venerdì 29 dicembre 2023

L'impronta dell'entropia nella fisiologia umana

L'impronta dell'entropia nella fisiologia umana

Scienza e Fisica Quantistica

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La seconda legge della termodinamica conferma la sua trasversalità in tutto l’Universo fisico. L’impronta dell’entropia è riconoscibile anche nell’ambito della fisiologia umana quando nell’organismo, o in sue parti, intervengono modificazioni a seguito di interazioni con l’ambiente esterno.

Fausto Bersani Greggio - 27/12/2023

Il rapporto stimolo – risposta

Gli organi di senso rappresentano la base biologica della percezione. Nell’uomo completano la loro maturazione entro i primi 4-5 mesi di vita e la loro funzione è quella di registrare i cambiamenti che avvengono nell’ambiente e trasmetterli al cervello.

Per esempio il sistema visivo è sensibile alla luce emessa o riflessa da un oggetto (energia elettromagnetica) e i diversi sistemi sensoriali la traducono in impulsi nervosi.

Lo stesso dicasi per i suoni percepiti dal nostro apparato uditivo.

Ogni organo di senso comporta una trasduzione, ossia la modificazione di un tipo di energia presente nell’ambiente (ad esempio onde luminose o sonore) in segnali neuronali, ossia un altro tipo di energia.

Inoltre i sensi non rispondono solo alla stimolazione di una particolare forma di energia, ma devono anche fornire percezioni differenziate a fronte di eventuali variazioni del segnale esterno.

In sostanza ogni forma di energia può variare secondo due modalità: quantitativa e qualitativa.

Nella fase di registrazione i nostri organi di senso, come tutti gli strumenti di misura, sono però vincolati da alcuni limiti.

Il primo è legato al fatto che ogni sistema è sensibile solo ad un particolare tipo di energia.

Ciò comporta che molti altri stimoli possono essere presenti nell’ambiente ma noi non possiamo avvertirli, perché il nostro sistema sensoriale non è capace di rilevarli (1), almeno non in tempo reale. Di  questo problema me ne occuperò nell’ultima parte.

Un altro limite è rappresentato dall’intensità dello stimolo.

Questo vuol dire che qualsiasi stimolo fisico deve raggiungere un livello minimo per suscitare una sensazione. Tale livello, chiamato soglia assoluta, segna il confine fra gli stimoli che vengono recepiti dall’organismo (stimoli sovraliminari) e gli stimoli che, pur essendo presenti, non sono avvertiti dall’organismo (stimoli infraliminari) [1].

Un importante contributo in questo ambito venne dallo studio della fisiologia dell’occhio. Infatti si può dimostrare che l’occhio umano reagisce alla sensazione della luce in modo logaritmico. Per dare un idea, proviamo a immaginarci dentro una stanza completamente buia, e supponiamo di cominciare ad accendere una lampadina. La prima sensazione che proveremo sarà quella di essere quasi abbagliati da questa luce. Supponiamo adesso di accendere una seconda lampadina di uguale intensità. Adesso non percepiremo più questo secondo evento con una sensazione di abbaglio, ma semplicemente vedremo la stanza più luminosa. All’accensione di una terza lampadina la sensazione di abbaglio sarà sempre meno intensa e così via.

Altro esempio lo possiamo formulare pensando all’udito. Quando siamo fermi ad un semaforo per aspettare il verde e ad un tratto sentiamo il suono di un clacson lo avvertiamo in maniera molto netta provocandoci una sensazione molto intensa. Se a questo primo si aggiunge un secondo clacson non percepiremo una sensazione di intensità doppia rispetto alla precedente.

Un altro caso di relazione esistente tra stimolo e percezione può essere realizzato con un esperimento consistente nell'incrementare, di una certa quantità, il peso di un oggetto sostenuto da una persona. La percezione di tale stimolo (l'incremento di peso) risulta essere tanto meno accentuata, quanto più pesante è l'oggetto: ad esempio aggiungere 1 kg ad un oggetto il cui peso è di 50 g risulta essere percepito in maniera più gravosa rispetto ad aggiungere 1 kg ad un oggetto il cui peso iniziale è di 20 kg. In altri termini aumenti graduali e costanti del peso fisico si accompagnano ad aumenti via via sempre più deboli della sensazione di pesantezza.

La differenza appena percepibile pare sia una costante, che ha un valore specifico per ogni modalità sensoriale e misura l'intensità di uno stimolo dicendoci di quanto esso deve variare per essere percepito come diverso da un altro (Legge di Weber-Fechner).

