giovedì 28 febbraio 2019

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L'universo un gigantesco ologramma



L'universo potrebbe essere un gigantesco ologramma #1

- Prima parte

Fisica dell'incredibile


Secondo una teoria che prende il nome di principio olografico, l’universo sarebbe simile ad un gigantesco ologramma

Fausto Bersani Greggio - 27/02/2019

Secondo una teoria che prende il nome di principio olografico, l’universo sarebbe simile ad un gigantesco ologramma: proprio come una manipolazione della luce permette di registrare un’immagine tridimensionale su una pellicola in due dimensioni, il nostro universo, in apparenza tridimensionale, potrebbe essere totalmente equivalente a un «dipinto» su un’immensa superficie lontana.

Un ologramma è un tipo speciale di fotografia che genera un’immagine tridimensionale quando viene illuminata in modo appropriato. Tutta l’informazione che descrive la scena tridimensionale è codificata e vive su una pellicola bidimensionale

Il principio olografico afferma che una situazione analoga si può applicare nella descrizione di un qualunque sistema che occupi una regione tridimensionale purché la teoria fisica che lo descrive operi solamente sul suo confine bidimensionale. Il concetto di ologramma, inteso in modo generale, può essere quindi esteso come una rappresentazione a D – 1 dimensioni di un oggetto D dimensionale.

La fisica dei buchi neri – concentrazioni di massa incredibilmente dense con campi gravitazionali talmente intensi che neppure la luce riesce ad evadere – dà un’indicazione di come questo principio potrebbe essere vero anche a livello astrofisico, se non addirittura cosmologico.

Dallo studio dei buchi neri si ricava una conclusione sorprendente: l’entropia, che è connessa al contenuto di informazione di una qualsiasi regione dello spazio, è definita non dal suo volume ma dall’area della sua superficie.

Alcuni fisici ritengono che questo risultato sorprendente possa essere un indizio in direzione di una teoria definitiva della realtà.

Il secondo principio della termodinamica afferma che l’entropia di un sistema fisico isolato non può mai diminuire. Tuttavia quando la materia scompare in un buco nero l’entropia dell’Universo sembrerebbe scomparire per sempre: un buco nero assorbe materia ed energia dallo spazio circostante e quindi “mangia” informazione.

Il secondo principio sembra pertanto essere violato.

Sennonché, negli anni ’70, venne dimostrato un teorema in virtù del quale l’area totale di un buco nero, per un qualsiasi evento, non diminuisce mai. Di conseguenza, se si suppone che l’entropia di un buco nero sia proporzionale alla superficie del suo orizzonte, si può pensare che quando la materia cade al suo interno, l’aumento di entropia di quest’ultimo compensi l’entropia “persa” dalla materia scomparsa, una sorta di generalizzazione del secondo principio della termodinamica. Questo assunto fu effettivamente dimostrato da Bekenstein.

E fin qui non ci sarebbe un immediato problema se l’informazione rimanesse confinata all’interno dell’orizzonte degli eventi. Tuttavia Hawking nel 1974 pubblicò un articolo in cui sosteneva che un buco nero può emettere spontaneamente radiazione termica fino ad “evaporare”, fenomeno peraltro, al momento, mai osservato.

Cosa accade all'informazione caduta precedentemente nel buco nero quando esso evapora?

Ed inoltre, che dire del teorema dell’area il quale, a fronte di un’eventuale evaporazione del buco nero risulterebbe evidentemente violato data l’inevitabile scomparsa del buco nero stesso?

Anche se l’idea di Bekenstein, di un’entropia generalizzata data dalla somma dell’entropia dei buchi neri e della materia esterna ad essi, salva la seconda legge della termodinamica, rimane tuttavia aperto il problema del teorema dell’area e dell’informazione.

L’ipotesi di Hawking di un buco nero che possa evaporare pone una serie di problemi teorici, conosciuti con il nome di “paradosso dell’informazione”, poiché nel lavoro originale la radiazione di Hawking è puramente termica, col risultato che dell’informazione viene distrutta per sempre: si pensi ad esempio ad alcune proprietà delle particelle catturate all’interno di un buco nero come la massa, la carica elettrica, lo spin, l’energia, la quantità di moto, ecc. tutti dati che andrebbero completamenti persi.

Fintanto che nulla poteva uscire da un buco nero, si poteva pensare che l’informazione, non più accessibile, continuasse comunque ad esistere confinata al suo interno, ma nel momento in cui questo non è più vero allora nascono delle difficoltà di interpretazione a livello quantistico. Infatti in meccanica quantistica l'informazione non viene mai distrutta. I tentativi di spiegazione allo stato attuale risultano alquanto contorti, poco convincenti e sicuramente incompleti.

Personalmente ritengo che il problema possa essere spiegato diversamente.

In una mia precedente pubblicazione su questa rivista [1] dimostrai che il ragionamento di Hawking è affetto da un errore e che in realtà un buco nero non potrà mai evaporare provando quindi che il teorema dell’area è assolutamente generale e non presenta violazioni salvaguardando anche il contenuto dell'informazione nascosta.

E’ stato dimostrato, come si è detto, che l'entropia di un buco nero è proporzionale all'area del suo orizzonte degli eventi. Essa risulta misurata in unità di Planck
ossia, pixel infinitesimi (10^-66 cmq) che rappresentano il limite estremo della nostra capacità di indagare l’infinitamente piccolo. L'idea è che lo spazio-tempo potrebbe non essere perfettamente liscio, esattamente come un’immagine digitale che evidenzia i propri limiti di risoluzione quando si zooma fino a dimensioni dell’ordine di grandezza dei suoi pixel.

L'informazione può essere quindi codificata sullo schermo olografico della sua superficie, il che corrisponde ad una caratteristica particolare: studiare la fisica della superficie olografica equivale a studiare la fisica del volume in essa racchiuso. Lo schermo olografico conserva una sorta di “memoria” o di “archivio”, se si preferisce, delle proprietà della materia contenuta al suo interno.

