autoipnosi? Ad esempio i sogni a occhi aperti costituiscono una forma di autoipnosi? Se è vero come sosteneva Erickson che tutti sono ipnotizzabili, l'autoipnosi è un'esperienza realmente accessibile a tutti? Usare le suggestioni indirette in eteroipnosi come modo per evocare un complesso sistema di risposte interne rappresenta una via per generare impropriamente e indirettamente autoipnosi? Il cervello umano segue modelli di funzionamento che producono automaticamente stati autoipnotici? E' possibile praticare autonomamente autoipnosi senza avere una idea definita di cambiamento? Aver praticato autoipnosi per conto proprio ha un effetto facilitante rispetto all'avvio di una terapia ipnotica e viceversa aver avuto una esperienza eteroipnotica facilita l'autoipnosi successiva? Quanta terapeuticità è racchiusa nella pratica autoipnotica? L'autoipnosi può costituire una necessità laddove la seduta ipnotica non esaurisce gli obiettivi di questa? In questo breve studio cercheremo di focalizzare tutta la ricchezza dello strumento autoipnotico in special modo nel contesto terapeutico tracciando, dove opportuno, le differenziazioni con l'eteroipnosi. Escluderemo tutta una serie di contesti non terapeutici dove il fenomeno autoipnotico emerge per assolvere a varie funzioni.Ad esempio nei campi di concentramento e in guerra dove pure vengono prodotti stati di coscienza alterati per la sopravvivenza dell'individuo. Inquadreremo sostanzialmente l'incontro tra un professionista e un paziente entro e fuori la cornice della seduta e basato su un modello terapeutico in cui è esplicitato il primato dell'ipnosi nel piano di trattamento. Indagheremo la fenomenologia ipnotica sviluppabile parallelamente e non nella mente del paziente e nella mente del terapeuta e in particolare se e quali fenomeni ipnotici compaiono in autoipnosi e con quale grado di profondità. Tracceremo le linee teoriche che possono sostanziare meglio il discorso sull'autoipnosi. Infine individueremo le tecniche e i campi di applicazione significativamente indicativi per noi. Determinanti culturali della trance Esiste una forma di trance abitualmente praticata a Bali in situazioni ritualistiche e con precisi significati religiosi. Lo sciamano deve poter produrre per sé un forte stato ipnotico per poter operare in modo credibile in relazione a un contesto popolato da altri. Nella Grecia antica la sacerdotessa del tempio di Apollo dettava oracoli dopo essere andata in trance masticando foglie di alloro. Da oltre 1700 anni sul monte Athos i monaci ortodossi greci praticano la Preghiera del cuore così chiamata perché le parole vengono scandite in modo da ricalcare il naturale battito cardiaco (Thomas,1976). Da un punto di vista costruzionistico-sociale l'incontro terapeutico si evolve in una co-costruzione di significati in un ambiente socio-culturale ben determinato (Liotti 2001).
MODELLI TEORICI Immaginazione e Ipnosi E' bene operare una adeguata distinzione fra i due fenomeni. Spesso si può incorrere nell'errore di assimilare semplicisticamente la stessa autoipnosi all'immaginazione. L'essere umano possiede la naturale capacità di produrre le immagini mentali.con una spontanea predisposizione alla componente visiva o a quella uditiva. Come ricorda Erickson l'osso del piede è unito all'osso della caviglia per cui la capacità di immaginare visivamente è connessa alla capacità di immaginare uditivamente. Immaginare è un modo non mediato linguisticamente.di accedere a una attività creativa personale. Immaginare non garantisce in assoluto la riuscita ipnotica, ma può agevolare considerevolmente il processo ipnotico nelle sue varie fasi. Nei primi esperimenti sulla natura dell'ipnosi , Erickson scoprì che visualizzare e immaginare una semplice azione come prendere dei frutti, esaminarli attentamente e poi posarli, sfociava in trance profonde con allucinazioni (Erickson, 1980). Shone (1982) descrive il caso di una persona che incontrava difficoltà nell'approfondimento della trance che risolse immaginando di leggere un romanzo in cui un ipnotizzatore ipnotizzava la protagonista. Essere in grado di descrivere dettagliatamente e vividamente i contesti a cui naturalmente reagiamo permette di intensificare notevolmente le risposte. In base alla teoria ideomotoria dell'ipnosi il pensiero può tramutarsi in azione a seconda del livello di energia impiegato.
La Storia Emile Coue, farmacista consegnava ai suoi clienti i farmaci accompagnati da una serie di suggestioni da recitarsi autonomamente. A un certo punto della sua carriera sposò un approccio in cui abbandonò definitivamente la trance per valorizzare esclusivamente l'autosuggestione. Charles Baudouin (1921) arrivò a definire una teoria articolata dell'autoipnosi. Il suo intervento si basava essenzialmente nell'istruire minuziosamente il soggetto all'autoipnosi in modo da consentirgli di rendersi consapevole delle proprie autosuggestioni. Aldous Huxley (Bandler, 1984) rappresenta un esempio di uno studioso geniale che ha sviluppato autonomamente una forma autoipnotica che ha chiamato Riflessione Profonda. Era in grado di entrare e uscire da stati di coscienza alterati con molta facilità mostrando una spiccata abilità nel sonnambulismo profondo. Aveva fatto diverse esperienze psichedeliche con la messalina. Huxley era molto interessato all'ipnosi e Erickson all'approccio di Huxley ai problemi psicologici e all'uso assai peculiare della sua mente inconscia. Da questo nel 1950 nacque una interessante collaborazione documentata in parte a causa di un incendio avvenuto nella casa di Huxley a Los Angeles dove bruciarono alcuni appunti di Erickson. Erickson descrisse la riflessione profonda di Huxley come uno stato di profondo di rilassamento fisico caratterizzato da un profondo distacco dalle cose esterne, senza perdita della realtà fisica, né amnesia o perdita dell'orientamento. Huxley riferiva di riuscire a prendere appunti senza rendersi conto dell'atto fisico.
Umadze e la teoria dell'Aspettativa Intorno agli anni 60 il ricercatore russo Umadze (1966) notò che l'aspettativa agiva inconsapevolmente in molti aspetti della vita di una persona fino a rappresentare un modello di funzionamento globale. Identificò pertanto due livelli di vita mentale che hanno il controllo dei comportamenti e che agiscono fuori della coscienza. Nel primo livello il comportamento è completamente condizionato, mentre nel secondo chiamato dell'oggettificazione, la percezione è basata sull'aspettativa senza una reazione diretta. Pertanto la teoria di Umadze rappresenta un modello per capire tutta l'influenza che ha l'aspettativa nella dinamica dell'esperienza cosciente. Milton Erickson e l'approccio naturalistico Nel campo dell'ipnotismo Milton Erickson rappresenta l'esempio di uno studioso attento e curioso che è approdato a vaste e profonde conoscenze sull'argomento grazie a ampie esplorazioni su sé stesso. Nel primo volume delle Opere, nello scritto 'Esperienze autoipnotiche di Milton H.Erickson' (Erickson,1980), l'Autore mostra come l'alleviamento del dolore mediante l'ipnosi consiste semplicemente nell'utilizzazione e nell'estensione di molte esperienze naturali tratte dalla vita quotidiana che condizionano l'esperienza soggettiva del dolore. Erickson descrive dettagliatamente le proprie esperienze personali nell'alleviare il dolore. Attingere al vasto deposito di apprendimento inconscio e renderlo disponibile diventa la base per poter procedere efficacemente con l'autoipnosi. Dopodiché occorre allenarsi a ottenere una trance frazionata con l'idea che il dolore rappresenta solo una parte dell'esperienza vivibile in ogni momento. Durante gli ultimi dieci anni di vita soffrì di artrite cronica. Per alleviare il dolore durante il giorno era in grado di usare efficacemente l'autoipnosi, ma la notte si svegliava in preda al dolore più o meno ogni due ore. Gradualmente fu in grado di ristrutturare il dolore sperimentandolo inizialmente come un filo metallico incandescente posto sulla superfice della pelle e poi come un calore che si diffondeva in tutta la spalla. A questo punto fu in grado di utilizzare questa sensazione per scivolare nel sonno.
