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giovedì 28 febbraio 2019
L'universo un gigantesco ologramma
L'universo potrebbe essere un gigantesco ologramma #1
- Prima parte
Fisica dell'incredibile
Secondo una teoria che prende il nome di principio
olografico, l’universo sarebbe simile ad un gigantesco ologramma
Fausto Bersani Greggio - 27/02/2019
Secondo una teoria che prende il nome di principio
olografico, l’universo sarebbe simile ad un gigantesco ologramma: proprio come
una manipolazione della luce permette di registrare un’immagine tridimensionale
su una pellicola in due dimensioni, il nostro universo, in apparenza
tridimensionale, potrebbe essere totalmente equivalente a un «dipinto» su un’immensa
superficie lontana.
Un ologramma è un tipo speciale di fotografia che genera
un’immagine tridimensionale quando viene illuminata in modo appropriato. Tutta
l’informazione che descrive la scena tridimensionale è codificata e vive su una
pellicola bidimensionale
Il principio olografico afferma che una situazione
analoga si può applicare nella descrizione di un qualunque sistema che occupi
una regione tridimensionale purché la teoria fisica che lo descrive operi
solamente sul suo confine bidimensionale. Il concetto di ologramma, inteso in
modo generale, può essere quindi esteso come una rappresentazione a D – 1
dimensioni di un oggetto D dimensionale.
La fisica dei buchi neri – concentrazioni di massa
incredibilmente dense con campi gravitazionali talmente intensi che neppure la
luce riesce ad evadere – dà un’indicazione di come questo principio potrebbe
essere vero anche a livello astrofisico, se non addirittura cosmologico.
Dallo studio dei buchi neri si ricava una conclusione sorprendente:
l’entropia, che è connessa al contenuto di informazione di una qualsiasi
regione dello spazio, è definita non dal suo volume ma dall’area della sua
superficie.
Alcuni fisici ritengono che questo risultato sorprendente
possa essere un indizio in direzione di una teoria definitiva della realtà.
Il secondo principio della termodinamica afferma che
l’entropia di un sistema fisico isolato non può mai diminuire. Tuttavia quando
la materia scompare in un buco nero l’entropia dell’Universo sembrerebbe
scomparire per sempre: un buco nero assorbe materia ed energia dallo spazio
circostante e quindi “mangia” informazione.
Il secondo principio sembra pertanto essere violato.
Sennonché, negli anni ’70, venne dimostrato un teorema in
virtù del quale l’area totale di un buco nero, per un qualsiasi evento, non
diminuisce mai. Di conseguenza, se si suppone che l’entropia di un buco nero
sia proporzionale alla superficie del suo orizzonte, si può pensare che quando
la materia cade al suo interno, l’aumento di entropia di quest’ultimo compensi
l’entropia “persa” dalla materia scomparsa, una sorta di generalizzazione del
secondo principio della termodinamica. Questo assunto fu effettivamente
dimostrato da Bekenstein.
E fin qui non ci sarebbe un immediato problema se
l’informazione rimanesse confinata all’interno dell’orizzonte degli eventi.
Tuttavia Hawking nel 1974 pubblicò un articolo in cui sosteneva che un buco
nero può emettere spontaneamente radiazione termica fino ad “evaporare”,
fenomeno peraltro, al momento, mai osservato.
Cosa accade all'informazione caduta precedentemente nel
buco nero quando esso evapora?
Ed inoltre, che dire del teorema dell’area il quale, a
fronte di un’eventuale evaporazione del buco nero risulterebbe evidentemente
violato data l’inevitabile scomparsa del buco nero stesso?
Anche se l’idea di Bekenstein, di un’entropia
generalizzata data dalla somma dell’entropia dei buchi neri e della materia
esterna ad essi, salva la seconda legge della termodinamica, rimane tuttavia
aperto il problema del teorema dell’area e dell’informazione.
L’ipotesi di Hawking di un buco nero che possa evaporare
pone una serie di problemi teorici, conosciuti con il nome di “paradosso
dell’informazione”, poiché nel lavoro originale la radiazione di Hawking è
puramente termica, col risultato che dell’informazione viene distrutta per
sempre: si pensi ad esempio ad alcune proprietà delle particelle catturate
all’interno di un buco nero come la massa, la carica elettrica, lo spin,
l’energia, la quantità di moto, ecc. tutti dati che andrebbero completamenti persi.
Fintanto che nulla poteva uscire da un buco nero, si
poteva pensare che l’informazione, non più accessibile, continuasse comunque ad
esistere confinata al suo interno, ma nel momento in cui questo non è più vero
allora nascono delle difficoltà di interpretazione a livello quantistico.
Infatti in meccanica quantistica l'informazione non viene mai distrutta. I
tentativi di spiegazione allo stato attuale risultano alquanto contorti, poco
convincenti e sicuramente incompleti.
Personalmente ritengo che il problema possa essere
spiegato diversamente.
In una mia precedente pubblicazione su questa rivista [1]
dimostrai che il ragionamento di Hawking è affetto da un errore e che in realtà
un buco nero non potrà mai evaporare provando quindi che il teorema dell’area è
assolutamente generale e non presenta violazioni salvaguardando anche il
contenuto dell'informazione nascosta.
E’ stato dimostrato, come si è detto, che l'entropia di
un buco nero è proporzionale all'area del suo orizzonte degli eventi. Essa risulta
misurata in unità di Planck
ossia, pixel infinitesimi (10^-66 cmq) che rappresentano
il limite estremo della nostra capacità di indagare l’infinitamente piccolo.
L'idea è che lo spazio-tempo potrebbe non essere perfettamente liscio,
esattamente come un’immagine digitale che evidenzia i propri limiti di
risoluzione quando si zooma fino a dimensioni dell’ordine di grandezza dei suoi
pixel.
