martedì 30 giugno 2020

Segreto dei centenari: questione di credenze



Il segreto dei centenari: la lunga vita e' una questione di credenze

Consapevolezza


Qual è il segreto della lunga vita dei centenari? Si tratta di genetica o quello che conta sono gli atteggiamenti mentali e le credenze? Scoprilo in un libro straordinario: un viaggio affascinante nella mente degli ultracentenari di tutto il Pianeta

Redazione Scienza e Conoscenza - 30/06/2020

Tratto dal libro Nella Mente dei Centenari (Macro Edizioni, 2018).

Resilienza, perseveranza, creatività e flessibilità sono tutte qualità che ho riscontrato in ogni centenario che ho esaminato, viaggiando tra le culture dei cinque continenti. Per fortuna è possibile impararle senza affidarsi al proprio corredo genetico o alla propria storia familiare. Non è possibile isolare i geni che identificano la mente di un centenario, ma possiamo apprendere i comportamenti che contribuiscono alla longevità passando da una mentalità condizionata dal passaggio del tempo a una improntata all’impegno nello spazio. In cosa consiste la sfida esistenziale che vi sto proponendo? Dobbiamo staccarci dall’ipnotico concetto di tempo in cui le cose ci succedono in sequenza e prestare attenzione al modo in cui possiamo succedere nel nostro spazio tralasciando il preciso ordine degli eventi.

Cercherò di rendere più chiara la questione con qualche esempio. È lunedì mattina, e la vostra auto non ne vuole sapere di partire. Chiamate un taxi che vi porti a lavoro, e ci mette quarantacinque minuti per arrivare. Quando arrivate in ufficio vi rendete conto di aver dimenticato di scrivere un’importante e-mail a un cliente. Gli eventi turbolenti che formano questa specie di “sequenza” non chiedono altro se non di essere collegati tra loro usando i fili cognitivi che esistono solo e soltanto nella vostra mente: ma che orribile inizio di settimana! Imponiamo una sequenza al tempo per dare un senso allo spazio che percorriamo.
Ma, dato che leghiamo le sequenze agli eventi della nostra dimensione spazio-tempo per mezzo dei fili cognitivi, possiamo allo stesso modo liberarle facendo appello alle qualità che accomunano i centenari: creatività per reinterpretare attribuzioni negative, flessibilità per considerare altre opzioni, perseveranza per sopportare le turbolenze e resilienza per adottare nuovi atteggiamenti e approcci.

Lasciate che chiarisca ulteriormente. Anche se abbiamo bisogno di tessere i fili cognitivi per dare un senso al nostro mondo, quando affrontiamo una serie di circostanze simili a quelle descritte tendiamo a imporre una sequenza a eventi che risultano in realtà slegati tra loro, creando un rapporto causa-effetto falso. L’auto che non parte e l’essersi dimenticati di rispondere a un’e-mail non sono in alcun modo correlati da un rapporto di causalità; tuttavia, imbrigliando i due eventi con i fili cognitivi, potreste arrivare alla conclusione che tutto andrà storto per il resto della giornata. Al contrario, schiantarsi con l’auto perché i freni sono in cattive condizioni o perdere una coincidenza perché il volo ha accumulato ritardo sono esempi di rapporto causa-effetto esterno.

Anche se da entrambe le serie di eventi potete concludere che non sarà una bella giornata, nel primo caso il rapporto di causalità viene creato da voi (gli imprevisti stanno succedendo perché è una brutta giornata), mentre nell’altro è completamente dimostrabile. Verso la fine del capitolo vi spiegherò come fare vostre le qualità dei centenari che vi possono liberare dai deleteri effetti derivanti dalla creazione di relazioni causa-effetto false. Per ora cercate semplicemente di ricordare che le sequenze esistono solamente nella vostra mente, e iniziate a fare caso a quante delle conclusioni che traete sugli eventi della vostra vita si basano sul mero fatto che avete imparato a raggruppare e connettere artificialmente le vostre esperienze.

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lunedì 29 giugno 2020

Come funziona il cervello?



Come funziona il cervello?

Neuroscienze e Cervello


Cervello umano: quali sono gli strumenti utilizzati per studiarlo e per capire come funziona, dall'elettroencefalografo alla risonanza magnetica funzionale (RMF)

Redazione Scienza e Conoscenza - 27/06/2020

Il seguente articolo è tratto dal libro Blue Mind. Mente ed Acqua.

