In principio era la Consapevolezza: intervista al fisico
Amit Goswami
Scienza e Fisica Quantistica
>> https://bit.ly/3LEkE7f
Marianna Gualazzi - 20/03/2023
Nel suo film documentario The quantum activist lei parla
di scienza materialistica e scienza della consapevolezza. Che cos’è per lei la
“scienza materialistica” e quali sono i suoi limiti?
In realtà, ciò che critico è la metafisica. La scienza
materialista, oggi come oggi, ci ha dato una tecnologia meravigliosa. Nessuno
può negare i vantaggi che la scienza materialista ci ha dato, a partire dalla
luce elettrica per arrivare a internet. Apprezzo molto tutte queste cose. Non
ho alcun rimprovero da muovere a nessuno dei padri della scienza materialista:
Newton, Einstein, Heisenberg, Schulsinger.
Questi sono nomi insigni che io venero, letteralmente. Il
punto non è questo. Il punto è che la scienza materialista, a partire dagli
anni Cinquanta, ha cominciato ad adottare un particolare tipo di metafisica
dalla quale poi non si è più staccata. L’adozione di questa metafisica è
inutile, perché la scienza non si deve fissare su una metafisica, fino a quando
non è totalmente certa. La metafisica deve necessariamente essere priva di
paradossi. La scienza che opera usando l’attuale concezione del mondo, la
metafisica di cui sto parlando, la chiamo scienza materialista. Tale concezione
del mondo, non necessaria, è la seguente: ogni cosa è composta di materia.
Sarebbe stato molto meglio definire questa scienza
semplicemente come la scienza del mondo materiale, invece si è voluto a tutti i
costi sostenere che non solo avevamo sviluppato la scienza del mondo materiale,
ma che quest’ultimo era tutto ciò che esisteva, benché la fisica quantistica ci
stesse già offrendo un grande paradosso: secondo la fisica quantica (che è la
scienza del mondo materiale, la scienza estrema del mondo materiale) gli
oggetti non sono altro che possibilità. E le interazioni materiali non possono
mai trasformare queste possibilità in oggetti tangibili. Le interazioni
materiali possono solo trasformare le possibilità in altre possibilità. Dunque,
se abbiamo solo la materia e niente altro, è impossibile superare il paradosso
quantico della misurazione: in che modo la nostra misurazione od osservazione
crea le possibilità, trasforma alcune possibilità negli eventi concreti della
nostra esperienza.
Questo paradosso era già noto.
Ma c’era un altro paradosso: quello della percezione. In
tutte le percezioni, noi non percepiamo soltanto gli oggetti, ma anche il
nostro essere dei soggetti. Il filosofo David Chalmers ha fatto notare – e in
questo è stato bravissimo – che partendo dagli oggetti, possiamo sempre e solo
spiegare altri oggetti. Non possiamo mai spiegare il soggetto. Dunque, questa
scissione soggetto/oggetto, presente all’interno di tutte le percezioni
ordinarie, resta un notevole paradosso del materialismo scientifico.
Esistono però molti altri paradossi del genere. Per
esempio: come distinguere la vita dalla non-vita, l’inconscio dal conscio.
Signor Goswami, cos’è la scienza basata sulla
consapevolezza? Quali ne sono le origini e cosa c’è di nuovo in essa?
Le origini, ovviamente, vanno ricercate nel mutamento,
richiesto da tutto il mondo, nel nostro modo di fare scienza. Oggi come oggi,
infatti, facciamo scienza partendo da una metafisica materialista secondo la
quale la materia è il fondamento di tutto l’essere. Ciò non solo impedisce alla
consapevolezza e alla spiritualità di essere forze trainanti della nostra
società e della nostra vita, ma relega in secondo piano le arti e le discipline
umanistiche.
Ciò non è ammissibile. Se davvero tutte le cause
risalissero alle particelle elementari e alle loro interazioni, non avremmo il
libero arbitrio, ma quest’ultimo è evidente in tutto ciò che facciamo, nella
nostra creatività e nell’agire stesso degli scienziati. Einstein non avrebbe
mai scoperto la Teoria della Relatività se fosse stato solo una macchina
materiale. Quindi, la mia domanda è: “Perché non nutriamo un po’ di sano
scetticismo verso questa filosofia?”. È incredibile, per me, che tutte quelle
persone intelligenti capaci di costruire grandi acceleratori e condurre
ricerche, diciamo così, avventurose, non nutrano poi il minimo dubbio sulla loro
metafisica di base, secondo la quale tutto è solo e unicamente materia. La
mente, la consapevolezza, non sono altro che epifenomeni del cervello. Se
davvero fossimo fatti in questo modo, non esisterebbe il libero arbitrio, la
libertà di dare un nuovo significato alle cose.
