venerdì 27 settembre 2019

Integratori, vitamine e antiossidanti fanno bene?



Gli integratori, le vitamine e gli antiossidanti fanno davvero bene alla salute?

Alimentazione e Salute


Ecco il punto: quali sono i migliori antiossidanti secondo le più recenti ricerche? E le vitamine? Quali i rischi e i benefici?

Valerio Pignatta - 27/10/2019

La questione degli integratori alimentari a base di vitamine, antiossidanti ed elementi minerali vari è andata negli ultimi anni sempre più complicandosi. Le informazioni che arrivano alle persone attraverso i media sono talvolta superficiali e talaltra subdolamente tendenziose. Il business in tale ambito è certamente in crescita, dunque con le ricadute di tipo etico e scientifico che ciò comporta.

Infatti, informazioni di un certo spessore scientifico non è facile trovarle e anche queste sono solitamente in contrasto le une con le altre, secondo le fonti di divulgazione e gli interessi o i partiti presi che sostengono o che combattono.

Se il parlamento europeo discute da tempo una normativa per ridurre le quantità giornaliere assumibili di vitamine a livelli che secondo taluni le renderebbero assolutamente inefficaci, ci sono d’altro canto associazioni e medici che promuovono un utilizzo quotidiano di dosi ad esempio di vitamina C che secondo i parametri dell’Unione europea stessa potrebbero essere definite “inverosimili”

Come fare allora a districarsi in questo dedalo di dati e informazioni contrastanti? Le vitamine fanno male o fanno bene? E in quali dosi possono essere assunte? Gli antiossidanti funzionano davvero? E quando è consigliato assumerli? Ci sono strumenti per verificare la loro efficacia e funzionalità? Quali sono le migliori sostanze naturali vivificanti con azione antiossidante in commercio?

Non è certo facile pretendere di rispondere a tutti questi interrogativi. Diciamo che l’intento di questo articolo è quello di cercare di fare un po’ il punto della situazione, per quello che ci è dato sapere, e informare i lettori su alcune questioni e prodotti particolari che pare siano davvero degni di interesse per la salvaguardia della nostra salute.

Quali e quante/i

Sulla salubrità e l’uso terapeutico delle vitamine pare ci sia ormai abbastanza accordo tra gli scienziati. Le vitamine che sono pericolose se assunte in quantità elevate sono state individuate (la vitamina A soprattutto – la discussione è però ancora aperta).

Semmai si discute sulle dosi quotidiane che è possibile assumere. Qui le diversità sono enormi. Per esempio per la vitamina C si può andare dalla raccomandazione di assumere massimo 60 milligrammi (mg) al dì e arrivare a chi raccomanda un’assunzione giornaliera di… 18 grammi!

Anche le quantità di vitamina B12 variano da un minimo di 3 mg a un massimo di 200 mg e quelle di vitamina E da 10 Unità Internazionali (UI) a 800 UI. E via di seguito anche per minerali e altri antiossidanti. In effetti, sicuramente è facile intuire che secondo la scelta della dose i risultati potrebbero essere completamente diversi.

Gli studi del premio Nobel Linus Pauling confermerebbero la necessità di dosi elevate per ottenere un qualsivoglia risultato curativo, dosi cui peraltro l’attuale orientamento medico sta opponendosi motivandolo con la dovuta cautela per eventuali effetti collaterali indesiderati. Effetti che invece secondo i partigiani delle vitamine ad oltranza non si presentano se non in modo passeggero e facilmente rimuovibile (diarrea ecc.) diminuendo per qualche giorno la dose.

Se su questi temi è possibile comunque trovare veramente una marea di dati e studi su cui poi cercare di farsi un’opinione propria, è invece argomento sconosciuto la nocività dell’utilizzo di antiossidanti in caso di cancro. Questo tema controverso (basti pensare all’uso dell’ascorbato di potassio come cura anticancro) è stato ultimamente riportato alla ribalta dagli studi di un oncologo italiano, il dott. Maurizio Grandi di Torino, che lavora da anni sulla terapia preventiva e curativa con vitamine e antiossidanti.

Secondo gli studi del dott. Grandi è assodato ormai che le vitamine assunte in caso di cancro sono dannose. Gli antiossidanti assunti con cancro dichiarato peggiorano la situazione in quanto alimentano il cancro stesso permettendogli di vivere e resistere più a lungo. Gli antiossidanti cioè non forniscono energia solo alle cellule sane ma anche a quelle tumorali garantendo loro maggiore longevità. Gli antiossidanti frenano tra l’altro l’azione ossidativa della chemioterapia per cui chi vi ricorre in concomitanza con questo trattamento non fa altro che ridurne gli effetti che dovrebbe avere e per cui viene somministrato. Secondo Grandi infatti bisogna ossidare molto bene per ledere il tumore.

Gli antiossidanti sono invece ottimi come sostanze per la prevenzione anticancro. Su tutto incombe poi secondo la ricerca più recente, un altro pericolo di non poco conto. Si tratta del problema del confezionamento delle vitamine e degli antiossidanti in generale. Ci sono dei ricercatori che avrebbero scoperto che alcuni tipi di confezioni non preservano le vitamine stesse che così vengono ingerite in stato di ossidazione producendo l’effetto opposto per cui vengono ingerite. Sebbene tutto questo resti ancora più che altro a livello di ipotesi e necessiti di ulteriori dimostrazioni e studi, è palese che il tema è molto più intricato di quanto si creda.

Efficacia e potenza

Se invece volessimo analizzare gli antiossidanti in merito alla loro efficacia e potenza si è ormai consolidata in questi anni a livello scientifico la conoscenza che la microidrina (commercializzata come Active-H) è il più potente antiossidante che ci sia. Sebbene infatti si parli molto di altre sostanze di questo tipo, la microidrina è rimasta sempre un po’ nell’ombra, pur essendo un prodotto di tutto rispetto e anzi secondo taluni probabilmente il migliore.

La microidrina è stata creata dai coniugi dott. Patrick e dott. Gael Crystal Flanagan, dopo trent’anni di ricerche sull’acqua himalayana che bevono gli Hunza, il popolo che vive sulle montagne del Nepal, noto per la sua salute e longevità.

In sostanza è acqua vitalizzata in capsule che contiene particelle di silicio così come in natura le contengono le acque dei ghiacciai che bevono appunto gli Hunza. L’aggiunta è stata fatta dai Flanagan ricorrendo a nanoparticelle (i nanocolloidi) che sono della dimensione di 5 nanometri di diametro.

La materia viva si distingue da quella inerte in base al suo potenziale elettrico (potenziale ossidoriduttivo, ORP). «L’ORP dell’acqua inerte (imbottigliata) è di circa +300 millivolt (mV), del succo di carota (coltura non organica) è di –100 mV, del succo di carota fresca da coltura organica è di -120 mV, del succo del grano giovane è di -250 mV, mentre quello dell’acqua naturale “Hunza” arriva fino a -350 mV. Un bicchiere d'acqua vitalizzata con una capsula di microidrina, secondo le analisi dell’Istituto E/IT (Fullerton), ha un potenziale di -650 mV. La tensione superficiale dell’acqua vitalizzata con la microidrina si abbassa così da 72 dina al centimetro (dyn/cm) ad un livello di 45 dyn/cm, che è quello caratteristico del sangue umano»[da Microidrina. Una polvere minerale che vitalizza l’acqua, Aura, n. 124, 1999]

Questi risultati strabilianti sono stati comprovati anche in Italia dalle apparecchiature bioelettroniche di Louis-Claude Vincent (sulla straordinarietà di queste strumentazioni ritorneremo più avanti).