L'informazione può essere quindi codificata sullo schermo
olografico della sua superficie, il che corrisponde ad una caratteristica
particolare: studiare la fisica della superficie olografica equivale a studiare
la fisica del volume in essa racchiuso. Lo schermo olografico conserva una
sorta di “memoria” o di “archivio”, se si preferisce, delle proprietà della
materia contenuta al suo interno.
Un processo analogo si verifica anche nel noto
esperimento delle due fenditure, l’esperimento premiato nel 2002 dalla rivista
Physics World come il più bello della fisica, in cui venne realizzata una
figura di interferenza non con onde classiche, come sarebbe lecito attendersi,
bensì con particelle, per l’esattezza elettroni.
Il segreto dell'Universo >> http://bit.ly/2IGjCZu
Mente e materia nella scienza del terzo millennio
Fabrizio Coppola
martedì 26 febbraio 2019
lunedì 25 febbraio 2019
venerdì 22 febbraio 2019
Masticare bene cura l'intestino
Masticare bene cura l'intestino
Curarsi con l'Omeopatia
Per proteggere il nostro intestino e quindi il nostro
microbioma intestinale è molto importante masticare bene e a lungo. Come? Con
alcuni semplici passi, vieni a scoprirli insieme a noi
Andrea Giulia Pollini - 21/02/2019
Per avere un intestino sano, e quindi un buon microbioma
intestinale, bisogna analizzare il primo gesto che compiamo quando mangiamo
ovvero la masticazione. Masticare bene è determinante per una digestione
adeguata: spesso mangiamo senza masticare e ingurgitiamo velocemente cibo e
bevande ignorando le conseguenze di questa cattiva abitudine sul nostro
organismo.
Perché masticare è così importante?
Masticare bene aumenta il senso di sazietà.
Masticare bene permette alla muscolatura dello stomaco di
distendersi per accogliere il cibo.
Masticare bene consente un buon inizio di digestione.
È importante ricordare che lo stomaco è un muscolo con
una mucosa morbida e al suo interno contiene rughe e pieghe, non ha denti. Se
non mastichiamo noi, nessuno lo farà. Una buona masticazione dipende da due
azioni fondamentali: tritare il cibo con i denti e lasciare che il cibo si
unisca alla saliva. Masticando attiviamo le ghiandole salivari che producono la
saliva, le ghiandole salivari se attivate correttamente rilasciano circa 1-1,5
l di saliva al giorno. La prima parte della digestione inizia dentro la nostra
bocca ed è molto importante capire come funziona.
La saliva inoltre contiene la mucina che è fondamentale
per la scissione degli amidi e del cibo. Quindi la masticazione unita alla
saliva permette di trasformare il cibo in poltiglia e di farlo arrivare
all’intestino che, a questo unto, riesce a sintetizzarlo meglio. Anne Katharina Zschocke spiega perfettamente
questo passaggio nel suo libro Batteri Intestinali:
“Masticando accuratamente, dunque, ci prendiamo cura del
nostro stomaco e del nostro intestino, ma anche di tutti i batteri che lì
vivono. Facciamo in modo di mantenere inalterato il nostro strato mucoso
intestinale che ci protegge da una troppo grande permeabilità del tessuto
epiteliale dell’intestino e di conseguenza da malattie. Masticare accuratamente
mantiene in movimento i processi di disintossicazione”.
Oggi sappiamo che masticare bene rinforza anche il
sistema immunitario e il nostro microbioma intestinale. Il microbioma
intestinale funziona da barriera contro i patogeni, regolando l’assorbimento
dei nutrienti, la produzione di vitamine ed energia e le difese immunitarie.
Inoltre nel 2010 uno studio ha rivelato che la saliva contiene un’endorfina endogena,
l’opiorfina, che ha un potere antidepressivo e antidolorifico. Possiamo
immaginare che un domani la masticazione potrebbe essere prescritta come cura
contro la depressione.
Come masticare nel modo giusto?
Quasi 100 anni fa Horace Fletcher, mercante d’arte, si
trovò all’età di 60 anni talmente sovrappeso che l’assistenza sanitaria si
rifiutò di assisterlo. Così Fletcher per dimagrire decise di provare a
masticare lentamente: un boccone doveva essere masticato per 33 volte. Passo
dopo passo dimagrì notevolmente e scrisse alcuni consigli che troviamo nel
libro Batteri Intestinali di Anne Katharina Zschocke, e che possiamo ancora
tenere in considerazione per masticare nel modo giusto:
“bisogna fare bocconi piccoli e masticarli tanto a
lungo,fino a che non sono ridotti in poltiglia o non sono diventati liquidi;
concentrarsi completamente sulla masticazione e nel farlo
prendere coscienza del cambiamento nel gusto (contare i movimenti di
masticazione può aiutare a mantenere la concentrazione);
ciò vale anche per i liquidi;
a questo punto i bocconi ridotti in poltiglia vanno
consapevolmente inghiottiti;
solo in seguito prendere un altro boccone e masticando,
non mettere il boccone sulla forchetta ma godersi rilassati il momento con
piacere”.
Ancora oggi questi sono ottimi consigli da seguire per
masticare nel modo corretto, perché per avere un buon microbioma e di
conseguenza un intestino sano è importantissimo masticare bene e a lungo.
Quindi per ricordarti di masticare a lungo ti propongo una nuova versione di un
noto scioglilingua: “33 trentini entrarono a Trento…”. Non entrare a Trento, ma conta 33 trentin e
poi deglutisci. Il tuo corpo ti ringrazierà.
eBook - I Batteri Intestinali
Come prevenire, curare e guarire allergie, sovrappeso,
diabete, colon irritabile, autismo, depressione e molto altro
Anne Katharina Zschocke
giovedì 21 febbraio 2019
lunedì 18 febbraio 2019
La riscoperta della coscienza animale e umana 3
La riscoperta della coscienza animale e umana 3
- terza parte
Consapevolezza
Diversi studi sugli scimpazè dimostrano che sono capaci
di pensiero riproduttivo e produttivo. Possiamo dire quindi, che gli animali
possiedono una coscienza?
