martedì 29 dicembre 2020

La comunicazione non locale del cuore


La comunicazione non locale del cuore

Neuroscienze e Cervello

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La comunicazione non locale del cuore ci riconnette, battito dopo battito, alla frequenza della Terra: ecco la via del cambiamento globale

Carmen Di Muro - 27/12/2020

Articolo di Carmen Di Muro - Tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

La coerenza personale fa parte della più ampia coerenza collettiva del cosmo, della vita intera. È ciò che sostiene il nostro essere, ciò che dà forma alla realtà che ci circonda e che si dispiega, giorno per giorno, alla luce dell’interazione con gli altri, con il cuore degli altri. Siamo immersi in una rete come le corde sottili di uno strumento musicale che insieme ad altri creano la sinfonia di ciò che percepiamo come esperienza personale e collettiva.

È proprio in questa comunione reciproca che i nostri cuori si svelano, tracciando la direzione non soltanto alla nostra rotta individuale, ma scrivendo la storia dell’umanità intera. Un’umanità che, mai come oggi, ci chiama a dilatare lo sguardo, a capire che siamo parte di un tutto interagente, parte di un sistema vivente, di un pianeta che è la nostra casa.

Molti ancora pensano che siamo individui distinti, ma la realtà è che anche quando siamo seduti in una stanza per conto nostro, non siamo soli. Siamo un elemento di questa famiglia, della vita, parte integrante di un sistema in movimento. Ne facciamo parte e, che lo vogliamo o meno, apparteniamo e siamo interconnessi inscindibilmente all’energia della Terra.

Risonanza di Schumann, ippocampo e anima

Ogni cellula del nostro corpo è immersa in un ambiente, esterno e interno, di fluttuanti forze magnetiche invisibili che possono influire virtualmente sui circuiti del sistema biologico.

Di conseguenza, non dovrebbe sorprendere, se numerosi ritmi fisiologici negli esseri umani e nei modi di fare collettivi e globali sono sincronizzati con l’attività solare e geomagnetica, e se, inoltre, interruzioni energetiche in questi campi possono creare effetti negativi sulla salute umana e sul comportamento.

Il meccanismo più attendibile per spiegare questo fenomeno è il processo che vede un accoppiamento tra il sistema nervoso umano e frequenze geomagnetiche come, per esempio, la risonanza di Schumann e altre risonanze a frequenza molto bassa chesi verificano nella cavità della terra-ionosfera.

Sempre più evidenze suggeriscono che di tutti i sistemi fisiologici studiati finora, i ritmi del cuore e del cervello sono quelli più fortemente associati ai cambiamenti nelle condizioni geomagnetiche. Per esempio, la variazione naturale del campo geomagnetico terrestre si è visto essere in relazione alle funzioni cardiovascolari umane come la pressione sanguigna, la frequenza e la variabilità cardiaca.

IL CONTATTO CON LA NATURA E CON LA LUCE SOLARE, CHE CON LA LORO CARICA DI CAMPO

VIVIFICANO MENTE E CORPO, RIEQUILIBRA LE FREQUENZE BASSE E DISORGANIZZATE

Questa evidenza è alla base della spiegazione di tutte quelle sensazioni avvertite prima e dopo cambiamenti globali rilevanti.

Molti di noi le percepiscono a livello fisico, pur non essendone consapevoli, sotto forma di variazioni nel tono dell’umore, ma anche di altri sintomi quali fiacchezza, emicrania, dolori articolari e muscolari, disturbi cardiocircolatori fino ad alterazioni maggiormente dannose per la salute.

Infatti, diversi sono gli studi che hanno trovato significative associazioni tra tempeste magnetiche e diminuzione della variabilità della frequenza cardiaca (HRV), indicando un possibile meccanismo che collega l’attività geomagnetica con una maggiore incidenza di malattie coronariche e infarto al miocardico.

Ciò suggerisce che le interferenze nei campi magnetici ambientali possono agire come guide d’onda capaci di innescare cambiamenti nell’attività elettrica del cervello, allo stesso modo dei molteplici agenti stressanti ormai noti (lavoro, relazioni, cambiamenti di vita, eventi importanti, inquinamento ecc).

Ma è anche vero il contrario. Basta poco per sentirsi bene, soprattutto in periodi di grande sovraccarico: è sufficiente godersi un po’ di natura o di luce solare che con la loro carica di campo, vivificano mente e corpo, riequilibrando le frequenze basse e disorganizzate. Pertanto, è ormai evidente come una vibrazione imposta esternamente, per quanto con uno spettro di frequenza ultrabassa, possa avere un’influenza sulla nostra fisiologia e sul nostro sistema psiche-soma nel bene e nel male.

Le risonanze di Schumann furono misurate per la prima volta nel 1952: ne sono state rilevate otto e hanno la stessa frequenza delle onde cerebrali umane. Poiché i nostri cervelli operano alle stesse frequenze, abbiamo la possibilità di creare collegamenti risonanti scambiando energia e informazioni con il campo magnetico e viceversa. In particolare è stato notato che queste frequenze risonanti coincidono specificatamente con la regione cerebrale chiamata ippocampo.

https://it.wikipedia.org/wiki/Risonanza_Schumann

 

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Scienza e Conoscenza n. 74 - Ottobre/Dicembre 2020 >> https://bit.ly/35LVm0D

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venerdì 18 dicembre 2020

La cooperazione fra le cellule alla base della Vita


La cooperazione fra le cellule alla base della Vita

Nuova Biologia

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C’è un delicato equilibrio dinamico di ogni specie non soltanto in rapporto alle altre, ma in relazione alla globalità dell’ambiente interno ed esterno. Questa è l’armonia della vita, un’esperienza profonda di relazione. Possiamo immaginarci come singole individualità, stesso vale per il nostro corpo, ma nulla può funzionare se non nel reciproco rapporto, laddove è la relazione a diventare fondamentale.

Carmen Di Muro - 17/12/2020

C’è un delicato equilibrio dinamico di ogni specie non soltanto in rapporto alle altre, ma in relazione alla globalità dell’ambiente interno ed esterno. Questa è l’armonia della vita, un’esperienza profonda di relazione. Possiamo immaginarci come singole individualità, stesso vale per il nostro corpo, ma nulla può funzionare se non nel reciproco rapporto, laddove è la relazione a diventare fondamentale.

Il Sé senza l’altro non avrebbe senso, come pure la mente senza corpo non avrebbe senso. Tutto è interconnesso in un ordine nascosto, quanto ineffabile, che modula il micro e si riflette nel macro, in cui nessuno elemento può essere lasciato fuori, pena la cessazione della vita.

In questo campo comunitario si muovono le dinamiche che attivano l’unità nella molteplicità.

Basti pensare che siamo una comunità di circa 50 trilioni di abitanti cellulari. Quasi tutte le cellule che compongono il nostro corpo sono organismi individuali che hanno sviluppato una strategia di cooperazione finalizzata alla reciproca sopravvivenza e noi esseri umani ne condividiamo, congenitamente, i modelli base di comportamento essenziali.

Ogni cellula è, infatti, un essere senziente, dotato di intenzionalità, che cerca attivamente gli ambienti adatti alla sopravvivenza, evitando nel contempo quelli tossici ed ostili: esamina migliaia di stimoli provenienti dal microambiente in cui vive, e attraverso l’analisi di questi dati, attiva le risposte comportamentali più appropriate per assicurarsi la vita. Stesso principio vale per noi. 