La microidrina è quindi una sostanza dal potere curativo non comune. Alcuni ricercatori e medici cosiddetti “dissidenti dell’AIDS”, come il tedesco Heinrich Kremer, sostengono addirittura che la essa favorisca il trasporto degli elettroni nella catena di respirazione a livello mitocondriale, con tutto quello che questo significa a livello di prevenzione e cura di cancro e malattie immunitarie come appunto l’AIDS. Inoltre sino ad ora non sono stati rilevati effetti nocivi collaterali per il suo utilizzo. Essa in effetti contiene solo silicio, idrogeno, ossigeno, potassio, solfato di magnesio e polvere di riso. L’importanza per la salute di composti come silicio, potassio e magnesio sono ormai risaputi. Senza contare il rilievo di idrogeno e ossigeno per la vita in generale.

Quest’acqua vitalizzata si comporta come un nastro trasportatore che seleziona e trasporta sostanze vitali da e per tutte le cellule dell’organismo attraverso i colloidi di silicio anioattivo che si “accollano” tali sostanze mediante il principio della condensazione energetica a carica negativa. I colloidi riescono a svolgere anche un’azione di pulizia rimuovendo scorie e tossine che altrimenti si depositerebbero sulle pareti di vene e intestino o rimarrebbero come rifiuti nei liquidi extra- e endocellulari.

Anzi, la microidrina comporta l’eliminazione di una grande quantità di tossine che talvolta gli organi escretori hanno difficoltà ad eliminare per cui possono presentarsi occasionali mal di testa o formazione di muco ecc. In tal caso bisognerebbe diminuire le dosi e bere molto dando tempo al corpo di organizzarsi per l’eliminazione graduale delle scorie tossiche. La migliore dinamica per ottenere tale risultato – come si legge ancora su Una polvere minerale che vitalizza l’acqua - è quella seguente: «Il corpo necessita di determinati antiossidanti per scopi specifici. Per la neutralizzazione di alcuni radicali liberi è ad esempio più adatta la vitamina C. Quando cede il suo elettrone al radicale, la vitamina diviene essa stessa un radicale libero debole. Essa riceve perciò un altro elettrone ad esempio dalla provitamina A, che diviene a sua volta un radicale libero (ancora più debole). Questa riceve poi un elettrone da un altro antiossidante. Per un buon funzionamento delle vitamine è quindi necessaria tutta una serie di altre vitamine o antiossidanti. Alla fine di questi passaggi “a cascata” di elettroni rimane comunque un “residuo tossico”. Se l'organismo contiene sufficiente acqua viva, questa gli cederà un suo elettrone superfluo (ogni [atomo di] idrogeno nelle molecole di H2O ha un elettrone aggiuntivo ed è perciò nella sua forma anionica H-) e lo neutralizzerà. Con ciò non rimane alcun residuo velenoso. La molecola di acqua viva si trasforma semplicemente in acqua normale che potrà essere espulsa con facilità. L’acqua viva è quindi estremamente importante per il buon funzionamento degli altri antiossidanti, di cui non prende il posto, ma bensì li completa»

Possiamo qui segnalare comunque altri importanti antiossidanti che si possono utilizzare e che sono l’acetil-cisteina e il glutatione ma anche sostanze di basso costo e facile reperibilità come il succo di mirtillo e il succo di limone. Anche questi ultimi due composti sono stati analizzati con la bioelettronica Vincent e hanno dato risultati di notevole rilievo.

La bioelettronica di Vincent

È una tecnica diagnostica creata negli anni Cinquanta, dopo trent’anni di studi, dall’ingegnere francese che le ha dato il nome. Oggi è utilizzata in tutto il mondo e anche in Italia si inizia a parlarne (sito ufficiale francese - www.bevincent.com.).

Si tratta di una tecnica fisico-chimica che fonda i suoi dati e rilievi sulla misurazione del pH, dell’rH2 e della resistività elettrica delle soluzioni o sostanze che analizza. L’rH2, o coefficiente di ossidoriduzione, è un indice che nostra per un dato pH le facoltà riduttrici o ossidanti della soluzione.

Con il metodo Vincent è possibile verificare lo stato di salute di un individuo in un determinato momento e verificare per esempio se sangue e urine si stanno ossidando, se c’è la presenza di un cancro ecc. Con le apparecchiature bioelettroniche di Vincent è però possibile anche verificare e misurare la potenza vitale degli alimenti e valutare l’efficacia delle sostanze curative come ad esempio gli antiossidanti.

Si possono inoltre verificare gli stati di inquinamento e ossidazione di cibi, sostanze, acqua e molto altro.

Siccome tutto poi si deve tradurre in un agire per il ripristino dei valori dei tre indicatori entro parametri che statuiscono la normalità e lo stato di salute, è importante selezionare con prudenza i rimedi e gli antiossidanti da assumere per non creare altri squilibri che andrebbero invece in senso opposto (eccessiva alcalinizzazione, superossidazione ecc.).

E qui ritorniamo alle domande di partenza. Quando si dice che la storia è circolare… Qualche paletto sul sentiero comunque è stato piantato. Prima o poi si riuscirà anche a costruire una strada. Romantica e avventurosa come un sentiero però non lo sarà mai.

La questione delle dosi

Tutta la questione rientra nel dibattitto sul cosiddetto Codex Alimentarius, una raccolta di norme internazionali adottate dalla Commissione del Codex Alimentarius stesso, organismo istituito nel 1962 dalla FAO (Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura) e dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità). Questa Commissione avrebbe il compito di uniformare produzione e commercio dei prodotti alimentari, al fine di facilitare gli scambi internazionali e garantire prodotti non adulterati e non nocivi. Purtroppo la via intrapresa da questo organismo è piuttosto filo multinazionali farmaceutiche, per cui ne sta uscendo una serie di norme restrittive per quanto riguarda preparati erboristici e integratori alimentari.

Per quanto Le dosi minori sono le Recommended Daily Allowances, cioè le Razioni Giornaliere Raccomandate di vitamine e di altri micronutrienti stabilite dal Comitato per l’Alimentazione e la Nutrizione dell'Accademia Nazionale delle Scienze statunitense come il minimo vitale per evitare malattie da carenza. Le dosi massime sono quelle ipotizzate da Linus Pauling nelle sue ricerche. A proposito di Pauling in italiano è possibile trovare in biblioteca un suo titolo che fa testo: Pauling Linus, Come vivere più a lungo e sentirsi meglio, Frassinelli, Milano, 1989. Inoltre vedasi Pauling Linus, Vitamin C and the Common Cold, W.H. Freeman and Company, San Francisco, 1970. Un’edizione un po’ più aggiornata dei suoi lavori in lingua inglese è invece: Cameron, Ewan e Pauling, Linus, Cancer and vitamin C, Camino Books, Philadelphia, 1993.

Integratori alimentari

mercoledì 25 settembre 2019

10 straordinarie virtu' dello zenzero



10 straordinarie virtu' dello zenzero

Consapevolezza


Con il cambio di stagione e l'arrivo dei primi freddi lo zenzero è una manna da tenere a portata di mano: scopriamo le sue numerose virtù e i benefici che questa radice ci può regalare

Francesca Rifici - 25/09/2019

Conosciuto fin dalla notte dei tempi, lo zenzero ha lasciato la sua piccante scia in tutto il mondo.

Lo Zingiber officinale, conosciuto come zenzero, è una pianta medicinale e culinaria utilizzata da almeno tremila anni. In Asia questa spezia fa tutt’ora parte dei rimedi terapeutici: viene infatti utilizzata dalla medicina tradizionale cinese, dalla medicina indiana, ayurvedica e tibetana.

Di questa preziosa pianta viene utilizzato comunemente il rizoma, ovvero la radice. In sanscrito zenzero significa “a forma di corno di cervo” per la caratteristica forma ramificata e nodosa della radice.

Lo zenzero è una pianta che possiamo definire “miracolosa” sotto molti aspetti! Al suo interno contiene una varietà di tesori preziosi e i suoi benefici sono molteplici per diversi disturbi.

Gli usi più comuni dello zenzero

- È un antinausea, utilissimo per chi soffre di mal d’auto, mal d’aereo o mal di mare: ne contrasta i fastidiosi sintomi.