Come possiamo affrontare lo studio del cervello umano?

Ciò è possibile grazie allo sviluppo di tecniche e strumentazioni non invasive che hanno consentito agli scienziati di monitorarlo. Il primo di questi apparecchi è stato l’elettroencefalografo (EEG), basato sulla comprensione delle proprietà elettriche del tessuto vivente. Il primo impiego dell’EEG su esseri umani è avvenuto nel 1924.

L'elettroencefalografo (EEG)

Nel corso del Ventesimo secolo i tracciati EEG sono state impiegati sia come strumento diagnostico che per la ricerca.
Un EEG funziona perché i neuroni nel cervello attivandosi generano piccole cariche elettriche, e quando gruppi di neuroni si accendono insieme, creano un’“onda” elettrica che può essere rilevata e registrata. I dati vengono generati applicando gli elettrodi dell’EEG (spesso inseriti in una cuffia, una rete, o una fascia) sulla testa e monitorando i picchi e gli avvallamenti dell’elettricità generata nel cervello. (Per poter essere analizzato il segnale viene amplificato).
L’EEG può monitorare l’attività cerebrale individuando quale parte del cervello è coinvolta in un “evento cognitivo”: attraverso il tipo di onda cerebrale (alfa, beta, teta e delta, ciascuna corrispondente a una distinta gamma di frequenza e al corrispettivo livello di attività cerebrale, il che rende cruciale l’EEG per gli studi sul sonno), e attraverso l’attività anomala (come nell’epilessia, disturbo che produce schemi di picchi ravvicinati nell’attività elettrica del cervello). Certi elettroencefalografi sofisticati possono campionare in modo non in vasivo sessantotto canali di dati ogni quattro millisecondi o anche meno, e registrare eventi elettrici della durata di un millisecondo.

I neuroscienziati cognitivi hanno scoperto che l’EEG può essere uno strumento estremamente utile per monitorare le funzioni
cerebrali come l’attenzione, le risposte emozionali, il modo in cui tratteniamo le informazioni e così via.
E in un eccitante sviluppo per chi di noi fa ricerca fuori dall’ambiente del laboratorio, gli elettroencefalografi stano diventando sempre più piccoli e più portatili, e alcuni assomigliano addirittura agli auricolari che si usano per i videogame al computer.
Altri strumenti di indagine del cervello

Tuttavia, i tracciati EEG indicano l’attività elettrica solo a una profondità superficiale, e molte funzioni critiche nel cervello hanno luogo a profondità molto maggiori. Per esplorarle, erano necessari altri strumenti. Negli ultimi cinquant’anni la RM (la buona vecchia risonanza magnetica), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione disingolo fotone (SPECT) sono state impiegate per produrre immagini dell’attività profonda del cervello monitorando i cambiamenti nel flusso sanguigno o nell’attività metabolica.
Ma mentre l’EEG si affida soltanto ai campi magnetici e alle onde radio, la PET e la SPECT impiegano isotopi radioattivi iniettati, il che ne limita l’utilità. Una nuova risposta è arrivata negli anni Novanta con la risonanza magnetica funzionale per immagini, o RMF.

La risonanza magnetica funzionale (RMF): cosa ci dice del cervello?

A seconda del compito che dev’essere svolto, aree diverse del cervello si attivano in momenti diversi. Una maggiore attività richiede più ossigeno, e questo provoca un incremento del flusso sanguigno in quelle aree cerebrali. Come i loro fratelli più anziani, le macchine per la RMF impiegano potenti campi magnetici per allineare i protoni degli atomi di idrogeno nel sangue, per poi rompere l’allineamento mediante l’uso di onde radio. Una RMF cerca le differenze nei segnali provenienti dagli atomi di idrogeno per distinguere tra diversi tipi di materia. Riallineandosi, i protoni emettono segnali diversi per il sangue ossigenato e per quello non ossigenato, e sono quei segnali a essere rilevati dall’apparecchio. Quando un soggetto intraprende un’attività, come stringere una mano o guardare una certa immagine, la RMF misura la percentuale di sangue ossigenato e non ossigenato, oppure il contrasto dipendente dal livello di ossigeno (BOLD) in diverse aree del cervello in quel dato momento.