Un processo analogo si verifica anche nel noto esperimento delle due fenditure, l’esperimento premiato nel 2002 dalla rivista Physics World come il più bello della fisica, in cui venne realizzata una figura di interferenza non con onde classiche, come sarebbe lecito attendersi, bensì con particelle, per l’esattezza elettroni.

Il segreto dell'Universo >> http://bit.ly/2IGjCZu
Mente e materia nella scienza del terzo millennio
Fabrizio Coppola

venerdì 22 febbraio 2019

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Masticare bene cura l'intestino




Masticare bene cura l'intestino

Curarsi con l'Omeopatia

Per proteggere il nostro intestino e quindi il nostro microbioma intestinale è molto importante masticare bene e a lungo. Come? Con alcuni semplici passi, vieni a scoprirli insieme a noi

Andrea Giulia Pollini - 21/02/2019

Per avere un intestino sano, e quindi un buon microbioma intestinale, bisogna analizzare il primo gesto che compiamo quando mangiamo ovvero la masticazione. Masticare bene è determinante per una digestione adeguata: spesso mangiamo senza masticare e ingurgitiamo velocemente cibo e bevande ignorando le conseguenze di questa cattiva abitudine sul nostro organismo.

Perché masticare è così importante?

Masticare bene aumenta il senso di sazietà.
Masticare bene permette alla muscolatura dello stomaco di distendersi per accogliere il cibo.
Masticare bene consente un buon inizio di digestione.
È importante ricordare che lo stomaco è un muscolo con una mucosa morbida e al suo interno contiene rughe e pieghe, non ha denti. Se non mastichiamo noi, nessuno lo farà. Una buona masticazione dipende da due azioni fondamentali: tritare il cibo con i denti e lasciare che il cibo si unisca alla saliva. Masticando attiviamo le ghiandole salivari che producono la saliva, le ghiandole salivari se attivate correttamente rilasciano circa 1-1,5 l di saliva al giorno. La prima parte della digestione inizia dentro la nostra bocca ed è molto importante capire come funziona.

La saliva inoltre contiene la mucina che è fondamentale per la scissione degli amidi e del cibo. Quindi la masticazione unita alla saliva permette di trasformare il cibo in poltiglia e di farlo arrivare all’intestino che, a questo unto, riesce a sintetizzarlo meglio.  Anne Katharina Zschocke spiega perfettamente questo passaggio nel suo libro Batteri Intestinali:

“Masticando accuratamente, dunque, ci prendiamo cura del nostro stomaco e del nostro intestino, ma anche di tutti i batteri che lì vivono. Facciamo in modo di mantenere inalterato il nostro strato mucoso intestinale che ci protegge da una troppo grande permeabilità del tessuto epiteliale dell’intestino e di conseguenza da malattie. Masticare accuratamente mantiene in movimento i processi di disintossicazione”.

Oggi sappiamo che masticare bene rinforza anche il sistema immunitario e il nostro microbioma intestinale. Il microbioma intestinale funziona da barriera contro i patogeni, regolando l’assorbimento dei nutrienti, la produzione di vitamine ed energia e le difese immunitarie. Inoltre nel 2010 uno studio ha rivelato che la saliva contiene un’endorfina endogena, l’opiorfina, che ha un potere antidepressivo e antidolorifico. Possiamo immaginare che un domani la masticazione potrebbe essere prescritta come cura contro la depressione.

Come masticare nel modo giusto?

Quasi 100 anni fa Horace Fletcher, mercante d’arte, si trovò all’età di 60 anni talmente sovrappeso che l’assistenza sanitaria si rifiutò di assisterlo. Così Fletcher per dimagrire decise di provare a masticare lentamente: un boccone doveva essere masticato per 33 volte. Passo dopo passo dimagrì notevolmente e scrisse alcuni consigli che troviamo nel libro Batteri Intestinali di Anne Katharina Zschocke, e che possiamo ancora tenere in considerazione per masticare nel modo giusto:

“bisogna fare bocconi piccoli e masticarli tanto a lungo,fino a che non sono ridotti in poltiglia o non sono diventati liquidi;
concentrarsi completamente sulla masticazione e nel farlo prendere coscienza del cambiamento nel gusto (contare i movimenti di masticazione può aiutare a mantenere la concentrazione);
ciò vale anche per i liquidi;
a questo punto i bocconi ridotti in poltiglia vanno consapevolmente inghiottiti;
solo in seguito prendere un altro boccone e masticando, non mettere il boccone sulla forchetta ma godersi rilassati il momento con piacere”.
Ancora oggi questi sono ottimi consigli da seguire per masticare nel modo corretto, perché per avere un buon microbioma e di conseguenza un intestino sano è importantissimo masticare bene e a lungo. Quindi per ricordarti di masticare a lungo ti propongo una nuova versione di un noto scioglilingua: “33 trentini entrarono a Trento…”.  Non entrare a Trento, ma conta 33 trentin e poi deglutisci. Il tuo corpo ti ringrazierà.

eBook - I Batteri Intestinali
Come prevenire, curare e guarire allergie, sovrappeso, diabete, colon irritabile, autismo, depressione e molto altro
Anne Katharina Zschocke

lunedì 18 febbraio 2019

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La riscoperta della coscienza animale e umana 3


La riscoperta della coscienza animale e umana 3

- terza parte

Consapevolezza


Diversi studi sugli scimpazè dimostrano che sono capaci di pensiero riproduttivo e produttivo. Possiamo dire quindi, che gli animali possiedono una coscienza?

Angelo Tartabini - 17/02/2019

Allora, per quali ragioni, da questo universo di stati mentali, soprattutto quelli della coscienza, debbano essere esclusi gli animali? Perché, ad esempio, alle scimmie antropomorfe, deve essere negata la possibilità di avere delle credenze, di provare delle emozioni, oppure, perché no, di sentirsi orgogliose per aver difeso con successo un alleato nella lotta per la leadership?