Angelo Tartabini - 17/02/2019
Allora, per quali ragioni, da questo universo di stati
mentali, soprattutto quelli della coscienza, debbano essere esclusi gli
animali? Perché, ad esempio, alle scimmie antropomorfe, deve essere negata la
possibilità di avere delle credenze, di provare delle emozioni, oppure, perché
no, di sentirsi orgogliose per aver difeso con successo un alleato nella lotta
per la leadership?
Inoltre, molti animali sanno “leggere” le intenzioni e il
pensiero dei loro compagni e possono reagire ai loro stati intenzionali (teoria
della mente), ad esempio, ai loro inganni, predisponendosi al contro-inganno
(Tartabini, 2012). Per esempio, gli scimpanzé possono fare inferenze (a dire la
verità, anche molti altri animali ne sono capaci); sono capaci di pensiero
riproduttivo, produttivo e di ristrutturare il loro campo cognitivo. Possono distinguere
una figura geometrica da un'altra e possono risolvere euristicamente molti
problemi.
Hanno una memoria sensoriale, una memoria a breve e a
lungo termine e anche procedurale. Sentono il bisogno di sicurezza (vedi
attaccamento) di stima, di considerazione e possono provare le nostre stesse
emozioni. Per quanto riguarda la creatività, chi non è più creativo di uno
scimpanzé nella costruzione di strumenti, per esempio di bastoncini che vengono
infilati nei termitai per l'estrazione degli insetti. Molti scimpanzé conoscono
il valore terapeutico di alcune erbe per curare dissenterie e mal di pancia.
Altri, in laboratorio, hanno acquisito il significato di un certo numero di
ideogrammi della scrittura giapponese quando venivano abbinati a dei lessi
grammi e hanno anche distinto dei colori: rosso, giallo, arancione, verde rosa
e blu. Altri ancora hanno saputo esprimere, attraverso il linguaggio dei segni,
desideri del tipo: “Voglio una penna di colore rosso”, “voglio due penne verdi”
(Matsuzawa, et al., 2006).
Tutte queste scoperte hanno proiettato una nuova luce
sulla definizione di umanità, sul concetto di coscienza, su quello di
altruismo, empatia, senso di colpa, gelosia, sdegno e ripugnanza. Per esempio,
per interiorizzare il senso di colpa è necessario possedere una forma di
coscienza, di consapevolezza, per aver commesso un errore o qualcosa che non
doveva essere fatto. Il senso di colpa, probabilmente, è un punto importante
sul quale si sono basate le società dei primi ominidi che hanno presto dovuto
discernere, per sopravvivere, il bene dal male. Tutto questo, nel corso
dell'evoluzione, si è diffuso anche tra le nostre cugine, le scimmie, sebbene
in maniera più sfumata rispetto all’uomo.
Per quanto riguarda la morale o coscienza morale, Darwin
ne “L'origine dell'uomo” (1871) sostenne, con parole molto semplici, che tra
noi uomini e molte specie animali, esiste una sorprendente continuità
evolutiva. Aggiunse che gli animali possono provare compassione nei confronti
del dolore altrui e che gli elementi fondamentali della moralità animale sono
costituiti dalle risposte emozionali che ogni individuo è capace di dare in una
qualsiasi forma di solidarietà empatica. La solidarietà favorisce gli animali
che la manifestano nei gruppi di appartenenza e quella cooperativa si fonda su
dei vantaggi reciproci. Quando la solidarietà in una società viene meno, si
sgretolano i rapporti sociali e in questi casi gli individui rimangono soli,
melanconici, meno reattivi, soggetti a malattie ed ad un peggioramento delle
condizioni mentali, perché psicologicamente più deboli e senza motivazioni.
Conclusioni
In conclusione le scimmie vivono stati emozionali come
noi, sanno essere altruiste, hanno una cultura, sono empatiche, hanno una
teoria della mente, provano vergogna e hanno una morale sociale. In sostanza
possiedono una coscienza, sebbene nei limiti delle loro capacità cognitive e
intellettive. Però le scimmie non inquinano e non distruggono il loro ambiente,
come invece facciamo noi esseri umani. Su quest’ultimo punto abbiamo
un’infinità di brutti esempi. In un solo paese, l’Indonesia, le multinazionali
del legno, ogni 25 secondi, radano al suolo un’area della foresta equatoriale
grande quanto un campo di calcio (10 mila metri2)(in un solo giorno sono 60
ettari di foresta).
Noi uomini dobbiamo coscientemente riflettere su quello
che stiamo facendo, perché la natura non è inesauribile e sostituibile.
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Wundt, W. 1896. Grundriss der Psychologie. Leipzig,
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Compendio
di Psicologia. Torino, Clausen, 1900).
approfondisci su:
Scienza e Conoscenza n. 67 - Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7
Nuove scienze, Medicina Integrata
venerdì 15 febbraio 2019
La riscoperta della coscienza animale e umana 2
La riscoperta della coscienza animale e umana 2
seconda parte
Consapevolezza
Analizziamo i due tipi di coscienza secondo Damasio:
nucleare o primaria e coscienza estesa o di ordine superiore. Quali sono le
differenze?
di Angelo Tartabini - 14/02/2019
La Coscienza secondo Damasio
Quindi, nel tempo, molti studiosi si sono espressi sulla
coscienza, ma più concretamente, una voce autorevole in questo campo è stata
quella, non di un filosofo, come era da aspettarsi, ma di un neuroscienziato:
Antonio Damasio (1994-1999-2017). Egli fece subito una distinzione. Per lui non
esiste una coscienza unitaria, ma principalmente due diversi tipi di coscienza:
una coscienza nucleare o primaria (Core consciousness) e una coscienza estesa o
di ordine superiore (Extended consciousness).