Le cellule, inoltre, sono capaci di apprendere dalle esperienze legate all’ambiente e di creare una memoria che trasmettono alle cellule figlie. Questa sorprendente attività dell’ingegneria genetica naturale è importantissima, perché costituisce un meccanismo di “intelligenza” innata che consente l’evoluzione (Steele et al., 1998).

Queste modifiche, quindi, possono essere trasmesse alle generazioni future esattamente come i modelli del DNA. La sopravvivenza della cellula dipende, dunque, dalla sua capacità di adattarsi dinamicamente ai continui cambiamenti. E più consapevolezza del suo ambiente possiede un organismo, migliori saranno le possibilità di sopravvivenza.

Per esempio, le mutazioni adattive implicano uno scopo nell’evoluzione biologica che è quello di conformarsi alle condizioni prevalenti della realtà circostante, che include l’intera comunità.

E la spinta evoluzionistica in direzione di comunità sempre più grandi riflette l’imperativo biologico della vita.

La cooperazione cellulare alla base della Vita

Per acquisire maggiore consapevolezza, e quindi aumentare le probabilità di sopravvivenza, le cellule cominciarono ad aggregarsi, prima in semplici colonie e, in seguito, in gruppi cellulari ad alto livello di organizzazione.

In comunità, la cellula non può comportarsi come un’agente indipendente che fa ciò che vuole, ma al contrario tutti i suoi membri collaborano a un piano d’azione comune. Con l’evoluzione di specie sempre più complesse, le cellule specializzate si assunsero il compito di monitorare e organizzare il flusso delle molecole-segnale che controllano i comportamenti.

Queste, via via, andarono a costituire una rete nervosa distribuita e un processore centralizzato di informazioni, un cervello (Lipton, 2007). La funzione del cervello è quella di coordinare la comunicazione delle molecole-segnale all’interno della comunità. Di conseguenza, in una comunità cellulare ogni membro deve affidarsi alle sagge decisioni della propria autorità di consapevolezza. Il cervello controlla i sofisticati meccanismi cellulari del corpo. Ma non solo.

Con la progressione della linea evolutiva, la specializzazione cerebrale, attraverso il sistema limbico, ha offerto le basi per far compiere un importante salto all’organismo, grazie alla capacità di percepire e coordinare il flusso dei segnali di controllo del comportamento all’interno della comunità cellulare. Ed è proprio questo il substrato neurale più antico che ci riporta a contatto con l’essenza della vita, su quel piano da cui, sia le cellule, che l’organismo intero, attraverso strutture e processi sempre più raffinati, ha iniziato a percepire, sentire e regolare il flusso di energia capace di instillare un continuum sensato tra dentro e fuori.

Questo diviene un punto molto importante da considerare per rintracciare quel filo comune da cui origina e prende forma il senso di realtà, ma anche il benessere. Il sistema limbico è quella struttura cerebrale presente nella parte più profonda e antica del telencefalo connessa alle emozioni, all’umore e al senso di autocoscienza che determina il comportamento individuale.

Ciò vuol dire che la voce dell’anima rappresentata dai sentimenti, custoditi in quella zona sommersa del nostro cervello, sono la base e il collante, che ha permesso e permette il fiorire perpetuo della vita.

Estratto da “Light R-evolution. Nati per accogliere la vita. Le 8 dimensioni evolutive del Sé” per gentile concessione dell'autrice Carmen Di Muro

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Nati per accogliere la vita - Le otto dimensioni dello sviluppo evolutivo del Sé

Carmen Di Muro

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martedì 15 dicembre 2020

Come migliorare il sistema immunitario


Come migliorare il sistema immunitario

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Papaya fermentata, glutatione, vitamina D e vitamina K per migliorare il sistema immunitario

Redazione Scienza e Conoscenza - 14/12/2020

Articolo di Herber Rainer, tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

Il sistema immunitario serve a mantenere l’integrità dell’organismo degli esseri umani nei confronti di tutto quello con cui inevitabilmente vengono a contatto, sia esso proveniente dall’esterno che dall’interno.

Ha quindi il compito di discriminare tra le sostanze benefiche e quelle potenzialmente dannose, sia che si tratti di sostanze con valore nutrizionale, come il cibo, ma anche di microbi benefici o commensali o di elementi nocivi quali batteri, virus, tossine, o di cellule o detriti da eliminare.

Il sistema immunitario si distingue in innato e acquisito. Il sistema immunitario innato, più veloce, ma anche più aspecifico, è quello che risponde nell’immediato. È costituito soprattutto da leucociti neutrofili e dai macrofagi che cercano di inglobare e distruggere ogni elemento sospetto incontrato sul loro percorso.

Il sistema immunitario acquisito è più raffinato: grazie all’effetto memoria di alcuni linfociti, questi, in seguito a un precedente incontro con un determinato microbo, sono già pronti per produrre anticorpi specifici, anche in grande quantità, qualora si ripresentasse lo stesso microbo, batterico o virale che sia.

Il ruolo dei microbi

Dobbiamo ricordarci che noi siamo quello che siamo grazie a un guscio microbico che ci protegge e che difende la nostra vita sin dalla nascita e fa come da primo filtro verso il mondo esterno. Oggi possiamo affermare che senza i batteri, i miceti, i virus e i retrovirus che normalmente sono presenti in grande quantità su tutte le superfici esposte – ovvero sulla cute e su tutte le mucose – noi non potremmo né vivere né difenderci dalle aggressioni esterne, perché i batteri benefici, per esempio i bifidobatteri, i lattobacilli, ma anche gli streptococchi e molti altri, fanno da barriera fisica all’ingresso di quelli patogeni.

Lo stesso vale, per quanto ne sappiamo oggi, per i miceti e i virus: quelli salutari non devono mancare se vogliamo mantenere il nostro equilibrio immunitario.

Come si forma il sistema immunitario

Non deve perciò sorprendere che a livello dell’intestino, in particolare nel tenue, si sia costituita la più importante barriera immunitaria tra organismo e mondo esterno, in cui avviene il più ampio contatto tra tutto quello che viene da fuori, principalmente il cibo, e le aree deputate al riconoscimento tra il sé (il “self”) e il resto del mondo (il “non self”).

Oggi sappiamo che in assenza di microbi, soprattutto di batteri, il sistema immunitario (s.i.) non si attiva, non matura, non si sviluppano le stazioni linfatiche come le placche di Peyer e tutte le altre componenti dell’apparato immunitario sono gravemente deficitarie. Mancando l’allenamento quotidiano offerto dai batteri e dalle altre sostanze elementari presenti nell’intestino, il s.i. non impara a distinguere tra aggressori e sostanze innocue o nutrimenti utili e non riesce a sviluppare una corretta risposta ai vari antigeni, con un mancato equilibrio tra tolleranza e risposta esagerata o allergica.

Il sistema immunitario ha una sua finestra temporale per imparare a svilupparsi e a maturare, come il linguaggio o la deambulazione nei bambini. [continua...]