Il computer della macchina quindi utilizza un sofisticato algoritmo per interpretare i dati ricevuti e rappresentarli nella forma di infinitesime unità tridimensionali dette voxel. Colori diversi vengono usati per indicare l’intensità dell’energia in quella particolare area, con il rosso che indica l’attività più intensa, e il porpora o il nero un’attività bassa o nulla. Quanto più brillante è il colore, tanto maggiore è l’attività in quella particolare regione del cervello, motivo
per cui si dice che un’area del cervello attivata “si accende”.
Negli ultimi vent’anni la RM è diventata il metodo preferito per misurare la funzione cerebrale, utilizzato da scienziati cognitivi, neurologi, neurobiologi, psicologi, neuroeconomisti e altri.

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Il Legame Nascosto tra l'acqua e la nostra mente
Wallace J. Nichols

mercoledì 24 giugno 2020

Cosa danneggia la ghiandola pineale?



Cosa danneggia la ghiandola pineale?

Medicina Integrata


Farmaci, luce elettrica e campi elettromagnetici sono i nemici della ghiandola pineale: ecco tutti i consigli per mantenere in salute questa preziosa ghiandola

Paolo Giordo - 24/06/2020

Il nostro organismo pertanto è un complesso e mirabile ingranaggio dove l’armonica funzione di una moltitudine di sostanze coopera al mantenimento della salute e dell’equilibrio.

Ma l’attivitá della ghiandola pineale nelle sue molteplici e importanti azioni fisiologiche è messa a repentaglio da numerosi farmaci e incongrui stili di vita.

Farmaci che influenzano la sintesi di melatonina sono i beta bloccanti, farmaci antidepressivi come gli SSRI o inibitori della ricaptazione della serotonina, gli inibitori delle monoamino-ossidasi (I-MAO), le benzodiazepine, i calcioantagonisti, i FANS , i corticosteroidi, ecc.

Anche l’assunzione di bevande alcooliche dopo le sette di sera sembra ridurre la produzione di melatonina notturna. Le moderne abitudini di protrarre le ore di veglia sino a notte inoltrata sconvolgono la corretta produzione di melatonina.

I disturbi del ritmo sonno-veglia devono essere tenuti distinti dall’insonnia poiché sono dovuti non a un’incapacità del soggetto a dormire, ma a un mancato allineamento del suo ritmo sonno- veglia con il ritmo buio-luce, cioè a un conflitto tra la struttura bioritmica fisiologica e quella imposta dalle convenzioni e dalle abitudini della vita sociale.

Questi disturbi hanno avuto origine quando l’umanità si è trovata nella necessità di manipolare il tempo dedicato al lavoro e al riposo, in funzione delle mutate condizioni socio economiche portando, di fatto, a un conflitto tra la nostra biologia e le condizioni sociali e culturali.

L’invenzione della luce elettrica e lo sviluppo degli spostamenti aerei hanno cambiato l’habitat e i ritmi di vita umani molto più radicalmente e rapidamente di quanto sia successo nei precedenti millenni di evoluzione della specie.

Inoltre, le nostre abitazioni moderne hanno una varietà crescente di apparecchi elettrici ed elettronici – TV, PC, wireless, telefonini, elettrodomestici di ogni tipo, ecc. – con un’inevitabile esposizione a campi elettromagnetici.

Al di là del fatto che queste situazioni possano avere un’influenza diretta e indiretta sullo sviluppo di patologie tumorali, tutti i dispositivi elettronici hanno un effetto perturbante sull’attività cerebrale e soprattutto sulla ghiandola pineale. Secondo alcuni osservatori la pineale interpreta molti dei campi elettromagnetici come segnali luminosi, cosa che porterebbe a una drastica riduzione di melatonina e a una perturbazione del suo equilibrio elettrochimico.

Dobbiamo inoltre riconoscere che i bambini e i giovani sono i più vulnerabili rispetto a queste esposizioni e rappresentano, purtroppo, anche i maggiori fruitori dell’offerta elettronica.

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Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza
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lunedì 22 giugno 2020

5 consigli fondamentali per tutelare la salute dei bambini



5 consigli fondamentali per tutelare la salute dei bambini

Medicina Integrata


Alimentazione, farmaci, aria aperta: ecco quali sono le regole fondamentali per garantire ai nostri bambini un futuro all'insegna della salute

Roberto Gava - 22/06/2020

I consigli che si potrebbero dare per tutelare la salute dei nostri bambini sono veramente tanti, perché sono tanti i pericoli che oggi mettono a rischio la loro salute. Non dimentichiamo che essi sono immaturi sia dal punto di vista immunitario sia dal punto di vista delle loro ridotte capacità di metabolizzare ed eliminare le sostanze tossiche.