Come racconta la moglie Elisabeth non fu per niente facile realizzare questo processo di apprendimento: 'L'inconscio può saperne di più della mente conscia e bisogna lasciare che elabori le sue nozioni senza interferenze, ma non sempre le cose filano lisce e può accadere che affronti le questioni in modo sbagliato. Alcune esperienze di Erickson sul controllo del dolore sono stata caratterizzate da tentativi e errori, con una buona dose di errori. Per esempio passava ore e ore spossanti a esaminare verbalmente le sensazioni, muscolo per muscolo, più e più volte, insistendo perché qualcuno (di solito io) non soltanto lo stesse ad ascoltare, ma gli dedicasse la più completa e concentrata attenzione, indipendentemente dall'ora tarda o dall'urgenza delle altre cose da fare. Lui non ha assolutamente alcun ricordo di queste sedute e io non riesco ancora a capirle. Penso che fossero vicoli ciechi, ma è probabile che abbiano comportato qualche apprendimento inconscio. Oppure no. Ne parlo perché penso che molti si scoraggiano quando l'inconscio si perde temporaneamente in un vicolo cieco.Il messaggio è: Tieni duro. Alla fine funzionerà'. (Erickson, Opere Vol. 1, p.151)
L'Autore faceva spesso riferimento alla cosiddetta trance da autostrada come forma autoinduttiva spontanea non finalizzata.In terapia era convinto che il paziente instaura sempre quel livello di ipnosi che gli è necessario. Inoltre Erickson sottolineava che per poter essere utilizzata a fini terapeutici uno stato alterato deve poter essere mantenuto per un certo tempo. Anche per l'ambito autoipnotico, oltre che per quello eteroipnotico, l'indicazione di Erickson è orientato al pieno rispetto della libertà individuale e dell'inconscio. La coscienza non sa entrare in autoipnosi, ma può solo predisporre l'ambiente e rimanere nell'attesa che accada qualcosa. E aggiunge: 'Chi è affetto da insonnia sta a letto e dice 'Adesso devo addormentarmi - devo addormentarmi - devo riposare un po'- devo addormentarmi - devo addormentarmi - DEVO RIPOSARMI UN PO' - HO BISOGNO DI UN PO' DI RIPOSO!. E che succede? Rimane del tutto sveglio. Rimane del tutto sveglio perché sta dicendo continuamente a sé stesso che cosa deve fare. (Erickson, 1983, p.220). In più punti della sua opera ha sottolineato l'importanza di non essere coercitivi sugli apprendimenti da far realizzare all'inconscio. Se entriamo in trance per imparare l'aritmetica, finiremo per imparare la storia (Erickson, 1987). Anche la velocità di apprendimento non può essere predeterminata. Nella sua pratica ipnotica Erickson usava preferibilmente suggestioni generali e aperte e amava interrompere il flusso di suggestioni con lunghe fasi di silenzio per assecondare i momenti di interiorità e generare più spazi creativi per il paziente. Era convinto della necessità di far fare qualcosa al paziente per assicurarsi di tenerlo attivo nella risoluzione del problema. Spesso affermava 'Né io né tu sappiamo cosa farà il tuo inconscio' per suggerire la permanenza di uno stato alterato speciale di reattività terapeutica dopo la seduta. Erickson usava frequentemente la suggestione postipnotica come indicazione per il lavoro autoipnotico successivo (Erickson, 1987). Dopo la seduta lo stato autoipnotico viene innescato da suggestioni postipnotiche e diventa necessaria per la stabilizzazione delle cose apprese. A tal proposito diceva che la strada asfaltata deve indurirsi per sopportare il traffico pesante (Erickson, 1987). Sull'ampia libertà offerta dall'apprendimento dell'autoipnosi Erickson ha scritto: Nell'autoipnosi potete entrare in trance in rapport solo con voi stessi oppure, se volete, potete andare in trance in rapport anche con X e con Y e con Z; potete anche fare in modo di essere in rapport con la persona che viene alla vostra porta e suona il campanello del tutto inaspettatamente - una persona che non ha nessun ruolo particolare nella vostra situazione totale di trance; potete andare in trance autoipnotica in rapport con il telefono così da creare una risposta adeguata a coprire tutte le possibili contingenze. (Erickson, 1987, p.67)
L'Autore riteneva doveroso procedere a un addestramento strutturato in autoipnosi nei casi di fondata necessità come il dolore cronico o una pressione sanguigna gravemente anomala. L'Autore ha spesso impiegato le abilità ipnotiche della moglie Elisabeth per fare ampie dimostrazioni pubbliche. La frequenza con cui fu impegnata permise alla signora Erickson di accedere rapidamente alle allucinazioni visive e uditive e di provocare anestesia in ogni parte del corpo. Non aspettava più tutte le istruzioni del marito, ma riproduceva autonomamente il fenomeno ipnotico in questione. Aveva sviluppato una competenza autoipnotica molto ampia. Progressivamente imparò che poteva parlare ad alta voce e descrivere minuziosamente i cambiamenti sensoriali senza interrompere il proprio processo ipnotico. Poteva addirittura esaminare un problema personale senza rischiare di uscire dallo stato di trance in corso (Erickson, 1983). Betty Alice Erickson, la figlia di Milton ha imparato a entrare in una trance sonnambulica assai rapidamente. Nei casi difficili in cui il paziente mostrava una scarsa fiducia in sé stessa Milton Erickson faceva partecipare la figlia Alice per avviare il lavoro terapeutico. In un caso di una paziente oncologica che soffriva di nausea e vomito intensi, chiese ad Alice di entrare in trance davanti alla paziente e di fornirgli le suggestioni da adoperare. Dopo un po' la figlia disse: 'So rispondere. Ho fatto di me una malata. Prima ho provato nausea; poi ho sentito tutti i muscoli dello stomaco contratti come se stessi cominciando a vomitare, e quindi ho smesso. Ho prodotto un interruzione proprio qui.. Ho perduto tutte quelle sensazioni di nausea e ho smesso di contrarre i muscoli… Si produce una anestesia; si dirige la propria attenzione altrove, si cambia il modo di pensare.' (M.H.ERICKSON, 1988,pag.65)
