mercoledì 22 luglio 2020

Psicobiologia della Resilienza



Psicobiologia della Resilienza

Psicologia Quantistica


Connessioni umane, connessioni nervose: come le prime fasi della vita modulano epigeneticamente la nostra risposta futura allo stress

Carmen Di Muro - 22/07/2020

Questo articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 73.

A tutti è capitato di pensare quanto sarebbe bello avere una corazza sull’anima, una difesa contro le spine della vita che con le sue richieste, le sue sfide, le sue sorprese, mette continuamente alla prova la nostra natura profonda: il nostro potere umano. Nella commedia Penthesilea, il drammaturgo tedesco Kleist scrisse: «La quercia morta resiste alla tempesta, ma quella sana né è schiantata e travolta, perché questa può afferrarla per le fronde». Infatti, è proprio nel mezzo della tormenta che è capace di generarsi il prodigio della vita. Un attaccamento disperato in cui è la risposta al dolore a creare il coraggio nel darsi alla vita, nell’affrontarla, nel piegarsi senza spezzarsi, lasciando che l’impeto emotivo faccia il suo corso per poi cedere spazio al sereno.

Questa straordinaria capacità è nota come resilienza, ossia quella forza misteriosa che ci abita

dentro e che permette di resistere alle pressioni dell’ambiente, di guardare sempre avanti con fiducia, vivendo pienamente durante le situazioni critiche, sapendo che sebbene gli imprevisti accadano, esiste un’intelligenza misteriosa che sostiene la vita, data dall’abilità di essere come rocce in mezzo ai flutti.

Come si risvegli questo potere silente è stato uno tra i maggiori rompicapo per la scienza, la quale, solo agli inizi degli anni Novanta, ha iniziato a occuparsi fattivamente dei processi che lo sottendono, svelando come siano la forza della connessione e della sopravvivenza, che sono alla base della resilienza, a essere in grado di anticipare il meglio mentre si vive il peggio, la guarigione dopo la ferita, la calma dopo la tempesta, un nuovo senso della vita e nuovi valori che altrimenti non avrebbero potuto essere scoperti.

Essere resilienti non significa essere infallibili, non sentirsi in difficoltà o non provare dolore, ma essere malleabili, disposti al cambiamento quando necessario, grazie a quella forza nel rimanere in connessione con la realtà, ciò che lo stesso Platone definiva Thumos (o Thymos), ossia la forza d’animo passionale insista in ogni essere vivente, capace di mobilitare le risorse necessarie per affrontare le situazioni avverse, facendolo sentire a casa, presso di Sé.

E in questo grande gioco di forza, adattamento e scoperta, l’azione della resilienza è inscindibile dall’azione del Sistema Nervoso (SN), che media il nostro rapporto con l’ambiente rispondendo efficacemente alle situazioni di stress e ai colpi della vita.

La resilienza, infatti, è iscritta nel nostro patrimonio genetico, insieme alla capacità di svilupparsi, di rafforzarsi e indebolirsi a seconda delle esperienze che si vivono, soprattutto negli anni infantili, a contatto con le figure di attaccamento o in loro assenza.

E in questo biologia, biografia e capacità di far fronte a situazioni avverse sono strettamente interconnesse. Infatti, la forza della resilienza si getta già nella prima infanzia, ma si può rinforzare durante tutta la vita.

Stress, epigenetica e resilienza

Parlare di resilienza implica necessariamente fare riferimento alla nostra capacità di affrontare lo stress, il quale è una componente indispensabile per la vita, una risposta di sopravvivenza fondamentale. L’evoluzione ci ha dotati, infatti, di numerosi meccanismi per adattarci alla mutevolezza dell’esistenza: sofisticati strumenti di crescita e protezione.

Nell’essere umano essi sono controllati dal Sistema Nervoso, che ha il compito di monitorare i segnali ambientali, interpretarli e organizzare le successive risposte comportamentali. Quando il SN riconosce un fattore di stress – sia esso fisico, tossico, psichico o emotivo – allerta la comunità delle cellule riguardo al pericolo imminente, attivando un sistema di protezione essenziale per la difesa, ossia il Sistema Simpatico e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), i quali sono responsabili della risposta fight or flight (attacco-fuga).

Questa funzione è adattiva quando lo stimolo è transitorio, ma diviene disadattiva nel momento in cui l’agente stressante perdura nel tempo. Infatti, quando lo stress è cronico non è così benefico...