I 5 consigli più importanti sono

Cercare di alimentare il più possibile i bambini con cibi biologici, freschi, vari, preparati in modo semplice, non confezionati e non sottoposti ad alte temperature di cottura.

Limitare le carni rosse, le carni processate, le bibite zuccherate e gli zuccheri semplici e fin da piccoli abituarli a consumare legumi, verdure, frutta e semi vegetali.

Non sterilizzare il biberon, non mettere cibi o bevande calde in recipienti di plastica, non usare il forno a microonde a scopi alimentari, limitare al massimo l’uso degli oggetti di plastica in cucina e in casa.

Arieggiare la casa e in particolare la cameretta del bambino, non utilizzare sostanze chimiche per la pulizia della casa (esistono alternative naturali), non utilizzare vestiti preparati o trattati chimicamente e tenere il bambino il più lontano possibile da campi elettromagnetici (tv, cellulari, tablet, ecc.).

Non usare farmaci chimici se non c’è una assoluta necessità (rischio concreto per la salute del bambino), ma provare sempre ad utilizzare prima dei rimedi naturali (fitoterapici, omeopatici o di altro tipo) e in ogni caso non attendere che il bambino stia male, ma prevenire le malattie irrobustendo il suo organismo con una sana alimentazione, con l’utilizzo periodico di integratori nutrizionali (vitamine, minerali, acidi grassi polinsaturi, probiotici, ecc.), con una corretta igiene di vita (rispetto dei ritmi fisiologici, adeguato riposo notturno, movimento all’aria aperta) e, quando si può, uscendo dalla routine familiare e fare qualche breve vacanza.

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Rivista trimestrale di Scienza Indipendente
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giovedì 18 giugno 2020

Ghiandola pineale: come attiva processi guarigione


Ghiandola pineale: ecco come attiva i processi di guarigione

Medicina Integrata


A lungo considerata di poca importanza dalla medicina occidentale, la ghiandola pineale è in realtà fondamentale per la salute e ha il compito di salvaguardare i processi di riparazione e guarigione che avvengono nelle ore notturne

Paolo Giordo - 18/06/2020

La ghiandola pineale o epifisi è situata nella parte più profonda del cervello, all’estremità posteriore del terzo ventricolo e si collega mediante fasci nervosi alle strutture adiacenti.

Le sue cellule, dette pinealociti, producono prevalentemente melatonina che viene riversata sia nel sangue che nel liquido cefalo-rachidiano.

L’epifisi produce anche delle quantità di serotonina (5-OH-triptamina) e, inoltre anche la DMT o dimetiltriptamina, una sostanza dagli effetti allucinogeni contenuta anche nella pianta ayahuasca usata per scopi mistici, la quale è stata messa in relazione con alterati stati di coscienza, con esperienze trasformative e stati di consapevolezza mistica, specialmente presenti durante la fase REM del sonno, fase nella quale sembra che questa sostanza sia maggiormente prodotta.

La pineale è un organo ontogeneticamente molto vecchio e appartiene alla famiglia dei cosiddetti organi secretori circumventricolari, chiamati anche “finestre del cervello” i quali hanno la caratteristica di non avere la barriera emato-encefalica.

La ghiandola pineale, comunque, è un organo conosciuto da tempi antichissimi; tra i primi a descriverla fu Galeno (De Usu Partium) che descrisse la sua forma come quella di una piccola pigna (da cui il nome).

In epoca moderna il filosofo Cartesio identificò la pineale come sede dell’anima o meglio come il punto d’incontro tra l’anima immortale (res cogitans) e il corpo caduco (res extensa).

La medicina occidentale non ha mai riservato una grande attenzione a questa ghiandola osservando, comunque, che essa tende ad atrofizzarsi e a calcificarsi con il passare degli anni.

La melatonina

Abbiamo detto che l’ormone più importante e conosciuto secreto dalla pineale è la melatonina, nota per la sua regolazione dei ritmi del sonno notturno.