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venerdì 11 dicembre 2020

Il potere dell'effetto Placebo


Il potere dell'effetto Placebo

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Il potere dell’effetto placebo, della preghiera e del lasciar andare: la via dell’abbandono spirituale per l’autoguarigione

Lissa Rankin - 10/12/2020

Qualcuno recentemente mi ha chiesto cosa ne pensassi del mistero dell’effetto placebo – di cui ho scritto a lungo nel mio libro Mind Over Medicine. La mente supera la medicina – che gli scienziati non hanno ancora capito, ma su cui hanno solo delle teorie.

Ho pensato che alcuni di voi potrebbero essere interessati a ciò che ho scritto. Nella versione originale di Mind Over Medicine ho definito l’effetto placebo come una combinazione di convinzioni positive e cure premurose da parte di qualcuno in una posizione di autorità, a cui siamo stati condizionati a rispondere con una salute migliore.

Il mio punto di vista sul placebo è cambiato nel corso degli anni e ho aggiornato il mio pensiero nella nuova versione rivista del libro.

Prima pensavo che a fare la differenza fosse quella semplice somma di credenze positive e cure premurose, ma ora ritengo che l’effetto placebo abbia molto meno a che fare con le pillole di zucchero o con le convinzioni positive e invece molto di più con la coscienza. La presenza di un vero guaritore (sia esso un medico, uno psicoterapeuta, un agopuntore o un guaritore energetico) crea una risonanza con il paziente, che può essere in grado di trascinarlo in una frequenza di guarigione.

Qualsiasi trattamento somministrato in presenza di questa frequenza di guarigione – pillole, iniezioni, aghi, apposizione delle mani, forse anche cure a distanza – può avere un impatto sul paziente in modo tale da apportare sollievo dai sintomi e, in alcuni casi, una vera e propria guarigione.

Quindi, anche se si potrebbe pensare che le persone possono infondere una convinzione positiva a qualsiasi ordinaria pillola di zucchero, l’impatto della presenza di un guaritore può essere un fattore molto più importante di quanto non abbiamo immaginato in precedenza. Come dico nel libro Mind Over Medicine, è uno dei paradossi della guarigione; si può guarire se stessi, però non si può fare da soli.

Trasforma in placebo qualsiasi cosa

Tenendo presente questo avvertimento, una cosa che le persone possono fare da sole è usare la loro intenzione di caricare qualsiasi cosa del potere della guarigione. Non c’è alcuna ragione per cui non possiamo caricare la nostra acqua dell’intenzione di guarire – o il nostro estratto verde, il nostro cibo, o qualsiasi farmaco o integratore che prendiamo – per amplificarne l’impatto sull’organismo. Perché non impregnare tutto ciò che usiamo a scopo medicinale con la coscienza della guarigione?

Come sto scrivendo in Sacred Medicine, tutto può essere Medicina Sacra, se la usiamo con una sacra consapevolezza.

Si può guarire se stessi e non si può guarire da soli

La guarigione è relazionale quasi per definizione. Anche se siamo solo in relazione con Dio (o come volete chiamare la grande forza dell’amore che crea la vita ed è dentro tutti noi), la guarigione non è una pratica esclusivamente di autoaiuto. Guarigione e amore sono impossibili da separare.

Quindi, anche se può sembrare semplicistico, se volete massimizzare l’effetto placebo per i vostri scopi, dovete trovate un “altro” con cui relazionarvi, che esso sia un medico o un terapeuta oppure ancora un guaritore che apprezzate; praticate le vostre arti di guarigione con un amico fidato, oppure la devozione verso ciò che chiamate Dio/Dea.

Il tipo di amore coinvolto nella guarigione trascende la persona, perché ogni buon guaritore è solo un canale per l’amore incondizionato dell’Universo.

Nonostante ciò che ci insegnano alla facoltà di medicina, non è in alcun modo poco professionale amare i propri pazienti. Al contrario. L’amore guarisce, e ci sono molti dati scientifici a sostegno di questa affermazione. [continua...]

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La Mente Supera la Medicina — Libro

Mind over medicine - La prova scientifica che si può guarire da soli

Lissa Rankin

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venerdì 4 dicembre 2020

I virus sono nostri alleati per la salute


I virus sono nostri alleati per la salute

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Nei mesi passati abbiamo vissuto scenari a dir poco apocalittici: città “rosse”, paesi isolati, strade e piazze deserte, saracinesche abbassate, il tutto condito da panico, solitudine, angoscia di perdita e frantumazione, angoscia di desertificazione psicotica: limitazioni e restrizioni che hanno avuto a che fare con la sopravvivenza, piuttosto che con l’esistenza.

Luigi Marcello Monsellato - 03/12/2020

Questo articolo è di Luigi Marcello Monsellato -  tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

La Caccia agli untori

Purtroppo simili scenari si profilano nuovamente all’orizzonte: poter incontrare amici, poter abbracciare, poter semplicemente essere vicini, il banale quotidiano di ognuno vengono ancora una volta ad essere interdetti, sottostando alla paranoia di dover sospettare di chiunque e alla fobia di ogni eventuale contatto, generando un vuoto relazionale e contestuale unico nella storia recente: il nostro partner può addirittura trasformarsi nel nostro untore!

Oltre a questo, sul web, largheggiano in maniera incontestabile e altezzosa, discorsi e sentenze approssimativi, ridondanti e inconcludenti, ricchi di sbavature populiste. E così, tempestati ad ogni piè sospinto dai mass media, ossessionati dal contagio, non ci è più possibile financo toccarci il volto con le nostre stesse mani e veniamo condannati a una vita clandestina.

Ci sentiamo sempre più abbandonati, vulnerabili, nudi, insicuri, in attesa di essere ammorbati, da un momento all’altro, da un impostore invisibile, ma circolante tra di noi, e nascosto, subdolamente, dovunque sono gli altri.

In tutto questo, nuove star televisive in camice bianco, novelle cassandre risorte dalle ceneri dell’anonimato, diffondono notizie e ricerche che la scienza sta ancora verificando, creando nessi non appropriati e insicure certezze che confondono le persone.

Spesso si rimangiano quello che prima era verità e cadono frequentemente in una inutile e sterile contesa, che genera ulteriore sfiducia, incertezza, smarrimento.

I virus sono parte integrante del nostro DNA

La cosa certa, però, è che oggi ci troviamo di fronte a un nuovo paradigma scientifico e conoscitivo. Siamo oramai nel campo delle soft skills, delle competenze trasversali, della molteplicità, della celebrazione delle diversità, del singolo: un criterio sistemico, aperto, equoreo, circolare, polisemico, compatibile, in cui l’informazione dell’ambiente esterno viene metabolizzata e conseguentemente modificata tramite un diverso utilizzo dell’informazione presente nel DNA, piuttosto che tramite modifiche quali/quantitative del contenuto di informazione.

Oggi abbiamo l’opportunità di scoprire il significato più profondo di qualunque trasformazione biologica grazie all’evoluzione.

Pensiamo alle variegate e ancora misteriose relazioni che interconnettono gli organismi superiori con i microrganismi e in particolar modo i virus. Quando ci interfacciamo con il mondo eterogeneo dei microorganismi spesso usiamo termini “bellici” o ricorriamo ad atteggiamenti “antagonistici”: si parla di batteri patogeni per l’uomo, si legge che dobbiamo difenderci dai virus, si scrive che dobbiamo combattere i parassiti e via dicendo.