- Ha proprietà digestive: all’origine della stimolazione del processo digestivo vi sono le oleoresine e l’olio essenziale contenuto nel rizoma. Queste sostanze permettono all’organismo di accrescere la secrezione dei succhi gastrici e favorire il funzionamento meccanico dell’intestino (peristalsi). Stimola anche il lavoro del fegato, inducendolo a produrre più bile.

- È un antinfiammatorio: inibisce la biosintesi delle prostaglandine. Il dipartimento di Kinesiologia della Georgia College ha testato gli effetti dello zenzero sui dolori muscolari: lo zenzero ha portato alla totale scomparsa dei sintomi.

- È efficace contro i reumatismi di natura infiammatoria: la quotidiana assunzione di capsule può permettere una riduzione del dolore e dell’infiammazione.

- Ha effetti anche sull’artrosi e sull’artrite: consumando la radice cruda quotidianamente si ottengono benefici enormi.

- È un ricco antiossidante, quindi è in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi, principali responsabili dell’invecchiamento cellulare. Alcuni studi hanno mostrato che lo zenzero mantiene le sue proprietà anche se sottoposto a calore, quindi anche se cotto.

- Ha un’azione tonica su tutto l’organismo, poiché ha potere stimolante, riscaldante e fortificante. Aiuta a combattere lo stress e la stanchezza.

- Utilissimo durante la stagione fredda, permette di prevenire e guarire l’influenza, la febbre, la tosse, la bronchite e il mal di gola.

- Associato al Partenio (una pianta della famiglia delle Asteracee), aiuta a contrastare i dolori da emicrania accompagnati da nausea.

- In antichità si pensava che lo zenzero avesse proprietà afrodisiache: oggi sappiamo che è un eccellente tonico di energia e favorisce pertanto anche l’attività sessuale.

Olio essenziale di zenzero

Degno di nota è anche l’estratto più concentrato della pianta, ovvero l’olio essenziale di zenzero. Ha un profumo caldo, speziato, canforato. Questo prezioso olio essenziale ha la fama di far circolare le energie del corpo, di riscaldarle, di stimolarle.

Zenzero in gravidanza

Lo zenzero è sconsigliato in gravidanza, soprattutto nei primi sei mesi. Da utilizzare con parsimonia se si assumono farmaci anticoagulanti, perché accentuano l’azione del farmaco.

Zenzero - Olio Essenziale >> http://bit.ly/2kZ8QCD
Tonica, stimolante, energizzante, afrodisiaca

lunedì 23 settembre 2019

Respiro e Mindfulness



Respiro e Mindfulness

Consapevolezza e Spiritualità


Il respiro accade, sempre. È un ponte unico, prezioso. E accade qui, dove la vita accade. Esso è il fondamento di tale succedere: un esercizio di mindfulness sul respiro per imparare a vivere nel qui ed ora

Elsa Masetti - 23/09/2019

Tutto comincia con il primo respiro. Almeno tutto quello che riguarda questo pezzo di vita. E finisce con l’ultimo respiro. Ad occhio e croce, nei primi respiri l’enfasi è sull’inspirazione e negli ultimi sull’espirazione. Ho testimoniato quest’ultima cosa per quanto riguarda il morire. Poco prima l’inspirazione si fa molto corta a favore di una lunga espirazione. Il movimento è a prendere la vita, nel primo caso, e a renderla nel secondo. E il respiro è il veicolo. L’arco della vita, dalla prima inspirazione all’ultima espirazione, si riverbera in modo frattale in tanti, innumerevoli respiri, composti di un prendere e lasciare andare, prendere e lasciare andare, prendere e lasciare andare… Grande lezione di vita, se ne siamo consapevoli.
Tutto quello che alle fondamenta riguarda la continuità della vita è un atto senza volizione, affidato al sistema nervoso involontario. E riesce bene così. Curioso!
È la famosa storia del millepiedi. La conoscete?

Il respiro che accade

Mentre un millepiedi stava camminando qualcuno gli chiese: «Capperi, ma con tutte quelle zampette che hai, come fai a metterle in moto tutte insieme una dopo l’altra?». Da quel momento, le gambette cominciarono a intrecciarsi e il millepiedi a inciampare su se stesso.
Una volta esaurita l’espirazione, il riprendere aria accade da solo (e viceversa) e succede senza alcuna intenzione. A ogni nuova inspirazione do forse il comando: inspira! Caspita, no. Se così fosse, potrei distrarmi, dimenticarmene e soffocare. Si tratta di un atto troppo vitale, per essere gestito dalla mia volontà personale. Pur dimentichi, respiriamo.
Qualcosa sempre all’erta, dedito alla vita, ci vuole respiranti, al punto che il respiratore automatico non prende ferie, neanche quando siamo nel sonno rem. Anzi, durante il sonno profondo, l’essere respirati è quasi tutto ciò che resta. E si dice che in quel caso il ritmo respiratorio dia il meglio di se stesso: profondo, rilassato, libero. La sonorità dipende dai requisiti della cassa armonica.
Una delle condizioni che rendono il sonno rigenerante è, a mio avviso, questo respirare, che riprende totalmente in mano le redini: senza accorgimenti, senza finalità, che non sia quella di fluire, per la vita. Nessuno più è lì per trattenerlo, accelerarlo, forzarlo in qualche modo. Dovrebbe tornare il respiro di un neonato. Lento e profondo. Di pancia.
Respirare, ci dicono gli esperti, non significa necessariamente respirare bene.

Qual è la natura del respiro?

Quello che intendo condividere tuttavia non è ottimizzare, liberare il respiro etc… Lascio questo compito ad altri. Piuttosto vorrei esplorare con voi la sua natura, il suo accadere, così com’è, a ogni istante. Vorrei evidenziare il suo essere risorsa, la sua intelligenza intrinseca, il suo essere àncora costante al momento presente.
E torniamo allora a quella lezione di vita che il respiro dispensa a chi è presente al suo dispiegarsi, una lezione di allineamento – e quindi di partecipazione – alla realtà. Tutti vorremmo essere partecipativi dal momento in cui ci giunge notizia che ciò ci rende influenti, co-creativi. Il primo passo, del resto, è esserci in quella realtà su cui intendiamo influire. E che cos'è la realtà? Ciò che accade ora, nel corpo, nel contatto – attraverso i sensi – del corpo con l’ambiente, nel muoversi e manifestarsi dei pensieri e delle emozioni. E il respiro accade, sempre. È un ponte unico, prezioso. E accade qui, dove la vita accade. Esso è il fondamento di tale succedere.
Il primo successo, in fondo, è respirare e ogni nuovo respiro è un successo. Successo che manchiamo, mancando il suo succedere. Lo so, è un gioco di parole, ma ci sta.
Il primo passo è allora entrare in contatto con il respiro, diventarlo, che è anche un modo per conoscerlo e conoscersi.

Diventare il respiro: un esercizio pratico di mindfulness

All’inizio può essere utile creare dei post it. Disseminarli nell’area del quotidiano, nello spazio di lavoro. Sul pc, sulla scrivania, sul tavolo da lavoro, sul registratore di cassa, sul polso accanto all’orologio, sul cruscotto della macchina… su qualsiasi supporto utile a far cadere lì i nostri occhi. Sul post it, bello fiammante, scriviamo una semplice parola o frase: respira o respirare è naturale o respirando. La parola è solo un espediente per attivare il contatto, per portare l’attenzione al respiro, per sorprenderlo nel suo accadere, per accorgersi che stiamo respirando. Ci riporta in tempo reale a noi stessi e, esattamente dove siamo. Non sempre dove siamo o che cosa sentiamo è di nostro gradimento, per questo preferiamo disconnetterci. Peccato che non funzioni, poiché alla lunga è un disconnettersi dalla vita e dalla sua fonte.
Quando qualcosa o qualcuno non è di nostro gradimento, e, come spesso accade, noi siamo sgradevoli a noi stessi? Quando si dice: va storta, è doloroso, mannaggia quanto è scomoda…
La pioggia per esempio è scomoda, soprattutto se non c’è un riparo e non si ha un ombrello. La stessa cosa non la direbbe un rospo. Per lui è una benedizione. È sgradevole, insomma, quando è diversa da come la vorrei. Legittimo e tuttavia poco funzionale visto che, così è.