La biosintesi della melatonina inizia con la captazione dell’aminoacido triptofano dal sangue che circola all’interno della ghiandola. Il triptofano viene idrossilato in posizione 5 e diventa 5-OH-triptofano il quale viene a sua volta decarbossilato sino a diventare serotonina (5 idrossitriptamina). Attraverso altri passaggi chimici (acetilazione e metilazione), la serotonina si trasforma in melatonina. La melatonina scompare poi rapidamente dal plasma e dai tessuti dopo essere stata coniugata dal fegato ed escreta con le urine.

La ghiandola pineale può essere considerata un trasduttore neuroendocrino in quanto converte un input nervoso in un output chimico ormonale.

Il buio è fondamentale perché avvenga la secrezione di melatonina; maggiore è il buio e maggiore è la secrezione di questo ormone, mentre la secrezione si attenua man mano che ci si avvicina all’alba.

Durante la notte la ghiandola pineale ripara e risincronizza i danni e le attività alterate durante la vita diurna. Infatti nelle prime ore di sonno il livello di cortisolo diminuisce sino all’azzeramento, mentre quello della melatonina aumenta sino a raggiungere il suo massimo.

In condizioni di stress, veglie prolungate, ecc. il livello di cortisolo permane alto, bloccando la trasformazione della serotonina in melatonina e di fatto riducendone la produzione.

Pertanto, dal momento che il corpo riposa e “guarisce” di notte, questi processi sono bloccati o alterati; di qui la stanchezza al mattino e la mancata attivazione dei processi di guarigione.

Nei soggetti più anziani il ritmo e l’ampiezza della secrezione della melatonina si riduce gradualmente, come se la ghiandola perdesse gradualmente la sua capacità di secrezione di questo ormone.

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martedì 16 giugno 2020

Che cos'e' la Medicina Funzionale?



Che cos'e' la Medicina Funzionale?

Medicina Integrata


La Medicina Funzionale è una branca medica che studia, con approccio integrato, la risposta biologica allo stress. Di fondamentale importanza è la valutazione delle interconnessioni fra psiche e corpo

Redazione Scienza e Conoscenza - 16/06/2020

Il seguente aticolo è tratto da Scienza e Conoscenza 72 ed è scritto da Carlo Maggio (Cardiologo, nutrizionista, Docente di Medicina Funzionale presso la scuola AIMF Health)

La classica suddivisione dell’essere umano in sistemi e apparati acquisisce un significato differente. Ogni singolo elemento del nostro organismo partecipa, con una risposta corale, al mantenimento dell’armonia. L’alterazione della funzione (da cui il termine funzionale) è il processo, mentre la malattia costituisce il punto di arrivo (Bland). La medicina funzionale è particolarmente efficace nel migliorare la qualità della vita in pazienti con disfunzioni o malattie croniche (Beidelschies). Il modello funzionale rispetta i canoni della Medicina delle 4 P essendo: predittiva, preventiva, personalizzata e partecipativa (Flores). La Medicina Funzionale è quindi la medicina della persona, caratterizzata da una specifica individualità psichica, biochimica e fisiologica. L’approccio “funzionale” non può che essere olistico e personalizzato: una visione globale dell’essere umano che va oltre la somma di cellule, tessuti e organi.

I campi di disturbo in Medicina Funzionale

Gli esseri viventi sono sistemi aperti, che interagiscono con ambienti esterni e interni adattandosi continuamente, anche a costo di cambiamenti per mantenere l’equilibrio sistemico (allostasi). La Medicina Funzionale, nell’intento di raggiungere la massima performance biologica, ricerca quegli elementi, chiamati campi di disturbo, che interferiscono con l’armonia del nostro organismo (Pasciuto). Per esemplificare: soggetti che vivono vicino a un aeroporto sono esposti al campo di disturbo fisico “inquinamento acustico” che inizialmente crea delle disarmonie funzionali e può sfociare, con il tempo, nell’ipertensione arteriosa e/o nell’infarto cardiaco. Il miglior provvedimento è quello di spostare l’abitazione in ambiente non rumoroso, operando quindi la rimozione del campo di disturbo, con riduzione dell’incidenza di eventi cardiovascolari.