Richard Bandler, John Grinder e la Programmazione Neurolinguistica Tra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '80 si sviluppa un modello integrato che studia la comunicazione umana denominato PNL. Bandler insiste sull'importanza di essere clinici flessibili per agire efficacemente in base a quella che indica come la legge della varietà necessaria. Più varietà comportamentale possiede il terapeuta più sarà in grado di aiutare il paziente prima o poi a fargli operare determinanti cambiamenti (Dilts, 1980). Nell'addestramento dei terapeuti gli Autori propongono lo sviluppo di una competenza raffinatissima nell'osservazione e nel ricalco. Per osservare correttamente si richiede uno stato mentale non saturo di rappresentazioni mentali interne. Se non si fa una buona osservazione non si può ricalcare efficacemente il comportamento del paziente. Ricalcare ampliamente l'altro intensifica la sintonia interpersonale e presuppone la capacità di gestire la sperimentazione di stati mentali altrui. Ernest Rossi e l'approccio ultradiano del sistema mente-corpo Tra gli anni '80 e gli anni '90 Ernest Rossi ha sviluppato un ampia esplorazione sui ritmi ultradiani nell'essere umano al fine di individuare le fitte connessioni nel sistema mente-corpo. Il corpo umano vive basandosi sul ritmo; battere le ciglia, respirare,deglutire rappresentano modi biologici fondamentali di essere. Rossi (Rossi, 1993) ha potuto verificare che nell'arco della giornata in cicli di 90-120 minuti esistono momenti in cui attiviamo stati intermedi di consapevolezza tra la veglia e il sonno e in cui diventiamo straordinariamente introspettivi così che la finestra tra conscio e inconscio si dischiude. Le persone usano automaticamente pause ultradiane che possono durare anche solo di 5 minuti per staccare dall'attività in corso e ristorarsi. A tal proposito Rossi segnala tale fenomeno come risposta ultradiana di guarigione In genere non sappiamo essere completamente svegli e viviamo in una specie di zona d'ombra in cui gli occhi sono aperti e il cervello è in parte offuscato. In questo quadro l'autoipnosi si configura come un evento fisiologico necessario. Secondo l'Autore Erickson era solito non a caso operare con sedute che duravano mediamente due ore. Rossi propone un accesso creativo alla mente interna attraverso il dialogo mente-corpo in modo da includere risorse che in stato ordinario di veglia l'individuo non sa usare.
L' Ipnosi Moderna L'ipnosi moderna dell'ultimo decennio è rappresentata da diversi clinici come Jeffrey Zeig che si ispirano fondamentalmente al lavoro di Milton Erickson e che hanno sottolineato alcuni aspetti peculiari come l'evocazione e la compresenza. L'intervento terapeutico si sostanzia attraverso piccole modifiche delle caratteristiche ipnotiche del soggetto che gli permettono di sperimentare il cambiamento della realtà problematica portandolo verso la scoperta delle proprie soluzioni.
L'autoipnosi del paziente Il trattamento ipnotico deve il suo successo essenzialmente a quattro ingredienti fondamentali: la modificazione dello stato di coscienza ordinario lo stabilirsi di una relazione con caratteristiche peculiari trasmissione di idee accettabili per il paziente la modificazione della memoria procedurale Nel processo autoipnotico svincolato dalla terapia viene a mancare tutta la ricchezza della situazione relazionale di cura e accudimento e l'intera dimensione dello scambio interpersonale. Per questo diventa più produttivo inserire il lavoro autoipnotico in una relazione terapeutica in corso. In genere si può pervenire all'addestramento autoipnotico in una fase avanzata della terapia allorquando il paziente ha già mostrato la presenza di alcune capacità ipnotiche (capacità allucinatoria, capacità ideomotoria…). Esiste però l'abitudine di molti ipnotisti ad avviare il paziente a un proprio lavoro autoipnotico già dalle primissime fasi della terapia. In molte forme terapeutiche la prima dimensione a essere investita di esperienze trasformative è quella corporea. Secondo la Gestalt la consapevolezza corporea rappresenta la nostra esperienza primaria di essere-al-mondo. Il soggetto impara ad accedere e riconoscere progressivamente le proprie risposte interne e a usarle come sistema di segnalazione. Wolberg definisce l'autoipnosi una vera e propria trance indotta dal paziente per effetto delle suggestioni postipnotiche dell'ipnotista. L'autoipnosi può realizzarsi con livelli di profondità variabile tra il livello ipnoide e quello sonnambulico, ma nella maggior parte dei casi il grado di profondità è inferiore a quello raggiunto in eteroipnosi. Esiste un limite di approfondimento non accessibile in quanto sostanzialmente non è possibile depotenziare deliberatamente e direttamente l'emisfero non dominante oltre un certo grado. A meno che l'autoipnosi non sia oggetto di una istruzione al comportamento postipnotico. L'approfondimento in autoipnosi è tecnicamente realizzabile attraverso la dissociazione. A meno che non si prevedano istruzioni dettagliate per non accedere al sonno, è facile passare a uno stato naturale di sonno. Oltretutto si può verificare una confusione di livelli tra chi guida il processo ipnotico e chi segue. Di fatto la coscienza ha obiettive limitazioni ed è problematicamente posizionabile a un livello meta da cui deve guidare l'intero processo. La riemersione in genere avviene spontaneamente senza istruzioni dettagliate in merito. Accade spesso che una persona possa riproporsi spontaneamente porzioni del lavoro ipnotico avvenuto in seduta. L'autoipnosi predisposta dal terapeuta in genere si colloca sulla linea della modificazione della dimensione del controllo. A tal proposito Weitzenhoffer (1957) suggerisce al paziente: Quando lei sarà in stato ipnotico le cederò il controllo su se stesso, in modo da farle provare che lei riesce a controllare l'ipnosi dandosi le stesse suggestioni che le ho dato io. Può accadere che un paziente entri in autoipnosi in modo resistente per sfuggire al lavoro terapeutico (Erickson, Rossi, 1985).Si può trattare di soggetti precatatonici o in genere molto diffidenti verso l'ipnosi. Esiste un caso interessante in cui una donna chiese a Erickson di poter rimanere in macchina sotto la sua casa e poter svolgere autonomamente la terapia. Riteneva di avere un problema troppo terribile da raccontare. Charles Citrenbaum (1987) nel suo lavoro con i disordini delle abitudini crede nell'uso regolare dell'autoipnosi per prevenire significativamente le ricadute. Harold Crasilneck (1975) consiglia di far praticare giornalmente l'autoipnosi ai propri pazienti e in particolare ai pazienti con disordine dell'abitudine. Rossi (1993) sottolinea la necessità di percepire i segnali del primo stadio di stress ultradiano. Tra questi ricorre il bisogno di sperimentare ricordi positivi del passato e di fare fantasie gradevoli e lievemente eccitanti come quelle sessuali. Dal nostro punto di vista si può trattare di una attività autoipnotica spontanea. Nell'ipnosi moderna la terapeuticità dell'esperienza autoipnotica smette di stare nella suggestione verbale e si concentra nell'esperienza interna e più specificatamente nell'apprendimento della fenomenologia interna.