Inoltre, molti animali sanno “leggere” le intenzioni e il pensiero dei loro compagni e possono reagire ai loro stati intenzionali (teoria della mente), ad esempio, ai loro inganni, predisponendosi al contro-inganno (Tartabini, 2012). Per esempio, gli scimpanzé possono fare inferenze (a dire la verità, anche molti altri animali ne sono capaci); sono capaci di pensiero riproduttivo, produttivo e di ristrutturare il loro campo cognitivo. Possono distinguere una figura geometrica da un'altra e possono risolvere euristicamente molti problemi.

Hanno una memoria sensoriale, una memoria a breve e a lungo termine e anche procedurale. Sentono il bisogno di sicurezza (vedi attaccamento) di stima, di considerazione e possono provare le nostre stesse emozioni. Per quanto riguarda la creatività, chi non è più creativo di uno scimpanzé nella costruzione di strumenti, per esempio di bastoncini che vengono infilati nei termitai per l'estrazione degli insetti. Molti scimpanzé conoscono il valore terapeutico di alcune erbe per curare dissenterie e mal di pancia. Altri, in laboratorio, hanno acquisito il significato di un certo numero di ideogrammi della scrittura giapponese quando venivano abbinati a dei lessi grammi e hanno anche distinto dei colori: rosso, giallo, arancione, verde rosa e blu. Altri ancora hanno saputo esprimere, attraverso il linguaggio dei segni, desideri del tipo: “Voglio una penna di colore rosso”, “voglio due penne verdi” (Matsuzawa, et al., 2006).

Tutte queste scoperte hanno proiettato una nuova luce sulla definizione di umanità, sul concetto di coscienza, su quello di altruismo, empatia, senso di colpa, gelosia, sdegno e ripugnanza. Per esempio, per interiorizzare il senso di colpa è necessario possedere una forma di coscienza, di consapevolezza, per aver commesso un errore o qualcosa che non doveva essere fatto. Il senso di colpa, probabilmente, è un punto importante sul quale si sono basate le società dei primi ominidi che hanno presto dovuto discernere, per sopravvivere, il bene dal male. Tutto questo, nel corso dell'evoluzione, si è diffuso anche tra le nostre cugine, le scimmie, sebbene in maniera più sfumata rispetto all’uomo.

Per quanto riguarda la morale o coscienza morale, Darwin ne “L'origine dell'uomo” (1871) sostenne, con parole molto semplici, che tra noi uomini e molte specie animali, esiste una sorprendente continuità evolutiva. Aggiunse che gli animali possono provare compassione nei confronti del dolore altrui e che gli elementi fondamentali della moralità animale sono costituiti dalle risposte emozionali che ogni individuo è capace di dare in una qualsiasi forma di solidarietà empatica. La solidarietà favorisce gli animali che la manifestano nei gruppi di appartenenza e quella cooperativa si fonda su dei vantaggi reciproci. Quando la solidarietà in una società viene meno, si sgretolano i rapporti sociali e in questi casi gli individui rimangono soli, melanconici, meno reattivi, soggetti a malattie ed ad un peggioramento delle condizioni mentali, perché psicologicamente più deboli e senza motivazioni.

Conclusioni

In conclusione le scimmie vivono stati emozionali come noi, sanno essere altruiste, hanno una cultura, sono empatiche, hanno una teoria della mente, provano vergogna e hanno una morale sociale. In sostanza possiedono una coscienza, sebbene nei limiti delle loro capacità cognitive e intellettive. Però le scimmie non inquinano e non distruggono il loro ambiente, come invece facciamo noi esseri umani. Su quest’ultimo punto abbiamo un’infinità di brutti esempi. In un solo paese, l’Indonesia, le multinazionali del legno, ogni 25 secondi, radano al suolo un’area della foresta equatoriale grande quanto un campo di calcio (10 mila metri2)(in un solo giorno sono 60 ettari di foresta).

Noi uomini dobbiamo coscientemente riflettere su quello che stiamo facendo, perché la natura non è inesauribile e sostituibile.

Riferimenti bibliografici

Darwin, C. 1871. The discent of man, and selection in relation to sex.
       London, John Murray (tr. it. L’origine dell’uomo. Roma, Editori
       Riuniti, 1971).
Damasio, A.R. 1994. Descartes’ error, reason and the human brain. New
          York, Grosset/Putman (tr. it. L’errore di Cartesio. Milano, Adelphi,
          1995).
Damasio, A.R. 1999. The feelings of what happens. New York, Harcourt
        Brace (tr. it. Emozioni e coscienza. Milano, Adelphi, 2000).
Damasio, A. R. 2017. The strange order of things: Life, feeling, and the
          making cultures. New York, Pantheon Books (tr. it. Lo strano ordine
         delle cose. Milano, Adelphi, 2017).