Tornando all’esempio delle lampadine, nella rappresentazione grafica che mette in relazione lo stimolo con la risposta (v. fig.1), all’inizio ci sarà un plateau dovuto all’assenza di luce o comunque alla presenza di stimoli talmente deboli da essere al di sotto della soglia percettiva (stimoli infraliminari). Via via che il numero di lampadine aumenta ci sarà un incremento della percezione della luce che poi si trasformerà ancora in un plateau con una lenta crescita quando il numero delle sorgenti accese sarà sufficientemente elevato per cui l’occhio non sarà più in grado di apprezzarne la differenza. Quindi la curva sarà costituita da una soglia iniziale, seguita da un andamento di crescita approssimativamente lineare e quindi da una saturazione:

https://www.scienzaeconoscenza.it/data/upload/Schermata%202017-07-24%20alle%2014.08.53.png  

fig. 1

Volendo semplificare, diremo che la risposta degli organi di senso presenta una curva con un andamento logaritmico, per cui noi possiamo descrivere la “sensazione” (risposta) come una costante (k) che moltiplica il logaritmo della “Intensità del segnale” (stimolo), più una costante che è dipendente dalla soglia:

R = k ·ln I + costante                       (1)

Entropia e statistica

In fisica esiste una grandezza che quando viene nominata incute soggezione e allo stesso tempo suscita fascino: l’entropia. A livello microscopico, tutte le leggi fisiche sono stranamente reversibili nel tempo, tuttavia a livello macroscopico, quando viene coinvolto un numero elevato di particelle, il tempo presenta una freccia ben definita: l’inchiostro versato in un bicchiere contenente acqua si diffonderà e si mescolerà, non si separerà mai dalla soluzione acquosa per tornare nel contagocce, quest’ultima sequenza è contraria al nostro senso del tempo.

L’uomo che diede un significato a tutto ciò fu Ludwig Boltzmann il quale, non preso molto sul serio dai suoi contemporanei, oggi viene considerato uno dei geni della fisica. Nella seconda metà del XIX secolo, intuì per primo che l’entropia, una grandezza già nota in fisica, in particolare nel secondo principio della termodinamica, era una misura del disordine di un sistema.

In particolare propose che fosse da mettere in relazione con il numero dei diversi modi microscopici (microstati) attraverso i quali si può ottenere una situazione osservabile sul piano macroscopico (macrostato) (2).

Un microstato di un sistema termodinamico rappresenta una precisa configurazione dei suoi parametri microscopici (per esempio masse, posizioni e velocità di tutte le molecole che costituiscono il sistema). Un macrostato rappresenta invece una condizione con valori ben determinati di pressione, volume e temperatura, tutte grandezze macroscopiche.

Inoltre, mentre ad ogni microstato possiamo associare uno ed un solo macrostato, ad ogni macrostato possono corrispondere più microstati possibili.

Pensiamo ad esempio alle molecole di un gas che, occupando il medesimo volume, possono avere velocità e posizioni molto diverse pur mantenendo la stessa energia cinetica media e quindi la stessa temperatura misurabile a livello macroscopico con un termometro.

Il risultato fondamentale a cui giunse Boltzmann fu che l’entropia S può essere calcolata, a meno di una costante, con un’espressione logaritmica del tipo:

S = k ·ln W + costante          (2)

in cui W rappresenta il numero di possibili modi equivalenti su scala microscopica (microstati) in cui le molecole possono essere organizzate fra loro per dare lo stesso stato macroscopico (macrostato) [2].

Boltzmann riuscì a trovare il legame tra il concetto termodinamico di entropia e quello di disordine passando attraverso una chiave di lettura statistica: qualsiasi situazione definita in modo tale da poter essere descritta in pochi modi diversi viene riconosciuta come ordinata e meno probabile. Al contrario, una qualsiasi situazione che possa essere descritta in molti modi, tutti equivalenti, viene detta disordinata e più probabile.

Quando nel secondo principio della termodinamica si afferma che l’entropia totale dell’Universo è in continuo aumento arriviamo a uno dei concetti più importanti di tutta la scienza: in un qualsiasi processo reale e spontaneo il disordine dell’Universo aumenta sempre. Anche se il moto di ogni singola particella è reversibile nel tempo, non lo è la tendenza verso l’aumento del “disordine” di una grande collezione di particelle. In questo consiste la freccia del tempo, ossia nel divenire macroscopico dell’Universo da uno stato di maggiore ordine, e meno probabile, ad uno di maggiore disordine, e più probabile, proprio come nel caso dell’inchiostro nell’acqua.