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Nuove scienze, Medicina Integrata
Autori Vari

martedì 21 luglio 2020

Scienza e Conoscenza n. 73



Scienza e Conoscenza n. 73 - Luglio/Settembre 2020

Rivista Nuove scienze, Medicina Integrata

Autori Vari


EDITORIALE - Elogio della Resilienza

A inizio maggio, al tempo delle prime aperture dopo il lockdown, ho letto una notizia on line che mi ha colpito molto, il titolo della news era: Il sindaco di Bugliano vieta la parola resilienza. Incuriosita sono andata ad approfondire la notizia e ho scoperto che si trattava di una fake news, una delle tante presenti sul web in quel particolare momento storico.

La cosa interessante per me non era tanto la falsa notizia, ma il motivo per cui fosse stata creata. La parola resilienza non è poi così conosciuta e utilizzala nel nostro Paese o comunque non è così popolare, eppure la notizia aveva fatto il giro della rete, contando migliaia di visualizzazioni. E accaduta una cosa straordinaria: grazie a una fakenews tantissime persone hanno conosciuto una parola nuova resilienza appunto - e ne hanno approfondito il significato.

Anche per questo motivo - dopo una riunione con il nostro comitato scientifico in cui abbiamo pensato di dedicare un numero al cambiamento, all'essere presenti nel qui ed ora e al pensiero lucido in questo numero di «Scienza e Conoscenza» abbiamo deciso di approfondire il concetto di resilienza dal punto di vista psicobiologico e filosofico.

Prima di lasciarvi a questo nuovo numero, voglio incuriosirvi con la lettura dell'enciclopedia Treccani riferita alla parola resilienza, il cui principale significato è legato alla fisica:

Resiliènza, s. f. [der. di resiliente]. I. Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova d'urto: prova di r.; valore di r., il cui inverso e l'indice di fragilità. 2. Nella tecnologia dei filali e dei tessuti, l'attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l'aspetto originale.

Scommetto che vi sentite già un po' più resistenti, elastici e resilienti: non è così?

Buona lettura.

Romina Alessandri
direttrice editoriale

Indice

BIOLOGIA DELLA RESILIENZA

Decolonizzare l'immaginario - Intervista a Gloria Germani a cura di Marianna Gualazzi e Valerio Pignatta
Pensiero lucido - Antonio Morandi
Psicobiologia della resilienza - Carmen Di Muro
Oltre la resilienza secondo Ildegarda - Sabrina Melino

MEDICINA INTEGRATA

La salute tra le cellule - G. Fausto Bellabona
Esosomi: i messaggeri del nostro corpo - Mariantonia Lagozzi e Stefano Fais
Oncologia integrata - Intervista a Maurizio Pianezza a cura di Valerio Pignatta
Omeo e nutriterapia per il COVID-19 - Diego Tomassone
Quando la pelle degli adolescenti ci parla - Antonio Del Sorbo
Ascorbato di potassio con ribosio in oncologia - Guido Paoli
Reiki in ospedale - Gigliola Bruno

MANIFESTO PER UNA NUOVA SCIENZA

La medicina degli affari - Intervista a Domenico Mastrangelo a cura di Romina Alessandri
Quello che il tuo medico non dovrebbe mai dirti - Lissa Rankin

FISICA E DINTORNI

E se la massa fosse fatta di vuoto? - Davide Fiscaletti

RUBRICHE

La medicina è una sola - Stefano Fais
Casi clinici - Diego Tomassone
Psicologia quantistica - Carmen Di Muro
Funghi di lunga vita - Stefania Cazzavillan

Scheda Tecnica

Editore Macro Edizioni
Data pubblicazione         Giugno 2020
Formato              Rivista - Pag 96 - 19,5 x 20,5 cm
ISBN      8878695157
EAN       9788878695153
Lo trovi in            Libri: #Scienza e conoscenza
MCR-NR              185234

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Autori Vari

lunedì 20 luglio 2020

Modifica le emozioni per modificare il cervello



Modifica le tue emozioni per modificare il tuo cervello

Neuroscienze e Cervello


Grazie alle Neuroscienze, oggi sappiamo che il cervello possiede una straordinaria capacità di modificarsi, conseguentemente alle esperienze vissute

Redazione Scienza e Conoscenza - 18/07/2020

Questo articolo è stato scritto da Flavia Petralia*

Il modo in cui codifichiamo ciò che accade attorno noi, ha un ruolo centrale nella struttura del nostro cervello. Quello che accade all’esterno di noi, viene recepito in un dato modo che genererà un’emozione (sia essa positiva o negativa) capace modificare la struttura del nostro cervello.