L'autoipnosi del terapeuta La mente del terapeuta è uno strumento di lavoro preziosissimo e pertanto va tenuta sempre in buona forma. Milton Erickson ha sempre sottolineato l'importanza di allenare la mente del terapeuta e a stimolarla creativamente. Nella formazione dei suoi studenti ha sempre posto ampio spazio all'uso del sé in questo senso. A tal proposito era solito dire 'Perché fare le cose in un solo modo? La responsività del terapeuta deve potersi improntare su una adeguata elasticità nel modo di prendere contatto con il proprio modo di conoscere e con il modo di conoscere del paziente. In relazione al primo contatto con il paziente, Erickson sottolinea: Quando i pazienti entrano nel mio studio li accolgo a mente sgombra e li esamino per vedere chi e cosa sono, e perché sono venuti, senza dare nulla per scontato. Per esempio, guardo una paziente e noto che ha due occhi e che uno dei due non è di vetro; è ovvio, quindi che li usa entrambi. Le guardo le mani perché, sai , mi sono trovato di fronte una ragazza che teneva i guanti perché aveva un braccio di legno. Le guardo i piedi e vedo che ha due piedi e i tacchi piuttosto larghi. Cerco di vedere quanti seni ha, come muova i gomiti e il braccio. Poi ascolto la sua voce per capirne il tono - il tutto per accertarmi che si tratti di un essere femminile. Perché dovrei partire dal presupposto che lo sia solo perché ha un nome da donna? (Haley, 1987, pag 79) Lo stesso conoscere terapeutico rappresenta una dimensione ricca di molte funzioni. Diventa pertanto importante operare una modificazione di stati di coscienza in modo autoindotto per sviluppare la mente dell'ipnotista finalizzato all'affinamento delle funzioni terapeutiche: per raffinare la capacità di osservazione dei segnali minimi per preparare le induzioni e acuire le intuizioni nel corso del percorso terapeutico per sviluppare un approfondimento diagnostico per approntare un addestramento strutturato di autoipnosi per il paziente Prima di sviluppare la consapevolezza dello stile personale con cui il terapeuta accede alla trance senza perdere terreno nel processo terapeutico della seduta, è ancora più utile prendere consapevolezza delle modalità di comunicazione interiore (Simpkins, 2000). Può far parte attiva della formazione del terapeuta incrementare una ricca consapevolezza delle suggestioni spontanee personali e dei modelli di risposta individuali. Ad esempio la percezione di alcuni odori determina automaticamente in ogni individuo stati di un certo tipo. Per avviare e mantenere utilmente l'acutezza nell'osservare il paziente deve potersi attivare uno stato di concentrazione peculiare ed esclusiva sul paziente dato che il repertorio comportamentale del soggetto in ipnosi tende generalmente a ridursi. Per Erickson e Rossi (1979) devono potersi sviluppare nell'allievo in formazione quattro livelli di capacità osservative: Relazioni di ruolo Strutture di riferimento Comportamenti di trance quotidiana Risposte di attenzione Nel primo livello si tratta di percepire la qualità di congruenza nella persona tra gli aspetti del comportamento verbale e non verbale in rapporto alla copertura di un ruolo. Nel secondo livello si tratta di identificare le strutture di riferimento dominanti che guidano i comportamenti di una persona. Nel terzo livello si tratta di decifrare i momenti e le modalità con cui una persona attiva una ricerca interna. Nell'ultimo livello si tratta di percepire i momenti in cui la persona è in grado di offrire la migliore attenzione possibile. Erickson propone l'uso della tecnica del mio amico John per autoaddestrarsi raffinatamente e facilmente alla distorsione temporale (Erickson, 1987). In 'La ristrutturazione della vita con l'ipnosi' (1987) Erickson asserisce: 'In trance penso più velocemente e più chiaramente che nel comune stato di veglia' (pag.55-56) A tal proposito precisa la sua abitudine a riflettere sui casi in trattamento mediante l'uso della trance. Erickson consigliava l'uso di una stanza insonorizzata per addestrare l'allievo al riconoscimento di segnali non verbali. Un paziente in merito al modo di fare terapia di Erickson disse: 'Mio fratello mi aveva scritto per chiedermi se il dottor Erickson mi aveva fatto entrare in trance. Gli ho risposto di no, ma poi gli ho anche detto: 'La risposta è si e no. Ma se vuoi sapere la verità, il dottor Erickson entra lui stesso in trance e io con lui' (Haley, 1987, pag.247) Nel corso dell'esperienza clinica la mente del terapeuta è destinata a evolvere verso usi strategici sempre più complessi del proprio sé e dell'uso accorto delle mosse. Dan Short (1999) sottolinea l'importanza per il terapeuta di coltivare una apertura mentale tale da non finalizzare l'intervento terapeutico a risultati predeterminati, ma di lasciare che il paziente scelga di percorrere di volta in volta le proprie strade per realizzare la propria crescita. L'assunto di base è che per ogni problema esiste più di una soluzione. L'Autore sottolinea anche che non tutto può essere sotto il controllo del terapeuta e un buon servizio per l'ipnotista è rendere possibile al paziente l'accesso a un risultato significativo per questi. Loriedo (2002) individua il colloquio responsivo come contesto ideale di scambio dove sviluppare al massimo grado la responsività del terapeuta aderente a quella del paziente. La PNL ha sottolineato l'importanza di saper distinguere uno stato mentale da un altro sulla base dell'accesso ai diversi sistemi sensoriali (Dilts, 1980). Descrive, pertanto, lo stato up-time differenziandolo dallo stato down-time come uno stato di coscienza utile all'osservazione fine di segnali minimi.