In alte parole, non avremmo alcuna creatività. La
creatività è la scoperta di un significato nuovo, di un contesto inedito
all’interno del quale assegnare nuovi significati. Ma se è impossibile
elaborare significati, non esiste nulla di simile alla creatività.
Roger
Penrose ha dimostrato che il processo del significato non può essere svolto
dalla materia, dal computer. Per cui, l’attuale concezione del mondo esclude il
significato, ma anche il sentimento, perché quest’ultimo non può essere
computato. Essa permette solo il pensiero computabile, la materia e la
percezione.
Quindi, delle nostre quattro possibili esperienze –
percezione, sentimento, pensiero e intuizione – due sono tagliate fuori, e se
escludiamo anche la possibilità di creare significati nuovi, ci restano
soltanto un’esperienza e mezza: la percezione e la parte computabile del
pensiero. Che genere di immagine di noi stessi ricaviamo da tale tipo di
scienza? Per questo, io sono dell’opinione che dobbiamo cambiare. Dobbiamo porre
la nuova concezione della consapevolezza mondiale alla base di tutto l’essere,
perché la fisica quantistica ci insegna ad includere tutte e quattro queste
esperienze. La fisica quantistica semplicemente afferma che se la materia
consiste in possibilità di consapevolezza, allora anche la mente, le energie
vitali che percepiamo e gli archetipi che intuiamo possono rientrare tra le
possibilità della consapevolezza, e se qualcuno solleva l’obiezione del
dualismo, la mia risposta è molto semplice: qual è il mediatore tra la mente e
la materia?
La consapevolezza. E in che modo si attua questa
mediazione? Tramite la comunicazione non-locale, una comunicazione che non
richiede segnali, perché essi fanno tutti parte della consapevolezza stessa. La
consapevolezza interagisce con se stessa. Non richiede segnali locali, per cui
non viene violata nessuna legge fisica.
Perché la scienza basata sulla consapevolezza funziona?
C’è qualche fenomeno che la scienza tradizionale non sa spiegare e che invece
diventa chiaro alla luce della scienza basata sulla consapevolezza?
Ci sono dei fenomeni molto particolari che non potranno
mai essere spiegati dalla scienza basata sulla materia. Si tratta di fenomeni
che postulano la non-località, la comunicazione senza segnali, la
discontinuità, il salto quantico che fa a meno delle fasi intermedie e la
gerarchia complicata (un tipo di gerarchia di livelli così elaborata da rendere
inevitabile una discontinuità).
Questo sistema va considerato un tutt’uno a cui non si
può pervenire mediante il processo razionale, la sintesi dai substrati di base.
Mi lasci fare degli esempi. La non-località è stata ormai oggetto di molti e
diversi esperimenti, il migliore (e l’ultimo) dei quali è quello sul potenziale
di trasferimento. L’attività elettrica viene trasferita da un cervello a un
altro senza alcun contatto elettrico. Ebbene, questo esperimento è stato
ripetuto da cinque gruppi diversi in altrettanti laboratori sparsi per il
mondo. Dunque, le probabilità che sia corretto sono molto elevate. Ci troviamo
di fronte, a livello materiale, a una connessione non-locale tra due persone.
Poi c’è la discontinuità. Le dirò che è la nostra stessa creatività a essere
caratterizzata da questo salto quantico discontinuo. Esso fa parte del processo
creativo, come è stato accertato dalle ricerche sull’argomento che vengono
condotte ormai da un centinaio di anni.
Non solo: disponiamo anche di dati oggettivi, perché
esiste la guarigione quantica, la guarigione che ha luogo spontaneamente senza
alcun intervento medico. È noto che ci sono stati casi di tumori spariti in una
sola notte. Non esiste altra spiegazione di questo fenomeno che la guarigione
quantica, ovvero un salto quantico, all’interno del processo di pensiero, che
ha rimosso un blocco emotivo, liberando così profondamente il movimento dell’energia
che l’intero sistema immunitario è tornato a funzionare correttamente. In tal
modo, un tumore può sparire nell’arco di una sola notte.