Cavalcare il respiro

E cosa accade se torno al respiro? Se lo accompagno, nel suo entrare e uscire, nel suo instancabile viaggio dalle narici a... ?
Al diaframma? Come lo so? Sento i polmoni che assorbono il soffio. Sento il diaframma che si alza.
Alla pancia? Come lo so? Sento la pancia che si riempie e lentamente si svuota in una spinta di ritorno, verso le narici. E nel frattempo come percepisco tutto il corpo?
Senza modificarlo, mi abbandono al fenomeno, all’atto del respirare. Invece di salire in sella al prossimo pensiero, cavalco questo respiro, mentre i pensieri pascolano, sullo sfondo.
Questo contribuisce a dar qualità alla vita. Quando una vita è di qualità? Quando sono sano assai, ho il lavoro che mi piace assai, guadagno bene assai, ho una donna – o un uomo – bella assai, dei figli assai?
Quando è più consapevole, io credo. Quando vivo con qualità ciò che ho e che c’è.
Semplice sì, facile no. E alla fine, che cosa ho da perdere?
E se la consapevolezza si accoppia anche agli “assai”, allora: Bingo!

L'Arte del Respiro — Libro
Il segreto della ''Mindfulness'' per vivere con felicità e senza stress
Danny Penman

La Scienza del Respiro — Libro
Da un campione di apnea la ricetta per dire addio allo stress, migliorare la performance e vivere appieno
Mike Maric

martedì 17 settembre 2019

Vitamina B12: come integrarla?



Vitamina B12: come integrarla?

Chiedi al Naturopata


La vitamina B12 chiamata anche cobalamina, è una vitamina che risulta indispensabile e fondamentale nei processi di formazione dei globuli rossi e per un corretto funzionamento del sistema nervoso: come assicurarci di assumerne le giusta quantità?

Francesca Rifici - 17/09/2019

Chi segue un’alimentazione vegana ha scelto di non nutrirsi di alimenti a base di carne, di pesce e nemmeno derivati come uova o formaggi.

L’alimentazione vegana si basa sul consumo di cereali, verdure, frutta e semi prediligendo i cosiddetti “raw food” ovvero i cibi crudi.

Non esistono, a mio avviso, scelte giuste o sbagliate, esistono scelte personali che vanno rispettate. Importante e fondamentale è conoscere bene i pro e i contro di ogni scelta che viene fatta, compresa quella alimentare, per non incorrere in problemi di salute fastidiosi e talvolta gravi.

Chi sceglie un’alimentazione vegana saprà bene che ha maggiore rischio di incorrere in una carenza di vitamina B12.

Scopriamo insieme cos’è la vitamina B12

La vitamina B12 chiamata anche cobalamina, è una vitamina che risulta indispensabile e fondamentale nei processi di formazione dei globuli rossi e per un corretto funzionamento del sistema nervoso.

Assieme all’acido folico, agisce nella sintesi del Dna e Rna.

Dove troviamo la vitamina B12

La troviamo negli alimenti di origine animale, come carne, pesce, uova, latticini e formaggi.
Tra il pesce, ricchissimi di vitamina B12 sono gli sgombri e le aringhe mentre per la carne, il fegato animale è tra i più ricchi. Per essere precisi, non è la carne in sé che la contiene ma i batteri e microorganismi in essa presenti che hanno enzimi in grado di sintetizzarla.
Va da sé che sono alimenti non contemplati nella dieta vegana che quindi necessita di un’integrazione di questa vitamina.

Come integrare la vitamina B12 nella dieta vegana

Essa è presente e contenuta nei cosidetti alimenti fortificati, come gli hamburger di soia, i grape-nuts (cereali) o il latte di seta di soia refrigerato.
Non esistono vegetali o piante adibite ad uso alimentare dalle quali sia possibile assorbire la vitamina B12.
È vero che in alcuni alimenti quali Tempeh, Clorella, Spirulina, alcune alghe e lieviti sia presente la vitamina B12 (anche se non è stata dimostrata la sua reale attività) ma di certo in minima parte, non sufficiente a compensare il fabbisogno corporeo.
Quindi il consiglio a tutti coloro che seguono una dieta vegana è quello di integrare questa vitamina sotto forma di integratore.
E per concludere riporto questo dato curioso: la vitamina B12 è presente nelle feci poiché noi esseri umani abbiamo all’interno del nostro organismo gli enzimi deputati a sintetizzarla, ma sfortunatamente si trovano in un tratto successivo all’ileo, che è il tratto intestinale che permette l’assorbimento della vitamina B12.

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Combatte la stanchezza e l'affaticamento

venerdì 13 settembre 2019

Che cos'è l'energia in fisica?



Che cos'è l'energia in fisica?

Scienza e Fisica Quantistica


Un viaggio nel mondo della fisica per capire che cos'è l'energia: dall'energia cinetica a quella della materia oscura spiegate in maniera semplice e divulgativa in un libro alla portata di tutti

Antonella Ravizza - 13/09/2019

L’energia è fondamentale per la vita nell’Universo, tutti gli organismi viventi hanno bisogno di energia per continuare a vivere.

L’uomo riesce a svolgere tutte le attività grazie all’energia, che usa quando pensa, o quando si muove, o quando utilizza un qualsiasi dispositivo che lo circonda (che funziona perché riceve energia o che è stato costruito utilizzando energia).

La società moderna è completamente dipendente dall’energia, in particolare dall’energia meccanica, elettrica, chimica e termica, in tutti i suoi processi produttivi e gestionali, per esempio nel trasporto marittimo e aereo e nei vari processi industriali.

Per questo il problema energetico globale assume grande interesse e preoccupazione, a causa del possibile esaurimento nel tempo delle fonti fossili, che attualmente rappresentano una delle principali fonti di energia primaria, il cui utilizzo ha permesso il boom dello sviluppo economico dalla Rivoluzione Industriale fino ai nostri giorni.

L’energia riscalda le abitazioni, illumina le case, fa funzionare gli strumenti che utilizziamo per produrre cibo… insomma, è indispensabile!

Ma sappiamo veramente che cosa è l’energia?
Scopriamolo nel nuovo libro di Antonella Ravizza...

Indice del libro Che cos'è l'Energia?

Capitolo 1
L’ENERGIA E LA SUA IMPORTANZA FISICAE TECNOLOGICA

Capitolo 2
DEFINIZIONE DI ENERGIA

Capitolo 3
VARI TIPI DI ENERGIA IN FISICA

Capitolo 4
L’ENERGIA MECCANICA

Capitolo 5
LA CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA MECCANICA

Capitolo 6
ENERGIA TERMICA

Capitolo 7
GLI SCAMBI DI ENERGIA TRA UN SISTEMA E L’AMBIENTE E IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Capitolo 8
IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Capitolo 9
IL PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA

Capitolo 10
L’ENERGIA IN MECCANICA QUANTISTICA

Capitolo 11
LA CELEBRE EQUAZIONE E=M C2 E LA MASSA COME FORMA DI ENERGIA

Capitolo 12
ENERGIA ELETTRICA ED ELETTROMAGNETICA

Capitolo 13
L’ALTERNATORE

Capitolo 14
ENERGIA NUCLEARE

Capitolo 15
ENERGIA OSCURA

Capitolo 16
ENERGIA CHIMICA

Capitolo 17
L’ENERGIA NELLA CHIMICA DEGLI ALIMENTI

Capitolo 18
L’ENERGIA FISICA

Capitolo 19
ENERGIA PULITA

Capitolo 20
ENERGIA RINNOVABILE E ENERGIA NON RINNOVABILE

Capitolo 21
RISORSE E CONSUMO DI ENERGIA NEL MONDO

Antonella Ravizza

Antonella Ravizza si è laureata in fisica nucleare all’Università degli Studi di Pavia, con la quale ha mantenuto rapporti di collaborazione. È docente di Fisica presso l’Istituto “A. Cesaris” di Casalpusterlengo (LO).