Tentiamo una sintesi

Alla luce di quanto sopra esposto, viene spontaneo tentare una sintesi accattivante. Nelle varie trasformazioni energetiche che avvengono nell’Universo, l’energia totale rimane sempre costante (Primo principio della termodinamica) anche se la sua qualità subisce una sorta di degrado a causa dell’inevitabile tendenza al disordine. In altri termini, ad ogni passaggio successivo, è come se l’energia perdesse di qualità e diventasse sempre meno disponibile per produrre lavoro.

In tutto ciò la somiglianza tra la legge sperimentale di Weber – Fechner (1) e l’interpretazione statistica dell’entropia fornita da Boltzmann (2) è sorprendente.

Gli accostamenti, ad esempio, tra la risposta a uno stimolo e l’entropia, così come tra il numero di microstati possibili e l’intensità dello stimolo stesso non possono passare inosservati: uno stimolo esterno sarà tanto più significativo quanto maggiore sarà il numero di microstati che metterà a disposizione del sistema e, allo stesso tempo, la risposta fisiologica sarà proporzionale al grado di disordine che viene introdotto a livello biologico a fronte di tale interazione con l’ambiente. Di fatto l’energia che viene fornita a livello cellulare genera un disordine in grado di produrre sensazioni e percezioni con una risposta che in linguaggio matematico diremo logaritmica.

Il nostro sistema percettivo, nel momento della trasduzione, trasforma energia ordinata ad esempio sotto forma di onde elettromagnetiche o acustiche, le quali contengono informazioni sull’universo circostante, in impulsi nervosi, l’unico linguaggio che il cervello è in grado di comprendere, anche se più disordinati. Questo connotato degenerativo comporta, dopo la trasduzione del nostro cervello, una perdita delle informazioni originali dello stimolo e impedisce un’ulteriore possibilità di produrre lavoro.

Oltre gli organi di senso

In sostanza ritengo che la legge di Weber – Fechner non sia altro che una forma mascherata della seconda legge della termodinamica. Se così fosse, dal momento che essa rappresenta una legge trasversale a tutto l’Universo fisico, dovrebbe potersi manifestare, per quanto ci riguarda, anche laddove il nostro apparato sensoriale, dotato di specifiche sensibilità (acustica, visiva, gustativa, olfattiva, tattile), non riesce ad essere allertato.

Ad esempio non siamo in grado di inseguire visivamente il movimento troppo veloce della luce, ma ciò non impedisce che la nostra vista ne riceva stimoli e fornisca delle risposte percettive. Allo stesso modo non siamo in grado di apprezzare il moto troppo lento della terra, ma ciò non toglie comunque che alcuni nostri bioritmi, ad esempio, si siano adattati al ritmo circadiano notte – giorno legato proprio alla rotazione terrestre, basti pensare alla produzione di melatonina o di cortisolo.

Pertanto ritengo che uno stimolo non sia solamente energia in grado di suscitare una risposta rapida a livello dei recettori legati agli organi di senso, quanto piuttosto ad ogni tipo di bioricettore.

Potrebbero essere coinvolti complessi meccanismi, non solo quelli preposti alla raccolta e all’elaborazione di informazioni in tempi molto brevi. È noto che esistono effetti, anche patologici, a distanza di tempo senza un preavviso sensoriale. Una sollecitazione silente che tuttavia potrebbe comportare un aumentato rischio di evoluzioni patologiche a causa di una sorta di effetto di accumulazione nel tempo.

A questo punto ho provato ad applicare queste valutazioni ad una serie di studi epidemiologici volti a verificare l’ipotesi di incidenza di leucemia infantile per esposizioni a campi magnetici generati da linee elettriche in bassa frequenza (50 Hz). A questo proposito è utile segnalare che in virtù di alcuni di questi studi la IARC (International Agency for Research on Cancer, Lione, Francia) classificò, nel 2002, tali campi fra i possibili cancerogeni per l’uomo.

Nel corso della mia ricerca bibliografica [2], [3], [4], [5], che ha coinvolto 20 pubblicazioni apararse dal 1993 al 2010, è stato preso in considerazione, come parametro statistico, il cosiddetto Rapporto di disparità (Odds Ratio = OR) (3).