Quella nucleare è una coscienza momentanea di un evento
sensoriale immediato, cioè di qualcosa che attiva hic et nunc uno dei nostri
organi di senso. Essa viene ricondotta al funzionamento delle strutture
corticali più antiche (di cui dispongono anche gli animali), cioè quelle del
sistema limbico, della formazione reticolare, quelle che regolano l'omeostasi,
il ciclo sonno/veglia, l'attenzione, le emozioni, come la gioia, la tristezza,
la paura, la rabbia, la sorpresa.
Quest’ultime sono tutte risposte neurali emozionali
fondamentali ai fini della conservazione degli individui, animali o umani che
siano. Ci aiutano a prendere decisioni vitali immediate, inconsapevoli, prima
di essere sopraffatti da un evento negativo e devastante.
Il secondo tipo di coscienza (Extended consciousness),
secondo Damasio, viene invece ricondotta principalmente alla memoria
autobiografia, al ricordo delle nostre esperienze passate, soprattutto quelle
più importanti e formative, al funzionamento dei lobi frontali e parietali,
cioè a capacità mentali “superiori” (per esempio, il linguaggio che ci consente
di articolare le nostre esperienze soggettive).
A dire il vero, il linguaggio articolato ha solo favorito
lo sviluppo della coscienza, ma non è stato assolutamente indispensabile per
farla emergere, nostante il numero dei neuroni corticali coinvolti nella
coscienza dell’essere umano sia più di 20 miliardi, mentre, per esempio, quelli
del cane, che ovviamente non parla, sono circa 400 milioni, cioè 50 volte
meno.
Noi uomini nel sistema nervoso centrale abbiamo
complessivamente 100 miliardi di neuroni: un numero enorme, ma ne sfruttiamo
solo una sua piccola parte, appena 1/5. In sostanza, non dobbiamo mai fare dei
confronti tra specie sul piano della qualità della coscienza (la qualità è la
stessa). Vale a dire che, non è assolutamente vero che la coscienza umana sia
una cosa e quella animale sia un’altra cosa.
Negli animali la coscienza ha dei limiti solo sul piano
della estensione ed ecco perché Damasio (1994-1999) ha parlato di Coscienza
estesa nell’uomo. Damasio con questa distinzione (nucleare/estesa) chiarì
quindi un punto su cui tuttora si fa molta confusione quando si parla di
coscienza animale e quando soprattutto la si mette a confronto con quella
umana. Questo paragone, non ha nessun senso, in quanto si sta parlando di
specie che operano cognitivamente e evolutivamente su piani quantitativamente
diversi.
A questo punto è facile pensare che, sul piano della
coscienza, non ci si possa fermare solo a quella nucleare ed estesa. Infatti,
Damasio aggiunge che la coscienza estesa genera quella morale, che non è un
manuale di regole scritte o parlate (per esempio con il linguaggio articolato),
ma un insieme di strategie comportamentali che servono a mantenere unito un
gruppo d’individui, per esprimere solidarietà e rispetto per il prossimo.
approfondisci su:
Scienza e Conoscenza n. 67 - Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7
Nuove scienze, Medicina Integrata
giovedì 14 febbraio 2019
mercoledì 13 febbraio 2019
La riscoperta della coscienza animale e umana 1
La riscoperta della coscienza animale e umana 1
prima parte
Gli animali hanno una coscienza come noi umani? In questo
articolo parliamo di uno dei quesiti che ci poniamo più frequentemente e a cui
spesso non riusciamo a dare una risposta
di Angelo Tartabini - 12/02/2019
Il modo migliore per dissolvere il “mistero” della
coscienza è di comprendere nella sua totalità i processi del cervello che a
essa sottostanno. Ciò che per ora si può dire è che la coscienza, qualsiasi
cosa essa sia, è, e rimane una caratteristica fondamentale della mente con
stati di sensibilità e consapevolezza che iniziano quando ci svegliamo al
mattino e si spengono quando ci addormentiamo. Ora, il punto è chiedersi se la
coscienza esista anche negli animali, cioè se la coscienza, nella somiglianza, e
nella diversità, ontologicamente soggettiva e indivisibile per noi esseri
umani, lo sia anche per gli animali.
In questo articolo dimostreremo che gli animali (scimmie
in particolare) sono coscienti di se stessi e delle loro azioni, di quello che
capita loro attorno, delle loro condizioni sociali, eccetera. Per dimostrarlo
faremo degli esempi, parleremo di molti esperimenti e citeremo molte opinioni
di autorevoli scienziati e filosofi, anche se il dibattito su questo tema non
si è ancora chiuso e chissà se mai si chiuderà.
La coscienza si
sta studiando in diversi campi della ricerca, in primo luogo in filosofia, poi
nelle scienze cognitive, per esempio, con l’intelligenza artificiale e il
computazionalismo, anche nelle neuroscienze, quindi, con orientamenti e
prospettive scientifiche abbastanza diverse tra loro. Sulla coscienza sono
stati scritti molti libri e articoli scientifici, ma per ora la conclusione è
che nessuno può spiegare che cosa sia veramente (Penfield, 1975; Dennett, 1991;
Searle, 1997; Koch, 2004; Humphrey, 2006; Massimini & Tononi, 2013; Savoldi
et al., 2014; Sacks, 2017).
Non esiste ancora una “teoria del tutto” sulla coscienza
e, forse, mai ci sarà. Ciò che si può dire, per ora, è che la coscienza è una
funzione psicologica privata, vissuta in prima persona, irriducibilmente
soggettiva e una proprietà che emerge causalmente dalle attività neurali
(Searle, 1992).