Nominata tutor del Presidio Scientifico della provincia di Lodi per l’insegnamento delle scienze sperimentali, si occupa della diffusione del laboratorio nelle scuole del territorio.

Da sempre appassionata di divulgazione scientifica, è particolarmente convinta dell’importanza dell’approccio laboratoriale nell’insegnamento delle scienze. Ha curato rubriche scientifiche su giornali locali e recentemente ha scritto il libro di divulgazione scientifica Dialogo sopra i massimi fenomeni naturali del mondo, pubblicato con la Midgard Editrice.

eBook - Che cos'è l'Energia >> http://bit.ly/32CkWBZ
Dall'energia cinetica a quella della materia oscura: le meraviglie del mondo della fisica
Antonella Ravizza

lunedì 9 settembre 2019

Magnesio: come e quando usarlo



Magnesio: come e quando usarlo

Medicina Non Convenzionale


Allergie, osteoporosi, digestione, invecchiamento cardiovascolare, stanchezza cronica, colesterolo, problemi della prostata, stress e ansia: sono tantissimi i disturbi che migliorano con l'assunzione di magnesio

Lorenzo Acerra - 07/09/2019

Tratto da Magnesio. Come reintegrare un minerale utile per la nostra salute (Macro Edizioni, 2012).

Provalo come rimedio per le allergie

Fra le tante guarigioni che l’uso di cloruro di magnesio portava all’osservazione di Pierre Delbet ne figuravano alcune legate allo stato allergico: raffreddore da fieno, rinite spasmodica, orticaria, pruriti, asma. L’azione anti-allergica e anti-istaminica della supplementazione di magnesio è stata documentata da numerosi studi sperimentali anche recenti. Pruriti e dermatiti rispondono particolarmente bene alla supplementazione di magnesio. Sulle allergie Raul Vergini [1994; N.d.A.] presenta tutta una casistica frutto di parecchi anni di osservazioni e utilizzo del cloruro di magnesio.

- Asma: «la terapia con cloruro di magnesio mi ha dato ottimi risultati contro questa malattia», scrive Vergini [1994; N.d.A.], «utilizzando due volte al giorno la dose di 3 g in cicli di venta-trenta giorni o più; nei periodi critici è consigliato somministrare tre dosi da 3 g nella prima settimana passando poi alle classiche due dosi.
- Pollinosi: anche in questi casi (raffreddore da fieno, congiuntiviti ecc.) ho avuto ottimi risultati con la stessa posologia dell’asma.
- Orticaria: spesso originata da un’allergia di tipo alimentare o da farmaci, ha risposto bene alla somministrazione di cloruro di magnesio per via orale (ogni sei ore) o, nei casi più gravi, per via parenterale.
- Eczema: per l’eczema si sono avuti buoni risultati con terapie prolungate per almeno quaranta-sessanta giorni. Ovviamente andranno eliminati i fattori irritanti dalla dieta».

Prevenzione dell'osteoporosi post-menopausa

L’osteoporosi è una condizione caratterizzata dalla riduzione della massa ossea, da dolori ossei e da una maggiore facilità alle fratture. Il magnesio, dato come unico trattamento per l’osteoporosi di donne in menopausa, produce un notevole aumento di densità ossea.

Già cinquant’anni fa Neveu aveva dimostrato che pazienti con infiammazione degli elementi cellulari dell’osso se trattati con cloruro di magnesio, guarivano ed evitavano l’operazione chirurgica. Il gruppo di controllo era costituito da pazienti nelle stesse condizioni che rifiutavano il cloruro di magnesio (il gusto amaro dell’acqua di mare è proverbiale, è il cloruro di magnesio a darglielo!),
questi pazienti inesorabilmente dovevano subire l’intervento chirurgico. Driessens [1993; N.d.A.] segnala la possibilità di ridurre o prevenire gravi e progressive demineralizzazioni mandibolari con l’uso di supplementi di magnesio. In laboratorio una dieta povera di magnesio produce in un anno cavie con carenza di magnesio che sviluppano osteoporosi.

Per migliorare la digestione

Il nostro motore digestivo, a seconda di come invecchiamo, può non permettersi più con l’età gli alimenti che smantellava in maniera impeccabile una volta. Un esempio di capacità digestive migliorate con la somministrazione di magnesio fu pubblicato sul «Medical
Tribune» già il 3 giugno 1964 da Maurice E. Shils dell’istituto di ricerca “Sloan-Kettering”: un settantaquattrenne aveva reazioni a un gran numero di cibi e nel suo caso fu documentata una carenza di magnesio; nei giorni in cui gli si somministrava magnesio non aveva le manifestazioni di pluri-intolleranze ai cibi. Pensate per esempio che il magnesio attiva la tripsina [Northrop 1939; N.d.A.], e cioè equivale alla somministrazione di enzimi digestivi. Dunque il magnesio ci consentirebbe forse di carburare (digerire) a un livello superiore. A proposito delle intolleranze alimentari parliamo di astenia mattutina. Che si tratti di intolleranze alimentari, ovvero di ridotte capacità digestive, lo sappiamo, perché se una sera ci asteniamo dal cibo, la mattina ci svegliamo finalmente ben ristorati dal sonno notturno; oppure invece di spingerci fino al digiuno, possiamo provare solo a ridurre farinacei e formaggi quella sera e avremo con buona probabilità gli stessi incoraggianti risultati.

Conclusioni: se almeno di sera dimezziamo la dose del cibo cui siamo intolleranti e iniziamo a prendere cloruro di magnesio, questa è la chiave per far scomparire i risvegli accompagnati da stanchezza.

Invecchiamento e prevenzione cardiovascolare

Il cuore invecchia via via che si riducono i livelli di magnesio. È a partire dal 1935 che la scienza può affermare l’efficacia della magnesioterapia nei più diversi tipi di condizioni cardiovascolari.
Una buona funzione del tessuto muscolare dipende dall’equilibro tra possibilità di contrazione e di rilassamento.
Diminuendo il magnesio (che è addetto al rilassamento del muscolo liscio cardiaco) e aumentando il calcio depositato (che è addetto alla contrazione del muscolo liscio), si crea una tendenza alla contrattilità muscolare.

Maggiore competitività sportiva e prevenzione dei problemi fisici a livello muscolare

La riduzione dei livelli di magnesio influenza negativamente il metabolismo proteico a seguito dell’esercizio fisico [Golf 1993; N.d.A.]. Inoltre il magnesio riduce l’iper-eccitabilità muscolare e vasodilata per cui, anche se un individuo non è un atleta olimpionico, ha bisogno di magnesio per situazioni muscolari piccole e grandi: dolori, mialgie, rachialgie, stati di contrattura, mioclonie palpebrali, stanchezza muscolare, oltre che ovviamente crampi muscolari.
Più sono allenati i muscoli, più contengono gruppi fosfato nell’ATP cellulare, e che cosa lega i gruppi fosfato nell’ATP cellulare?

Per la salute della prostata

Man mano che i tessuti molli perdono magnesio progrediscono fenomeni di invecchiamento quali infiammazioni e calcificazioni. I medici Delbet, Neveu, Martin du Theil hanno ottenuto dei risultati positivi usando il cloruro di magnesio per prevenire l’ingrossamento della prostata con l’invecchiamento: «Aumentando l’approvvigionamento di magnesio», scrive Delbet, «si può fermare l’evoluzione dell’ipertrofia prostatica, addirittura spesso recede con l’uso continuato del cloruro di magnesio». Padre Beno J. Schorr riporta anch’egli numerosi casi di benefici effetti del cloruro di magnesio sulla prostata: «Un anziano non riusciva a urinare, il giorno precedente quello in cui avrebbe dovuto essere operato alla prostata gli furono somministrate due dosi da 3 g di cloruro di magnesio; iniziò subito a migliorare […] e dopo una settimana era guarito, senza operazione. Ci sono casi in cui le alterazioni alla prostata regrediscono talvolta fino alla completa normalità. Riscontrato il miglioramento, si prosegue la somministrazione del cloruro di magnesio con dosi minori, quelle per la prevenzione».