Questi processi postulano, ancora una volta, l’idea della
discontinuità in modo così convincente che non abbiamo altra scelta che
accettare la nuova concezione, dal momento che quella vecchia (il materialismo)
ha un grosso difetto: le interazioni materiali non possono mai simulare la
discontinuità. Esse sono continue.
Veniamo infine alla gerarchia complicata. Qui desidero
lanciare ai materialisti una sfida: due teoremi dell’impossibilità. Il primo
teorema è che è impossibile costruire una cellula vivente partendo dalle
componenti di base, le molecole. In altre parole, non si può costruire una
cellula vivente perché è fondamentalmente un tutto organico. È impossibile
scinderla nei suoi componenti, perché ha in sé una gerarchia complicata.
Possiede al proprio interno una discontinuità.
È possibile costruire una cosa, passo dopo passo, solo se
è un processo continuo. Se nella struttura c’è una discontinuità, non si può
edificare passo dopo passo. E questo rende improbabile la creazione di una
macchina conscia. Da qui il mio secondo teorema dell’impossibilità: è
impossibile costruire un computer conscio in laboratorio. Vediamo se i
materialisti riusciranno a risolvere questi due problemi: se sì, tanto di
cappello. Accetterò il materialismo.
Consapevolezza e materia: secondo lei, c’è davvero una
contrapposizione?
No: e il punto è proprio questo. La consapevolezza è il
fondamento di tutto l’essere, inclusa la materia. La materia consiste di onde
di possibilità tra cui la consapevolezza può scegliere. Considerando le cose in
questo modo, si possono spiegare anomalie come l’effetto osservatore, paradossi
come quello della misurazione quantica e molti altri ancora. Prima ho
cominciato a spiegare il paradosso della percezione. Tutte queste cose possono
essere spiegate benissimo dalla nuova scienza. Di fatto, stiamo assistendo alla
nascita di una scienza libera da paradossi, a patto che cominciamo a lavorare
con l’idea che la consapevolezza è il fondamento di tutto l’essere.
Esistono prove scientifiche del fatto che la
consapevolezza è il fondamento della realtà?
Sì, disponiamo di un’enorme mole di dati scientifici che
dimostrano come la consapevolezza sia il fondamento dell’essere: non mi
riferisco solo ai paradossi, ma anche ai dati anomali. A tal proposito, uno dei
fatti più notevoli è quello che i dati fossili, i ben noti dati fossili,
presentano degli intervalli, chiamati intervalli fossili. Secondo la teoria di
Darwin, che è una teoria materialista – essa postula solo la materia e le
interazioni materiali – esiste un’evoluzione continua da una specie all’altra.
In realtà, si tratta di una teoria dell’adattamento. Se l’ambiente muta
costantemente, altrettanto costantemente mutano le specie.
Questa era l’idea di partenza: affrontare l’ambiente
adattandosi a esso. Per cui, la teoria di Darwin richiede che l’evoluzione sia
lenta e continua. Però si dà il caso che esistano ere prive di dati fossili.
Provo
a spiegarmi meglio con un esempio: prendiamo il caso dell’occhio. Una
trasformazione del genere richiede migliaia di migliaia di mutazioni genetiche.
La singola mutazione genetica – diciamo un millesimo di un occhio – non è
sufficiente. Non ha valore ai fini della sopravvivenza. Quindi, secondo la
teoria della selezione naturale di Darwin, essa verrà eliminata
automaticamente, perché la selezione naturale opera solo in base al criterio
della sopravvivenza. Se un cambiamento non ha valore ai fini della
sopravvivenza, non può affermarsi nell’organismo. È semplicissimo. Non si può
pensare che migliaia di migliaia di mutazioni simili sfuggano alla selezione
naturale e in qualche modo rendano possibile l’evoluzione di una specie in una
specie nuova, dotata di un nuovo organo.