TECNICHE AUTOIPNOTICHE Le capacità ipnotiche possono raffinarsi grazie all'esercizio e padroneggiare una tecnica autoipnotica comporta un certo lavoro su di sé. Milton Erickson sottolinea che sono occorsi tre anni di esercizio assiduo alla moglie Elisabeth per diventare un esperto soggetto autoipnotico. Può entrare facilmente in trance sonnambulica e discutere su ciò che sente in quel momento senza perdere qualità ipnotica (Erickson, 1988). Crasilneck (1975) ha constatato nella sua pratica clinica che non esistono limiti di età per praticare l'autoipnosi. Indubbiamente fare autoipnosi presuppone la presenza di un talento particolare. Sperimentare il proprio potere ipnotico può avere un effetto diretto sulla propria autostima. In generale è utile distinguere la specificità di una tecnica dall'ispirarsi a un atteggiamento di fondo e i due aspetti devono poter coesistere e integrarsi in ogni pratica autoipnotica. Alcuni Autori come Shone (1982) stimano che occorrono in media trenta minuti per accedere in un soddisfacente stato autoipnotico, ma sui tempi esiste una vasta variabilità soggettiva. E' ragionevole aspettarsi che una procedura ripetuta più volte possa essere ripercorsa in tempi progressivamente sempre più rapidi fino a giungere a una completa automaticità. Ogni soggetto può caratteristicamente autoindursi con un metodo che valorizzi le proprie qualità ipnotiche (capacità allucinatoria o idrodinamica). Esistono procedure che valorizzano direttamente la sola immaginazione del soggetto e altre che utilizzano mezzi sussidiari. Di fatto l'uso di ogni tecnica sviluppa esplicitamente alcune abilità e implicitamente altre. E' possibile dotare il soggetto della conoscenza di tecniche oppure assegnare testi di suggestioni scritti rigidi da ripetere. Ciò può determinare una diversità qualitativa di apprendimento. Tutte le tecniche utilizzano la respirazione come mezzo di base per far transitare il corpo verso il rilassamento in diversi gradi. Si può insegnare a un paziente una procedura badando a mantenere un certo grado di aspecificità in modo da garantire lo sviluppo di una abilità autoipnotica. Sono state descritte anche tecniche che utilizzano procedure di tipo fisico. Kretschmer nel 1949 propone di adottare prolungatamente la posizione convergente degli occhi per ottenere uno stato ipnotico profondo. I cambiamenti fisiologici possono essere notevoli. Betty Alice Erickson, la figlia di Milton, è in grado di ottenere agevolmente la dilatazione pupillare anche differenziata dei due occhi (Erickson, 1988). Le procedure induttive ricalcano pienamente quelle in uso in eteroipnosi. Elenchiamo una serie di tecniche che utilizzano specifici sistemi sensoriali di riferimento soggettivi e le attitudini personali in generale. Ogni tecnica utilizza caratteristicamente uno o più fenomeni ipnotici: dalla dissociazione alla distorsione temporale. Tutte le tecniche descritte possono essere opportunamente combinate nella pratica.
Natura e forma delle suggestioni autoipnotiche Prima di definire le suggestione è prioritario definire l'atteggiamento di fondo che predispone il soggetto all'accoglimento e alla stimolazione di certe risposte. L'atteggiamento generale con cui disporsi all'autoinduzione può essere produttivamente indiretto, anche se le suggestioni possono risultare generalmente dirette con una tendenza spiccata a forme linguistiche semplificate. La ridondanza può essere utilmente assai alta. La suggestionabilità è principalmente una funzione del campo percettivo dell'individuo. La scelta di un atteggiamento indiretto facilita la convinzione e l'affidamento all'inconscio. Couè sosteneva che ogni suggestione è autosuggestione. Baudouin (1921) operava una distinzione tra suggestioni spontanee e indotte indicando nella prima una somiglianza con la reazione riflessa incondizionata. Un effetto interferente può essere reso dall'abitudine di alcune persone di riprodurre automaticamente un dialogo interno tendenzialmente negativo sul proprio sé. E' consigliabile preferire suggestioni a finale aperto presupponendo che a un certo punto del percorso l'intero processo venga totalmente guidato dai bisogni inconsci (Simpkins 2002). Può risultare utile strutturare le suggestioni in forma di domanda. Si può concludere che rimane sostanzialmente più importante il processo che il contenuto. Sul piano dell' apprendimento è più interessante il viaggio che la destinazione. Rossi (1993) scoraggia l'uso iperstrutturato delle suggestioni in quanto queste appartengono alla logica stretta della mente conscia e non permettono l'uso creativo del sé.
La Dissociazione La dissociazione è definibile come un meccanismo di difesa in relazione a eventi psichici emotivamente rilevanti e minacciosi per l'integrità dell'io e determina una alterazione della coscienza come esperienza di disconnessione. Nell'impiego ipnotico può a ragione considerarsi una meta-strategia per l'induzione e per l'approfondimento e può esprimersi in più modalità. E' possibile vedere sé stessi seduto su una sedia e impegnato in un rilassamento progressivo. Si può inserire nelle istruzioni il proprio nome ('Ora John stai sprofondando…') al quale siamo spontaneamente portati a reagire. Erickson addestrava i suoi studenti facendo allucinare seduto su una sedia un uomo che chiamava Joe e sul quale faceva praticare la levitazione del braccio (Erickson, 1987).Una volta toccato il volto, Joe chiudeva lentamente gli occhi, faceva una profonda inspirazione e si addormentava profondamente. Con l'esercizio il rapporto con il proprio Joe si personalizzava e ogni praticante aggiungeva nuovi spunti nelle suggestioni.Tale tecnica sfrutta a pieno il potere ideodinamico allucinato.
L'Approfondimento Si tratta di una fase peculiare di ogni trance ben riuscita. In genere si usano mezzi immaginari come scale o ascensori che rendono simbolicamente l'idea di andare in profondità. Il Sogno come forma autoipnotica Il sogno rappresenta un modo di indursi ipnoticamente in modo naturale. E' stato verificato che durante il sonno REM l'afflusso di sangue al cervello aumenta e in generale l'attività elettrica cerebrale assomiglia a quella da svegli. Zeig sostiene che il sogno rappresenta un meccanismo autocurativo automatico. Sul piano della fenomenologia ipnotica il sogno è connotato dalla presenza di una forte condensazione temporale. Erickson ha usato in età molto giovane i sogni autoipnoticamente correggendo i compiti di aritmetica. Nell'addestramento dei suoi allievi li aiutava a entrare in stati sonnambulici e amnestici durante il sonno notturno per svolgere qualche attività.(Erickson, 1983). Nella moderna psicoterapia l'orientamento generale è quello di restituire al sognatore il sogno in modi da rendere il soggetto un attivo rielaboratore. Può costituire una parte del lavoro terapeutico quando è suggerito in forma di suggestione postipnotica a conclusione di una seduta. Il sogno può essere opportunamente risognato e ricomposto più volte in seduta così che si rinforzi come modalità espressiva per sè. Il paziente ha la possibilità di esplorarsi con un movimento a spirale fino a raggiungere con i suoi tempi il nucleo centrale. Talvolta può presentarsi spontaneamente durante la trance etero e autoindotta.
Il metodo del Colore L'esperienza cromatica fa parte intrinseca dell'esistere umano. Nel Training Autogeno. si fa riferimento a un colore preferito. Alexander Simpkins (2000) consiglia di suggerirsi di vedere un colore, attendere la risposta e osservare come evolve all'interno della ricerca personale.
Il metodo dello Specchio Lo specchio è da sempre un oggetto magico ed è descritto come uno strumento di trasformazione in molte fiabe. Nella pratica autoipnotica può essere utilizzata nella versione reale o allucinata. L'immagine specchiata si sé stessi può realizzarsi mediante altri mezzi come stagni o altre superfici e rimanda e suggerisce versioni modificate e modificabili di sé stessi. E' evidente il meccanismo dissociativo alla base di queste evocazioni. Nel suo lavoro clinico Erickson ha fatto sovente ricorso all'uso dello specchio reale per intervenire strategicamente sull'immagine corporea del paziente. Poteva servirsene in studio o suggerirlo come lavoro a casa. Abozzi (1996) descrive un modo semplice per autoipnotizzarsi in cui il soggetto si posiziona davanti a uno specchio concentrandosi inizialmente sul proprio volto e poi fissando un punto tra le sopracciglia fino al sopravvenire di uno stato ipnotico.
