mercoledì 29 marzo 2023

Il Cuore è uno Strumento musicale


Il Cuore dell’uomo è uno Strumento musicale

Consapevolezza e Spiritualità

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Sergio D'Alesio - 29/03/2023

Conversazioni tra il giornalista-scrittore Sergio d'Alesio e il compositore Capitanata nel giardino di Eranos

In una sua precisa dichiarazione Carl Gustav Jung pone l’accento sul ruolo della musica. Al riguardo si legge: “La musica non proviene dalla parte cosciente dell’anima e non si indirizza al cosciente, ma la sua forza emerge dall’inconscio ed agisce sull’inconscio. Se il vissuto di ognuno di noi influenza il suo gusto (così come la storia della musica intesa come evoluzione della nostra civiltà), allora questi parametri sono del tutto inutili perché individualistici. Forse una base la può gettare la musicoterapia, in quanto a prescindere dal gusto, la musica interagisce con la parte ancora misteriosa della nostra mente, ed è in grado di portarla in superficie, abbattendo l’impianto logico, razionale, e in tal modo provoca piacere”. Lei è d’accordo con questa prospettiva?

A ben vedere, l’ora della nevrosi e della psicosi insorge nel momento in cui l’uomo non è più capace di attuare un cambiamento, una trasformazione, una evoluzione. Allora occorre scoprire delle contromisure adeguate e porvi rimedio. Ancora una volta è la natura stessa dell’uomo a stendere la sua mano benevola…

Osho diceva: “È come se, nel cuore dell’uomo, ci fosse uno strumento musicale che contiene in sé una musica sublime. È addormentato, ma pur sempre presente: aspetta solo il momento giusto per battere, esprimersi, suonare e danzare. Ed è attraverso l’amore che quel momento arriva. Un uomo privo d’amore, non saprà mai quale musica ha portato nel suo cuore. Solo attraverso tal nobile sentimento le note si risvegliano, prendono vita e, cosa ben più importante, si trasformano da potenziali in reali. Questa profonda emozione è l’agente catalizzatore di un processo del tutto naturale. Quando la tua musica interiore inizia a fluire, allora si tratta di amore. All’improvviso ti senti in un’armonia profonda. Non sei più uno strumento scordato, sei accordato. Non sei più un caos, diventi un cosmo. E la vita stessa indossa una veste nuova, acquisendo la qualità della gioia. In realtà dobbiamo scendere sempre più in profondità nell’amore ed un giorno ci imbatteremo nella musica interiore. È solo da quel giorno che la tua esistenza terrena cambia volto ed inizia veramente la vita”.

Ascoltare la musica in modo terapeutico significa saper individuare le zone del tuo organismo maggiormente sensibili alla musica. C’è chi predilige il suono del flauto o del sitar indiano. Altri si rilassano ascoltando una grande orchestra classica o il tocco delicato del pianoforte. Il corpo, come un diapason, risponde ad un suono con un altro suono formando così un doppio suono, quello dell’armonia e della risposta vibratoria del corpo stesso. Ciò produce un avvenimento molto importante che taluni chiamano l’Ascolto di Sé. Immagini e fantasia aggirano i processi difensivi dell’inconscio, superano le resistenze presenti in ogni processo terapeutico e producono quel cambiamento che consente di rielaborare il proprio vissuto. Non esiste più la mente egocentrica che “pensa di ascoltare la musica” per dare beneficio al corpo. La vera simbiosi è trovare l’unione fra mente-e-corpo in una profonda dimensione spirituale, Una volta varcata quella soglia, la musica stessa diventa la protagonista della tua vita per molte stagioni a venire...

Estratto dal libro “Il potere curativo della musica – Vol. II”.


Il Potere Curativo della Musica - Vol.2 — CD >> https://bit.ly/3nwAI0K

Allegato il CD di Capitanata "Eranos: Concerto di Grand Piano per l'Anima" - 432 Hz Natural Music

Rino Capitanata, Sergio D'Alesio

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sabato 25 marzo 2023

Come funziona il cervello?


Come funziona il cervello?

Neuroscienze e Cervello

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Cervello umano: quali sono gli strumenti utilizzati per studiarlo e per capire come funziona, dall'elettroencefalografo alla risonanza magnetica funzionale (RMF)

Redazione - Scienza e Conoscenza - 25/03/2023

Il seguente articolo è tratto dal libro Blue Mind. Mente ed Acqua.