Matrice extracellulare e ritmi neuro-endocrino-metabolici

Dove si gioca la prima battaglia dei campi di disturbo? Fuori dalle cellule, in quell’ambiente denominato “matrice extracellulare”. Nel 2012, la prestigiosa rivista «Circulation», pubblicò un articolo dedicato alla matrice extracellulare cardiaca. Wong e collaboratori, dopo averla analizzata con risonanza magnetica su 793 pazienti, dimostrarono una realtà clinica strabiliante. Nei pazienti con scompenso cardiaco e matrice extracellulare cardiaca malata, aumentava drammaticamente la mortalità cardiovascolare. Gli autori conclusero che è fondamentale mettere in atto delle terapie centrate sulla matrice extracellulare cardiaca per ridurre sensibilmente i rischi (Wong). La Società Italiana di Medicina Funzionale (SIMF) già nel 1996 organizzava corsi dedicati al riequilibrio della matrice extracellulare: drenaggio, idratazione, regolazione del pH, rimozione delle tossine; solo per citare alcuni interventi.

Il rispetto dei ritmi biologici è fondamentale per la salute, e la Medicina Funzionale se ne interessa in maniera particolare. A tutti i livelli di organizzazione biologica è possibile riscontrare eventi ripetitivi di tipo ritmico. Il nostro organismo interagisce con l’ambiente, seguendone i cicli. Il più famoso è quello circadiano, giorno-notte o sonno-veglia, che si realizza nelle 24 ore...

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lunedì 15 giugno 2020

Di cosa sono fatti gli atomi?



Di cosa sono fatti gli atomi? 

Ce lo spiega il libro "La Biologia delle Credenze"

Nuova Biologia


Lo sapevi che la struttura dell’atomo è formata da un insieme di vortici di energia infinitamente piccoli chiamati quark e fotoni?

Bruce Lipton - 14/06/2020

Il seguente articolo è tratto dal best seller La Biologia delle Credenze.

I fisici quantistici hanno scoperto che gli atomi materiali sono formati da vortici di energia in costante vibrazione e rotazione, ogni atomo è come una trottola in rotazione, che oscilla ed emette energia. Poiché ciascun atomo ha una sua specifica configurazione energetica (oscillazione), gli aggregati di atomi (molecole) emettono collettivamente modelli energetici che li identificano. Ciò significa che qualunque struttura fisica nell’Universo, compresi voi e io, irradia una specifica configurazione energetica.

Se fosse possibile osservare al microscopio la composizione di un atomo, che cosa vedremmo? Immaginate un mulinello di polvere che corre per il deserto. Togliendo la sabbia e la polvere, quello che rimane è un vortice invisibile simile a un tornado. La struttura dell’atomo è formata da un insieme di vortici di energia infinitamente piccoli chiamati quark e fotoni. Da lontano, l’atomo apparirebbe come una sfera indistinta; ma mettendone sempre più a fuoco la struttura, l’atomo diventerebbe sempre meno nitido e preciso, fino a scomparire del tutto. Non vedremmo più nulla, perché mettendo a fuoco la struttura dell’atomo osserveremmo soltanto uno spazio vuoto. L’atomo non ha una struttura fisica: il re è nudo!

Vi ricordate i modelli di atomo che usavate a scuola, fatti di palline che ruotavano come il sistema solare? Bene, confrontiamo quell’immagine con la “struttura” dell’atomo scoperta dalla fisica quantistica: gli atomi sono fatti di energia invisibile, non di materia tangibile!

Quindi, nel nostro mondo la sostanza materiale (materia) appare dal nulla. So che sembra incredibile, soprattutto se pensate che in questo momento state tenendo in mano un libro materiale. Ma se metteste a fuoco la sostanza materiale di questo libro con un microscopio atomico, vedreste che in mano non state tenendo nulla. Noi giovani studenti di biologia avevamo ragione su una cosa: l’Universo quantistico è sconcertante.

Ora diamo uno sguardo più ravvicinato alla natura “adesso si vede, adesso non si vede!” della fisica quantistica. La materia può essere contemporaneamente definita un qualcosa di solido (particella) e un campo di forza immateriale (onda). Quando si studiano le proprietà fisiche degli atomi, come la massa e il peso, gli atomi sembrano materiali e si comportano come se lo fossero; ma quando gli stessi atomi vengono descritti in termini di potenziale elettrico e di lunghezza d’onda, rivelano le caratteristiche e le proprietà dell’energia (onde) [Hackermüller et al. 2003; Chapman et al. 1995; Pool 1995; N.d.A.]. Il fatto che l’energia e la materia siano la stessa identica cosa, è esattamente quello che Einstein intendeva con la formula E = mc2. In parole semplici, quest’equazione dice che l’energia (E) è uguale alla materia (m, massa) moltiplicata per il quadrato della velocità della luce (c). Einstein aveva capito che non viviamo in un Universo fatto di oggetti materiali distinti e separati da uno spazio vuoto. L’Universo è un tutto indivisibile e dinamico in cui l’energia e la materia sono così strettamente interconnesse che è impossibile considerarle entità separate.