Assecondando questa scoperta possiamo quindi facilmente intuire che quello che noi diventiamo, può essere modificato. Per portare degli esempi pratici, possiamo fare riferimento alla meditazione. È stato, infatti, scoperto che le tecniche meditative riescono a modificare positivamente la nostra struttura cerebrale. La meditazione è una pratica che, se eseguita con costanza, riesce a indurre l’individuo ad uno stato di benessere. Detto ciò, possiamo iniziare il nostro percorso, dando per certo che le nostre emozioni giochino un ruolo determinante nella nostra vita.

Le emozioni, possono essere ricreate dentro di noi esattamente come accade durante le pratiche meditative. Per facilitare la comprensione di quanto sto esponendo, voglio portare l’esempio degli attori che eseguono il metodo Stanislavskij.

Questo metodo si basa sulla ricerca di un’emozione vissuta nella loro vita, che possa richiamare lo stato d’animo del personaggio che interpretano. In questa ricerca, se il personaggio sarà un uomo tipicamente depresso e distrutto dalle vicissitudini della vita, l’attore dovrà ricercare dentro se stesso, quella situazione in cui si è sentito talmente demoralizzato da poter trovare un punto di connessione con i tratti distintivi del ruolo da interpretare. Una volta trovata, nell’archivio della sua memoria, quella esperienza dovrà conviverci fino a fondere quello che ha provato in quel dato momento della propria esistenza, con il personaggio da interpretare. Non sono pochi i casi di attori che dopo aver interpretato un ruolo per diverso tempo, abbiano avuto difficolta a ritrovare la personalità in cui si rivedono. A fronte di ciò, studi approfonditi dimostrano come per innescare un’abitudine, serva un numero di giorni pari a 21, nello specifico, dai 21 giorni in su. Nel libro Psicocibernetica, il famoso autore Maxwell Maltz, medico chirurgo plastico, ha notato come nei suoi pazienti, che venivano sottoposti a interventi di plastica facciale, servisse un tempo pari a 3 settimane per abituarsi al loro nuovo volto.

​Migliorare la propria vita​

Possiamo,dunque, provare attraverso noi stessi a modificare la struttura del nostro cervello.

Abbiamo assodato che le emozioni che proviamo, sono capaci di generare uno stato di benessere o malessere e abbiamo anche capito che possiamo generare queste emozioni prescindendo dalle situazioni esterne (vedi la meditazione). A questo punto, iniziate a provocare dentro di voi lo stato emotivo desiderato, partendo da quella situazione in cui siete stati talmente bene da sentirvi realmente felici (metodo Stanislavskij) esattamente come farebbero gli attori.

Create un personaggio da interpretare, pochi minuti al giorno, che abbia le caratteristiche emotive che voi volete acquisire nella vostra quotidianità.

La sera, prima di andare a dormire, interpretate questo personaggio, per pochi minuti, ma cercate di addormentarvi trattenendo quella sensazione.

Il vostro risveglio sarà in linea con l’emozione con cui vi siete addormentati. Continuate cosi, per tutte le sere, per quanto tempo desiderate.

Stilare una lista

Quando avrete definito che tipo di emozioni vorreste provare, scrivetelo in un foglio e, man mano che provate delle sensazioni piacevoli, coerenti con ciò che desiderate, annotatele. Potete scrivere tutte le emozioni che volete provare, dedicando qualche minuto alla pratica, ogni giorno.

Se volete essere più dettagliati, immaginate il tipo di persona che voi vorreste essere, create un personaggio che possieda tutte le caratteristiche mentali ed emotive che voi desiderate trattenere nella vostra vita ed iniziate a interpretare, ricordando di farlo proprio come degli attori che ricercano dentro se stessi le stesse emozioni del personaggio che devono interpretare.

Ricercate le emozioni che volete provare, dentro le vostre esperienze passate, questo è un lavoro intimo, che solo voi potete fare, perché solo voi sapete quali esperienze della vita hanno portato uno stato di assoluto benessere. Quando troverete il ricordo, ricreate l’emozione e trattenetela con voi, per pochi minuti la sera, prima di addormentarvi e quando vi verrà semplice farlo, iniziate anche per qualche minuto al giorno.