Come possiamo affrontare lo studio del cervello umano?

Ciò è possibile grazie allo sviluppo di tecniche e strumentazioni non invasive che hanno consentito agli scienziati di monitorarlo. Il primo di questi apparecchi è stato l’elettroencefalografo (EEG), basato sulla comprensione delle proprietà elettriche del tessuto vivente. Il primo impiego dell’EEG su esseri umani è avvenuto nel 1924.

L'elettroencefalografo (EEG)

Nel corso del Ventesimo secolo i tracciati EEG sono state impiegati sia come strumento diagnostico che per la ricerca.

Un EEG funziona perché i neuroni nel cervello attivandosi generano piccole cariche elettriche, e quando gruppi di neuroni si accendono insieme, creano un’“onda” elettrica che può essere rilevata e registrata. I dati vengono generati applicando gli elettrodi dell’EEG (spesso inseriti in una cuffia, una rete, o una fascia) sulla testa e monitorando i picchi e gli avvallamenti dell’elettricità generata nel cervello. (Per poter essere analizzato il segnale viene amplificato).

L’EEG può monitorare l’attività cerebrale individuando quale parte del cervello è coinvolta in un “evento cognitivo”: attraverso il tipo di onda cerebrale (alfa, beta, teta e delta, ciascuna corrispondente a una distinta gamma di frequenza e al corrispettivo livello di attività cerebrale, il che rende cruciale l’EEG per gli studi sul sonno), e attraverso l’attività anomala (come nell’epilessia, disturbo che produce schemi di picchi ravvicinati nell’attività elettrica del cervello). Certi elettroencefalografi sofisticati possono campionare in modo non invasivo sessantotto canali di dati ogni quattro millisecondi o anche meno, e registrare eventi elettrici della durata di un millisecondo.

I neuroscienziati cognitivi hanno scoperto che l’EEG può essere uno strumento estremamente utile per monitorare le funzioni

cerebrali come l’attenzione, le risposte emozionali, il modo in cui tratteniamo le informazioni e così via.

E in un eccitante sviluppo per chi di noi fa ricerca fuori dall’ambiente del laboratorio, gli elettroencefalografi stano diventando sempre più piccoli e più portatili, e alcuni assomigliano addirittura agli auricolari che si usano per i videogame al computer.

Altri strumenti di indagine del cervello

Tuttavia, i tracciati EEG indicano l’attività elettrica solo a una profondità superficiale, e molte funzioni critiche nel cervello hanno luogo a profondità molto maggiori. Per esplorarle, erano necessari altri strumenti. Negli ultimi cinquant’anni la RM (la buona vecchia risonanza magnetica), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione disingolo fotone (SPECT) sono state impiegate per produrre immagini dell’attività profonda del cervello monitorando i cambiamenti nel flusso sanguigno o nell’attività metabolica.

Ma mentre l’EEG si affida soltanto ai campi magnetici e alle onde radio, la PET e la SPECT impiegano isotopi radioattivi iniettati, il che ne limita l’utilità. Una nuova risposta è arrivata negli anni Novanta con la risonanza magnetica funzionale per immagini, o RMF.

La risonanza magnetica funzionale (RMF): cosa ci dice del cervello?

A seconda del compito che dev’essere svolto, aree diverse del cervello si attivano in momenti diversi. Una maggiore attività richiede più ossigeno, e questo provoca un incremento del flusso sanguigno in quelle aree cerebrali. Come i loro fratelli più anziani, le macchine per la RMF impiegano potenti campi magnetici per allineare i protoni degli atomi di idrogeno nel sangue, per poi rompere l’allineamento mediante l’uso di onde radio. Una RMF cerca le differenze nei segnali provenienti dagli atomi di idrogeno per distinguere tra diversi tipi di materia. Riallineandosi, i protoni emettono segnali diversi per il sangue ossigenato e per quello non ossigenato, e sono quei segnali a essere rilevati dall’apparecchio. Quando un soggetto intraprende un’attività, come stringere una mano o guardare una certa immagine, la RMF misura la percentuale di sangue ossigenato e non ossigenato, oppure il contrasto dipendente dal livello di ossigeno (BOLD) in diverse aree del cervello in quel dato momento.