Il Metodo della Levitazione Si tratta chiaramente di una tecnica che usa abilmente la dissociazione mente-corpo e corpo-corpo. Freda Morris (1976) suggerisce di pensare al braccio fatto di leggerissima schiuma di polestirolo. Si possono visualizzare un insieme di palloncini pieni di un gas leggerissimo e legati al polso oppure pensare che il braccio sia un palloncino. In caso che non si generi una situazione adeguatamente reattiva si può fare come se. La levitazione può dunque essere reale o allucinata.
Il Metodo di Milton Erickson Milton raccomandava un atteggiamento che potremo definire di Aspettativa aperta: 'Bene, eccomi qui. Ho un ora a disposizione e mi domando quanto tempo passerà prima di sprofondare in una bella trance autoipnotica' (Erickson, 1988) Una delle situazioni più emblematicamente paradossali è quella dell'insonne che tenta di addormentarsi istruendosi a farlo. L'indicazione di Erickson era di prestarsi all'aspettativa in modo naturalistico per la realizzazione di qualsiasi fenomeno ipnotico: 'Certamente avete spinto il freno quando avete viaggiato sul sedile posteriore di un automobile; certamente avete teso la bocca e la gola e le corde vocali sentendo un balbuziente che cercava di dire una parola; certamente avete spalancato la bocca tanto da farvi male quando avete cercato di dare da mangiare a quel bambino che non voleva aprire la bocca. Sapete tutte queste cose ; pertanto potete veramente aspettarvi di effettuare la scrittura automatica'. (Erickson, 1987, pg 69) Erickson ha anche più volte accennato alla facilitazione dell'accesso allo stato alterato attraverso il ricorso alla stessa poltrona. Bandler e Grinder (Dilts, 1980) hanno descritto ampiamente l'uso dell'autoancoraggio.
Il Metodo di Betty Erickson E' basato sul modello dei sistemi rappresentazionali di Bandler e Grinder (1980). Si procede all'approfondimento della trance attraverso uno schema che passa dalla descrizione dell'esperienza sensoriale esterna come una luce accesa fino a privilegiare esclusivamente l'esperienza interna.
Il Metodo di Gerald Edelstien L'Autore consiglia sempre al paziente di impiegare un breve tempo a casa in stato di trance autoindotta con una semplice istruzione aperta in forma interrogativa del tipo: 'Perché dovrei avere ancora questa sensazione?' . Sostiene che una risposta ottenuta con l'autosuggestione conserva una durata significativamente più lunga (Edelstein, 1982).
Uso di Mezzi Sussidiari Il nostro mondo fisico è ricco di elementi che hanno già di per sé un valore significativo nella determinazione degli stati di coscienza della vita di tutti i giorni. Il ticchettio dell'orologio rappresenta uno stimolo sonoro che stabilisce un ritmo. Allo scopo di generare o amplificare le risposte ipnotiche si può ricorrere all'ascolto di una musica opportunamente diffusa. Shone (1982) suggerisce la musica classica barocca e in particolare quella di Hendel a tempo largo. Il meccanismo di funzionamento si basa su una sorta di condizionamento. Lo stimolo sonoro va progressivamente a sostituire quello verbale. La musica rappresenta un insieme di stimoli altamente evocativi che attivano intensamente le nostre parti emotive. Anche l'uso di voci e suoni preregistrati con istruzioni preordinate è molto diffuso. Il vantaggio evidente è quello di liberare la mente conscia dal compito di impartire istruzioni. Nella prima fase induttiva si possono utilizzare oggetti su cui fissare l'attenzione come candele accese o dipinti. Milton Erickson usava abitualmente un cristallo al quarzo posto sulla sua scrivania.
La Riattivazione Costituisce una fase determinante in autoipnosi da preparare opportunamente. Una volta raggiunto un grado soddisfacente di trance, occorre ripartire da questo per determinare il risveglio. Abozzi consiglia di usare un percorso a ritroso per riemergere dalla trance riutilizzando lo stesso mezzo usato per l'approfondimento come le scale o l'ascensore. Può diventare utile preprogrammare con precisione il momento del risveglio visualizzando un orologio.
CAMPI DI APPLICAZIONE Le tecniche autoipnotiche si riferiscono generalmente a usi in campo medico e non medico e possono mirare alla autoguarigione, allo sviluppo di prestazioni particolari in molti campi, nello sport e nell'apprendimento in generale. In campo medico possono mirare ad attenuare in tempi rapidi l'ansia disfunzionale prodotta da soggetti ansiosi somatizzanti. L'addestramento all'autoipnosi può avvenire proficuamente in trance (Crasilneck,1975). Ci interessa approfondire le procedure utilizzate in alcuni settori specifici come la preparazione al parto e la dismissione di comportamenti dannosi come l'abitudine al fumo.
La dipendenza da nicotina Fumare rappresenta un tipico comportamento strutturato in abitudine che assolve paradossalmente alla funzione di far rilassare. In realtà la nicotina è un eccitante del ritmo cardiaco e il soggetto fumatore quando riferisce di rilassarsi fa riferimento al bisogno di proporsi mentalmente una pausa mentale che potrebbe essere assimilato a un bisogno autoipnotico. E' proprio nel tabagismo che l'autoipnosi trova un impiego assai esteso e importante. Si insegna al paziente a seguire le proprie istruzioni in forma di suggestione diretta: Ora che sono in questo stato profondo ordino a me stesso di non fumare più..di non danneggiare più il mio corpo interferendo sulla funzionalità del cuore, dei polmoni, di non continuare a distruggerlo sistematicamente con questa abitudine non necessaria…Abbandonandola riacquisterò una respirazione normale. (Crasilneck 1975) In questo modo si consente al soggetto di acquisire un proprio senso di autocontrollo e si rimanda in secondo piano il controllo del terapeuta. Citrenbaum (1987) propone ai pazienti di dedicarsi costantemente all'autoipnosi chiarendo di non ricorrere a suggestioni negative, ma lasciando un libero e ampio spazio all'inconscio: Il semplice atto di stare in trance darà alla sua mente inconscia l'opportunità di fare qualcosa di utile per lei. E' importante sapere che la sua mente conscia può essere coinvolta in ogni tipo di attività. Può prestare attenzione a varie immagini, confuse o distinte, o può vagare da una fantasia a un'altra. Ma il fatto davvero interessante è che in realtà non importa cosa faccia la sua mente conscia perché il solo atto di lasciarsi andare in trance darà al suo inconscio l'opportunità di fare quel che è in grado di fare nel modo migliore. Alla fine di quei cinque o dieci minuti si troverà a emergere dalla trance e scommetto che si sentirà piuttosto rinfrescato e sereno. CITRENBAUM, 1987, pag. 64 Lo stesso Autore (1987) istruisce i fumatori all'autoipnosi per ridurre i rischi di ricaduta. All'inizio quando cercherà di consolidare i suoi cambiamenti comportamentali associati al dissuefarsi dal fumo, potrà esserci nella sua testa una voce che dice: 'Non è la fine del mondo fumare quella sigaretta', 'Non ti farà male', ecc. Fintanto che quella voce continuerà a parlarle lei sarà vulnerabile… L'autoipnosi è il mezzo adatto per rispondere a quella voce. Vorrei suggerirle che, come modo di metterla a tacere quando comincia a parlare e a dire: 'Non è la fine del mondo', lei lo sfruttasse come segnale per fare autoipnosi allo scopo di allungare sempre di più il periodo in cui non fuma. (CITRENBAUM, 1987, pag.95)