Il suo significato si può facilmente chiarire con un esempio: se in un’indagine risulta che il 12% dei fumatori e il 4% dei non fumatori si ammalano di broncopolmonite in un periodo di osservazione di dieci anni, il fattore OR si ottiene confrontando il rapporto tra individui colpiti dall’evento e individui non colpiti, selezionati tra gli esposti, ed il corrispondente rapporto tra i non esposti. Nell’esempio precedente, tra i fumatori il rapporto è 12/(100-12), ossia 3/22, mentre tra i non fumatori risulta 4/(100-4), ossia 1/24; pertanto si ha che OR = 3/22 : 1/24 = 72/22 = 3,27. Quando il fattore OR è pari a 1 l’esposizione non ha alcuna influenza sul rischio, siamo cioè in condizioni di soglia, quando risulta maggiore di 1 il rischio aumenta con l’esposizione, se invece è inferiore a 1 l’esposizione ha un ruolo protettivo. I dettagli dell’analisi statistica che ho condotto sono reperibili sul mio sito [6]. In questa sede mi limito a riportare solo il risultato principale: mediando la variabile di rischio OR ottenuta nei vari studi e mettendola in relazione con il campo magnetico, espresso in microTesla, a cui erano esposti a livello residenziale campioni della popolazione in età pediatrica, si ottiene nuovamente una curva logaritmica:

https://www.scienzaeconoscenza.it/data/upload/Schermata%202017-07-24%20alle%2014.28.29.png

fig.2

La soglia si colloca intorno a 0,2 microTesla (uT), esposizione che fornisce un OR = 1. Il coefficiente di correlazione R2, che compare nel riquadro giallo, ci indica il livello di adattamento della curva ai punti sperimentali. L’interpolazione è tanto più corretta quanto più R2 si avvicina ad 1. Nel nostro caso si ottiene un valore pari a 0,9985. Un’analisi statistica dettagliata dimostra che la probabilità che due variabili non correlate diano un R2 maggiore o uguale a quanto ho trovato (cioè forniscano un “falso positivo”) è solo del 2,5%. Secondo gli standard statistici questa correlazione viene definita significativa.

Una riflessione finale

In conclusione credo che questo tipo di approccio possa aprire un varco estremamente interessante nell’ambito della fisiologia umana. In sostanza ritengo si possa affermare che l’impronta dell’entropia sia riconoscibile a tutti i livelli: sia negli effetti immediati e acuti legati agli organi di senso, sia nelle dinamiche più complesse dei cosiddetti effetti cronici caratterizzati da lunghi periodi di latenza. Il filo conduttore comune è la natura statistica dell’entropia, un connotato fondamentale dei sistemi macroscopici per i quali Boltzmann dimostrò l’esistenza di una freccia temporale, una vera e propria rottura di simmetria nell’Universo fisico. È forse veramente il caso di dire che la seconda legge della termodinamica non perdona!

Note

(1) k rappresenta la costante di Boltzmann = 1,38·10-23 J/°K.

(2) Per esempio noi sappiamo che le microonde consentono il funzionamento dei nostri telefoni cellulari, ma queste non sono visibili ai nostri occhi.

(3) L’epidemiologia consiste nell’osservazione delle frequenze e della distribuzione delle patologie nelle popolazioni umane ricercando eventuali rapporti di causalità con agenti esterni. 

Bibliografia

[1] Sensazione e Percezione, Eleonora  Bilotta,  https://it.pinterest.com/pin/561613016010986164.

[2] AGENZIA INTERNAZIONALE PER LE RICERCHE SUL CANCRO (O.M.S.), DI LIONE (FRANCIA): IARC Monographs, Vol. 80 (2002).

[3] Esposizione a campi elettromagnetici a bassa ed alta frequenza e rischi per la salute, Paola Michelozzi - Dipartimento di epidemiologia del Lazio, Università degli studi di Brescia, Seminari di Sanità Pubblica, V Edizione, 2012.

[4] CAMPI ELETTROMAGNETICI NON IONIZZANTI (CEM): QUALI RISCHI PER LA SALUTE?, ANGELO GINO LEVIS, Prof. Ordinario di Mutagenesi Ambientale, Univ. PD Padova/ISDE, 16.05.2013.

[5] Inquinamento da campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, Paolo Bevitori – Maggioli Editore (2007).

[6] Bersani G. Fausto, https://sites.google.com/site/unasvoltainfisica/attualita, Leucemia infantile e campi magnetici ELF  (2017).