Il computer della macchina quindi utilizza un sofisticato algoritmo per interpretare i dati ricevuti e rappresentarli nella forma di infinitesime unità tridimensionali dette voxel. Colori diversi vengono usati per indicare l’intensità dell’energia in quella particolare area, con il rosso che indica l’attività più intensa, e il porpora o il nero un’attività bassa o nulla. Quanto più brillante è il colore, tanto maggiore è l’attività in quella particolare regione del cervello, motivo

per cui si dice che un’area del cervello attivata “si accende”.

Negli ultimi vent’anni la RM è diventata il metodo preferito per misurare la funzione cerebrale, utilizzato da scienziati cognitivi, neurologi, neurobiologi, psicologi, neuroeconomisti e altri.


Blue Mind - Mente e Acqua — Libro >> https://bit.ly/3ZgCYGR

Il legame nascosto tra l'acqua e la nostra mente

Wallace J. Nichols

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martedì 21 marzo 2023

In principio era la Consapevolezza


In principio era la Consapevolezza: intervista al fisico Amit Goswami

Scienza e Fisica Quantistica

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Marianna Gualazzi - 20/03/2023

Nel suo film documentario The quantum activist lei parla di scienza materialistica e scienza della consapevolezza. Che cos’è per lei la “scienza materialistica” e quali sono i suoi limiti?

In realtà, ciò che critico è la metafisica. La scienza materialista, oggi come oggi, ci ha dato una tecnologia meravigliosa. Nessuno può negare i vantaggi che la scienza materialista ci ha dato, a partire dalla luce elettrica per arrivare a internet. Apprezzo molto tutte queste cose. Non ho alcun rimprovero da muovere a nessuno dei padri della scienza materialista: Newton, Einstein, Heisenberg, Schulsinger.

Questi sono nomi insigni che io venero, letteralmente. Il punto non è questo. Il punto è che la scienza materialista, a partire dagli anni Cinquanta, ha cominciato ad adottare un particolare tipo di metafisica dalla quale poi non si è più staccata. L’adozione di questa metafisica è inutile, perché la scienza non si deve fissare su una metafisica, fino a quando non è totalmente certa. La metafisica deve necessariamente essere priva di paradossi. La scienza che opera usando l’attuale concezione del mondo, la metafisica di cui sto parlando, la chiamo scienza materialista. Tale concezione del mondo, non necessaria, è la seguente: ogni cosa è composta di materia.

Sarebbe stato molto meglio definire questa scienza semplicemente come la scienza del mondo materiale, invece si è voluto a tutti i costi sostenere che non solo avevamo sviluppato la scienza del mondo materiale, ma che quest’ultimo era tutto ciò che esisteva, benché la fisica quantistica ci stesse già offrendo un grande paradosso: secondo la fisica quantica (che è la scienza del mondo materiale, la scienza estrema del mondo materiale) gli oggetti non sono altro che possibilità. E le interazioni materiali non possono mai trasformare queste possibilità in oggetti tangibili. Le interazioni materiali possono solo trasformare le possibilità in altre possibilità. Dunque, se abbiamo solo la materia e niente altro, è impossibile superare il paradosso quantico della misurazione: in che modo la nostra misurazione od osservazione crea le possibilità, trasforma alcune possibilità negli eventi concreti della nostra esperienza.

Questo paradosso era già noto.

Ma c’era un altro paradosso: quello della percezione. In tutte le percezioni, noi non percepiamo soltanto gli oggetti, ma anche il nostro essere dei soggetti. Il filosofo David Chalmers ha fatto notare – e in questo è stato bravissimo – che partendo dagli oggetti, possiamo sempre e solo spiegare altri oggetti. Non possiamo mai spiegare il soggetto. Dunque, questa scissione soggetto/oggetto, presente all’interno di tutte le percezioni ordinarie, resta un notevole paradosso del materialismo scientifico.

Esistono però molti altri paradossi del genere. Per esempio: come distinguere la vita dalla non-vita, l’inconscio dal conscio.

Signor Goswami, cos’è la scienza basata sulla consapevolezza? Quali ne sono le origini e cosa c’è di nuovo in essa?

Le origini, ovviamente, vanno ricercate nel mutamento, richiesto da tutto il mondo, nel nostro modo di fare scienza. Oggi come oggi, infatti, facciamo scienza partendo da una metafisica materialista secondo la quale la materia è il fondamento di tutto l’essere. Ciò non solo impedisce alla consapevolezza e alla spiritualità di essere forze trainanti della nostra società e della nostra vita, ma relega in secondo piano le arti e le discipline umanistiche.