La coscienza è estesa nel tempo, ma non ha una dimensione
spaziale; sopravviene sul fisico, ma non è che si possa ridurre ai corrispondenti
stati neurofisiologici del nostro organismo, soprattutto del cervello che la
sottintende. Fisico e sopravvenienza per la coscienza, sembrano parole
antitetiche, ma nella realtà non lo sono, e qui sta il punto.
Se questo è lo stato delle cose, che cosa possiamo dire?
Ciò che si può affermare è che saremo in grado di capire che cosa sia veramente
la coscienza quando capiremo come funziona il cervello nella sua totalità e
complessità biologica (naturalismo biologico della coscienza). Nulla di più,
nulla di meno (Searle, 1997).
Le diverse teorie della coscienza
Come fanno i processi neurobiologici che avvengono nel
cervello a causare la coscienza? Rispondere non è facile e per spiegarlo sono
state messe in campo molte teorie, addirittura un tentativo sulla base della
meccanica quantistica che studia l’attività subneurale e quindi di parti
infinitamente piccole delle cellule nervose (Penrose, 1989).
Per quanto quest’ultima idea sia avvincente, il risultato
è che essa, per ora, non ci ha portati da nessuna parte. Per altri ricercatori,
invece, la coscienza è solamente un prodotto dell’evoluzione, un processo che è
maturato nel tempo, addirittura dal Cambriano, più di 500 milioni di anni fa,
in poi, quindi molto prima che noi umani apparissimo sulla faccia della Terra.
Attraverso la pressione selettiva di alcuni gruppi
neurali (mappe neurali) (Edelman, 1987), cioè meccanismi cerebrali minimi,
furono indispensabili per dar vita alla coscienza, anche se, sarebbe meglio
dire dei nuclei del tronco encefalico, del telencefalo e dell’ipotalamo che si
trovano sotto la corteccia cerebrale.
Altri studiosi dicono che le leggi che regolano gli
eventi mentali, quindi anche la coscienza, e gli eventi fisici, siano identiche
(teoria dell'identità (Davidson, 1990), anche se, il linguaggio usato
dall’uomo, con tutti i suoi limiti, per descrivere la coscienza, non può essere
sempre ricondotto al linguaggio della fisica.
E per la Psicologia, che cos’è la coscienza?
La coscienza è stato il primo oggetto d’indagine della
psicologia moderna che l’ha definita come un insieme di processi che vanno dai
riflessi agli atti volontari, dalle sensazioni alla formazione delle immagini,
dalle emozioni alla memoria, dall'attenzione alle motivazioni, dalla percezione
ai sentimenti: in sostanza, tutto l’insieme delle funzioni psicologiche che
caratterizzano l’essere umano.
Nel 1878 Wilhelm Wundt, il fondatore della psicologia
scientifica moderna e autonoma, fino ad allora la psicologia era stata
fortemente e negativamente condizionata dalla metafisica, definì la coscienza
“sintesi creativa” (Wundt, 1896)(Kant la chiamò l’Unità trascendentale
dell’appercezione).
In conclusione, la coscienza non è nulla di ben definito,
sebbene si sappia benissimo che ci consente di possedere un’infinità di stati
mentali, per esempio la gioia, l’affetto materno, la sofferenza, l’ammirazione,
la gratitudine, l'innamoramento, la saggezza.
Ci consente inoltre di vivere stati motivazionali come
quelli agonistici, sessuali, cooperativi, affiliativi e infine ci permette di
provare dei sentimenti attraverso le esperienze del nostro corpo in una sorta
di automatismo omeostatico (come recentemente ha sostenuto Antonio Damasio,
2017), in sostanza di mantenere in equilibrio le nostre attività funzionali con
l’ambiente, soprattutto quando si tratta di proteggere il nostro organismo da
influenze negative esterne.
La coscienza, inoltre, ci consente di prenderci cura di
noi stessi e degli altri, di essere intelligentemente altruisti, di divertirci,
ma anche di nutrirci. A proposito del nutrimento, il filosofo analitico
americano John Searle (1992), un giorno, scrisse che “gli eventi e i processi mentali,
quindi anche la coscienza, fanno parte della nostra storia naturale non meno
della digestione, della mitosi o della secrezione enzimatica”.
L’idea di Searle sembra una provocazione, ma in realtà
non lo è; Searle non intendeva nemmeno alludere ad un riduzionismo biologico.
La sua era un’idea semplicemente realistica, anche se non sono stati pochi
coloro che la rifiutarono. Il fatto è che il materialismo scientifico negli
ultimi due/trecento anni, insieme al dualismo che ancora pervade la nostra cultura
e quindi anche il nostro linguaggio, che resiste ancora ad una visione di una
mente come idea del corpo, come fu la visione anticipatrice di Baruch Spinoza,
addirittura nel XVII Secolo, insieme, nei nostri giorni, all’invasione
dell’intelligenza artificiale, dei media e dei telefonini, per non parlare
dell’identificazione della coscienza con l’anima o lo spirito, hanno reso
praticamente impossibile spiegare scientificamente che cosa sia veramente.