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mercoledì 27 dicembre 2023

L'esperimento di Young: prova natura ondulatoria della luce


L'esperimento di Young: prova concreta della natura ondulatoria della luce


Scienza e Fisica Quantistica

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Se fino alla fine del Settecento era predominante la concezione newtoniana secondo cui la luce sarebbe composta da particelle, nel 1802 il medico inglese Thomas Young realizzò un esperimento sensazionale che sembrò sbaragliare il modello corpuscolare. L’esperimento di Young è molto semplice.

Davide Fiscaletti - 25/12/2023

La luce entra in una piastra con due fenditure. Si osserva quindi, su un apposito schermo, posizionato a una certa distanza dietro la fenditura, il comportamento della luce dopo che ha attraversato le fenditure. La cosa interessante, e a quei tempi rivoluzionaria, è che Young vide sullo schermo bande chiare e scure che si alternavano.

Se però copriva una delle due fenditure in modo che la luce passasse solo dall’altra, le bande scomparivano. Supponendo che la luce sia composta da particelle, la luminosità dovrebbe dipendere direttamente dal numero di particelle: più particelle arrivano in un punto, più esso ci apparirà luminoso.

Con questa ipotesi non è però possibile spiegare le bande effettivamente osservate da Young. In particolare, non si riesce assolutamente a spiegare perché in certi punti avvenga un fenomeno bizzarro: la diminuzione della luminosità se sono aperte entrambe le fenditure e l’aumento della luminosità quando solo una fenditura è aperta. Insomma, l’ipotesi secondo la quale la luce è composta da particelle sembra essere smentita dall’osservazione sperimentale di bande chiare e scure.

I risultati ottenuti da Young possono essere invece compresi facilmente ipotizzando che la luce si comporti come un’onda sul lago, che la luce sia un’onda che si diffonde nello spazio. L’esperimento di Young evidenzia il cosiddetto fenomeno di interferenza di due onde luminose, cioè della sovrapposizione di due onde luminose provenienti da due sorgenti coerenti (che emettono onde di eguale frequenza e mantengono inalterata la differenza di fase): dietro le due fenditure compaiono due onde che nelle zone in cui oscillano nella stessa direzione si rafforzano generando bande chiare (interferenza costruttiva), mentre nelle zone in cui oscillano in direzioni opposte si annullano a vicenda generando bande scure (interferenza distruttiva).

Ecco cosa potrai approfondire nella versione completa
dell'articolo sulla rivista
Maxwell e l'elettromagnetismo
Einstein: i fotoni
Dualismo oggettivo onda-corpuscolo versus principio di complementarità
Esperimenti sulla luce nella seconda metà del Novecento
La luce nella teoria quantistica dei campi

Continua la lettura su Scienza e Conoscenza n. 60

Scienza e Conoscenza - n. 60 >> https://goo.gl/QZeXCT
Nuove scienze, Medicina non Convenzionale, Consapevolezza
Autori Vari
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sabato 16 dicembre 2023

DNA e “dogma” della biologia molecolare


Il DNA e il “dogma” della biologia molecolare

Nuova Biologia

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Dalla genetica all’epigenetica: la dottoressa Debora Rasio ci spiega come le scelte dei genitori – dall’alimentazione, alle emozioni, alla gestione dello stress – influiscono sul destino dei figli

Debora Rasio - 15/12/2023

Il colore dei capelli, degli occhi, della pelle, l’altezza, la struttura fisica e altri caratteri somatici sono chiaramente codificati da precise sequenze genetiche presenti nel nostro DNA. Ci si è spinti fino a ritenere che la predisposizione alle malattie, l’intelligenza, la capacità di procreare, persino il carattere dipendessero da quel filamento lungo circa 2 metri che risiede nel nucleo delle nostre cellule, “impacchettato” e superavvolto in particolari strutture proteiche chiamate istoni. Non a caso, oggi si ricorre diffusamente all’analisi del DNA per misurare la predisposizione alle malattie. È la naturale conseguenza del determinismo biologico che vede l’uomo come il prodotto dell’espressione dei suoi geni, il suo presente e il suo futuro deducibili dalla lettura del suo DNA.

Una visione così semplicistica del mondo è andata sgretolandosi allorché gli stessi scienziati, progredendo nella conoscenza dei meccanismi che regolano le funzioni cellulari, hanno scoperto che il cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare” secondo il quale il flusso di informazioni viaggia solo in una direzione – dal DNA verso le proteine, senza possibilità di un percorso inverso – fosse, semplicemente, falso. Il flusso di informazioni, infatti, viaggia in entrambe le direzioni e, se è vero che nasciamo con un determinato corredo di geni, è pur vero che sarà l’ambiente a decidere quali esprimere e quali no, in una continua relazione adattativa con il mondo circostante.