Ciò non è ammissibile. Se davvero tutte le cause risalissero alle particelle elementari e alle loro interazioni, non avremmo il libero arbitrio, ma quest’ultimo è evidente in tutto ciò che facciamo, nella nostra creatività e nell’agire stesso degli scienziati. Einstein non avrebbe mai scoperto la Teoria della Relatività se fosse stato solo una macchina materiale. Quindi, la mia domanda è: “Perché non nutriamo un po’ di sano scetticismo verso questa filosofia?”. È incredibile, per me, che tutte quelle persone intelligenti capaci di costruire grandi acceleratori e condurre ricerche, diciamo così, avventurose, non nutrano poi il minimo dubbio sulla loro metafisica di base, secondo la quale tutto è solo e unicamente materia. La mente, la consapevolezza, non sono altro che epifenomeni del cervello. Se davvero fossimo fatti in questo modo, non esisterebbe il libero arbitrio, la libertà di dare un nuovo significato alle cose.

In alte parole, non avremmo alcuna creatività. La creatività è la scoperta di un significato nuovo, di un contesto inedito all’interno del quale assegnare nuovi significati. Ma se è impossibile elaborare significati, non esiste nulla di simile alla creatività.Roger Penrose ha dimostrato che il processo del significato non può essere svolto dalla materia, dal computer. Per cui, l’attuale concezione del mondo esclude il significato, ma anche il sentimento, perché quest’ultimo non può essere computato. Essa permette solo il pensiero computabile, la materia e la percezione.

Quindi, delle nostre quattro possibili esperienze – percezione, sentimento, pensiero e intuizione – due sono tagliate fuori, e se escludiamo anche la possibilità di creare significati nuovi, ci restano soltanto un’esperienza e mezza: la percezione e la parte computabile del pensiero. Che genere di immagine di noi stessi ricaviamo da tale tipo di scienza? Per questo, io sono dell’opinione che dobbiamo cambiare. Dobbiamo porre la nuova concezione della consapevolezza mondiale alla base di tutto l’essere, perché la fisica quantistica ci insegna ad includere tutte e quattro queste esperienze. La fisica quantistica semplicemente afferma che se la materia consiste in possibilità di consapevolezza, allora anche la mente, le energie vitali che percepiamo e gli archetipi che intuiamo possono rientrare tra le possibilità della consapevolezza, e se qualcuno solleva l’obiezione del dualismo, la mia risposta è molto semplice: qual è il mediatore tra la mente e la materia?

La consapevolezza. E in che modo si attua questa mediazione? Tramite la comunicazione non-locale, una comunicazione che non richiede segnali, perché essi fanno tutti parte della consapevolezza stessa. La consapevolezza interagisce con se stessa. Non richiede segnali locali, per cui non viene violata nessuna legge fisica.

Perché la scienza basata sulla consapevolezza funziona? C’è qualche fenomeno che la scienza tradizionale non sa spiegare e che invece diventa chiaro alla luce della scienza basata sulla consapevolezza?

Ci sono dei fenomeni molto particolari che non potranno mai essere spiegati dalla scienza basata sulla materia. Si tratta di fenomeni che postulano la non-località, la comunicazione senza segnali, la discontinuità, il salto quantico che fa a meno delle fasi intermedie e la gerarchia complicata (un tipo di gerarchia di livelli così elaborata da rendere inevitabile una discontinuità).

Questo sistema va considerato un tutt’uno a cui non si può pervenire mediante il processo razionale, la sintesi dai substrati di base. Mi lasci fare degli esempi. La non-località è stata ormai oggetto di molti e diversi esperimenti, il migliore (e l’ultimo) dei quali è quello sul potenziale di trasferimento. L’attività elettrica viene trasferita da un cervello a un altro senza alcun contatto elettrico. Ebbene, questo esperimento è stato ripetuto da cinque gruppi diversi in altrettanti laboratori sparsi per il mondo. Dunque, le probabilità che sia corretto sono molto elevate. Ci troviamo di fronte, a livello materiale, a una connessione non-locale tra due persone. Poi c’è la discontinuità. Le dirò che è la nostra stessa creatività a essere caratterizzata da questo salto quantico discontinuo. Esso fa parte del processo creativo, come è stato accertato dalle ricerche sull’argomento che vengono condotte ormai da un centinaio di anni.