Quindi l’idea di una coscienza come prodotto di un’attività
neurale, ancora non esiste nel pensiero dell’uomo. Il fatto invece che
qualsiasi sistema capace di elaborare simboli, come fa un calcolatore o un
robot, operi come la nostra mente, è un’idea diffusissima. Questo modo di
pensare non ci ha culturalmente arricchiti, ma ci ha portati a un impoverimento
della nostra condizione e ci sta spersonalizzando. Ha fatto venire meno il
nostro senso critico e, quel che è più grave, sta promuovendo un analfabetismo
culturale di ritorno gravissimo. Sta avvantaggiando la mediocrità. Ci sta
avviando verso una crisi irreversibile di valori umani autentici.
approfondisci su:
Scienza e Conoscenza n. 67 - Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7
Nuove scienze, Medicina Integrata
martedì 12 febbraio 2019
Le piramidi in Bosnia e l'energia orgonica
Le piramidi in Bosnia e l'energia orgonica
Intervista a Sam Osmanagich: le piramidi in Bosnia e
l'energia orgonica
Le piramidi della Bosnia sono una tra le scoperte più
controverse dell'archeologia e in esse si trova un'alta concetrazione di energia
orgonica
Redazione Scienza e Conoscenza - 06/02/2019
Nel 2005 Sam Osmanagich ha scoperto le prime piramidi
europee nei pressi della cittadina di Visoko, Bosnia-Erzegovina, e ha dato
inizio agli scavi archeologici, poi condotti dalla Archaeological Park: Bosnian
Pyramid of the Sun Foundation da lui istituita. Tra il 2008 e il 2014 ha
organizzato le Conferenze Scientifiche Internazionali di Sarajevo sulla ricerca
svolta alle piramidi bosniache, eventi che hanno alimentato le controversie
sulla sua scoperta, dividendo la comunità archeologica internazionale.
Affascinanti e misteriose, le Piramidi della Bosnia hanno stregato decine di
ricercatori e centinaia di volontari:chi ha visitato il sito parla di
un’energia straordinaria che scaturisce da questo luogo particolare. Abbiamo
avuto il piacere di intervistare il dottor Osmanagich che ci racconta della sua
scoperta.
In che modo avete scoperto e misurato la presenza di
energia orgonica nel sito archeologico di Visoko?
Il progetto delle Piramidi Bosniache è un’indagine
scientifica interdisciplinare che coinvolge scienze classiche come archeologia,
geologia, pedologia, discipline ad alta tecnologia (ricerca geofisica, analisi
geotermica e georadar, LIDAR) e misurazioni di energia (campi elettrici e magnetici,
ultrasuoni e infrasuoni, risonanza Schuman, concentrazione di ioni negativi,
livello di ossigeno, campi magnetotellurici ed elettrodinamici).
Tra gli altri strumenti, abbiamo utilizzato il misuratore
sperimentale di energia vitale LM3, prodotto dall’azienda americana
Heliognosis. Questo strumento che si basa sullo stesso principio del
dispositivo di Wilhelm Reich (Orgone Field Meter). In breve, ha la capacità di
rilevare l’elettromagnetismo su una scala da 0% a100%.
State conducendo degli studi al riguardo?
A partire dal 2012 sono state effettuate regolari
misurazioni dell’energia orgonica nella Valle delle Piramidi Bosniache e la
strumentazione LM3 ha registrato i seguenti valori:
Piramide bosniaca del Sole (struttura piramidale
artificiale): 100%
Piramide bosniaca della Luna (struttura piramidale
artificiale): 100%
Tumulo di Vratnica (collina artificiale conica): 100%
Labirinto sotterraneo Ravne (rete artificiale preistorica
di gallerie e camere): 100%
Collina Bell Tower (collina a forma conica nel parco
“Ravne 2”): 100%
Ti risulta che in altri siti archeologici sia presente
una concentrazione altrettanto significativa di energia orgonica?
I relativi valori di energia vitale o orgonica (o chi,
prana, energia punto zero) variano a seconda dei luoghi: nelle città inquinate
si aggirano intorno al 20-25%, nei villaggi al 50-60% e sulle strutture
piramidali (artificiali o naturali) i valori arrivano al 100%.
Quali conclusioni relative alle conoscenze possedute dai
costruttori di queste antiche costruzioni possiamo trarre dalla presenza di
queste concentrazioni energetiche?
Nel caso dei tunnel delle piramidi bosniache, abbiamo
misurato gli effetti benefici dell’energia che sono dovuti ai seguenti fattori:
migliore elettromagnetismo, migliore frequenza ultrasuoni di 28 kHz, risonanza
Schuman di 7,83 Hz, alta concentrazione di ioni negativi fino a 50.000 ioni/c3,
assenza di radiazioni cosmiche dannose, di radioattività naturale, di campi
Wi-Fi e di segnali di telefonia mobile. Se a tutto ciò sommiamo il 100% di
energia orgonica, possiamo stabilire che i tunnel sono un luogo perfettamente
protetto e ricco di energia benefica, dove il nostro organismo riacquista
l’equilibrio e da il via al processo di autoguarigione. Gli antichi artefici
delle piramidi sapevano individuare i luoghi migliori in cui costruirle, luoghi
con potenti emissioni di energia. Le piramidi aumentano la quantità di energia
emessa dalle fonti naturali esistenti, pertanto sono amplificatori di energia.
Da sottolineare un fatto estremamente positivo: amplificano le frequenze
energetiche naturali a noi benefiche, così come amplificano, o forse generano,
l’energia orgonica. Sembra che la piramide a quattro facce, sia la più adatta
al nostro Pianeta. Questa particolare forma migliora la struttura molecolare
dell’uomo, della flora, della fauna, dell’acqua, del cibo e degli ambienti,
offrendoci sempre una maggiore quantità dell’invisibile ma onnipresente energia
vitale.
approfondisci il tema:
Scienza e Conoscenza n. 65 - Luglio-Settembre 2018
>> https://goo.gl/oH72LH
Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza
martedì 5 febbraio 2019
Fisica dei quanti: se non fossero palline?
Fisica dei quanti: se non fossero palline?