In effetti, i microrganismi costituiscono l’essenza stessa della biosfera: rappresentano infatti la componente più incisiva, sia sul piano quantitativo (60-90% della biomassa) che qualitativo.

Altrettanto decisivo e ancor più “viscerale” è il ruolo che hanno i “nostri” virus, alcuni dei quali sono inseriti da milioni di anni nel genoma dei primati: l’8% del nostro genoma è costituito da sequenze retrovirali endogene e oltre il 50% opera connesso con esse.

Queste sequenze portano avanti una funzione strategicamente fondamentale per la sopravvivenza e l’evoluzione degli organismi che li ospitano.

Per di più, i retrovirus e altre sequenze mobili filogeneticamente accomunate con essi (che rappresentano la frazione in assoluto più significativa, sul piano quantitativo, del nostro genoma), sono indispensabili per il trasferimento laterale di informazioni/sequenze geniche tanto tra le singole specie, quanto tra specie differenti, dando il via al processo vitale della comunicazione, della cooperazione, dell’interazione sistemica. [continua...]

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L'Infiammazione e il Simile — Libro

Lezioni di medicina omeosinergetica

Luigi Marcello Monsellato

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martedì 1 dicembre 2020

La nocivita' dell'inquinamento elettromagnetico


La nocivita' dell'inquinamento elettromagnetico

Scienza e Fisica Quantistica

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Campi elettromagnetici da stazioni radio base ed elettrosensibilità: uno studio francese ne prova il legame e ci mette in guardia dal 5G

Redazione Scienza e Conoscenza - 30/11/2020

Questo articolo di Fausto Bersani Greggio è tratto da  Scienza e Conosenza n. 74

Partendo da uno studio epidemiologico residenziale condotto in Francia e inerente a esposizioni a campi elettromagnetici generati da Stazioni Radio Base (SRB) per telefonia cellulare, viene approfondita la possibile correlazione con sintomi riconducibili a sindromi da elettrosensibilità (EHS).

L’argomento riveste una particolare rilevanza soprattutto in prossimità della realizzazione della rete di quinta generazione (5G).

Che cos’è l’elettrosensibilità

L’elettrosensibilità (EHS) è una malattia che nasce come effetto dell’inquinamento elettromagnetico a breve o a medio termine. I primi studi sperimentali risalgono a circa trent’anni fa. In genere si tratta di persone che hanno sviluppato un’ipersensibilità patologica multi-organo, spesso come risultato di qualche evento scatenante di natura elettromagnetica, chimica, infettiva o fisica.

Si può verificare sia a livello residenziale che lavorativo, può interessare esposizioni elettromagnetiche sia di alta che di bassa frequenza e, in ogni caso, si presenta a valori decisamente inferiori rispetto a quelli sanciti dalle normative vigenti.

I sintomi più diffusi sono neurologici (mal di testa, vertigini,

disturbi di concentrazione e della memoria, disturbi del sonno, astenia), cardiovascolari (tachicardia, vampate di calore), dermatologici (bruciori, arrossamenti, formicolii), disturbi della vista, solo per citarne alcuni.

Interessano più frequentemente la popolazione femminile (70%) e non esistono limiti di età a cui si possono manifestare: si tratta di una patologia che di fatto può colpire anche i bambini.

Possiamo stimare che questo fenomeno interessi circa il 3-4% delle persone e che il 10% della popolazione colpita manifesti una grave disabilità.

Per contro esiste una forte componente di negazionisti che per anni ha sostenuto, e sostiene, si tratti di un “effetto nocebo” o che comunque interessi persone affette da turbe o disturbi psicosomatici.

Oggi sappiamo, grazie a studi condotti in particolare da ricercatori francesi che l’EHS può essere diagnosticata con biomarcatori, quindi può essere valutata in modo oggettivo e misurabile.

Fra gli studi territoriali uno in particolare, pur con alcuni limiti quali ad esempio la mancata rilevazione strumentale puntuale dei campi elettromagnetici e l’assenza di un’analisi approfondita di eventuali fattori di confondimento, si distingue per la raccolta sistematica dei dati, offrendo interessanti spunti di approfondimento.

L’indagine epidemiologica a cui sto facendo riferimento è stata condotta in Francia da R. Santini5,6 e riguarda la frequenza con cui si presentano i sintomi EHS in funzione della distanza dalle SRB (Stazioni Radio Base) per la telefonia cellulare.

Sulla base dei dati raccolti è possibile dimostrare, in modo statisticamente significativo, che, in media, la frequenza di tali sintomi, da un certo punto in poi, decresce in modo inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalle antenne.

Questo andamento ricalca il comportamento di un parametro fisico noto con il nome di densità di potenza* (DP) del campo elettromagnetico il quale, pertanto, risulterebbe essere un indicatore più significativo del semplice campo elettrico

o campo magnetico nell’indagine relativa ai possibili effetti delle radiofrequenze/microonde sull’uomo.

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SCIENZA E CONOSCENZA N. 74 DA CUI È TRATTO QUESTO ABSTRACT

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lunedì 9 novembre 2020

L'Universo partecipativo, un mare quantico di informazioni


L'Universo partecipativo, un mare quantico di informazioni

Psicologia Quantistica

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In questo momento della storia una nuova consapevolezza è entrata a far parte dell’universo umano, una presa di coscienza che ci riallinea con lo sviluppo e l’evoluzione della vita, con quegli avvenimenti sincronici che accadono al momento giusto, capaci di avviare la nostra esistenza in una direzione nuova ed ispiratrice

Carmen Di Muro - 06/11/2020

Articolo tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

Forse riusciamo ad intuire questi misteriosi avvenimenti molto più di prima e sappiamo che per ognuno il cammino esperienziale è una rivoluzione spirituale, seducente e magica. Questa rivoluzione non solo giunge dalle più recenti acquisizioni scientifiche, ma arriva dal nostro stesso cuore, sollevando quel velo che a lungo ha ottenebrato la vera conoscenza. Un velo che in realtà è un “campo integrale” di energia dinamica e luminosa che permea ogni singola unità del nostro corpo e dell’Universo, separando nient’altro che “noi da noi”. È questo che gestisce le funzioni più alte della mente, nonché la fonte delle informazioni che governano la vita.

Aprire la mente a tutto questo significa “risvegliarsi”, creando le premesse per una nuova dimensione integrata tra scienza e coscienza, una luce capace di portare chiarezza sulle dinamiche che muovono l’esistenza. Questa non si sta evolvendo nel vuoto ma nell’ordine dell’Universo. È una manifestazione di un’armonia universale e non una violazione di essa. Il nostro è un mondo integrale interconnesso al di là dei regni della materia e dello spazio-tempo, per mezzo di un campo di informazione unificato, un campo che informa il presente con il passato e prepara le basi per il futuro.

L’Universo partecipativo

Viviamo e respiriamo in un Universo partecipativo, un “mare” quantico di informazione sincronica sotteso da un’unica forza ordinatrice che governa i nostri corpi e il resto del cosmo.

In questa integrità indivisibile, l’esistenza umana, non può più essere considerata come un sottoprodotto accidentale del caso, ma assume un significato profondo, relazionale, attraverso il quale noi diveniamo compartecipi ad ogni attimo della creazione del mondo. E la cooperazione e la condivisione delle risorse ne divengono i principi fondamentali, al contrario della visione darwinistica che ci ha sempre fatto vedere la lotta e il combattimento come “strategie ottimizzate per la sopravvivenza” (Joseph, 2009).