Non solo: disponiamo anche di dati oggettivi, perché esiste la guarigione quantica, la guarigione che ha luogo spontaneamente senza alcun intervento medico. È noto che ci sono stati casi di tumori spariti in una sola notte. Non esiste altra spiegazione di questo fenomeno che la guarigione quantica, ovvero un salto quantico, all’interno del processo di pensiero, che ha rimosso un blocco emotivo, liberando così profondamente il movimento dell’energia che l’intero sistema immunitario è tornato a funzionare correttamente. In tal modo, un tumore può sparire nell’arco di una sola notte.

Questi processi postulano, ancora una volta, l’idea della discontinuità in modo così convincente che non abbiamo altra scelta che accettare la nuova concezione, dal momento che quella vecchia (il materialismo) ha un grosso difetto: le interazioni materiali non possono mai simulare la discontinuità. Esse sono continue.

Veniamo infine alla gerarchia complicata. Qui desidero lanciare ai materialisti una sfida: due teoremi dell’impossibilità. Il primo teorema è che è impossibile costruire una cellula vivente partendo dalle componenti di base, le molecole. In altre parole, non si può costruire una cellula vivente perché è fondamentalmente un tutto organico. È impossibile scinderla nei suoi componenti, perché ha in sé una gerarchia complicata. Possiede al proprio interno una discontinuità.

È possibile costruire una cosa, passo dopo passo, solo se è un processo continuo. Se nella struttura c’è una discontinuità, non si può edificare passo dopo passo. E questo rende improbabile la creazione di una macchina conscia. Da qui il mio secondo teorema dell’impossibilità: è impossibile costruire un computer conscio in laboratorio. Vediamo se i materialisti riusciranno a risolvere questi due problemi: se sì, tanto di cappello. Accetterò il materialismo.

Consapevolezza e materia: secondo lei, c’è davvero una contrapposizione?

No: e il punto è proprio questo. La consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere, inclusa la materia. La materia consiste di onde di possibilità tra cui la consapevolezza può scegliere. Considerando le cose in questo modo, si possono spiegare anomalie come l’effetto osservatore, paradossi come quello della misurazione quantica e molti altri ancora. Prima ho cominciato a spiegare il paradosso della percezione. Tutte queste cose possono essere spiegate benissimo dalla nuova scienza. Di fatto, stiamo assistendo alla nascita di una scienza libera da paradossi, a patto che cominciamo a lavorare con l’idea che la consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere.

Esistono prove scientifiche del fatto che la consapevolezza è il fondamento della realtà?

Sì, disponiamo di un’enorme mole di dati scientifici che dimostrano come la consapevolezza sia il fondamento dell’essere: non mi riferisco solo ai paradossi, ma anche ai dati anomali. A tal proposito, uno dei fatti più notevoli è quello che i dati fossili, i ben noti dati fossili, presentano degli intervalli, chiamati intervalli fossili. Secondo la teoria di Darwin, che è una teoria materialista – essa postula solo la materia e le interazioni materiali – esiste un’evoluzione continua da una specie all’altra. In realtà, si tratta di una teoria dell’adattamento. Se l’ambiente muta costantemente, altrettanto costantemente mutano le specie.

Questa era l’idea di partenza: affrontare l’ambiente adattandosi a esso. Per cui, la teoria di Darwin richiede che l’evoluzione sia lenta e continua. Però si dà il caso che esistano ere prive di dati fossili.Provo a spiegarmi meglio con un esempio: prendiamo il caso dell’occhio. Una trasformazione del genere richiede migliaia di migliaia di mutazioni genetiche. La singola mutazione genetica – diciamo un millesimo di un occhio – non è sufficiente. Non ha valore ai fini della sopravvivenza. Quindi, secondo la teoria della selezione naturale di Darwin, essa verrà eliminata automaticamente, perché la selezione naturale opera solo in base al criterio della sopravvivenza. Se un cambiamento non ha valore ai fini della sopravvivenza, non può affermarsi nell’organismo. È semplicissimo. Non si può pensare che migliaia di migliaia di mutazioni simili sfuggano alla selezione naturale e in qualche modo rendano possibile l’evoluzione di una specie in una specie nuova, dotata di un nuovo organo.