Il magnesio e i bambini

La carenza di magnesio può manifestarsi con un’elevata frequenza durante l’età della crescita. Le sue conseguenze vanno da problemi di formazione dentale e corretta densità ossea a ritardi nel prendere peso e soprattutto altezza. Ducroux [1984; N.d.A.] ha osservato, in 842 bambini ritenuti spasmofili, i sintomi seguenti: problemi di sonno (85%), problemi digestivi (63%), tic (56%), facile affaticabilità (43%), crampi muscolari e convulsioni (12%), mal di testa recidivanti (10%), problemi respiratori (8%) e problemi cardiaci funzionali. Tutti questi sintomi sono conosciuti in caso di ipomagnesiemia. In effetti il 75% dei bambini trattati con magnesio (0,010 g di ione magnesio per chilo di peso corporeo, eq. a 3,3 g di cloruro di magnesio per un bambino di 40 kg) ha reagito positivamente al trattamento, sebbene il test del magnesio sierico desse valori ridotti solo in 40 su 842.

La stanchezza cronica

«La carenza di magnesio è praticamente universale nella sindrome di stanchezza cronica», spiega la dottoressa Myhill (www.drmyhill.co.uk), «e di certo rappresenta un importante contributo ai sintomi, per cui non mi scuso affatto con i pazienti con fatica cronica per aver trattato questo tema del rifornimento di magnesio così tanto a lungo e in dettaglio».

Il colesterolo alto

Il magnesio aiuta a ridurre il tasso di colesterolo nel sangue. In pazienti con colesterolo elevato vengono utilizzati i farmaci anti-colesterolo che inibiscono la “reduttasi”, lo step chiave nella biosintesi del colesterolo modulata dall’ATP-Mg. Negli stessi pazienti, se invece del farmaco specifico si supplementa il magnesio, la riduzione del colesterolo è in media del 20% (a fronte di un 30% che si otterrebbe con i farmaci classici inibitori di reduttasi). Ma ci sono altre situazioni di alterazione della sintesi dei grassi che sono al di fuori della portata del farmaco anti-colesterolo che dipendono da una carenza di magnesio e che infatti beneficiano dalla supplementazione dello stesso: ad esempio la sua somministrazione riduce fino al 30% i trigliceridi [Rasmussen 1988, Nassir 1995; N.d.A.] e aumenta il colesterolo buono del 10% [Rosanoff 2003; N.d.A.]. Già nel 1956 Bersohn notava una normalizzazione in tutti i pazienti con colesterolo elevato che si sottoponevano a un regime di magnesioterapia.

Rimedio anti-depressione ed emotività

Alcuni autori ritengono che una percentuale non irrilevante di pazienti con quadri psichiatrici minori, che si rivolgono agli ambulatori di medici specialisti e generici, sia affetto dalla sindrome di deficit di magnesio. La carenza di magnesio determina difetti della produzione di serotonina (l’ormone che migliora l’umore), di melatonina (l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia) e della permeabilità della barriera ematoencefalica; una supplementazione magnesiaca attenua tutti questi difetti. La carenza di magnesio a livello del sistema nervoso produce istantaneamente un ridotto apporto di AMPcellulare, cioè ottiene proprio il risultato che gli specialisti vorrebbero ottenere con i farmaci “psichiatrici”. Per cui non stupisce che la somministrazione di magnesio abbia risolto alcuni sintomi neuro-psichiatrici.

Serve per la mineralizzazione ossea

I ricercatori che allevano cavie con carenze di magnesio o i ricercatori universitari che seguono persone con livelli di magnesio gravemente ridotti osservano che i loro denti non calcificano normalmente. Inoltre c’è elevata suscettibilità alla carie fino a quando non si reintroducono di nuovo i normali livelli di magnesio. Una prolungata somministrazione giornaliera di magnesio portò in 200 persone a una percentuale straordinariamente bassa di carie, e si osservò un altro vantaggio rispetto al gruppo di controllo non trattato con magnesio: il contenuto di magnesio nel dente si era raddoppiato, dando luogo a una stabilizzazione della struttura calcica. Lo stesso discorso vale per le ossa: la supplementazione con magnesio aumenta notevolmente il livello di mineralizzazione ossea [Ditmar 1989, Driessens 1993, Sojka 1995; N.d.A.].

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giovedì 5 settembre 2019

Bambini con ADHD: quali cause?




Bambini con ADHD: quali cause?

Valerio Pignatta - 01/01/2016

Gli studi del neurobiologo Jaak Pansepp dimostrano come l’insorgere sempre più frequente di disturbi psichiatrici nei bambini – ne è un esempio la dilagante “epidemia” di ADHD – sia correlata all’impossibilità di sperimentare il gioco fisico, non indirizzato, nella natura e tra coetanei. Il gioco libero stimola la subcorteccia cerebrale, sede delle nostre emozioni di base, e conseguentemente porta all’ottimale maturazione della corteccia, sede di funzioni più evolute come la creatività e l’interazione sociale.

Con vari articoli pubblicati nell'ultimo trentennio su autorevoli riviste scientifiche, il noto ricercatore americano di origine estone Jaak Panksepp ha posto degli interrogativi e proposto delle soluzioni al problema della sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività (conosciuta anche come ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder).

Salvo alcuni casi illuminati e limitati a professionisti della mente particolarmente attenti, ci pare di poter affermare che queste enunciazioni scientifiche non siano state ancora recepite dalla comunità internazionale degli psichiatri, sebbene siano a nostro parere di fondamentale importanza per capire il crescente fenomeno dei disturbi comportamentali e psiconeurologici che molti bambini vanno manifestando nei paesi “industrializzati”.
Negli anni, questo neurobiologo ha pubblicato più di 420 articoli scientifici sui rapporti tra emozioni, intersoggettività, socializzazione, sistemi motivazionali e comportamento.
Il suo ampissimo lavoro di ricerca vuole esplorare le modalità attraverso le quali dallo studio dell’organizzazione neuronale delle emozioni nel cervello dei mammiferi (e quindi anche in quello umano) si possano capire le emozioni stesse e i loro disturbi nell’uomo adulto e nei bambini. Egli ha condotto molte ricerche sui meccanismi cerebrali alla base della rabbia, della paura, dell’angoscia da separazione (panico) e sui disturbi neuropsichiatrici che derivano da un deterioramento di questi sistemi.
Panksepp ha anche studiato quali sono le sostanze cerebrali (in particolar modo i neuropeptidi) che regolano i legami sociali e i sentimenti sin dalla più tenera infanzia. Le conseguenze pratiche delle sue ricerche sperimentali hanno portato alla possibilità di sviluppare un approccio multidisciplinare nell'affrontare i disturbi dello sviluppo cognitivo e comportamentale del bambino, come l'autismo e appunto la sindrome ipercinetica.

L’importanza del gioco non indirizzato

Panksepp ha messo in evidenza l'importanza della socializzazione per l'acquisizione da parte del cervello in formazione dei bambini di norme comportamentali, capacità di interagire, manifestazione delle proprie emozioni, rispetto dell'altro ecc.
Oggigiorno, la sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD) è diagnosticata sempre più spesso e questo avviene a un ritmo allarmante. Del pari, psicostimolanti estremamente efficaci di cui non si conoscono ancora chiaramente gli effetti sul cervello in formazione vengono prescritti sempre più frequentemente da una classe medica che, purtroppo, non è al corrente degli studi di neurobiologia emozionale più recenti.
Secondo le ricerche di Panksepp, si può presupporre che l'aumento del numero di casi di ADHD si spieghi soprattutto con l'impossibilità per questi bambini di interagire con altri coetanei mediante il gioco. Studi pre-clinici indicano che il gioco aiuta gli animali in fase di crescita fisiologica e psicologica a superare le proprie inibizioni comportamentali. D'altro canto, gli psicostimolanti somministrati per tamponare i disturbi comportamentali in bambini ipercinetici diminuiscono la loro voglia di giocare e di vivere. La riflessione principale e determinante cui arriva Panksepp coi suoi studi è che la natura è stata rimossa dalla vita della maggior parte dei bambini che vivono nel mondo occidentale.