Per esempio la forza trainante per l’evoluzione cellulare non fu la rivalità tra “replicatori”, ma un progetto comune e universale, dato da diversi sistemi che condivisero le informazioni nei processi di trasferimento genico. Ne sono una prova gli eucarioti.

Essi si sono evoluti rispetto alle cellule arcane, quando hanno accolto i batteri procarioti all’interno del loro sistema come organelli (mitocondri e cloroplasti) per far fronte al crescente contenuto di ossigeno nell’atmosfera (Bauer, 2008). In questa dinamica entrambi, respiratori (consumando ossigeno) e fotosintetici (producendo ossigeno) hanno avuto la possibilità di formarsi come organismi.

E la risultante di questo processo di sviluppo non è stata la creazione di “guerrieri solitari”, ma di “sistemi biologici cooperativi” la cui intenzione era volta al raggiungimento della massima efficienza per adattarsi al movimento della vita.

Quindi, sebbene, il più delle volte crediamo che i cambiamenti in individui diversi siano completamente disconnessi l’uno dall’altro, al contrario questi possono essere coerenti in un ordine intrinseco, laddove sono presenti delle intenzionalità creatrici che scelgono in accordo reciproco tra una moltitudine di possibilità. Potenzialità e attualità sono due modalità differenti di essere nella totalità della realtà. E il carattere distintivo degli organismi viventi risiede nella loro capacità di essere simultaneamente attivi in entrambi i domini.

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sabato 31 ottobre 2020

L'agopuntura e' efficace


L'agopuntura e' efficace

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L’agopuntura non è l’unica disciplina della MTC – che contempla anche la dietetica, la fitoterapia, il massaggio tuina, la coppettazione e gli esercizi fisici del qigong – ma è certamente quella che primeggia per la sua efficacia clinica in svariati disturbi e per la vasta sperimentazione in oltre trentamila studi pubblicati.

Redazione Scienza e Conoscenza - 29/10/2020

Articolo a cura del Dott. Giuseppe Fatiga tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

I principi della medicina tradizionale cinese (MTC) sono racchiusi nel testo Huang Di Nei Jing1, che risale al 453-222 a.C., e sono giunti fino a oggi permeando anche la medicina occidentale.

La caratteristica principale che accomuna queste discipline è la visione olistica dell’uomo e della malattia, che ben si concilia con le nozioni della moderna PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia).

I princìpi della MTC

Il dualismo yin-yang, ad esempio, ricorda da vicino la dialettica tra la psiche e il corpo, o ancora tra il cervello e la mente, secondo un approccio che non è mai di causa-effetto, ma piuttosto circolare.

Le “sette emozioni”, secondo la MTC, sono una causa di malattia esattamente come lo sono i fattori “esterni”, e anche il moderno concetto di “secondo cervello” relativo all’intestino è insito nella MTC. Nello specifico, ogni organo possiede una componente fisica e una psichica – quest’ultima denominata “entità psichica” – che può essere causa di malattia.

Altro concetto fondamentale è quello del qi – traducibile con “soffio vitale” o “energia vitale” – che circola nei dodici meridiani, animando tutte le funzioni del nostro organismo.

La MTC si pone l’obiettivo primario di preservare una corretta circolazione del qi, svolgendo quindi un’azione preventiva – altra caratteristica peculiare della MTC – o di ripristinarla nel caso vi sia una disfunzione conclamata.

Un’altra caratteristica è la stretta interdipendenza dei vari organi tra loro, tale per cui quando uno di essi si ammala, inevitabilmente si verificano alterazioni a cascata in tutti gli altri.

La MTC parla di un corteo di sintomi tra loro collegati, definito quadro sindromico, che può essere corretto con un trattamento specifico – ad esempio con ben precisi punti di agopuntura – previa una diagnosi accurata attraverso l’interrogatorio, l’ispezione, la palpazione, l’analisi degli odori emanati e soprattutto l’esame del polso e l’esame della lingua.

Oncologia, terapia del dolore, emicrania

Per la MTC trattare una sindrome significa dunque agire sull’intero organismo, eliminando tutti i sintomi presenti, sia quelli fisici, sia quelli mentali, che la medicina occidentale non considera collegati tra loro, e che invece lo sono secondo la MTC. Questa è una delle ragioni per cui l’agopuntura è molto utile in oncologia per la sua capacità di ridurre i pesanti effetti collaterali delle terapie come la nausea e la stanchezza, contrastando al contempo altri importanti sintomi quali dolori, ansia, depressione e insonnia.

La MTC si accorda poi con le recenti acquisizioni di neurofisiopatologia del dolore: è stato ad esempio dimostrato che l’agopuntura produce effetti lungo l’intera via di trasmissione del dolore, dal midollo spinale fino alla corteccia cerebrale.

L’agopuntura attiva il gate system control a livello del midollo spinale, e il sistema antinocicettivo discendente localizzato nel mesencefalo, ma è anche in grado di far produrre all’organismo le ben note endorfine a livello dell’ipofisi. Essa modula infine gli aspetti affettivi e cognitivi del dolore, rispettivamente a livello del sistema limbico e della corteccia cerebrale.

Non deve quindi stupire che sia stata dimostrata una grande utilità della MTC e dell’agopuntura in particolare nel trattamento di varie sindromi dolorose, tra cui i disturbi ortopedici come la lombalgia comune e la cervicalgia, ma anche altre forme di dolore invalidante come l’emicrania e la cefalea tensiva.

Negli ultimi anni è stato ampiamente provato che l’agopuntura è efficace quanto i farmaci nel trattamento dell’emicrania, e questo ne ha giustificato l’inserimento negli ambulatori delle strutture ospedaliere in regime di Sistema Sanitario Nazionale.

Importanti enti di ricerca come il NIH [National Institutes of Health, il dipartimento di salute degli Stati Uniti; N.d.R.] hanno poi convalidato l’uso dell’agopuntura nella nausea gravidica, un disturbo spesso refrattario a qualunque misura di contenimento farmacologico.

Inoltre, nel mio testo Curare l’ansia con l’agopuntura, ho descritto i risultati delle ricerche sul trattamento agopunturale dell’ansia, da cui si evince la sua efficacia in condizioni cliniche come il disturbo di panico e quello da ansia generalizzata, quale risultato della modulazione dei circuiti difensivi di sopravvivenza del cervello descritti dal neuroscienziato Joseph Le- Doux.

Le applicazioni cliniche della MTC non finiscono qui, includendo la cura di altri disturbi psichici e neurologici, o dell’infertilità: possiamo affermare che la MTC può essere usata proficuamente in ogni ambito clinico, spesso come vera e propria cura, altre volte per ridurre gli effetti collaterali delle terapie convenzionali, in un’ottica di medicina integrata.

NOTE nell'articolo originale:

1. The Yellow Emperor’s Classic of Internal Medicine. Simple Questions (Huang Di Nei Jing Su Wen), People’s Health Publi- shing House, Beijing 1979.

2. Chiu H.Y., Hsieh H.J., Tsai P.S., Systematic review and meta- analysis of acupuncture to reduce cancer-related pain, Eur J Cancer Care (Engl). 2017 Mar;26(2).