Bruce Lipton

Il Dr. Bruce Lipton, biologo cellulare, autore e ricercatore, è stato professore associato di anatomia alla Scuola di Medicina dell’Università del Wisconsin, dove ha partecipato al curriculum medico come ricercatore di biologia cellulare ed istologia. La sua ricerca di laboratorio sulla distrofia muscolare si è concentrata sulla biochimica delle cellule muscolari umane clonate.
Recentemente, come professore di patologia della Scuola di Medicina dell’Università di Stanford, la sua ricerca sul sistema immunitario umano ha prodotto informazioni sulla natura molecolare della consapevolezza e sul futuro dell’evoluzione umana. E autore di moltissimi Bestseller internazionali e richiestissimo conferenziere.

DA NON PERDERE!

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Bruce Lipton

giovedì 11 giugno 2020

Fibromialgia: cos'e' e come si puo' curare



Fibromialgia: cos'e' e come si puo' curare con la medicina integrata

Medicina Integrata


Un modello sistemico basato sulla medicina ildegardiana propone un nuovo approccio alla fibromialgia che possiamo definire la patologia della complessità

Sabrina Melino - 10/06/2020

Il seguente articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 72

La fibromialgia è una forma clinica caratterizzata da dolore cronico diffuso e da altri sintomi non correlati al dolore, tra cui rigidità muscolare, affaticamento, sonno scarso, disturbi cognitivi e depressione, che possono presentare variazioni significative, non solo tra i diversi pazienti, ma anche nello stesso paziente durante il decorso della malattia. Questi sintomi sono relativamente comuni e non specifici; possono essere riscontrati in altre forme patologiche che possono sovrapporsi alla fibromialgia, senza che vi siano spesso confini chiari, rimanendo, per la loro stessa natura, oggettivamente difficili da definire e quantificare.

La fibromialgia tra genetica ed epigenetica

Attualmente, la diagnosi di fibromialgia si basa esclusivamente su una valutazione clinica completa, secondo i criteri ACR 2016 (American College of Rheumatology), tuttavia i biomarcatori biologici convalidati associati alla fibromialgia non sono ancora stati identificati.

Studi di associazione a livello del genoma hanno rintracciato i geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi della fibromialgia e si è evidenziato che i fattori genetici sono responsabili fino al 50% della suscettibilità alla malattia. È stata inoltre proposta un’interazione gene-ambientale come meccanismo scatenante, attraverso alterazioni epigenetiche: in particolare, la fibromialgia sembra essere caratterizzata da un modello di DNA ipometilato nei geni implicati nella risposta allo stress, nella riparazione del DNA, nella risposta del sistema autonomo e nelle anomalie neuronali subcorticali1.

Alcune costituzioni genetetiche (del DNA) specifiche (genotipi) possono trovare espressione in fenotipi inclini allo sviluppo della fibromialgia: detto in altri termini vi sono persone che geneticamente sono più predisposte, essendo meno resilienti, a rispondere agli stimoli ambientali in modo tale da favorire lo sviluppo della fibromialgia. La complessità nella eziopatogenesi e nella diagnosi della fibromialgia l’hanno resa per molto tempo una malattia contestata: le persone che ne erano colpite erano stigmatizzate e classificate come affette da disturbi psicologici e/o psicosociali, più che fisici.

Tale atteggiamento ha ulteriormente complicato la vita dei malati fibromialgici, determinando un impatto economico e sociale rilevante.

Approccio PNEI: la resilienza

La multifattorialità alla base dello sviluppo della fibromialgia e la rilevanza della componente epigenetica all’origine della stessa, ovvero l’alterata risposta dell’individuo agli stimoli ambientali, richiamano necessariamente l’inquadramento della sindrome fibromialgica all’interno dell’approccio PNEI (psico-neuroendocrino-immune) inerente al concetto di considerare le malattie da un punto di vista integrato, con le varie componenti (psiche, sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario) che controllano l’organo/apparato malato e a loro volta sono influenzate da un meccanismo di feedback.