Il DNA spazzatura non è affatto da buttare

Fino alle fine del secolo scorso si pensava che noi esseri umani, le creature più intelligenti del pianeta, avessimo un numero di geni di gran lunga superiore a quello di qualunque altra specie.

Abbiamo dovuto attendere il completamento del Progetto Genoma Umano, nei primi anni 2000, per apprendere la verità: nel nostro DNA si trovano solo circa 20.000 geni che codificano informazioni per la sintesi di proteine, più o meno lo stesso numero di quelli che possiede un topo, corrispondenti all’1,5 percento di tutto il nostro DNA. 

Oggi sappiamo che la differenza sostanziale fra noi e le altre specie non risiede in queste regioni codificanti, ma nella restante parte del DNA, cioè in quel 98,5 percento considerato per lungo tempo privo di funzioni e per questo denominato “DNA spazzatura”. Tutt'altro, proprio questa parte “non codificante” decide quali, e in quanta parte, geni esprimere e quali no. E ci rende “unici” e diversi da tutti gli altri e dalle altre specie. Ma le sorprese, in quanto a scoperte, non finiscono qui.

Continua la lettura di questo straordinario articolo inedito su:

Scienza e Conoscenza n. 65 - Luglio-Settembre 2018 >> https://goo.gl/oH72LH

Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza

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EDITORIALE - Tu sei la memoria del mondo

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in un videodocumentario realizzato dagli studenti del terzo anno della Civica Scuola di Cinema di Milano sull'Epigene-tica e ne sono rimasta affascinata. Mi ha stupito profondamente come questo video, così dettagliato e approfondito sull'argomento, spiegasse però in maniera semplice e immediata l'EPI-GENETICA.

Vorrei quindi ispirarmi alla semplicità narrativa della Prof.ssa Altucci in questo video per introdurvi l'argomento.

Il nostro genoma, fin dalla nascita, risponde e interagisce con il tempo e con lo spazio in cui viviamo, quindi dialoga continuamente con l'esterno. Minuto dopo minuto, giorno dopo giorno si modifica e si plasma secondo le memorie e le esperienze acquisite e da qui nasce la parola EPI-GENETICA -che deriva dal greco EPI "al di sopra" - che significa andare OLTRE LA GENETICA.

Immaginiamo il nostro genoma come un libro da cui le cellule prendono le informazioni per agire e lavorare nel nostro corpo. Ora immaginiamo che su quel libro man mano vengano presi appunti, messi dei post-it, e sottolineati interi capitoli: bene, tutte queste informazioni aggiuntive sono l'EPIGENOMA. Il genoma è fisso, ma l'epigenoma si modifica in base all'ambiente e all'esperienza, quindi ognuno di noi è, semplicemente, la memoria del mondo.

Cosa significa tutto questo? Beh significa che molte delle nozioni che fino ad oggi abbiamo imparato sulla dipendenza della nostra vita e salute dal nostro DNA possono essere messe in discussione.

È quello che facciamo in questo meraviglioso e illuminante numero di «Scienza e Conoscenza»: mettiamo in discussione e cerchiamo di aprire nuovi orizzonti su diversi argomenti, dalla genetica ai bio-fotoni, dall'intelligenza artificiale ai misteri delle piramidi in Bosnia.

Romina Alessandri

Direttore Editoriale di Scienza e Conoscenza

Indice

EPIGENETICA

Epigenetica: oltre il DNA, Valerio Pignatta

I campi elettromagnetici modificano i nostri geni? Andrea Cormano

Relazioni: più forti della genetica? - Intervista a Giovanni Abbate Daga a cura di Marianna Gualazzi

Epigenetica e alimentazione, Debora Rasio

Musica per le cellule, Emiliano Toso

MEDICINA NON CONVENZIONALE

La Narrazione che Cura, Carmen Di Muro

Capire la sofferenza - Intervista a Guido Giarelli a cura della Redazione

Omeopatia: non è effetto placebo, Diego Tomassone

Cibo per la tiroide - Intervista a Simone Grazioli Schagerl a cura della Redazione

Ayurveda Italiana - Intervista ad Anna Camatti a cura di Marianna Gualazzi

La Guarigione Quantica - Intervista a Flavio Burgarella a cura di Emanuele Cangini

SCIENZA

Biofotoni: un mistero da risolvere, Luigi Maxmilian Caligiuri

Incontri ravvicinati del terzo tipo, Maurizio Di Paolo Emiliano

ARCHEOLOGIA

Scienza e Conoscenza n. 65 - Luglio-Settembre 2018 >> https://goo.gl/oH72LH


mercoledì 13 dicembre 2023

Che cosa intendiamo per Universo?