Dennett, D. 1991. Consciousness explained. Boston, Little Brown (tr. it.
         Coscienza. Milano, Rizzoli, 1993).
Edelman, G. 1887, Neural Darwinism. New York, Basic Books, (tr. it.
         Darwinismo neurale. Torino, Einaudi, 1995).
Humphrey, N. 2006. Seeing red: a study in consciousness. Cambridge,
      MA., Belknapp Press/Harvard University Press (tr. it. Rosso. Uno
      studio sulla coscienza. Torino, Codice Edizioni, 2007).
Koch, C. 2004. The quest for consciousness: A neurobiological approach.
         San Francisco, CA., W.H. Freeman & Co. (tr. it. Alla ricerca della
        coscienza: una prospettiva neurobiologica. Torino, UTET, 2007).
Massimini, M. & Tononi, G. 2013. Nulla di più grande. Milano, Baldini &
          Castoldi,.
Matsuzawa, T., Tomonaga, M. & Tanaka, M. 2006. (Eds.). Cognitive
          development in chimpanzees. New York, Springer.
Penfield, W. 1975. The mistery of the mind: A critical study of
        consciousness and the human brain. Princeton, Princeton University
        Press (tr. it. Il mistero della mente: studio critico sulla coscienza e sul
        cervello umano. Firenze, Vallecchi, 1991).
Penrose, R. 1989. The Emperor’s new mind. Oxford, Oxford University
        Press (tr. it. La mente nuova dell’imperatore. Milano, Rizzoli, 1992).
Sacks, O. 2017. The river of conscousness. London, Pan Macmillan (tr. it.
        Il fiume della coscienza. Milano, Adelphi, 2018).
Savoldi, F., Ceroni, M. & Vanzago, L. 2014 (a cura di). La coscienza:
       Contributi per specialisti e non specialisti tra Neuroscienze, Filosofia
       e Neurologia. Fano, Aras Edizioni.
Searle, J. 1992. The rediscovery of the mind. Boston, MA., Massachusetts
        Institute of Technology (tr. it. La riscoperta della mente. Torino,
        Bollati Boringhieri, 1994).
Searle, J. 1997. The mistery of consciousness. New York, New York
       Review of Books (tr. it. Il mistero della coscienza. Milano, Cortina
      Editore, 1998).
Tartabini, A. 2012. Fondamenti di Psicologia evoluzionistica. Napoli,
        Liguori Editore.
Wundt, W. 1896. Grundriss der Psychologie. Leipzig, Engelmann (tr. it.
        Compendio di Psicologia. Torino, Clausen, 1900).

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venerdì 15 febbraio 2019

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La riscoperta della coscienza animale e umana 2



La riscoperta della coscienza animale e umana 2

seconda parte

Consapevolezza


Analizziamo i due tipi di coscienza secondo Damasio: nucleare o primaria e coscienza estesa o di ordine superiore. Quali sono le differenze?

di Angelo Tartabini - 14/02/2019

La Coscienza secondo Damasio

Quindi, nel tempo, molti studiosi si sono espressi sulla coscienza, ma più concretamente, una voce autorevole in questo campo è stata quella, non di un filosofo, come era da aspettarsi, ma di un neuroscienziato: Antonio Damasio (1994-1999-2017). Egli fece subito una distinzione. Per lui non esiste una coscienza unitaria, ma principalmente due diversi tipi di coscienza: una coscienza nucleare o primaria (Core consciousness) e una coscienza estesa o di ordine superiore (Extended consciousness).

Quella nucleare è una coscienza momentanea di un evento sensoriale immediato, cioè di qualcosa che attiva hic et nunc uno dei nostri organi di senso. Essa viene ricondotta al funzionamento delle strutture corticali più antiche (di cui dispongono anche gli animali), cioè quelle del sistema limbico, della formazione reticolare, quelle che regolano l'omeostasi, il ciclo sonno/veglia, l'attenzione, le emozioni, come la gioia, la tristezza, la paura, la rabbia, la sorpresa.

Quest’ultime sono tutte risposte neurali emozionali fondamentali ai fini della conservazione degli individui, animali o umani che siano. Ci aiutano a prendere decisioni vitali immediate, inconsapevoli, prima di essere sopraffatti da un evento negativo e devastante.

Il secondo tipo di coscienza (Extended consciousness), secondo Damasio, viene invece ricondotta principalmente alla memoria autobiografia, al ricordo delle nostre esperienze passate, soprattutto quelle più importanti e formative, al funzionamento dei lobi frontali e parietali, cioè a capacità mentali “superiori” (per esempio, il linguaggio che ci consente di articolare le nostre esperienze soggettive).

A dire il vero, il linguaggio articolato ha solo favorito lo sviluppo della coscienza, ma non è stato assolutamente indispensabile per farla emergere, nostante il numero dei neuroni corticali coinvolti nella coscienza dell’essere umano sia più di 20 miliardi, mentre, per esempio, quelli del cane, che ovviamente non parla, sono circa 400 milioni, cioè  50 volte  meno.

Noi uomini nel sistema nervoso centrale abbiamo complessivamente 100 miliardi di neuroni: un numero enorme, ma ne sfruttiamo solo una sua piccola parte, appena 1/5. In sostanza, non dobbiamo mai fare dei confronti tra specie sul piano della qualità della coscienza (la qualità è la stessa). Vale a dire che, non è assolutamente vero che la coscienza umana sia una cosa e quella animale sia un’altra cosa.

Negli animali la coscienza ha dei limiti solo sul piano della estensione ed ecco perché Damasio (1994-1999) ha parlato di Coscienza estesa nell’uomo. Damasio con questa distinzione (nucleare/estesa) chiarì quindi un punto su cui tuttora si fa molta confusione quando si parla di coscienza animale e quando soprattutto la si mette a confronto con quella umana. Questo paragone, non ha nessun senso, in quanto si sta parlando di specie che operano cognitivamente e evolutivamente su piani quantitativamente diversi.

A questo punto è facile pensare che, sul piano della coscienza, non ci si possa fermare solo a quella nucleare ed estesa. Infatti, Damasio aggiunge che la coscienza estesa genera quella morale, che non è un manuale di regole scritte o parlate (per esempio con il linguaggio articolato), ma un insieme di strategie comportamentali che servono a mantenere unito un gruppo d’individui, per esprimere solidarietà e rispetto per il prossimo.

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mercoledì 13 febbraio 2019

La riscoperta della coscienza animale e umana 1



La riscoperta della coscienza animale e umana 1

prima parte

Gli animali hanno una coscienza come noi umani? In questo articolo parliamo di uno dei quesiti che ci poniamo più frequentemente e a cui spesso non riusciamo a dare una risposta


di Angelo Tartabini - 12/02/2019

Il modo migliore per dissolvere il “mistero” della coscienza è di comprendere nella sua totalità i processi del cervello che a essa sottostanno. Ciò che per ora si può dire è che la coscienza, qualsiasi cosa essa sia, è, e rimane una caratteristica fondamentale della mente con stati di sensibilità e consapevolezza che iniziano quando ci svegliamo al mattino e si spengono quando ci addormentiamo. Ora, il punto è chiedersi se la coscienza esista anche negli animali, cioè se la coscienza, nella somiglianza, e nella diversità, ontologicamente soggettiva e indivisibile per noi esseri umani, lo sia anche per gli animali.