Non può succedere, se è vera la teoria di Darwin. Quindi, la nuova teoria (quella basata sulla consapevolezza) sostiene che qui ci troviamo di fronte a un caso di salto quantico. Ecco un esempio di transizione da una specie a un’altra, dotata di un nuovo organo, attraverso il processo della creatività. Il salto quantico è il processo nel quale non occorrono passi intermedi. È un balzo da uno stadio a un altro, senza fasi di transizione. E questo è esattamente ciò che accade nell’evoluzione biologica. Ecco un ottimo esempio delle prove che lei mi ha chiesto. La discontinuità non può mai essere simulata da interazioni materiali. E dinanzi a questi intervalli fossili, abbiamo una prova della discontinuità.

Questo è un esempio, ma ce ne sono molti altri. Prima ho accennato alla percezione quantica: essa rappresenta un altro caso.La non-località, la parapsicologia che ho prima menzionato, sono tutti ottimi esempi che ci portano a ritenere giusta la nuova concezione e sbagliata la vecchia, perché la non-località fa parte della nuova concezione. La consapevolezza è non-locale, mentre l’interazione materiale non può mai essere non-locale.Poi vi sono le prove dell’esistenza dei corpi sottili, non-materiali, a proposito dei quali disponiamo di dati concernenti la reincarnazione, ovvero il fatto che quando moriamo, una parte di noi, i nostri schemi abitudinari, sopravvive alla morte. Perché avviene questo? Perché tale ricordo degli schemi abitudinari non è locale, bensì non-locale.

Quando moriamo, i ricordi non-locali dell’apprendimento mentale e dell’apprendimento vitale sopravvivono, e poiché sono non-locali, possono venire ereditati, in futuro, da un neonato. Eccoci quindi di fronte a un’eccellente teoria della reincarnazione. Naturalmente, i dati sulla reincarnazione oggi sono molto solidi – i primi risalgono a una cinquantina di anni fa – e a essi bisogna aggiungere le esperienze di pre-morte, a loro volta assai ben documentate. Nell’insieme, questi elementi ci forniscono una prova convincente che la sopravvivenza alla morte è una realtà, non una fantasia.

In questo contesto, di cosa parliamo quando parliamo di Dio?

Sono contento che lei abbia posto questa domanda. Dio è una domanda scientifica, perché Egli è dove è: si tratta di una nuova fonte della causalità. Esiste la causalità materiale: non vi sono dubbi su di essa. La scienza materialista è certamente un lato della medaglia: questo è indiscutibile, perché le interazioni materiali tra particelle elementari producono possibilità. Poi, però, abbiamo bisogno della consapevolezza per scegliere tra queste possibilità.

Questo lato della medaglia viene ignorato dal materialismo. Quindi, deve esistere un altro tipo di causalità, una causalità che consista nello scegliere, tra le varie possibilità, l’evento concreto dell’esperienza: questa la chiamiamo “causalità discendente”. La sua fonte, però, potremmo anche chiamarla Dio. A questo proposito, le dico una cosa che potrebbe interessarla. Non mi importa se agli atei la parola Dio non piace e preferirebbero chiamare questa fonte in altro modo.

Questo Dio che stiamo scoprendo è un Dio oggettivo. Quindi, se vuole, può anche chiamarla “consapevolezza quantica”, eliminando tutta quell’emotività che gli scienziati materialisti associano alla parola “Dio”. Qualunque nome scegliamo, l’essenza è ciò che importa, e l’essenza è la causalità discendente. L’essenza è l’esistenza dei corpi sottili. Si tratta di due cose ormai riconosciute a livello sperimentale, per cui dico sempre che la prova scientifica di Dio già esiste. La sola domanda è: cosa vogliamo farci?

Chi è Amit Goswami

Amit Goswami ha conseguito il suo dottorato in Fisica teoretica e nucleare all’Università di Calcutta nel 1964 ed è stato professore di Fisica all’Università dell’Oregon dal 1968.

Ha insegnato fisica per trentadue anni nel suo Paese, in gran parte in Oregon, prima di ritirarsi completamente, nel 2003.

Il professor Goswami è stato anche uno studioso all’Istituto di Scienze Noetiche dal 1998 al 2000.Amit Goswami è pioniere di un paradigma scientifico multidisciplinare fondato sul primato della coscienza. La sua ricerca è stata pubblicata nelle riviste scientifiche in tre diversi campi: fisica, biologia e psicologia.

 

The Quantum Activist - La Rivoluzione Quantica — DVD >> https://bit.ly/3LEkE7f

Ripensare la Scienza per cambiare il mondo

Amit Goswami

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Amit Goswami

Guida Quantica all'Illuminazione

L'integrazione tra scienza e coscienza - Un libro per sempre

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