La versione migliore di voi stessi

Il personaggio che avete creato altro non è se non la migliore versione di voi stessi. Andiamo più a fondo nella comprensione di questa frase.

La persona che voi vorreste essere è esistita ed esiste ancora dentro di voi. Se andate a ricercarla nelle vostre esperienze passate, vedrete che, anche se forse solo per pochi giorni o per pochi attimi, quella persona ha avuto modo di esprimersi in termini di emozioni e il vostro cervello ha modificato la sua struttura che, a seguito di altre esperienze, si è ulteriormente modificato. Adesso sappiamo che per rimodificare nuovamente la struttura del nostro cervello con un fine migliorativo, dobbiamo ricreare delle emozioni coerenti con ciò che vogliamo.

Creare partendo da zero

Ricordiamo l’importanza delle emozioni ma non dimentichiamo che non siamo le stesse persone che dieci anni prima hanno provato quello che ora cerchiamo di ricreare dentro di noi. La ricerca non è finalizzata a ritornare ad essere ciò che si era un tempo, l’evoluzione fa parte della nostra esistenza, andare indietro non è auspicabile, né possibile, perché negli anni che ci separano da quello stato d’animo, abbiamo accumulato un bagaglio di esperienze, forse estremamente negative che dobbiamo conservare con noi, al fine di modificare noi stessi sempre sotto uno spirito evolutivo. Quelle esperienze negative rappresentano lo stato d’animo che non vogliamo ricreare. Sono il nostro campanello d’allarme e qualora ci riavvicinassimo a quel tipo di emozioni, le riconosceremmo subito, ricordando anche quali conseguenze negative potrebbero arrecarci.

Da questo momento in avanti, fatto di consapevolezze nuove, quello che creerete sarà una persona diversa, una persona capace di comprendere con quali emozioni vuole convivere al fine di modificare in senso migliorativo ogni sfera della propria vita. ​

*Flavia Petralia
È una Life & Business Coach.
Laureata in comunicazione con un Master in Coaching Evolutivo, pubblica nel 2017: Yakamoz, romanzo di crescita personale in chiave fantasy e redige articoli di attualità per la testata giornalistica: La spia. Nel 2020 pubblica il magazine-book: Successo e Neurocoaching incentrato sul trait d’union filosofico, scientifico ed esperienziale.

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lunedì 13 luglio 2020

Fibromialgia, la malattia della rigidita'



Fibromialgia, la malattia della rigidita'

Medicina Integrata


La fibromialgia è una forma clinica caratterizzata da dolore cronico diffuso e da altri sintomi non correlati al dolore, tra cui rigidità muscolare, affaticamento, sonno scarso, disturbi cognitivi e depressione, che possono presentare variazioni significative, non solo tra i diversi pazienti, ma anche nello stesso paziente durante il decorso della malattia. Questi sintomi sono relativamente comuni e non specifici; possono essere riscontrati in altre forme patologiche che possono sovrapporsi alla fibromialgia, senza che vi siano spesso confini chiari, rimanendo, per la loro stessa natura, oggettivamente difficili da definire e quantificare.

Sabrina Melino - 10/07/2020

La fibromialgia tra genetica ed epigenetica

Attualmente, la diagnosi di fibromialgia si basa esclusivamente su una valutazione clinica completa, secondo i criteri ACR 2016 (American College of Rheumatology), tuttavia i biomarcatori biologici convalidati associati alla fibromialgia non sono ancora stati identificati.

Studi di associazione a livello del genoma hanno rintracciato i geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi della fibromialgia e si è evidenziato che i fattori genetici sono responsabili fino al 50% della suscettibilità alla malattia. È stata inoltre proposta un’interazione gene-ambientale come meccanismo scatenante, attraverso alterazioni epigenetiche: in particolare, la fibromialgia sembra essere caratterizzata da un modello di DNA ipometilato nei geni implicati nella risposta allo stress, nella riparazione del DNA, nella risposta del sistema autonomo e nelle anomalie neuronali subcorticali.

Alcune costituzioni genetetiche (del DNA) specifiche (genotipi) possono trovare espressione in fenotipi inclini allo sviluppo della fibromialgia: detto in altri termini vi sono persone che geneticamente sono più predisposte, essendo meno resilienti, a rispondere agli stimoli ambientali in modo tale da favorire lo sviluppo della fibromialgia. La complessità nella eziopatogenesi e nella diagnosi della fibromialgia l’hanno resa per molto tempo una malattia contestata: le persone che ne erano colpite erano stigmatizzate e classificate come affette da disturbi psicologici e/o psicosociali, più che fisici.