La preparazione al Parto Il parto per una donna rappresenta un evento della vita ricchissima di significati socioculturali di cui l'ipnotista deve tener conto nel momento in cui opera. Il lavoro preparatorio al parto deve necessariamente essere sufficientemente articolato per consentire un alto grado di efficacia. L'approccio diretto fondato semplicemente su ingiunzioni del tipo 'Voglio che lei abbia un parto indolore' non ha in genere buone speranze di successo. Con un approccio decisamente indiretto e frazionato Erickson predisponeva un ampio piano che mobilitava un vastissimo insieme di esperienze estesiche personali e agiva sulla modificazione discreta delle aspettative sul dolore evocando nella mente della donna l'idea della dilatazione esemplificandola con comportamenti spontanei e naturali. Può sentire o non sentire l'anello al dito o le scarpe ai piedi. E' necessario soffrire nella peristalsi? Aprire le dita delle mani fa male? Come la prenderà quando aspettandosi di soffrire, non soffrirà? (Erickson, 1988) Nella preparazione al parto l'ipnotista deve accertarsi non solo che la donna abbia effettivamente appreso l'uso della tecnica, ma anche che condivida gli obiettivi del lavoro e si sinceri dell'applicazione di alcune precauzioni. In ogni trattamento che abbia a che fare con il dolore, questo non può essere eliminato completamente. Erickson (1982) riferisce di un caso in cui una donna desiderava sentire a pieno tutta l'esperienza della nascita senza essere distratta dal dolore. Voleva sentire piacevolmente le contrazioni dell'utero come se avesse inghiottito una ciliegia intera e la sentisse scivolare comodamente lungo l'esofago. Pertanto Erickson indusse inizialmente una anestesia completa che poi trasformò nel tipo di analgesia richiesta dalla paziente. Dopo di chè addestrò la paziente a sviluppare una profonda trance postipnotica sonnambulica che si sarebbe attivata all'inizio del travaglio e che le avrebbe permesso di partecipare all'intero evento. Ala fine del travaglio, una volta ritornata nella sua stanza, sarebbe caduta in un sonno profondo e riposante per circa due ore. Dopo due anni, la donna tornò da Erickson in quanto aspettava il secondo bambino. In questo caso bastarono tre ore di trance profonda per ristabilire lo stesso apprendimento autoipnotico.
CONCLUSIONI La questione autoipnosi può essere affrontato da più punti di vista. L'autoipnosi può essere vista essenzialmente come il prodotto di una precedente ipnosi e susseguente suggestione post-ipnotica e dunque non esistere come fenomeno autonomo. Viceversa si può essere convinti che l'ipnosi abbia luogo solo a patto che il soggetto si renda disponibile a produrre la propria autoipnosi e dunque è solo l'autoipnosi a esistere. Ad ogni modo avvengono nella fenomenologia della coscienza una serie di eventi aspecifici, senza una intenzionalità esplicita finalizzata alla produzione di una trance che non sono facilmente collocabili e definibili. La coscienza va incontro ordinariamente a un processo di discontinuità in cui diventa operante il meccanismo dissociativo. I cosiddetti sogni a occhi aperti non rispondono a una casualità rintracciabile nella mente conscia, ma a importanti bisogni del sistema mente-corpo. Di fatto l'evento autoipnotico può avvenire all'interno o all'esterno di una cornice terapeutica. La stessa relazione terapeutica non è altro che una fitta trama di stati di coscienza auto/etero indotti. Ognuno può autonomamente misurarsi con un universo di risultati desiderati e desiderabili per sè, ma in assenza della supervisione di un ipnotista esperto può essere difficile porsi obiettivi adeguati e appropriati. Crasilneck (1975) cita una serie di esempi in cui persone non educate al corretto uso dell'ipnosi possono fare richiesta di un training autoipnotico finalizzato al raggiungimento di obiettivi irrealistici e qualche volta non sani. Un avvocato aveva fatto richiesta di imparare a dormire tre ore a notte, mentre uno studente mediocre voleva assicurarsi voti eccellenti. In autoipnosi il saper fare è una dimensione intimamente legata alle potenzialità soggettive presenti e non alla fantasia di un fare straordinario. Erickson (1987) ha sostenuto più volte il fenomeno dell'interferenza di obiettivi apprezzabili da parte della coscienza, ma in disaccordo con i bisogni dell'inconscio.In tal senso sottolineava che l'insistenza a interferire coscientemente con l'inconscio determina l'insorgenza di un problema. Ne possiamo trarre che fare autoipnosi senza una consapevolezza di come dimensionarla correttamente può produrre danni. Al contrario nell'ambito di una relazione terapeutica si può ragionevolmente concludere che a prescindere se sia fatto in modo deliberato o no si sviluppa sempre una qualche forma di autoipnosi nel soggetto in terapia anche non esplicitamente ipnotica. Del resto Lankton (1984) ha dimostrato che gli stati ipnotici sono presenti in molte forme terapeutiche e coinvolgono pazienti e terapeuti. Oltre a ciò occorre distinguere gli eventi di autoipnosi spontanei da quelli strutturabili in un addestramento esplicito. Impegnare già nelle prime fasi della terapia il paziente in un vero e proprio training autoipnotico significa operare strategicamente e apertamente sullo svincolo e l'autonomia del soggetto. Per di più rinforza la convinzione di poter godere di un controllo su aspetti inattesi della propria vita. L'autoipnosi suggerita e sostenuta continuatamene mobilita il soggetto verso una continua ricerca interiore e verso quella autoesplorazione cara a Milton Erickson. Grazie all'autoipnosi diventa possibile l'acquisizione di livelli elevati di abilità in una integrazione mente-corpo. Naturalmente l'autoipnosi svincolata completamente da una relazione terapeutica non è assolutamente appropriata nel caso di problematiche psicologiche gravi. Wilbacher (comunicazione personale, 2002) consiglia l'uso dell'autoipnosi come forma di terapia di mantenimento durante e in seguito a una terapia ipnotica breve. Crasilneck (1975) suggerisce ai pazienti di attenersi nella propria pratica autoipnotica a insiemi di suggestioni legati strettamente al lavoro terapeutico in corso. Nella ipnosi moderna viene ampiamente valorizzata la responsività in luogo della suggestibilità in una visione evocativa dei fenomeni ipnotici (Ducci 2002). La pratica dell' autoipnosi fondata sull'accrescimento della percezione di sé sembra porsi coerentemente in linea con ciò. Non si può non concludere senza fare un doveroso accenno alla formazione professionale in ipnosi clinica e ai modi più opportuni per organizzarla intorno alla consapevolezza e allo sviluppo delle capacità autoipnotiche dell'allievo. Tutto il mondo formativo sta facendo un notevole sforzo per superare le limitatezze del pensiero orientato agli obiettivi e all'esclusiva attenzione alle tecniche (Short, 1999). Si vanno proponendo metodologie indirette come il metodo della narrazione, apprendere attraverso il raccontarsi, descrivere le proprie emozioni in rapporto alla relazione con l'altro (Kaneklin, 1998). Nell'ambito formativo strettamente ipnotico da una indagine condotta da Wilbacher e Gandolfi (1998) risulta che un'alta percentuale di allievi ritarda o abbandona definitivamente l'uso professionale dell'ipnosi. Dopo una fase iniziale di apparente sicurezza nel corso della formazione, alla fine di questa l'allievo entra in una fase mentale di shock che può portare all'abbandono dell'ipnosi in quanto si ritrova da solo a gestire l'impatto emotivo del lavoro in trance. Il neo terapeuta prova disagio per le sue risposte corporee e emotive. L'atto di indurre la trance nel paziente produce simultaneamente uno stato autoipnotico nell'ipnotista. Diversamente dalle altre forme psicoterapeutiche dove l'apprendimento emozionale del sé avviene in modo graduale, in ipnosi l'impatto è immediato e inaspettato. Nell'indagine emerge che gli allievi non riescono a fornire una risposta soddisfacente in merito all'abbandono dello strumento ipnotico in favore di altri approcci terapeutici, ma solo se l'allievo attiva uno scambio emozionale con il formatore riesce a entrare in una fase mentale di superamento che lo aiuta a neutralizzare lo shock e a far funzionare la mente sintonicamente e simultaneamente fra processi emotivi e razionali.