In questo articolo dimostreremo che gli animali (scimmie in particolare) sono coscienti di se stessi e delle loro azioni, di quello che capita loro attorno, delle loro condizioni sociali, eccetera. Per dimostrarlo faremo degli esempi, parleremo di molti esperimenti e citeremo molte opinioni di autorevoli scienziati e filosofi, anche se il dibattito su questo tema non si è ancora chiuso e chissà se mai si chiuderà.

 La coscienza si sta studiando in diversi campi della ricerca, in primo luogo in filosofia, poi nelle scienze cognitive, per esempio, con l’intelligenza artificiale e il computazionalismo, anche nelle neuroscienze, quindi, con orientamenti e prospettive scientifiche abbastanza diverse tra loro. Sulla coscienza sono stati scritti molti libri e articoli scientifici, ma per ora la conclusione è che nessuno può spiegare che cosa sia veramente (Penfield, 1975; Dennett, 1991; Searle, 1997; Koch, 2004; Humphrey, 2006; Massimini & Tononi, 2013; Savoldi et al., 2014; Sacks, 2017).

Non esiste ancora una “teoria del tutto” sulla coscienza e, forse, mai ci sarà. Ciò che si può dire, per ora, è che la coscienza è una funzione psicologica privata, vissuta in prima persona, irriducibilmente soggettiva e una proprietà che emerge causalmente dalle attività neurali (Searle, 1992).

La coscienza è estesa nel tempo, ma non ha una dimensione spaziale; sopravviene sul fisico, ma non è che si possa ridurre ai corrispondenti stati neurofisiologici del nostro organismo, soprattutto del cervello che la sottintende. Fisico e sopravvenienza per la coscienza, sembrano parole antitetiche, ma nella realtà non lo sono, e qui sta il punto.

Se questo è lo stato delle cose, che cosa possiamo dire? Ciò che si può affermare è che saremo in grado di capire che cosa sia veramente la coscienza quando capiremo come funziona il cervello nella sua totalità e complessità biologica (naturalismo biologico della coscienza). Nulla di più, nulla di meno (Searle, 1997).

Le diverse teorie della coscienza

Come fanno i processi neurobiologici che avvengono nel cervello a causare la coscienza? Rispondere non è facile e per spiegarlo sono state messe in campo molte teorie, addirittura un tentativo sulla base della meccanica quantistica che studia l’attività subneurale e quindi di parti infinitamente piccole delle cellule nervose (Penrose, 1989).

Per quanto quest’ultima idea sia avvincente, il risultato è che essa, per ora, non ci ha portati da nessuna parte. Per altri ricercatori, invece, la coscienza è solamente un prodotto dell’evoluzione, un processo che è maturato nel tempo, addirittura dal Cambriano, più di 500 milioni di anni fa, in poi, quindi molto prima che noi umani apparissimo sulla faccia della Terra.

Attraverso la pressione selettiva di alcuni gruppi neurali (mappe neurali) (Edelman, 1987), cioè meccanismi cerebrali minimi, furono indispensabili per dar vita alla coscienza, anche se, sarebbe meglio dire dei nuclei del tronco encefalico, del telencefalo e dell’ipotalamo che si trovano sotto la corteccia cerebrale.  

Altri studiosi dicono che le leggi che regolano gli eventi mentali, quindi anche la coscienza, e gli eventi fisici, siano identiche (teoria dell'identità (Davidson, 1990), anche se, il linguaggio usato dall’uomo, con tutti i suoi limiti, per descrivere la coscienza, non può essere sempre ricondotto al linguaggio della fisica.

E per la Psicologia, che cos’è la coscienza?

La coscienza è stato il primo oggetto d’indagine della psicologia moderna che l’ha definita come un insieme di processi che vanno dai riflessi agli atti volontari, dalle sensazioni alla formazione delle immagini, dalle emozioni alla memoria, dall'attenzione alle motivazioni, dalla percezione ai sentimenti: in sostanza, tutto l’insieme delle funzioni psicologiche che caratterizzano l’essere umano.

Nel 1878 Wilhelm Wundt, il fondatore della psicologia scientifica moderna e autonoma, fino ad allora la psicologia era stata fortemente e negativamente condizionata dalla metafisica, definì la coscienza “sintesi creativa” (Wundt, 1896)(Kant la chiamò l’Unità trascendentale dell’appercezione).

In conclusione, la coscienza non è nulla di ben definito, sebbene si sappia benissimo che ci consente di possedere un’infinità di stati mentali, per esempio la gioia, l’affetto materno, la sofferenza, l’ammirazione, la gratitudine, l'innamoramento, la saggezza.

Ci consente inoltre di vivere stati motivazionali come quelli agonistici, sessuali, cooperativi, affiliativi e infine ci permette di provare dei sentimenti attraverso le esperienze del nostro corpo in una sorta di automatismo omeostatico (come recentemente ha sostenuto Antonio Damasio, 2017), in sostanza di mantenere in equilibrio le nostre attività funzionali con l’ambiente, soprattutto quando si tratta di proteggere il nostro organismo da influenze negative esterne.

La coscienza, inoltre, ci consente di prenderci cura di noi stessi e degli altri, di essere intelligentemente altruisti, di divertirci, ma anche di nutrirci. A proposito del nutrimento, il filosofo analitico americano John Searle (1992), un giorno, scrisse che “gli eventi e i processi mentali, quindi anche la coscienza, fanno parte della nostra storia naturale non meno della digestione, della mitosi o della secrezione enzimatica”.