Che cosa intendiamo per Universo?

Scienza e Fisica Quantistica

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Scopriamo in anteprima l' E-book di Antonella Ravizza che ci racconta i misteri dell'Universo in 13 grandi domande: da come è nato a come e quando finirà...

Antonella Ravizza - 12/12/2023

L’Universo è per definizione tutto lo spazio che ci circonda e tutto ciò che contiene: materia, energia, pianeti, stelle, galassie e tutto il contenuto dello spazio intergalattico. La parte osservabile dell’Universo ha un diametro di 92 miliardi di anni-luce, dove per anno-luce si intende un’unità di misura di lunghezza, corrispondente alla distanza percorsa dalla luce, o da un’altra radiazione elettromagnetica nel vuoto, in un anno e cioè a 9460,5 miliardi di chilometri. Dalla sua osservazione si deduce che esso sia stato governato dalle stesse leggi e dalle stesse costanti fisiche per la maggior parte della sua storia.

La più grande distanza che è possibile osservare è contenuta nell’Universo osservabile e da studi attenti si è potuto verificare che l’Universo tende ad espandersi con un ritmo sempre maggiore. Sono nate tante teorie sulla nascita e sulla fine dell’Universo; per la nascita sappiamo che la più accreditata è la teoria del Big Bang, ma in ogni caso i fisici non sono in grado di stabilire cosa abbia preceduto il Big Bang. Alcuni parlano di modelli di Universo ciclico, altri parlano di multiverso, cioè suppongono che il nostro Universo sia solo uno tra i molteplici che possono esistere.

Il termine Universo deriva dal latino universus, che significa tutto, intero, infatti è definito come tutto ciò che esiste fisicamente. È possibile concepire lo spazio-tempo separati, incapaci di interagire uno con l’atro, come se ci fossero un gruppo di bolle di sapone separate. Immaginiamo degli osservatori all’interno delle singole bolle, essi non potrebbero in alcun modo interagire con gli altri. Ecco, ciascuna bolla è un Universo, mentre il nostro spazio-tempo è l’Universo. L’insieme di tutte le bolle è chiamato multiverso, mentre gli altri universi separati dal nostro (le altre bolle) sono chiamate differenti dimensionalità o topologie spazio-temporali, che potrebbero avere forme diverse di materia ed energia, con diverse leggi fisiche e diverse costanti fisiche. Secondo un’altra descrizione l’Universo è definito come tutto ciò che nello spazio-tempo connesso può interagire con noi. Secondo la teoria della relatività, però, alcune regioni dello spazio-tempo non potranno mai interagire tra loro, perché l’espansione dello spazio le fa allontanare ad una velocità maggiore della velocità della luce. La parte dell’Universo che invece possiamo vedere si chiama Universo osservabile, e dipende dalla posizione in cui si trova l’osservatore. Quando l’osservatore viaggia, il suo Universo osservabile cambia, si allarga; ma nessun osservatore, nemmeno viaggiando più velocemente possibile, può interagire con tutto lo spazio.

Per noi l’Universo osservabile è rappresentato dalla Via Lattea. Il nostro Sistema Solare, infatti, è incorporato in una galassia composta da miliardi di stelle (la Via Lattea), ma esistono miliardi di galassie più o meno simili. Il sistema solare è il sistema planetario formato da una varietà di corpi celesti mantenuti in orbita dalla forza di gravità del sole; ad esso appartiene anche la terra. È formato dal sole e da otto pianeti, quattro rocciosi interni (Mercurio, Venere, Terra e Marte) e quattro giganti gassosi esterni (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) e dai rispettivi satelliti naturali, da cinque pianeti nani (Cerere, Plutone, Haumea, Makemake ed Eris) e da miliardi di corpi minori (asteroidi, comete, meteroidi e polvere interplanetaria).

Alcuni studi sulla loro distribuzione e sulla riga spettrale hanno portato alla cosmologia moderna.


eBook - I Misteri del Nostro Grande Universo >> https://bit.ly/3RGe8Qf

13 grandi domande sull'Universo: da come è nato a come e quando finirà

Antonella Ravizza

https://www.macrolibrarsi.it/ebooks/ebook-i-misteri-del-nostro-grande-universo-epub.php?pn=1567

Com’è nato l’Universo? Esiste solo la teoria del Big Bang? L’Universo ha un centro? E quanto è grande? Esistono altri pianeti come il nostro in cui pullula la vita?