Tale atteggiamento ha ulteriormente complicato la vita dei malati fibromialgici, determinando un impatto economico e sociale rilevante.

Approccio PNEI: la resilienza

La multifattorialità alla base dello sviluppo della fibromialgia e la rilevanza della componente epigenetica all’origine della stessa, ovvero l’alterata risposta dell’individuo agli stimoli ambientali, richiamano necessariamente l’inquadramento della sindrome fibromialgica all’interno dell’approccio PNEI (psico-neuroendocrino-immune) inerente al concetto di considerare le malattie da un punto di vista integrato, con le varie componenti (psiche, sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario) che controllano l’organo/apparato malato e a loro volta sono influenzate da un meccanismo di feedback. [Continua su Scienza e Conoscenza n.72]

Nell'articolo completo leggerai:

Chi è più colpito dalla fibromialgia
La medicina ildegardiana e la lettura della fibromialgia
Rimedi e Stili di vita consigliati
Bibliografia e Note

L'articolo è tratto da Scienza e Conoscenza n.72
Puoi acquistare la rivista sul nostro sito:

Scienza e Conoscenza - n.72 — Rivista >> https://bit.ly/3b3IMu1
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Note dell'articolo completo:

1) D’Agnelli S., Arendt-Nielsen L., Gerra M.C., Zatorri K., Bog- giani L., Baciarello M., Bignami E., Fibromyalgia: Genetics and epigenetics insights may provide the basis for the devel- opment of diagnostic biomarkers. Mol Pain. 2019 Jan-Dec; 15:1744806918819944. doi: 10.1177/1744806918819944.

2) Iikuni F., Nomura Y., Goto F., Murakami M., Shigihara S., Ikeda M., Why do patients with fibromyalgia complain of ear-related symptoms? Ear-related symptoms and otological findings in patients with fibromyalgia. Clin Rheumatol. 2013 Oct; 32(10):1437-41. doi: 10.1007/s10067-013-2287-2.

3) Casale R., Sarzi-Puttini P., Botto R., Alciati A., Batticciotto A., Ma- rotto D., Torta R., Fibromyalgia and the concept of resilience. Clin Exp Rheumatol. 2019 Jan-Feb; 37 Suppl 116(1):105-113


mercoledì 8 luglio 2020

Omeopatia e Nutrizione Molecolare



Omeopatia e Nutrizione Molecolare

Curarsi con l'Omeopatia


Oggi si parla sempre più spesso di terapie personalizzate, di epigenetica, allo stesso modo si citano frasi ad effetto come la famosa, di ippocratica memoria:

«fa che il cibo sia la tua medicina»

Ma concretamente la medicina attuale è veramente “personalizzata”? Sicuramente il progresso scientifico, soprattutto in campo tecnologico, ha fatto passi da gigante, purtroppo però questo non va di pari passo con il rispetto della vulnerabilità e delle caratteristiche peculiari di ogni persona, anzi spesso le ignora.

Diego Tomassone - 07/07/2020

Wait and see o wait and death?

La stima di cui poteva godere un medico dell’antica Cina dipendeva dal numero di ammalati tra i suoi assistiti: come a dire che un bravo medico aveva solo pazienti sani in quanto era in grado di “prevenire” le possibili patologie.

Oggi l’approccio utilizzato è esattamente l’opposto: ci si basa sulla metodica del wait and see (aspettare e vedere), ovvero si aspetta fino a che non si manifesta il disturbo o peggio la patologia, e poi si guarda cosa è possibile fare (ammesso si possa ancora intervenire perché spesso si aspetta troppo, e la patologia diventa incurabile).

Siamo sicuri che non si possa tornare a una medicina più preventiva e meno “invasiva” e spesso inutilmente interventista e lesiva del malato? La risposta è sicuramente sì. Ed è una risposta che parte da molto lontano, nell’antica Cina a Oriente e in Occidente al tempo della filosofia greca (ricordo che il medico era sempre anche filosofo nell’antichità); fa tappa nell’Europa centrale, tra il 1755 e il 1843, con la figura di C.F.S. Hahnemann, codificatore dell’Omeopatia, nonché portatore del metodo scientifico in medicina; per arrivare al 2018 dove, per la prima volta nella storia, un ricercatore italiano di nome Stefano Scoglio, esperto anche in Omeopatia, ha ricevuto la Candidatura al premio Nobel per la Medicina per le sue scoperte in campo nutriterapico.