L’idea di Searle sembra una provocazione, ma in realtà non lo è; Searle non intendeva nemmeno alludere ad un riduzionismo biologico. La sua era un’idea semplicemente realistica, anche se non sono stati pochi coloro che la rifiutarono. Il fatto è che il materialismo scientifico negli ultimi due/trecento anni, insieme al dualismo che ancora pervade la nostra cultura e quindi anche il nostro linguaggio, che resiste ancora ad una visione di una mente come idea del corpo, come fu la visione anticipatrice di Baruch Spinoza, addirittura nel XVII Secolo, insieme, nei nostri giorni, all’invasione dell’intelligenza artificiale, dei media e dei telefonini, per non parlare dell’identificazione della coscienza con l’anima o lo spirito, hanno reso praticamente impossibile spiegare scientificamente che cosa sia veramente.

Quindi l’idea di una coscienza come prodotto di un’attività neurale, ancora non esiste nel pensiero dell’uomo. Il fatto invece che qualsiasi sistema capace di elaborare simboli, come fa un calcolatore o un robot, operi come la nostra mente, è un’idea diffusissima. Questo modo di pensare non ci ha culturalmente arricchiti, ma ci ha portati a un impoverimento della nostra condizione e ci sta spersonalizzando. Ha fatto venire meno il nostro senso critico e, quel che è più grave, sta promuovendo un analfabetismo culturale di ritorno gravissimo. Sta avvantaggiando la mediocrità. Ci sta avviando verso una crisi irreversibile di valori umani autentici.

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martedì 12 febbraio 2019

Le piramidi in Bosnia e l'energia orgonica



Le piramidi in Bosnia e l'energia orgonica

Intervista a Sam Osmanagich: le piramidi in Bosnia e l'energia orgonica


Le piramidi della Bosnia sono una tra le scoperte più controverse dell'archeologia e in esse si trova un'alta concetrazione di energia orgonica

Redazione Scienza e Conoscenza - 06/02/2019

Nel 2005 Sam Osmanagich ha scoperto le prime piramidi europee nei pressi della cittadina di Visoko, Bosnia-Erzegovina, e ha dato inizio agli scavi archeologici, poi condotti dalla Archaeological Park: Bosnian Pyramid of the Sun Foundation da lui istituita. Tra il 2008 e il 2014 ha organizzato le Conferenze Scientifiche Internazionali di Sarajevo sulla ricerca svolta alle piramidi bosniache, eventi che hanno alimentato le controversie sulla sua scoperta, dividendo la comunità archeologica internazionale. Affascinanti e misteriose, le Piramidi della Bosnia hanno stregato decine di ricercatori e centinaia di volontari:chi ha visitato il sito parla di un’energia straordinaria che scaturisce da questo luogo particolare. Abbiamo avuto il piacere di intervistare il dottor Osmanagich che ci racconta della sua scoperta.

In che modo avete scoperto e misurato la presenza di energia orgonica nel sito archeologico di Visoko?

Il progetto delle Piramidi Bosniache è un’indagine scientifica interdisciplinare che coinvolge scienze classiche come archeologia, geologia, pedologia, discipline ad alta tecnologia (ricerca geofisica, analisi geotermica e georadar, LIDAR) e misurazioni di energia (campi elettrici e magnetici, ultrasuoni e infrasuoni, risonanza Schuman, concentrazione di ioni negativi, livello di ossigeno, campi magnetotellurici ed elettrodinamici).

Tra gli altri strumenti, abbiamo utilizzato il misuratore sperimentale di energia vitale LM3, prodotto dall’azienda americana Heliognosis. Questo strumento che si basa sullo stesso principio del dispositivo di Wilhelm Reich (Orgone Field Meter). In breve, ha la capacità di rilevare l’elettromagnetismo su una scala da 0% a100%.

State conducendo degli studi al riguardo?

A partire dal 2012 sono state effettuate regolari misurazioni dell’energia orgonica nella Valle delle Piramidi Bosniache e la strumentazione LM3 ha registrato i seguenti valori:

Piramide bosniaca del Sole (struttura piramidale artificiale): 100%
Piramide bosniaca della Luna (struttura piramidale artificiale): 100%
Tumulo di Vratnica (collina artificiale conica): 100%
Labirinto sotterraneo Ravne (rete artificiale preistorica di gallerie e camere): 100%
Collina Bell Tower (collina a forma conica nel parco “Ravne 2”): 100%

Ti risulta che in altri siti archeologici sia presente una concentrazione altrettanto significativa di energia orgonica?

I relativi valori di energia vitale o orgonica (o chi, prana, energia punto zero) variano a seconda dei luoghi: nelle città inquinate si aggirano intorno al 20-25%, nei villaggi al 50-60% e sulle strutture piramidali (artificiali o naturali) i valori arrivano al 100%.

Quali conclusioni relative alle conoscenze possedute dai costruttori di queste antiche costruzioni possiamo trarre dalla presenza di queste concentrazioni energetiche?
Nel caso dei tunnel delle piramidi bosniache, abbiamo misurato gli effetti benefici dell’energia che sono dovuti ai seguenti fattori: migliore elettromagnetismo, migliore frequenza ultrasuoni di 28 kHz, risonanza Schuman di 7,83 Hz, alta concentrazione di ioni negativi fino a 50.000 ioni/c3, assenza di radiazioni cosmiche dannose, di radioattività naturale, di campi Wi-Fi e di segnali di telefonia mobile. Se a tutto ciò sommiamo il 100% di energia orgonica, possiamo stabilire che i tunnel sono un luogo perfettamente protetto e ricco di energia benefica, dove il nostro organismo riacquista l’equilibrio e da il via al processo di autoguarigione. Gli antichi artefici delle piramidi sapevano individuare i luoghi migliori in cui costruirle, luoghi con potenti emissioni di energia. Le piramidi aumentano la quantità di energia emessa dalle fonti naturali esistenti, pertanto sono amplificatori di energia. Da sottolineare un fatto estremamente positivo: amplificano le frequenze energetiche naturali a noi benefiche, così come amplificano, o forse generano, l’energia orgonica. Sembra che la piramide a quattro facce, sia la più adatta al nostro Pianeta. Questa particolare forma migliora la struttura molecolare dell’uomo, della flora, della fauna, dell’acqua, del cibo e degli ambienti, offrendoci sempre una maggiore quantità dell’invisibile ma onnipresente energia vitale.

approfondisci il tema:

Scienza e Conoscenza n. 65 - Luglio-Settembre 2018 >> https://goo.gl/oH72LH
Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza

martedì 5 febbraio 2019

Fisica dei quanti: se non fossero palline?