Troppo pochi bimbi hanno l'opportunità di buttarsi nella mischia del gioco fisico con i loro compagni.
Intelligenza, umanità e creatività sono programmi genetici che non trovano le condizioni ideali per svilupparsi – come dovrebbero – con il gioco, perché il gioco naturale, soprattutto quello non organizzato nella natura, non fa più parte del “curriculum” di molti bambini. Panksepp precisa che i suoi surrogati, siano essi sport organizzati o giochi coordinati o preparati (piscinetta, parco, compleanni ecc.), sono pallide imitazioni del gioco reale. La maggior parte dei genitori e degli educatori, anche professionisti, non riconosce ancora il profondo valore del gioco naturale, ossia di quei “giochi che la natura stessa suggerisce a quell'età”. Molti immaginano tali attività come forme incipienti di educazione all'aggressione e alla prevaricazione. Ma in realtà la questione si pone in termini molto diversi.
Sebbene il predominio sembri essere un aspetto naturale e preponderante nel gioco fisico, con la giusta attenzione e ben indirizzato, esso potrebbe essere finalizzato alla promozione della sensibilità sociale.

Molti genitori e altrettante scuole trascurano i bisogni del gioco presumendo che trattare i bambini come se fossero dei piccoli adulti faciliti la crescita di futuri cittadini perfettamente integrati nella società. Ma, sottolinea Panksepp, non ci sono evidenze scientifiche che un giovane ragazzo possa maturare nel modo migliore e completo senza la soddisfazione del gioco quotidiano, il primo strumento che Madre Natura ha fornito per l'educazione sociale.
Una maturazione del cervello in funzione favorevole alla società forse potrebbe essere agevolata attraverso la presenza di abbondanti quantità di gioco naturale per tutta la durata della prima infanzia. I giochi “scalmanati” vanno interpretati come un importante preludio ai giochi associativi maggiormente elaborati, che implicano giochi di finzione e drammatizzazioni fantasiose nei. Secondo Panksepp, se le attuali società industrializzate non intraprenderanno iniziative finalizzate alla promozione del gioco naturale, oltre all'ADHD, potranno comparire in modo diffuso tra i ragazzi altre patologie neuropsichiatriche e conseguenze psicologiche di vario tipo.
Consistenti studi dimostrano chiaramente che tutti gli psicostimolanti utilizzati a piene mani nelle nostre società riducono la gaia pienezza sensoriale ed emozionale del gioco (sia nei giovani animali che negli umani): questo è profondamente preoccupante. Il gioco “primitivo” e le soddisfazioni a livello emozionale che esso implica riducono la frequenza dell'impulso a scardinare l'autocontrollo, promuovendo le funzioni regolatrici del lobo frontale che si attivano a favore di dinamiche sociali collaborative e interagenti.

Dagli psicofarmaci ai centri per il gioco

Non è quindi privo di fondamento approfondire l'idea secondo la quale gli interventi sotto forma di gioco intensivo con altri bambini possono alleviare i sintomi dell'ADHD. Senza contare che potrebbero esserci anche benefici indiretti: ad esempio Panksepp sostiene che una sessione di trenta minuti di gioco fisico da mezzora a un'ora prima di coricarsi può ridurre tutti i comuni problemi o rifiuti dell'andare a dormire nei bambini e nei ragazzi. Un altro effetto collaterale di un vivere attivo, giocoso e felice viene individuato nella riduzione dell'incidenza della depressione nei bambini e di conseguenza negli adulti. La depressione giovanile è devastante per l'allegra vitalità del gioco ed è noto che la cessazione della somministrazione di psicostimolanti può indurre depressione. Secondo Panksepp la società odierna occidentale deve arrivare a sostituire i farmaci con “centri per il gioco” destinati ai ragazzini a rischio, al fine di favorire la maturazione del lobo frontale del loro cervello e di svilupparne la socializzazione.

Cervello, movimento ed emozioni

Molte evidenze empiriche supportano l'esistenza di un minimo di sette prototipi di sistema emozionale in tutti i cervelli mammiferi: ricerca (seeking), rabbia, paura, sessualità, cura, panico e gioco. In modo grossolano si può dire che il primario processo di coscienza affettiva sembra essere fondamentalmente un incondizionato dono della natura piuttosto che una capacità acquisita, anche se quei sistemi, base di partenza presente nello sviluppato apparato attivo emozionale dei cervelli dei mammiferi, facilitano acquisizioni di capacità attraverso vari rafforzamenti del “sentito”. Il comportamento comunque sopravvive a una decorticazione cerebrale radicale. Panksepp ha dimostrato che animali senza alcuna neocorteccia giocano vigorosamente (1).
Secondo Panksepp, è nell'area del tronco encefalico che si fonda la genesi evolutiva della coscienza. Essa è la sede dei primi sistemi motori organizzati che originerebbero gli stati di coscienza affettivi. Studi condotti su pazienti colpiti da ictus che hanno subito la lesione di parti rilevanti della superficie corticale confermerebbero questa ipotesi dato che, tranne rare eccezioni, in questi casi i soggetti conservano sia la coordinazione motoria che un buon livello di coerenza individuale.
Il neurobiologo pone quindi il centro del Sé (self, simple ego life form) a livello subcorticale e le condizioni del suo sviluppo a uno stadio evolutivo precoce, a partire da processi motori organizzati in modo riflesso e via via sempre più orientati in senso affettivo e cognitivo. Sono ovvie quindi le implicazioni di tutto ciò per disturbi comportamentali come l'ADHD che si vogliono sedare con risposte neurochimiche indotte e non con stimoli in primis motorio-comportamentali e di conseguenza cognitivo-emozionali.
Le attività del cervello si compongono di un funzionamento subcorticale e di un funzionamento corticale. Panksepp ci spiega che «le zone subcorticali nel cervello sono la fonte delle emozioni di base degli esseri umani. Le zone corticali nel cervello – sede di funzioni quali la creatività e l’interazione sociale – maturano se permettiamo al bambino di giocare».Mentre questo funzionamento subcorticale è inconscio nella vita umana adulta, nella vita infantile è centrale, sia perché lattività corticale nella prima infanzia non è ancora coordinata e quantitativamente limitata, sia perché il cervello umano raggiunge la sua maturità solo se si procede a partire dai primi gradini della scala – l’attività subcorticale – un gradino alla volta, nel modo giusto.Per questo Panksepp afferma che una società che non investe sulla possibilità del bambino di giocare e di trovarsi nella natura, molto facilmente potrà essere una società di individui adulti non perfettamente maturati secondo il progetto della natura stessa.
Il gioco come pulsione neurologica

Dunque Panksepp incoraggia gli educatori a non sottovalutare il valore del gioco, e incoraggia a ritrovare i momenti ludici del bambino nella natura, eliminando gli interventi razionali di persone che non riconoscono le sue reali necessità: il bambino è diverso dall'adulto e ha bisogno del gioco. L´adulto potenziale che è in ogni bambino ha bisogno del gioco come strumento di crescita di strutture neurologiche programmate dal nostro genoma.
«Lo stimolo al gioco – scrive Panksepp – è una pulsione neurologica. L'attività di circa un terzo dei 1.200 geni del cervello che noi valutiamo essere presenti nelle regioni corticali frontale e posteriore è significativamente modificata dal gioco nell'ora seguente una sessione di attività ludica di trenta minuti» (2).
Tali impulsi neurobiologici filtrano continuamente, ogni giorno, in ogni bimbo normale. Già nel 1988 (3) Panksepp avvertiva che se questi impulsi avessero continuato a rimanere per la maggior parte inappagati, si sarebbero presentate delle conseguenze, e una di queste poteva essere l'aumento dell'incidenza di ADHD. Le sue predizioni si sono rivelate veritiere.