3. Linde K., Allais G. et al., Acupuncture for the prevention of episodic migraine, Cochrane Database Syst Rev, 2016 Jun 28;2016(6).

4. Bishop K.C., Ford A. C., Kuller J. A., Dotters-Katz S., Acupuncture in Obstetrics and Gynecology, Obstet Gynecol Surv 2019 Apr; 74(4):241-251.

5. Errington-Evans N., Acupuncture for anxiety, CNS Neurosci Ther 2012 Apr;18(4):277-84.

 

Per approfondire

www.agopunturatorino.org

https://www.nih.gov/

 

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Scienza e Conoscenza n. 74 - Ottobre/Dicembre 2020 >> https://bit.ly/35LVm0D  

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venerdì 30 ottobre 2020

Scienza e Conoscenza n. 74 - Ottobre/Dicembre 2020


Scienza e Conoscenza n. 74 - Ottobre/Dicembre 2020

Rivista Nuove scienze, Medicina Integrata

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Descrizione Rivista

Carmen di Muro, psicologa e psicoterapeuta che da anni ci accompagna come membro del nostro comitato scientifico, scrive queste parole nel suo ultimo libro Light Evolution:

“Viviamo e respiriamo in un universo partecipativo, un “mare” quantico di informazione sincronica sotteso da un’unica forza ordinatrice che governa i nostri corpi e il resto del cosmo”

Secondo la fisica quantistica non esistono fenomeni isolati, parti separate o soggetti individuali, ma effetti sincronici e non locali, cooperazione, condivisione e intenzioni in un mondo di infinite possibilità.

Allo stesso tempo le ricerche in biofisica ci vedono parte di un movimento ondulatorio cosmico a cui nessun essere vivente può sottrarsi e che segna, attimo dopo attimo, tutte le nostre funzioni vitali.

I processi biochimici, i fenomeni elettrici, magnetici, ondulatori che avvengono nell’intero Universo entrano in risonanza con gli stessi processi all’interno e all’esterno delle nostre cellule e tutto funziona correttamente quando questi sistemi sono in coerenza.

Quando comprendiamo tutto questo e capiamo che il nostro intero organismo è un sistema acquoso che produce un campo elettromagnetico, il quale funziona bene se è in coerenza, il gioco è fatto.

Come riconoscere gli eventi sincronici che possono cambiare la nostra vita

In questo momento della storia una nuova consapevolezza è entrata a far parte dell’universo umano, una presa di coscienza che ci riallinea con lo sviluppo e l’evoluzione della vita, con quegli avvenimenti sincronici che accadono al momento giusto, capaci di avviare la nostra esistenza in una direzione nuova ed ispiratrice. Forse riusciamo ad intuire questi misteriosi avvenimenti molto più di prima e sappiamo che per ognuno il cammino esperienziale è una rivoluzione spirituale, seducente e magica.

Questa rivoluzione non solo giunge dalle più recenti acquisizioni scientifiche, ma arriva dal nostro stesso cuore, sollevando quel velo che a lungo ha ottenebrato la vera conoscenza. Un velo che in realtà è un “campo integrale” di energia dinamica e luminosa che permea ogni singola unità del nostro corpo e dell’Universo, separando nient’altro che “noi da noi”.

È questo che gestisce le funzioni più alte della mente, nonché la fonte delle informazioni che governano la vita.

Aprire la mente a tutto questo significa “risvegliarsi”, creando le premesse per una nuova dimensione integrata tra scienza e coscienza, una luce capace di portare chiarezza sulle dinamiche che muovono l’esistenza.

Questa non si sta evolvendo nel vuoto ma nell’ordine dell’Universo. È una manifestazione di un’armonia universale e non una violazione di essa. Il nostro è un mondo integrale interconnesso al di là dei regni della materia e dello spazio-tempo, per mezzo di un campo di informazione unificato, un campo che informa il presente con il passato e prepara le basi per il futuro.

L’universo partecipativo

Viviamo e respiriamo in un universo partecipativo, un “mare” quantico di informazione sincronica sotteso da un’unica forza ordinatrice che governa i nostri corpi e il resto del cosmo. In questa integrità indivisibile, l’esistenza umana, non può più essere considerata come un sottoprodotto accidentale del caso, ma assume un significato profondo, relazionale, attraverso il quale noi diveniamo compartecipi ad ogni attimo della creazione del mondo. E la cooperazione e la condivisione delle risorse ne divengono i principi fondamentali, al contrario della visione darwinistica che ci ha sempre fatto vedere la lotta e il combattimento come “strategie ottimizzate per la sopravvivenza” (Joseph, 2009).

Per esempio la forza trainante per l’evoluzione cellulare non fu la rivalità tra “replicatori”, ma un progetto comune e universale, dato da diversi sistemi che condivisero le informazioni nei processi di trasferimento genico.

Ne sono una prova gli eucarioti. Essi si sono evoluti rispetto alle cellule arcane, quando hanno accolto i batteri procarioti all’interno del loro sistema come organelli (mitocondri e cloroplasti) per far fronte al crescente contenuto di ossigeno nell’atmosfera (Bauer, 2008). In questa dinamica entrambi, respiratori (consumando ossigeno) e fotosintetici (producendo ossigeno) hanno avuto la possibilità di formarsi come organismi. E la risultante di questo processo di sviluppo non è stata la creazione di “guerrieri solitari”, ma di “sistemi biologici cooperativi” la cui intenzione era volta al raggiungimento della massima efficienza per adattarsi al movimento della vita.

Quindi, sebbene, il più delle volte crediamo che i cambiamenti in individui diversi siano completamente disconnessi l’uno dall’altro, al contrario questi possono essere coerenti in un ordine intrinseco, laddove sono presenti delle intenzionalità creatrici che scelgono in accordo reciproco tra una moltitudine di possibilità.

Potenzialità e attualità sono due modalità differenti di essere nella totalità della realtà. E il carattere distintivo degli organismi viventi risiede nella loro capacità di essere simultaneamente attivi in entrambi i domini.

Nati per accogliere la vita

Questa consapevolezza espansa oggi è più importante che mai, poiché ci invita sempre più a dilatare lo sguardo verso la consapevolezza che il cosmo, gli esseri umani, e su una scala più piccola i recettori nelle pareti cellulari, siano sensibili non solo ai segnali esterni e interni come quelli chimici e fisici, ma anche a segnali che emanano dal regno della potenzialità: “della luce”, in cui l’informazione si unisce ed evolve su più livelli divenendo globale.

Il nostro corpo è un sistema di saggezza dinamica, pulsante, in continuo cambiamento in base ai flussi di informazioni che lo permeano, nella costante interazione con il campo di coscienza a cui appartiene e a cui tutti contribuiamo nella più profonda fusione tra dimensione collettiva e individuale.

L’applicazione di teorie dinamiche non lineari alle neuroscienze, sempre più ne dà conferma, spostando il focus delle ricerche da un livello materiale-neurochimico, a un livello di campo elettromagnetico-immateriale, che apre la strada dalla fisica dei corpi massivi alla fisica quantistica e, quindi, al livello della realtà in cui i fenomeni sincronici e non-locali possono essere ammissibili (Bohm, 1981).