Fisica dei quanti: se non fossero palline?

Medicina Quantistica e Bioenergetica


L’universo appare come un DVD dove l’informazione si attiva nel tempo e le particelle vengono descritte come eventi. Insieme a Ignazio Licata scopriamo la verità sui quanti

Redazione Scienza e Conoscenza - 04/02/2019

Estratto dall'articolo Particelle come eventi di Ignazio Licata tratto da Scienza e Conoscenza 67

In Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti (1920-1965), Werner Heisenberg ricorda una chiacchierata con Einstein: «Mi fece notare che nella mia formulazione matematica era del tutto assente la nozione di “traiettoria dell’elettrone”, che è in realtà un qualcosa di direttamente osservabile in una camera a nebbia. Gli sembrava assurdo affermare che la traiettoria esistesse nella camera ma non dentro l’atomo. L’idea di traiettoria, dopo tutto, non può dipendere dalle dimensioni dello spazio in cui avvengono i moti dell’elettrone. Cercai di difendere la mia posizione giustificando con dettagli tecnici la necessità di abbandonare del tutto il concetto nel contesto atomico: in realtà non osserviamo una traiettoria vera, ma registriamo solo le frequenze della luce emessa dall’atomo, le loro intensità e probabilità di transizione, ma non un vero «cammino». E poiché il principio di razionalità impone di accogliere in una teoria solo le quantità direttamente osservabili, l’idea di traiettoria dell’elettrone non doveva trovarvi posto. Con mia sorpresa, Einstein non fu affatto convinto».

Una frattura e le sue derive

In questo breve passaggio ci sono già in luce non soltanto gli aspetti più radicali della frattura tra fisica classica e quantistica (MQ), ma, come deriva culturale, anche una bella fetta delle stranezze, paradossi e magie che abitano gran parte della divulgazione. È il caso di convenire con Marx che nella storia le cose si presentano la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Del resto, sembra evidente che una MQ raccontata in termini di “misteriose azioni a distanza” e altri elementi esotici è più vendibile nel supermarket della scienza. E c’è già una scusante per questo tipo di narrazione: la MQ sarebbe troppo ardua tecnicamente per non far ricorso al paradosso. In questo caso il paradosso consisterebbe nella contraddizione con il senso comune. Ci chiediamo qui se questo conflitto è davvero necessario, preso atto che è estremamente pericoloso per chi si accosta alla fisica, e proveremo a suggerire un modo di pensare i sistemiquantistici senza “stranezze”. Per tentare questo esperimento concettuale faremo a meno del formalismo, ma ci rifaremo direttamente a ciò che effettivamente dicono gli assiomi della MQ. In altre parole non abbozzeremo qui un’interpretazione (ce ne sono fin troppe!), piuttosto cercheremo di prendere alla lettera la MQ e trasformeremo in immagini i suoi postulati. Soltanto alla fine indicheremo al lettore in quale misura questo esperimento mentale porti a una estensione della MQ che implica una riflessione sulla nozione di temporalità.

La lezione di Niels Bohr

Com’è noto, Einstein aveva portato a compimento la fisica classica: nel teatro di coordinate dello spazio-tempo, campi e particelle modellano il mondo in ossequio a uno stretto determinismo, mitigato dalla complessità degli effetti non-lineari. Con la Relatività Generale (RG) aveva proposta una teoria metrica della gravitazione che unificava spazio-tempo e materia, stimolando le teorie unificate. È comprensibile che l’abbandono del concetto di localizzabilità nello spazio-tempo (della posizione di una particella, di un valore di campo) lo rendesse critico nei confronti della nuova fisica, all’affermazione della quale pure aveva dato un importante contributo (fotone, effetto fotoelettrico, calore specifico nei solidi) e del cui valore pratico non dubitava. Come L. de Broglie non era però intenzionato ad abbandonare la rappresentazione spaziale di oggetti e processi. Per contro Heisenberg, tra i discepoli di Bohr, fu quello che portò alle estreme conseguenze il pensiero del suo maestro e amico. Il pensiero di Bohr è molto sottile, saldamente stratificato attorno ad alcuni cardini, ma diversificato in mille rivoli. Per questo motivo Bohr resta – per i più – il creatore di un modello semi-classico dell’atomo e del concetto di complementarietà, che per i nostri scopi possiamo qui riassumere dicendo che un sistema quantistico mostra, in relazione all’apparato di misura, aspetti ondulatori e aspetti particellari, non osservabili entrambi in un singolo esperimento. Così espresso naturalmente appare frustrante sotto almeno tre punti di vista: non ci dice il perché di una situazione così singolare, non offre vie di scampo all’immaginazione e fa aleggiare sull’osservatore l’ombra di un misterioso potere di scelta.

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Scienza e Conoscenza n. 67 - Gennaio/Marzo 2018 >> http://bit.ly/2FFrLu7
Nuove scienze, Medicina Integrata

lunedì 4 febbraio 2019

Siamo fatti di microbi



Siamo fatti di microbi: come e' possibile?

Medicina Non Convenzionale


Il nostro patrimonio genetico non è composto solamente dal DNA, come abbiamo sempre pensato: all'interno de nostro corpo convivono batteri e DNA, come? Perché squadra che vince non si cambia

Andrea Giulia Pollini - 01/02/2019

Verso la metà degli anni Cinquanta gli scienziati iniziarono a studiare la composizione del DNA. Lo scopo delle ricerche era decodificare le sequenze del DNA e comprendere perché noi esseri umani riusciamo a essere così diversi gli uni dagli altri.