Medicina Quantistica e Bioenergetica
L’universo appare come un DVD dove l’informazione si
attiva nel tempo e le particelle vengono descritte come eventi. Insieme a
Ignazio Licata scopriamo la verità sui quanti
Redazione Scienza e Conoscenza - 04/02/2019
Estratto dall'articolo Particelle come eventi di Ignazio
Licata tratto da Scienza e Conoscenza 67
In Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti
(1920-1965), Werner Heisenberg ricorda una chiacchierata con Einstein: «Mi fece
notare che nella mia formulazione matematica era del tutto assente la nozione
di “traiettoria dell’elettrone”, che è in realtà un qualcosa di direttamente
osservabile in una camera a nebbia. Gli sembrava assurdo affermare che la
traiettoria esistesse nella camera ma non dentro l’atomo. L’idea di
traiettoria, dopo tutto, non può dipendere dalle dimensioni dello spazio in cui
avvengono i moti dell’elettrone. Cercai di difendere la mia posizione
giustificando con dettagli tecnici la necessità di abbandonare del tutto il
concetto nel contesto atomico: in realtà non osserviamo una traiettoria vera,
ma registriamo solo le frequenze della luce emessa dall’atomo, le loro
intensità e probabilità di transizione, ma non un vero «cammino». E poiché il
principio di razionalità impone di accogliere in una teoria solo le quantità
direttamente osservabili, l’idea di traiettoria dell’elettrone non doveva
trovarvi posto. Con mia sorpresa, Einstein non fu affatto convinto».
Una frattura e le sue derive
In questo breve passaggio ci sono già in luce non soltanto
gli aspetti più radicali della frattura tra fisica classica e quantistica (MQ),
ma, come deriva culturale, anche una bella fetta delle stranezze, paradossi e
magie che abitano gran parte della divulgazione. È il caso di convenire con
Marx che nella storia le cose si presentano la prima volta come tragedia, la
seconda come farsa. Del resto, sembra evidente che una MQ raccontata in termini
di “misteriose azioni a distanza” e altri elementi esotici è più vendibile nel
supermarket della scienza. E c’è già una scusante per questo tipo di
narrazione: la MQ sarebbe troppo ardua tecnicamente per non far ricorso al
paradosso. In questo caso il paradosso consisterebbe nella contraddizione con
il senso comune. Ci chiediamo qui se questo conflitto è davvero necessario,
preso atto che è estremamente pericoloso per chi si accosta alla fisica, e
proveremo a suggerire un modo di pensare i sistemiquantistici senza
“stranezze”. Per tentare questo esperimento concettuale faremo a meno del
formalismo, ma ci rifaremo direttamente a ciò che effettivamente dicono gli
assiomi della MQ. In altre parole non abbozzeremo qui un’interpretazione (ce ne
sono fin troppe!), piuttosto cercheremo di prendere alla lettera la MQ e
trasformeremo in immagini i suoi postulati. Soltanto alla fine indicheremo al
lettore in quale misura questo esperimento mentale porti a una estensione della
MQ che implica una riflessione sulla nozione di temporalità.
La lezione di Niels Bohr
Com’è noto, Einstein aveva portato a compimento la fisica
classica: nel teatro di coordinate dello spazio-tempo, campi e particelle
modellano il mondo in ossequio a uno stretto determinismo, mitigato dalla
complessità degli effetti non-lineari. Con la Relatività Generale (RG) aveva
proposta una teoria metrica della gravitazione che unificava spazio-tempo e
materia, stimolando le teorie unificate. È comprensibile che l’abbandono del
concetto di localizzabilità nello spazio-tempo (della posizione di una
particella, di un valore di campo) lo rendesse critico nei confronti della nuova
fisica, all’affermazione della quale pure aveva dato un importante contributo
(fotone, effetto fotoelettrico, calore specifico nei solidi) e del cui valore
pratico non dubitava. Come L. de Broglie non era però intenzionato ad
abbandonare la rappresentazione spaziale di oggetti e processi. Per contro
Heisenberg, tra i discepoli di Bohr, fu quello che portò alle estreme
conseguenze il pensiero del suo maestro e amico. Il pensiero di Bohr è molto
sottile, saldamente stratificato attorno ad alcuni cardini, ma diversificato in
mille rivoli. Per questo motivo Bohr resta – per i più – il creatore di un
modello semi-classico dell’atomo e del concetto di complementarietà, che per i
nostri scopi possiamo qui riassumere dicendo che un sistema quantistico mostra,
in relazione all’apparato di misura, aspetti ondulatori e aspetti particellari,
non osservabili entrambi in un singolo esperimento. Così espresso naturalmente
appare frustrante sotto almeno tre punti di vista: non ci dice il perché di una
situazione così singolare, non offre vie di scampo all’immaginazione e fa
aleggiare sull’osservatore l’ombra di un misterioso potere di scelta.
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Scienza e Conoscenza n. 67 - Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7
Nuove scienze, Medicina Integrata
lunedì 4 febbraio 2019
Siamo fatti di microbi
Siamo fatti di microbi: come e' possibile?
Medicina Non Convenzionale
Il nostro patrimonio genetico non è composto solamente
dal DNA, come abbiamo sempre pensato: all'interno de nostro corpo convivono
batteri e DNA, come? Perché squadra che vince non si cambia
Andrea Giulia Pollini - 01/02/2019
Verso la metà degli anni Cinquanta gli scienziati
iniziarono a studiare la composizione del DNA. Lo scopo delle ricerche era
decodificare le sequenze del DNA e comprendere perché noi esseri umani
riusciamo a essere così diversi gli uni dagli altri.
La ricerca scientifica arrivò alla conclusione che la
nostra complessità era data non solo dal nostro DNA, ma anche dal DNA dei
batteri che vivono all’interno del nostro corpo. Concentrandosi sui batteri
scoprirono che un batterio contiene regolarmente il 15% o più dei geni di altri
batteri. Per esempio due batteri classificati come molto diversi sono stati
rivelati come geneticamente simili: L’E. coli, innocuo abitante dell’intestino,
e la Shigella, responsabile della dissenteria batterica hanno al 100% lo stesso
DNA, anche se hanno effetti completamente diversi sul nostro organismo. Gli
scienziati compresero che non esistono solamente batteri cattivi, ma che
all’interno del nostro organismo vivono anche batteri buoni, responsabili della
nostra unicità e della nostra salute.