Abbiamo detto che le persone poco resilienti sono più facilmente soggette a contrarre malattie autoimmuni o sindromi caratterizzate da rigidità e dolore cronico. Potremmo meglio dire che alcuni individui, predisposti costituzionalmente e geneticamente, possono sviluppare fenotipi meno resilienti.

Cosa può fare la MEDICINA ILDEGARDIANA per la FIBROMIALGIA?
Scoprilo su SC 72!

Scienza e Conoscenza - n.72 — Rivista >> https://bit.ly/3b3IMu1
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Autori Vari

venerdì 5 giugno 2020

La medicina e' una sola



La medicina e' una sola: la riflessione del Dottor Stefano Fais

Medicina Integrata


Quando un ricercatore fa una scoperta mediata dalla serendipità deve prestare un alto livello di attenzione a tutto ciò che sta accadendo attorno a lui, a trecentosessanta gradi.

Stefano Fais - 04/06/2021

Questo articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 69.

Come scienziato non mi interessa attribuire grande importanza a termini quali non convenzionale, integrata, alternativa quando sono riferiti alla medicina. Per me, nella scienza, la cosa realmente importante è mantenere un approccio alla procedura sperimentale aperto, privo di chiusure aprioristiche e dogmatiche tale per cui ciò che a prima vista potrebbe apparire come un errore, o qualcosa di insignificante, potrebbe rivelarsi una grande scoperta se solo siamo capaci di cambiare l’angolazione, la prospettiva, da cui osserviamo il fenomeno in esame.

Quando si parla di serendipity ci si riferisce alla scoperta di qualcosa mentre si stava cercando qualcos’altro. L’esempio classico, in questi casi, è quello relativo alla penicillina.
Fleming stava studiando lo Staphylococcus influenzae quando una delle sue piastrine di coltura si contaminò e su di essa si sviluppò un’area ben delimitata priva di batteri: il resto della storia lo conosciamo tutti. Nel 2008 il «Financial Time» ha pubblicato un articolo provocatorio sul ruolo della serendipity nel futuro della medicina. In realtà la serendipity ha avuto un ruolo chiave nella scoperta di un’am-pia gamma di farmaci psicotropi, tra cui l’anilina viola, il dietilamide dell’acido lisergico, il meprobamato, la clorpromazina e l’imipramina.

Quando un ricercatore fa una scoperta mediata dalla serendipità deve prestare un alto livello di attenzione a tutto ciò che sta accadendo attorno a lui, a trecentosessanta gradi. Ma questo non basta: per scoprire qualcosa che sia veramente nuovo e fuori dagli schemi occorre mantenere una mente sufficientemente sganciata dalle tradizionali infrastrutture cognitive e culturali che normalmente rendono estremamente focalizzata su un particolare punto di arrivo – spesso predefinito – l’attività di ricerca.

Io credo che un ricercatore in medicina debba mantenere lo sguardo curioso e innocente di un bambino.

Max Planck disse che la scienza non progredisce perché gli scienziati cambiano idea, ma piuttosto perché gli scienziati attaccati a opinioni errate muoiono e vengono rimpiazzati. Otto Warburg ha usato le stesse parole per commentare il fatto che le sue idee – non mainstream sulla genesi del cancro – faticassero a essere accettate. Personalmente ritengo che le ricerche non mainstream nella scienza vadano incoraggiate e che abbiano avuto – e possano avere – un ruolo fondamentale nello sviluppo della medicina. In questa rubrica che terrò su Scienza e Conoscenza in ogni numero, parleremo sia delle scoperte che sono passate inosservate anche se ricche di prospettiva – una tra tutte il ruolo della vitamina C nella cura dei tumori – sia delle più recenti ricerche guidate da un approccio non mainstream, come ad esempio la scoperta che farmaci antiacidi possono avere un ruolo chiave nelle nuove strategie antitumorali e l’importanza dell’acqua e di antiossidanti nel mitigare l’invecchiamento. Vi aspetto in ogni numero per grandi novità!

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Scienza e Conoscenza n. 69 - Luglio/Settembre 2019 - Rivista >> http://bit.ly/2LzQgg5
Nuove scienze, Medicina Integrata

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Stefano Fais