Da Hahnemann all’epigenoma

L’antichità, soprattutto con la medicina classica cinese, la filosofia di Platone e Aristotele prima, e la “ filosofia teologica” di Tommaso d’Aquino poi, hanno posto le basi epistemologico-filosofiche per arrivare al XVIII secolo, momento in cui si è potuta codificare in maniera precisa e sistematica una dottrina medica che ha come fondamento l’essere umano, nella sua interezza e totalità, e che ne considera le caratteristiche particolari e peculiari, potendo agire anche in assenza di disturbi o patologie conclamate, proprio perché si basa sul riconoscimento del fenotipo, di quell’epigenoma che contraddistingue ognuno di noi (ed ogni essere vivente).

La grande intuizione del maestro Hahnemann – oltre a quella di sperimentare in maniera “pura” le sostanze che diventeranno poi i rimedi omeopatici unitari (ricordo che con lui nasce la sperimentazione in doppio e triplo cieco) – è stata quella di applicare alla scienza medica, oltre al “Principio dei Simili” conosciuto già da Ippocrate, la dottrina filosofica contenuta nella Summa Theologiae di San Tommaso D’Aquino. San Tommaso infatti considerava l’essere umano non come una macchina costituita da tanti pezzi, ma come un essere vivente animato da un “Principio Vitale” che, se in squilibrio...[Continua sulla rivista Scienza e Conoscenza n. 72]

Argomenti che potrai approfondire nell'articolo completo:

Omeopatia: serve un approccio altamente personalizzato
La nutriterapia e la nutrizione molecolare

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Per approfondire la letteratura scientifica sull'Epigenetica

Role of Epigenetics in Biology and Human Diseases - Azam Moosavi1 and  Ali Motevalizadeh Ardekani2,*

Epigenetics: The Science of Change - Bob Weinhol

sabato 4 luglio 2020

In che modo i nostri pensieri plasmano il cervello



In che modo i nostri pensieri plasmano il nostro cervello?

Nuova Biologia


Tutti noi possiamo cambiare i circuiti del vostro cervello. Tutti noi abbiamo quel potere di scelta quantica. Abbiamo sempre posseduto gli strumenti per farlo, ma solo adesso siamo divenuti consapevoli di come si usano: ce lo spiega Joe Dispenza nel suo libro Evolvi il tuo cervello

Redazione Scienza e Conoscenza - 03/07/2020

Il seguente articolo è tratto da Evolvi il tuo cervello

Vi invito ad avere un pensiero solo, un qualunque pensiero. Che il vostro pensiero sia collegato a una sensazione di rabbia, tristezza, ispirazione, gioia o eccitazione sessuale, avete modificato il vostro corpo. Avete modificato voi stessi. Qualsiasi pensiero, che si tratti di “non posso” come di “posso”, di “non sono abbastanza bravo” come di “ti amo”, produce effetti analoghi e misurabili.
Mentre voi siete seduti a leggere con noncuranza questa pagina senza alzare un solo dito, tenete presente che il vostro corpo sta subendo una moltitudine di cambiamenti dinamici.
Lo sapevate che tutt’a un tratto, attivati dal vostro ultimo pensiero, il vostro pancreas e le vostre ghiandole surrenali si sono messi a secernere alcuni nuovi ormoni? Come in un’improvvisa tempesta di fulmini, in diverse aree del vostro cervello l’intensità della corrente elettrica è appena aumentata, provocando il rilascio di una fiumana di sostanze neurochimiche troppo numerose da elencare.
La vostra milza e il vostro timo hanno inviato un gran numero di e-mail al vostro sistema immunitario per generare alcune modifiche. Diversi succhi gastrici sono entrati in circolo.
Il vostro fegato ha iniziato a produrre enzimi che solo alcuni istanti prima non c’erano. Il ritmo del vostro cuore è variato, i vostri polmoni hanno alterato la gettata sistolica, e il flusso sanguigno diretto ai capillari delle vostre mani e dei vostri piedi è cambiato. Tutto per aver avuto un unico pensiero. Così grande è il vostro potere.