Le scoperte scientifiche sui batteri intestinali
Gli scienziati fecero una scoperta rivoluzionaria, come
ci spiega la Dottoressa Anne Katharina Zschocke nel suo libro I Batteri
Intestinali:
«Al contrario di quanto pensavamo, noi esseri umani non
siamo in prima linea cellule con un nucleo dalle quali deriva la vita, siamo un
insieme vitale di microbi e cellule corporee: senza questi batteri l’essere
umano non è niente. Noi pensavamo di essere il risultato dei nostri propri geni
originari, mentre la scoperta rivoluzionaria è: grazie ai batteri in noi siamo
in correlazione con tutti i microbi della terra e dentro di noi portiamo una
specie di organo, che fino a ora non avevamo ancora conosciuto come tale,
ovvero la totalità di tutti i batteri compreso il loro patrimonio genetico, le
loro capacità di adattamento. Con la loro capacità di scambiarsi tra di loro
tutto il possibile e con tutto quello che ancora non conosciamo».
Che cos’è il Microbioma?
I nostri geni uniti ai nostri microbi vengono chiamati
“microbioma”, le ricerche scientifiche si sono concentrate sul compito svolto
in noi da questi organismi unicellulari. In pochissimo tempo la scienza ci ha
dato le risposte che hanno cambiato il nostro modo di guardare tutta la vita
umana. La scoperta del microbioma e delle sue funzioni ha alla base un concetto
molto semplice: noi esseri umani viviamo di relazioni, a partire dalle più
piccole che si svolgono all’interno del nostro organismo, siamo interdipendenti
tra di noi. Una vita sana può esistere solo con una convivenza sana che deve
partire proprio tra il nostro DNA e i batteri che ospitiamo nel nostro corpo.
Negli Stati Uniti sono iniziati dei nuovi progetti, come leggiamo nel libro
della dottoressa Anne Katharina Zschocke I Batteri Intestinali:
«Alle origini di questo progetto [Il progetto “Genomic
Science Program” ndr] c’è l’idea che esistano principi genetici di base che
controllano i sistemi unicellulari e vegetali. La padronanza da parte
dell’essere umano su questi principi di controllo dovrebbe rendere possibile dominarli
e utilizzarli a seconda delle proprie idee. Un altro programma è lo “Human
Microbiome Project”, dal 2008 al 2012, nel quale, allo scopo di comprendere
meglio il microbioma, sono stati studiati geneticamente 60 prove microbiche
prelevate da quindici parti diverse del corpo di trecento persone. Da tutti
questi progetti sappiamo adesso che la prima cosa che ci rende esseri umani
completi e che giustifica la nostra salute è proprio il patrimonio genetico dei
batteri sul e nel nostro corpo, insieme a quello delle nostre cellule».
Quindi abbandoniamo la brutta abitudine di pensare ai
batteri come “qualcosa di negativo” e storcere il naso quando li nominiamo. I
batteri non sono tutti “cattivi”, anzi potremmo dire “squadra che vince non si
cambia”.
eBook - I Batteri Intestinali >> http://bit.ly/2SpmDBa
Come prevenire, curare e guarire allergie, sovrappeso,
diabete, colon irritabile, autismo, depressione e molto altro
Anne Katharina Zschocke
Il nostro sistema immunitario si sviluppa solo in
presenza di batteri!
I batteri sono fondamentali per la nostra salute. Da loro
dipendono non solo la nostra digestione, il nostro sistema di difesa e il
nostro bilancio vitaminico, ma addirittura anche tutta la nostra evoluzione
personale, i nostri sentimenti e il nostro comportamento.
A partire dalla nascita, in particolare con parto il
naturale e con l'allattamento al seno, il bambino acquisisce tutta una serie di
batteri che sono previsti per lui dalla natura e che gli sono indispensabili
per la sua salute.
Un'eccessiva igiene, l'assunzione di antibiotici,
un'alimentazione errata possono ridurre notevolmente il numero dei batteri e
inibire in maniera gravosa la loro interazione nell'intestino.
Per curare molte malattie (allergie, diabete, colon
irritabile, sovrappeso e addirittura disturbi psichici come la depressione,
ADHD o disturbo da deficit di attenzione/iperattività e l'autismo) è necessario
ristabilire un sano microbioma, ovvero avere una buona quantità di batteri
nella giusta composizione e una buona mucosa intestinale.
Partendo dalle ricerche scientifiche più recenti,
l'autrice mostra quanto siano estese le correlazioni tra la flora intestinale e
un buono stato di salute e in che modo sia possibile prendersi cura di
intestino e corpo fornendo un apporto ottimale di microbi.
Queste scoperte rivoluzionarie sono in grado di spiegare
l'origine di molte malattie e di conseguenza portano a nuovi trattamenti
efficaci e a nuove vie di guarigione. L'autrice suggerisce, infatti, l'utilizzo
di cibi fermentati, microrganismi effettivi e fornisce consigli e trucchi
alimentari da seguire.
La dottoressa ANNE KATHARINA ZSCHOCKE ha studiato
medicina, omeopatia e naturopatia a Friburgo e a Londra. Dopo una breve
attività clinica ha seguito la sua vocazione e si è fatta un nome a livello
internazionale come libera docente specializzata e autrice di libri. Le sue
competenze come medico e le conoscenze ottenute nei 15 anni di ricerca sui
microoganismi efficaci le hanno consentito di avere una visione unica nelle
relazioni profonde del microbioma umano. In conferenze, seminari e libri
trasmette ad altri il proprio vasto sapere.
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