La ricerca scientifica arrivò alla conclusione che la nostra complessità era data non solo dal nostro DNA, ma anche dal DNA dei batteri che vivono all’interno del nostro corpo. Concentrandosi sui batteri scoprirono che un batterio contiene regolarmente il 15% o più dei geni di altri batteri. Per esempio due batteri classificati come molto diversi sono stati rivelati come geneticamente simili: L’E. coli, innocuo abitante dell’intestino, e la Shigella, responsabile della dissenteria batterica hanno al 100% lo stesso DNA, anche se hanno effetti completamente diversi sul nostro organismo. Gli scienziati compresero che non esistono solamente batteri cattivi, ma che all’interno del nostro organismo vivono anche batteri buoni, responsabili della nostra unicità e della nostra salute.

Le scoperte scientifiche sui batteri intestinali

Gli scienziati fecero una scoperta rivoluzionaria, come ci spiega la Dottoressa Anne Katharina Zschocke nel suo libro I Batteri Intestinali:

«Al contrario di quanto pensavamo, noi esseri umani non siamo in prima linea cellule con un nucleo dalle quali deriva la vita, siamo un insieme vitale di microbi e cellule corporee: senza questi batteri l’essere umano non è niente. Noi pensavamo di essere il risultato dei nostri propri geni originari, mentre la scoperta rivoluzionaria è: grazie ai batteri in noi siamo in correlazione con tutti i microbi della terra e dentro di noi portiamo una specie di organo, che fino a ora non avevamo ancora conosciuto come tale, ovvero la totalità di tutti i batteri compreso il loro patrimonio genetico, le loro capacità di adattamento. Con la loro capacità di scambiarsi tra di loro tutto il possibile e con tutto quello che ancora non conosciamo».

Che cos’è il Microbioma?

I nostri geni uniti ai nostri microbi vengono chiamati “microbioma”, le ricerche scientifiche si sono concentrate sul compito svolto in noi da questi organismi unicellulari. In pochissimo tempo la scienza ci ha dato le risposte che hanno cambiato il nostro modo di guardare tutta la vita umana. La scoperta del microbioma e delle sue funzioni ha alla base un concetto molto semplice: noi esseri umani viviamo di relazioni, a partire dalle più piccole che si svolgono all’interno del nostro organismo, siamo interdipendenti tra di noi. Una vita sana può esistere solo con una convivenza sana che deve partire proprio tra il nostro DNA e i batteri che ospitiamo nel nostro corpo. Negli Stati Uniti sono iniziati dei nuovi progetti, come leggiamo nel libro della dottoressa Anne Katharina Zschocke I Batteri Intestinali:

«Alle origini di questo progetto [Il progetto “Genomic Science Program” ndr] c’è l’idea che esistano principi genetici di base che controllano i sistemi unicellulari e vegetali. La padronanza da parte dell’essere umano su questi principi di controllo dovrebbe rendere possibile dominarli e utilizzarli a seconda delle proprie idee. Un altro programma è lo “Human Microbiome Project”, dal 2008 al 2012, nel quale, allo scopo di comprendere meglio il microbioma, sono stati studiati geneticamente 60 prove microbiche prelevate da quindici parti diverse del corpo di trecento persone. Da tutti questi progetti sappiamo adesso che la prima cosa che ci rende esseri umani completi e che giustifica la nostra salute è proprio il patrimonio genetico dei batteri sul e nel nostro corpo, insieme a quello delle nostre cellule».

Quindi abbandoniamo la brutta abitudine di pensare ai batteri come “qualcosa di negativo” e storcere il naso quando li nominiamo. I batteri non sono tutti “cattivi”, anzi potremmo dire “squadra che vince non si cambia”.

eBook - I Batteri Intestinali >> http://bit.ly/2SpmDBa
Come prevenire, curare e guarire allergie, sovrappeso, diabete, colon irritabile, autismo, depressione e molto altro
Anne Katharina Zschocke

Il nostro sistema immunitario si sviluppa solo in presenza di batteri!

I batteri sono fondamentali per la nostra salute. Da loro dipendono non solo la nostra digestione, il nostro sistema di difesa e il nostro bilancio vitaminico, ma addirittura anche tutta la nostra evoluzione personale, i nostri sentimenti e il nostro comportamento.

A partire dalla nascita, in particolare con parto il naturale e con l'allattamento al seno, il bambino acquisisce tutta una serie di batteri che sono previsti per lui dalla natura e che gli sono indispensabili per la sua salute.

Un'eccessiva igiene, l'assunzione di antibiotici, un'alimentazione errata possono ridurre notevolmente il numero dei batteri e inibire in maniera gravosa la loro interazione nell'intestino.

Per curare molte malattie (allergie, diabete, colon irritabile, sovrappeso e addirittura disturbi psichici come la depressione, ADHD o disturbo da deficit di attenzione/iperattività e l'autismo) è necessario ristabilire un sano microbioma, ovvero avere una buona quantità di batteri nella giusta composizione e una buona mucosa intestinale.

Partendo dalle ricerche scientifiche più recenti, l'autrice mostra quanto siano estese le correlazioni tra la flora intestinale e un buono stato di salute e in che modo sia possibile prendersi cura di intestino e corpo fornendo un apporto ottimale di microbi.

Queste scoperte rivoluzionarie sono in grado di spiegare l'origine di molte malattie e di conseguenza portano a nuovi trattamenti efficaci e a nuove vie di guarigione. L'autrice suggerisce, infatti, l'utilizzo di cibi fermentati, microrganismi effettivi e fornisce consigli e trucchi alimentari da seguire.

La dottoressa ANNE KATHARINA ZSCHOCKE ha studiato medicina, omeopatia e naturopatia a Friburgo e a Londra. Dopo una breve attività clinica ha seguito la sua vocazione e si è fatta un nome a livello internazionale come libera docente specializzata e autrice di libri. Le sue competenze come medico e le conoscenze ottenute nei 15 anni di ricerca sui microoganismi efficaci le hanno consentito di avere una visione unica nelle relazioni profonde del microbioma umano. In conferenze, seminari e libri trasmette ad altri il proprio vasto sapere.