Pensieri e chimica

Ma come fate a essere in grado di eseguire tutte quelle azioni? Tutti possiamo capire intellettualmente che il cervello è capace di gestire e regolare molte funzioni diverse in tutto il resto del corpo, ma fino a che punto noi siamo responsabili del lavoro che il nostro cervello sta compiendo in qualità di Direttore Generale del corpo? Che ci piaccia o no, una volta che un pensiero è sopraggiunto nel cervello, il resto è storia: tutte le reazioni corporee che conseguono dal nostro pensiero intenzionale o non intenzionale si dispiegano dietro le quinte della nostra consapevolezza. A pensarci, quando guardiamo direttamente al nocciolo della questione, è sorprendente rendersi conto di quanto influenti ed estesi possano essere gli effetti di uno o due pensieri, siano essi consci o inconsci.

Ad esempio, è possibile che i pensieri apparentemente inconsci che ci attraversano la mente quotidianamente e ripetutamente inneschino una cascata di reazioni chimiche che producono non soltanto ciò che sentiamo, ma anche come sentiamo? Possiamo accettare che gli effetti a lungo termine del nostro modo di pensare abituale possano semplicemente essere la causa del modo in cui il nostro corpo passa in uno stato di squilibrio, ovvero ciò che chiamiamo malattia? È verosimile che, un istante dopo l’altro, noi addestriamo il nostro corpo a non essere in buona salute attraverso la ripetizione dei nostri pensieri e delle nostre reazioni? E se il nostro pensiero da solo potesse spingere la nostra chimica interna al di fuori del raggio della normale attività tanto spesso da provocare alla fine una ridefinizione di questi stati anormali come stati normali, regolari, da parte del sistema di autoregolazione del corpo? È un processo sottile, ma forse finora non gli avevamo mai dedicato tanta attenzione. Mi auguro che questo libro offra alcuni suggerimenti per la gestione del vostro universo interno.

Modifica la consapevolezza per modificare il cervello

A proposito di attenzione, ora voglio che stiate attenti, diveniate consapevoli e ascoltiate. Riuscite a sentire il ronzio del frigorifero? Il suono di un’auto che passa vicino a casa vostra? Un cane che abbaia in lontananza? E la risonanza del vostro battito cardiaco? Soltanto spostando l’attenzione in quei momenti, avete provocato un aumento di potenza e tensione del flusso elettrico in milioni di cellule cerebrali nella vostra stessa testa. Scegliendo di modificare la vostra consapevolezza, avete modificato il vostro cervello. Non soltanto avete cambiato il modo in cui il vostro cervello funzionava alcuni istanti prima, ma anche il modo in cui funzionerà nell’istante successivo, e forse anche per il resto della vostra vita.

Quando ritornate a rivolgere l’attenzione alle parole di questa pagina, il flusso del vostro sangue diretto verso diverse parti del cervello è stato alterato. Avete anche innescato una cascata di impulsi, dirottando e modificando correnti elettriche dirette verso varie aree del cervello. Su un livello microscopico, una moltitudine di cellule nervose differenti si sono chimicamente alleate per “tenersi per mano” e comunicare, al fine di stabilire delle relazioni reciproche a lungo termine più salde. A causa del vostro spostamento di attenzione, la scintillante ragnatela tridimensionale si sta accendendo in nuove combinazioni e sequenze. Tutto questo l’avete fatto per mezzo del vostro libero arbitrio, spostando la vostra attenzione focalizzata. Avete letteralmente trasformato la vostra mente, le vostre idee.

Come esseri umani, abbiamo la capacità naturale di focalizzare la nostra consapevolezza su qualsiasi cosa. Come impareremo, come e dove dirigiamo la nostra attenzione, su che cosa rivolgiamo l’attenzione, e per quanto tempo, in ultima analisi ci definisce a livello neurologico. Se la nostra consapevolezza è così mobile, perché è così difficile mantenere l’attenzione su pensieri che potrebbero esserci utili? Proprio ora, continuando a rimanere concentrati sulla lettura di questa pagina, potreste avere dimenticato il vostro mal di schiena, la controversia che avete avuto poco tempo fa con il vostro capo, e persino di che sesso siete. È dove rivolgiamo l’attenzione e su che cosa la rivolgiamo che mappa il corso stesso del nostro stato d’essere.

La Guarigione Spontanea delle Credenze — Libro
Come spezzare la prigione delle false credenze
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