Ricerca di fonti bibliografiche Per la ricerca bibliografica si è proceduto compiendo innanzitutto una ampia ricognizione dei riferimenti all'autoipnosi provenienti dai testi in lingua italiana sull'ipnosi di maggiore diffusione con particolare riferimento al lavoro di Milton Erickson. Non si è proceduto a una accurata ricerca di articoli tratti da Riviste del settore e pertanto ne segnaliamo pochi significativi. Si è constatato l'esistenza di una ristretta bibliografia di testi in lingua italiana dedicata espressamente all'autoipnosi. La ricerca attraverso internet ha permesso di evidenziare una disponibilità di indicazioni applicative di tipo divulgativo e propagandistico poco approfondite sul piano teorico. Qui di seguito elenchiamo 50 titoli: BANDLER R. GRINDER J., I modelli della tecnica ipnotica di Milton Erickson, Astrolabio 1984 BANDLER R. GRINDER J., Ipnosi e trasformazione, Astrolabio 1982 BAUDOUIN C., Suggestion and autosuggestion, Bodd Mead and Co. 1921 BUZAN T., Use your mind, Bbc Publication 1974 CHEEK D.B. LECRON L.M., Clinical Hypnotherapy, Grune and Stratton 1968 CITRENBAUM C.M.KING M.E. COHEN W.I., Il controllo delle abitudini mediante l'ipnosi, Astrolabio 1987 COPELAN R., Ipnosi e autoipnosi, Armena 1992 CRASILNECK H. B., HALL J.H., Ipnosi clinica, Astrolabio 1975 DILTS R. GRINDER J. BANDLER R. BANDLER L.C. DELOZIER J., Programmazione neurolinguistica, Astrolabio 1982 DUCCI G. CASILLI C., La supervisione nella nuova ipnosi, Angeli 2002 EDELSTIEN M.G., Trauma trance e trasformazione, Astrolabio 1982 ERICKSON M.H., Opere volume 1, Astrolabio ERICKSON M.H., Opere volume II,Astrolabio ERICKSON M.H., Guarire con l'ipnosi, Astrolabio 1983 ERICKSON M.H. ROSSI E.L., Ipnoterapia, Astrolabio 1982 ERICKSON M.H. ROSSI E.L., L'esperienza dell'ipnosi, Astrolabio 1985 ERICKSON M.H., La ristrutturazione della vita con l'ipnosi, Astrolabio 1987 ERICKSON M.H., La comunicazione mente-corpo in ipnosi, Astrolabio 1988 FROMM E., Similarities and differences between self-hypnosis and hetero-hypnosis, Discorso inaugurale, American Psychological Association 1973 FROMM E., An idiosyncronic long-term study self-hypnosis, Studio presentato alla Convenzione della American Psychological Association 1974 GALLWEY W. T., The inner game of tennis, Random House 1974 GALLWEY W.T., The inner game of golf, Jonathan Cape 1979 YOUNG P., Autoipnosi, RED 1991 HALEY J., Cambiare gli individui, Astrolabio 1987 HARRIGEL E., Lo Zen e il tiro con l'arco, Adelphi 1975 KANEKLIN C.,SCARATTI G., Formazione e Narrazione, Cortina 1998 KLINE M.V., GAZE H., Self-hypnosis in childbirth: a clinical evaluation of a patient conditioning program, J.Clin. Exp. Hypn., 3: 142-147, 1955 LANKTON S.R.,LANKTON C.H., La risposta dall'interno, Astrolabio 1984 LORIEDO C., Strategie e stratagemmi della psicoterapia, Angeli 2002 LIOTTI G., Le opere della coscienza, Cortina 2001 MALTZ M., Psicocibernetica, ASTROLABIO 1965 MORRIS F., Autoipnosi in due giorni , Astrolabio 1974 MUTIMER P., Lo zen e l'arte di giocare a tennis, Newton & Compton 1998 PADOVANI E., Manuale pratico di RAT, Edizioni RED 1988 ROSEN S., La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio 1983 ROSSI E.L. NIMMONS D., Autoregolazione del sistema mente-corpo, Astrolabio 1993 SIMPKINS C.A.,SIMPKINS A., Autoipnosi Ericksoniana, Astrolabio 2002 SHONE R., La tecnica dell'autoipnosi, Astrolabio 1982 SHONE R., Visualizzazione creativa, Astrolabio 1984 SHOR R., Hypnosis and the concept of the generalized reality orientation, American Journal of Psychotherapy, 1959,13,582-602 SHORT D., Use-Oriented Thinking, Documento presentato al Settimo Congresso Internazionale sugli Approcci Ericksoniani all'Ipnosi e alla Psicoterapia, Phoenix 1999 SOSKIS D., Insegnare l'autoipnosi, Astrolabio 1987 TART C., Stati di coscienza, Astrolabio THOMAS K., Autoipnosi e training autogeno, Edizioni Mediterranee 1976 UMADZE D.N., The psychology of set, Consultans Bureau 1966 WATZLAWICK P., La realtà inventata, Feltrinelli 1988 WEITZENHOFFER A.M., General techniques of hypnotism, Grune and Stratton,1957 WILBACHER R., GANDOLFI A., Effetti e cambiamenti sulla personalità del terapeuta durante il training di psicoterapia ipnotica, 3° Congresso Europeo di Ipnosi e Psicoterapia Ericksoniana, Venezia 1998 WOLBERG L.R., Medical Hypnosis, Grune and Stratton 1948