Questo e-book risponde a tante domande e curiosità sul nostro Universo, e lo fa utilizzando un linguaggio divulgativo e semplice, non appesantito dalle dimostrazioni difficili e specifiche del linguaggio scientifico specialistico.

Il libro è una lettura piacevole e approfondita per capire i passi avanti compiuti dalla scienza nella comprensione del nostro Universo e quanto ancora c’è di inesplorato e di ignoto.


martedì 12 dicembre 2023

Cunicoli spazio-temporali attraversabili dall'uomo!


Cunicoli spazio-temporali attraversabili dall'uomo!

Scienza e Fisica Quantistica

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In fisica, il cunicolo spazio-temporale, chiamato anche wormhole, è una costruzione teorica la cui struttura può essere descritta come quella di un tunnel che collega due punti dello spazio-tempo.

Redazione - Scienza e Conoscenza - 11/12/2023

È composto da una copia di due buchi, uno nero e uno bianco, situati su due diversi fogli spazio-temporali e collegati tra loro da un tunnel. In conformità con gli scenari proposti da alcuni fisici teorici, dal buco nero, appena superato l’orizzonte degli eventi, la materia entra nel cunicolo e dopo aver realizzato un viaggio inter-dimensionale in un tempo finito, il buco bianco la fa fuoriuscire da un’altra parte dell’universo. Juan Maldacena, professore di fisica teorica dell’Institute of Advanced Study e Alexey Milekhin, studente laureato in astrofisica alla Princeton University, hanno immaginato un modello di cunicolo spazio-temporale a cinque dimensioni, teoricamente attraversabile dall’essere umano. Lo studio intitolato Humanly Traversable Wormholes è stato pubblicato nel sito della Cornell University nel 2020 (https://arxiv.org/abs/2008.06618).

Secondo i due fisici, l’esistenza dei cunicoli spazio-temporali attraversabili è collegata all’esistenza dell’energia negativa, che per la fisica classica è una cosa inesistente, ma che viene usata come concetto teorico nel contesto della fisica quantistica. Le teorie di Einstein prevedono che qualunque oggetto entrato in un buco nero non potrà mai più uscire, insieme all’intera informazione che lo riguarda. Stephen Hawking contestò in parte questa idea ancora negli anni 70 e rimase fermo sul fatto che nel nostro universo l’informazione non può essere del tutto cancellata e persa per sempre. Ciò significa che l’informazione quantistica, in qualche modo, si deve conservare. Negli anni ‘90 il fisico canadese Don Page, studente di dottorato di Stephen Hawking, specializzato in cosmologia quantistica, suggerì che, quando un oggetto cade nel buco nero, l’informazione che lo riguarda non viene del tutto persa perché aumenta il livello dell’entropia.

Ultimamente molti fisici credono che la sua teoria sia corretta.

La rappresentazione mentale dell’universo esposta nel libro Amen la Nuova Umanità: Una Teoria del Tutto suggerisce che nella crescita dell’universo ogni passaggio di stato da una dimensione inferiore a una superiore avviene attraverso una singolarità, iniziata con un’implosione e seguita da una discesa della materia, dell’energia e dell’informazione attraverso il proprio cunicolo spazio-temporale, che è una struttura o scheletro interno di ogni costruzione materiale o modulo esistenziale naturalmente creato. Soltanto attraverso i moduli esistenziali stabili (chiamati qui ordini di generazione), che hanno il circuito spazio-temporale completo (è stato unificato l’inizio con la fine) si può arrivare nel punto di partenza (il buco bianco di uscita si sovrappone al buco nero di entrata), aggiungendosi così una nuova dimensione.

Gesù disse: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. (Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10))

 Il Campo Cristo è un cunicolo spazio-temporale con una porta di entrata e una di uscita, attraverso il quale l’essere umano può attraversare la morte e realizzare il personale trasferimento in una nuova zona di coscienza, che caratterizza il prossimo anello di crescita dell’universo, l’Essere Amen. Questo è il salto quantico che l’essere umano è capace di realizzare e attraverso il quale si può trasferire nella Quinta Dimensione (vedi il Glossario sul sito www.sandachira.com).

Amen - La Nuova Umanità — Libro >> https://bit.ly/3Zcu1zH
Una teoria del Tutto
Elena Sanda Chira
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__amen-la-nuova-umanita-libro.php?pn=1567