Lobo frontale e ADHD

Misurazioni del flusso sanguigno cerebrale con PET (tomografia a emissione di positroni) hanno mostrato che soggetti con una attenuata attività del lobo frontale presentavano una diminuita creatività, deficit psichici e abbondanti sintomi negativi sia mentali che emozionali. Ora, al fine di facilitare la maturazione del lobo frontale e lo sviluppo salutare di menti favorevoli alla vita sociale, i bambini necessitano del gioco. E per sfruttare al massimo questi doni genetici dovremmo creare ambienti sociali per i bambini che non solo permettano, ma incoraggiano il soddisfacimento dei naturali, gioiosi e imperiosi bisogni di gioco (4). Panksepp sostiene che se impariamo a ristabilire il potere del gioco nei nostri programmi educativi pre-scolastici in modi nuovi e creativi, potremmo promuovere le funzioni esecutive del lobo frontale (5) e, in tal modo, invertire l’inarrestabile proliferazione dell’ADHD. È quindi assolutamente dimostrato che l'ADHD ha a che fare con la maturazione del cervello: a livello neuroscientifico sappiamo che i bimbi con ADHD presentano qualche insufficienza nelle funzioni esecutive del lobo frontale (6). La regolazione delle capacità del lobo frontale promuove il miglioramento di attitudini come «autoriflessione, immaginazione e creatività nel gioco»: queste abilità esecutive favoriscono una specie di «flessibilità e previdenza comportamentale» che costituisce «comportamenti in direzione di uno scopo e ben focalizzati».

Va precisato che le cognizioni sono in gran parte corticali, mentre le affezioni in gran parte subcorticali. Ma i processi cortico-cognitivi superiori che aiutano a regolare l'emozionalità emergono solo gradualmente man mano che l'organismo matura. Questi due stati sovrapposti, subcorticale e corticale, interagiscono continuamente anche se noi non ce ne rendiamo conto. Studi sull'immaginazione ci dicono che molte aree superiori del cervello (corticale, cognitiva) ‘‘si accendono’’ durante l'induzione di emozioni.
In pratica se una persona è triste è anche più facile che commetta un maggior numero di errori. Le aree subcorticali sono adibite a scopi molto speciali: si tratta di circuiti geneticamente dedicati alle varie emozioni e motivazioni che nelle regioni subcorticali sono condivise da tutti i mammiferi.

La natura distante: verso la standardizzazione tecnologica

«Dubitiamo – afferma Panksepp – che sarà mai possibile svelare l'intrinseca natura degli aspetti superiori del binomio cervello-mente umani senza prima avere una solida comprensione degli aspetti che ne stanno alla base – i processi archetipici emozionali-motivazionali che tutti i mammiferi condividono».
Per contro, come società, reagiamo all'ADHD con psicofarmaci come il Ritalin e altri medicinali chimici della stessa specie. Ma la sensibilizzazione agli psicostimolanti rende i soggetti ancor più insistentemente materialisti – più desiderosi di ogni specie di ricompensa edonistica (7). La sensibilizzazione agli psicostimolanti riduce gli stimoli dei bambini al gioco e quindi non aiuta una normale e salutare maturazione del cervello.
Inoltre, le sempre crescenti aspettative educative standardizzate insieme all'aumento dell'intolleranza nei confronti gaia giocosità dei bambini potrebbero costituire un’ulteriore ragione del dilagare delle diagnosi di ADHD (8).
Già Platone (9) nell'antichità invitava a lasciar giocare liberamente i bambini, perché riteneva che fosse un'attività determinante per la loro formazione. Oggi siamo a tal punto immersi nella tecnologia da esserci completamente dimenticati che là fuori esiste un mondo reale con il quale, volenti o nolenti, dobbiamo avere a che fare se vogliamo evolvere completamente secondo le nostre predisposizioni e potenzialità, genetiche e antropologiche.

Note

1) Panksepp J., Normansell L. A., Cox J.F., Siviy S., “Effects of neonatal decortication on the social play of juvenile rats”, in Physiology & Behavior, vol. 56, 1994, pp. 429–443.
2) Burgdorf J., Panksepp J., Brudzynski S.M., Kroes R., Moskal J.R. “Breeding for 50-kHz positive affective vocalizations in rats”, in Behav Genet 2005, 35:67–72.
3) Panksepp J., Affective neuroscience: The foundations
of human and animal emotions, Oxford University Press, New York, 1998.
4) Panksepp J., Affective neuroscience: The foundations
of human and animal emotions, Oxford University Press, New York, 1998.
Panksepp J., “The long-term psychobiological consequences of infant emotions: Prescriptions for the twenty-first century”, Infant Mental Health Journal, 22, 2002, 132–173.
5) Barkley R. A., “ADHD and the nature of self-control”, Guilford Press, New York, 1997.
Panksepp J., Burgdorf J., Gordon N. & Turner C., “Modeling ADHD-type arousal with unilateral frontal cortex damage in rats and beneficial effects of play therapy”, Brain and Cognition, 52, 2003, 97-105.
6) Castellanos F.X. & Tannock R., “Neuroscience of attention deficit/hyperactivity disorder: The search for endophenotypes”, Nature Reviews Neuroscience, 3, 617-628, 2002.
7) Nocjar C., Panksepp J. “Chronic intermittent amphetamine pretreatment enhances future appetitive behavior for drug- and natural-reward: interaction with environmental variables” in Behav Brain Res 2002, 128:189–203.
8) Panksepp J., “Attention deficit disorders, psychostimulants, and intolerance of childhood playfulness. A tragedy in the making?”, Current Directions in Psychological Sciences, 7, 1998, 91–98.
9) Platone, Leggi, libro VII, 794.

Chi è Jaak Panksepp

“Neuroscienziato delle emozioni” – così come è stato definito – lavora al Dipartimento di veterinaria, anatomia comparata, farmacologia e fisiologia della Washington State University ed è professore emerito al Dipartimento di psicologia della Bowling Green State University. In aggiunta al suo impegno nella ricerca e nella didattica accademica, Panksepp ha fondato e diretto l'organizzazione no-profit “Memorial Foundation for Lost Children”, che ha avuto il merito di fornire informazioni indipendenti e consigli ai genitori dei bambini affetti da disordini neuropsichiatrici, in particolare autismo e ADHD.
Il professor Panksepp è comparso due volte in popolari trasmissioni televisive: in una trasmissione alla BBC intitolata “Oltre il gioco” e su Discovery Channel in “Perché il cane sorride e lo scimpanzè piange”. In queste occasioni Paksepp ha parlato della sua scoperta relativa allo squittio di gioia dei topi, emesso ad una frequanza di 50 kHz, conseguente l'induzione al gioco.

Bibliografia

Panksepp, J., “Attention deficit hyperactivity disorders, psychostimulants, and intolerance of childhood playfulness: A tragedy in the making?”, in Current Directions in Psychological Science, vol. 7 (9), 1998, pp. 1-98.
Panksepp, J., “Affective consciousness: Core emotional feelings in animals and humans”, in Consciousness and Cognition, vol. 14, 2005, pp. 30-80.
Panksepp, J., “Can PLAY Diminish ADHD and Facilitate the Construction of the Social Brain?”, in J. Can. Acad. Child. Adolesc. Psychiatry, vol. 16(2), maggio 2007, pp. 57-66.
Panksepp, J. e Burgdorf, J., “'Laughing’ rats and the evolutionary antecedents of human joy?”, in Physiology & Behavior., vol. 79, 2003, pp. 533– 547.

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