In questo spettro maggiormente espanso, in cui la ricerca di frontiera ha fatto passi da gigante, anche la “relazione” acquista un nuovo statuto.

Essa è la matrice essenziale che sottende le dinamiche di campo capaci di orientare il processo che governa e muove le nostre vite. In questo viaggio non ci sono parti isolate, non ci sono un me e un tu, ma c’è un “Noi” che, passo dopo passo, rinegozia emozionalmente il rapporto più profondo con il Sé e le sue infinite possibilità di evolvere, attimo dopo attimo.

Articolo tratto da Scienza e Conoscenza n. 74:

 Indice

SISTEMI VIVENTI

Il corpo risonante. Intervista a Fausto G. Bellabona, a cura di Marianna Gualazzi

L’uomo è un sistema complesso, Antonio Del Sorbo

Inquinamento elettromagnetico, Fausto Bersani Greggio

CEM: come incidono sul sistema immunitario? Piergiogio Spaggiari e Marcello Allegretti

MANIFESTO PER UNA NUOVA SCIENZA

I virus come alleati dell’evoluzione, Luigi Marcello Monsellato

Guarigione e cura non sono la stessa cosa, Lissa Rankin

MEDICINA INTEGRATA

Sistema immunitario: possiamo migliorarlo? Herbert Rainer

Il Metodo D’Abramo - Intervista al dottor Roberto Santi a cura di Valerio Pignatta

Sguardi che toccano il cuore, Jerry Diamanti

Il cuore coerente dell’umanità, Carmen Di Muro

Le emozioni tra Oriente e Occidente, Sabrina Melino, Marzia Michelizza e Alessandra Morini

Vedere le emozioni, Irene Pulvirenti, Paola Matteucci, Daniele Gullà

Ascolto sonoro - Intervista a Lucia e Michele Cavallari a cura di Marianna Gualazzi

FISICA E DINTORNI

Cosa c’entra la scienza con l’arte? - Intervista a Davide Fiscaletti a cura di Mauro Ferri

Un grosso buco nero al centro della nostra galassia, Antonella Ravizza

RUBRICHE

La medicina è una sola, Giuseppe Fatiga

Casi clinici, Diego Tomassone

Psicologia quantistica, Carmen Di Muro

Funghi di lunga vita, Stefania Cazzavillan


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lunedì 26 ottobre 2020

David Bohm e la fisica quantistica


David Bohm e la fisica quantistica

Scienza e Fisica Quantistica

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Nato in America nel 1917 e morto in Inghilterra nel 1982, David Bohm ha caratterizzato profondamente le speculazioni concettuali riguardanti la fisica quantistica (che diverge da quella classica per una diversa concezione particellare-ondulatoria della materia e della radiazione), e favorito una dialettica innovativa tra la filosofia e la scienza stessa

Emanuele Cangini - 26/10/2020

Rifacendosi a concetti precedenti discussi dal matematico francese Louis de Broglie (1892-1987), il quale concordava con Einstein sulla relazione tra massa-energia-lunghezza d’onda e quantità di moto, presentò una personale formulazione della meccanica quantistica definita, appunto, teoria di de Broglie-Bohm.

Tentativo questo che cercava di fornire soluzione a ostacoli ancora irrisolti, come il collasso della funzione d’onda e il paradosso di Schrodinger, e produrre una descrizione dei fenomeni più deterministica.

L'universo olografico e il cervello olonomico

Una interessante collaborazione con il medico austriaco Karl Pribram (1919-2015) favorì lo sviluppo di una nuova metodica descrittiva del cervello, creando un modello, quello olonomico, che si rifaceva ai processi olografici per descriverne il funzionamento. Olonomico deriva da ologramma, una fotografia a tre dimensioni prodotta tramite un laser; caratteristica interessante è quella secondo la quale, se l’ologramma viene frammentato, le parti restanti conservano ancora intatta l’immagine dell’intero. La neuropsicologia beneficerà di una notevole spinta propulsiva proprio grazie al vento in poppa di questa visione rivoluzionaria, favorendo anche sviluppi decisivi nella concezione, non-oggettiva, dell’universo.

Un esperimento decisivo, effettuato nel 1982 e condotto dal fisico Alain Aspect, confermò la tesi di Bohm, certificando la capacità delle particelle di interagire non-localmente in maniera istantanea, a prescindere dalla distanza alla quale si trovassero. Tale fenomeno, seppur in apparente contraddizione con il postulato einsteniano di non valicabilità del limite imposto dalla velocità luminale, in realtà dimostrò la capacità delle particelle di influenzarsi vicendevolmente nel medesimo istante; come conseguenza di ciò, Bohm congetturò sulla apparente “solidità” (di qui il termine non-oggettiva di qualche riga sopra) dell’universo a favore di una visione, appunto, olografica.

Visione in sé certamente inedita poiché prende le distanze dalla più canonica concezione riduzionista (ottica secondo la quale per comprendere un fenomeno occorre studiarne le parti costituenti) dei fenomeni, per aprirsi a una riflessione più olistica e interagente (olomovimento).

David Bohm tra fisica, filosofia e spiritulità

Se nulla è scollegato, tutto è un continuum e la realtà è illusoria, che ne rimane della dimensione solida e oggettiva? Illusione, come sostengono le antiche dottrine orientali. Anche la meditazione sul significato della coscienza assume importanti modificazioni, per passare da una precedente condizione di prodotto del pensiero, a una più attuale posizione di creazione dell’illusione di solidità.

Anche sul fronte della medicina si annoverano influenze decisive: se il corpo è un “prodotto” olografico della coscienza, se ne deduce l’importanza di un approccio energo-vibrazionale a scopo preventivo-curativo, riducendo di conseguenza, ma non escludendo, la sfera d’azione della medicina allopatica.

Un’amicizia sincera legava il fisico statunitense Bohm al filosofo indiano Krishnamurti (1895-1986), amicizia consolidata soprattutto dalle reciproche volontà, come scritto in esordio, di scrivere una nuova dialettica che segnasse un cammino d’incontro tra misticismo da una parte e scienza dall’altra. Sodalizio che promosse un nuovo paradigma, un ponte tra dottrine che da sempre avevano stentano a trovare una coniugazione.

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La fisica dell'infinito

Massimo Teodorani

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giovedì 22 ottobre 2020

Salute e vaccini: cosa ci nasconde l'industria farmaceutica?


Salute e vaccini: cosa ci nasconde l'industria farmaceutica?

Critica al sistema sanitario

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Da tempo altro non sono che aziende industriali e commerciali come qualunque altra, e, come qualunque altra, mirano a fare lucro, cosa assolutamente ineccepibile.

Quando, però, il lucro viene dalla salute, una certa delicatezza, per non dire altro, dovrebbe essere d’obbligo

Stefano Montanari - 22/10/2020

Estratto da “Vaccini. Si o no?” di Stefano Montanari e Antonietta M. Gatti

Scarsa eticità dell’industria farmaceutica

In definitiva, esagerando in certi atteggiamenti che di etico non hanno nulla, le industrie farmaceutiche hanno gettato al vento quell’aureola di sacralità che le circondava.

I fatti dicono, che disturbi fisici di piccola o nessuna portata sono trasformati in problemi medici da affrontare con poderose (e costose) armi spianate, e che sono proposti, in maniera che a volte trascende nella vera e propria intimidazione ricattatoria, come quella messa in atto nei confronti dei genitori di neonati, mezzi preventivi e terapeutici esaltandone le proprietà benefiche e tacendone i rischi.