Non può succedere, se è vera la teoria di Darwin. Quindi,
la nuova teoria (quella basata sulla consapevolezza) sostiene che qui ci
troviamo di fronte a un caso di salto quantico. Ecco un esempio di transizione
da una specie a un’altra, dotata di un nuovo organo, attraverso il processo
della creatività. Il salto quantico è il processo nel quale non occorrono passi
intermedi. È un balzo da uno stadio a un altro, senza fasi di transizione. E
questo è esattamente ciò che accade nell’evoluzione biologica. Ecco un ottimo
esempio delle prove che lei mi ha chiesto. La discontinuità non può mai essere
simulata da interazioni materiali. E dinanzi a questi intervalli fossili,
abbiamo una prova della discontinuità.
Questo è un esempio, ma ce ne sono molti altri. Prima ho
accennato alla percezione quantica: essa rappresenta un altro caso.
La
non-località, la parapsicologia che ho prima menzionato, sono tutti ottimi
esempi che ci portano a ritenere giusta la nuova concezione e sbagliata la
vecchia, perché la non-località fa parte della nuova concezione. La
consapevolezza è non-locale, mentre l’interazione materiale non può mai essere
non-locale.
Poi vi sono le prove dell’esistenza dei corpi sottili,
non-materiali, a proposito dei quali disponiamo di dati concernenti la
reincarnazione, ovvero il fatto che quando moriamo, una parte di noi, i nostri
schemi abitudinari, sopravvive alla morte. Perché avviene questo? Perché tale
ricordo degli schemi abitudinari non è locale, bensì non-locale.
Quando moriamo, i ricordi non-locali dell’apprendimento
mentale e dell’apprendimento vitale sopravvivono, e poiché sono non-locali,
possono venire ereditati, in futuro, da un neonato. Eccoci quindi di fronte a
un’eccellente teoria della reincarnazione. Naturalmente, i dati sulla
reincarnazione oggi sono molto solidi – i primi risalgono a una cinquantina di
anni fa – e a essi bisogna aggiungere le esperienze di pre-morte, a loro volta
assai ben documentate. Nell’insieme, questi elementi ci forniscono una prova
convincente che la sopravvivenza alla morte è una realtà, non una fantasia.
In questo contesto, di cosa parliamo quando parliamo di
Dio?
Sono contento che lei abbia posto questa domanda. Dio è
una domanda scientifica, perché Egli è dove è: si tratta di una nuova fonte
della causalità. Esiste la causalità materiale: non vi sono dubbi su di essa.
La scienza materialista è certamente un lato della medaglia: questo è
indiscutibile, perché le interazioni materiali tra particelle elementari
producono possibilità. Poi, però, abbiamo bisogno della consapevolezza per
scegliere tra queste possibilità.
Questo lato della medaglia viene ignorato dal materialismo.
Quindi, deve esistere un altro tipo di causalità, una causalità che consista
nello scegliere, tra le varie possibilità, l’evento concreto dell’esperienza:
questa la chiamiamo “causalità discendente”. La sua fonte, però, potremmo anche
chiamarla Dio. A questo proposito, le dico una cosa che potrebbe interessarla.
Non mi importa se agli atei la parola Dio non piace e preferirebbero chiamare
questa fonte in altro modo.
Questo Dio che stiamo scoprendo è un Dio oggettivo.
Quindi, se vuole, può anche chiamarla “consapevolezza quantica”, eliminando
tutta quell’emotività che gli scienziati materialisti associano alla parola
“Dio”. Qualunque nome scegliamo, l’essenza è ciò che importa, e l’essenza è la
causalità discendente. L’essenza è l’esistenza dei corpi sottili. Si tratta di
due cose ormai riconosciute a livello sperimentale, per cui dico sempre che la
prova scientifica di Dio già esiste. La sola domanda è: cosa vogliamo farci?
Chi è Amit Goswami
Amit Goswami ha conseguito il suo dottorato in Fisica
teoretica e nucleare all’Università di Calcutta nel 1964 ed è stato professore
di Fisica all’Università dell’Oregon dal 1968.
Ha insegnato fisica per trentadue anni nel suo Paese, in
gran parte in Oregon, prima di ritirarsi completamente, nel 2003.
Il professor Goswami è stato anche uno studioso
all’Istituto di Scienze Noetiche dal 1998 al 2000.
Amit Goswami è
pioniere di un paradigma scientifico multidisciplinare fondato sul primato
della coscienza. La sua ricerca è stata pubblicata nelle riviste scientifiche
in tre diversi campi: fisica, biologia e psicologia.
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Ripensare la Scienza per cambiare il mondo
Amit Goswami
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Amit Goswami
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