Ormai celeberrima è l’intervista del 1976 rilasciata alla rivista «Fortune» da Henry Gadsen, il direttore del gigante farmaceutico Merck, poco prima di andarsene in pensione.

Gadsen si lamentava del fatto che si producessero medicinali solo per i malati (eravamo nel 1976) quando il suo sogno era trattare farmacologicamente anche i sani, acquisendo, così, il mondo intero come cliente potenziale.

Il 2 settembre 2009 il «New York Times» pubblicò in prima pagina un articolo in cui raccontava di come alcune industrie farmaceutiche stessero lavorando sul cancro, malattia fino a quel momento largamente ignorata, per cavare quattrini a chi di cancro stava morendo. Testualmente: «Recent scientific discoveries have suggested new targets for cancer drug researchers to attack. And as drug companies see profits beginning to wane from mainstays like Lipitor, the high prices that cancer drugs can command have become an irresistible lure».

Tradotto: «Recenti scoperte scientifiche hanno suggerito nuovi obiettivi da attaccare da parte dei ricercatori nel settore dei farmaci anticancro. E mentre le industrie farmaceutiche vedono diminuire profitti da colonne portanti come il Lipitor, i prezzi alti che possono arrivare dai farmaci anticancro sono diventati un’attrazione irresistibile».

Non si può nascondere come la stragrande maggioranza dei medici impegnati nei tipi di ricerche di cui sopra e, in verità, nella grandissima maggioranza delle ricerche in campo medico, sia in evidente conflitto d’interessi, ricevendo i finanziamenti proprio dalle industrie farmaceutiche.

In poche parole, se si vuole continuare a mantenere un laboratorio, se si vuole continuare ad andare ai congressi (con qualche svago annesso), se si vuole continuare a pubblicare articoli (pochi sanno che per pubblicare sulle riviste mediche si paga fior di quattrini), se si vuole fare carriera, non si deve scontentare chi ci mette i quattrini.

È altrettanto un fatto che l’arrivo di un farmaco (o di un vaccino) è preparato con tecniche di mercato del tutto identiche a quelle di qualunque altro prodotto e che i medici dal cui ambulatorio si esce con una ricetta fatta di tante voci sono i più coccolati da chi può aiutarli sia economicamente sia in termini di una visibilità che porta a fare carriera e, come effetto collaterale, denaro.

Insomma, tanti malati o presunti tali, significano tanti quattrini e, rapidamente, il sogno di Gadsen si sta avverando.

Vaccini: Sì o No? — Libro >> https://bit.ly/2SznWfa

#scienzaevaccini - In esclusiva per la prima volta le analisi e le foto di laboratorio con il microscopio elettronico delle sostanze presenti nei vaccini

Stefano Montanari, Antonietta Gatti

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Guarda il video del Dottor Montanari

https://www.youtube.com/watch?v=0iC0HHchvZU


martedì 20 ottobre 2020

Nikola Tesla e le sue invenzioni


Nikola Tesla e le sue invenzioni

Energia del Futuro

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Genialità, stranezze e intemperanze di un ricercatore che con le sue invenzioni ha portato l'umanità nel futuro tecnologico che oggi conosciamo

Massimo Teodorani - 20/10/2020

Parlare delle invenzioni di Nikola Tesla (Smiljan, Croazia, 1856–1943) senza cercare di interrogarsi sulla sua mente sarebbe come parlare di un essere vivente di qualunque specie senza parlare del DNA che lo governa. E al contempo non basterebbero le pagine di questo articolo per elencare con completezza tutte le invenzioni di Tesla. Si trattava di una mente poliedrica, con moltissimi interessi, non solamente relativi alla scienza e alla tecnologia. Eppure il suo operato si estrinsecava praticamente sempre in invenzioni tecnologiche, tutte finalizzate all’utilizzo dell’energia, soprattutto in campo elettromagnetico, ma anche in campo meccanico.

L’obiettivo di Tesla non era quello di fare soldi, ma di donare al mondo forme di energia che semplificassero l’esistenza alla società e ne incrementassero il benessere. La sua premura per la sana conduzione della società umana nel suo insieme era tale che egli arrivò perfino a parlare di “eugenetica”: purtroppo questo aspetto fu totalmente mal interpretato da chi voleva vedere il male nelle sue parole, dove invece c’era un puro desiderio di protezione degli esseri umani dalla delinquenza e dalla criminalità.

Perché la scienza accademica non ha mai amato Tesla?

Il suo interesse per la scienza e la tecnologia era tale che Tesla, ad ogni sua nuova invenzione, desiderava condividere le sue scoperte attraverso dimostrazioni pratiche di fronte al pubblico. Era un modo pragmatico di fare divulgazione, e tutto questo aveva come unico scopo quello di appassionare e stimolare intellettualmente le persone. Purtroppo Tesla non comprendeva che solo una piccolissima parte del grande pubblico sarebbe stato in grado di recepire il suo pensiero in maniera corretta.

Questa eccessiva apertura di Tesla alla gente comune, anche con spettacolari e roboanti esperimenti pubblici, nonché attraverso articoli divulgativi spettacolarizzanti, non faceva che allontanarlo dal mondo accademico, il quale, pur riconoscendone l’ingegno applicativo, gli imputava la mancanza di una metodologia scientifica nella presentazione dei risultati.

E in questo il mondo accademico non aveva tutti i torti: Tesla non presentava mai tramite articoli tecnici la struttura fisico-matematica che stava alla base delle sue invenzioni, e quindi, non condividendo il suo operato coi colleghi, si poneva con gli stessi in una posizione completamente autarchica e conflittuale.

Lo scetticismo dei fisici e degli ingegneri di quel tempo, oltre che la palese invidia e cinismo di alcuni suoi competitori come ad esempio Thomas Edison, lo allontanarono ancora di più dalla scienza ufficiale, con cui avrebbe dovuto comunque confrontarsi dal momento che il metodo scientifico impone anche la condivisione dei dati con tutti i ricercatori, i quali devono essere messi in condizione di replicare a volontà gli stessi esperimenti al fine di confermarne o confutarne la validità.

Ma i detrattori di Tesla, sia del suo che del nostro tempo, sapevano comunque che, in mancanza o meno di pubblicazioni tecnico-matematiche che sostenessero il suo operato di fronte all’accademia, a differenza del caso dei tantissimi cialtroni che si riempiono dogmaticamente la bocca di chiacchiere e di speculazioni dal sapore pseudoscientifico, Tesla era uno che metteva sempre in pratica quello che affermava.

Le mille invenzioni di Nikola Tesla

E infatti egli agiva producendo una catena di innovazioni tecnologiche che non solo funzionavano, ma che hanno rappresentato un vero e proprio salto nel futuro per l’umanità. Il frutto di queste invenzioni si avverte ancora oggi. Ad esempio la tecnica delle correnti alternate ottenuta attraverso il famoso “motore a induzione” rappresenta l’unico modo possibile per trasmettere energia via cavo a grandissime distanze e senza perdite, ed è in uso tutt’oggi: se dall’alto della stazione spaziale ISS qualcuno ha il piacere di vedere la Terra così mirabilmente illuminata, questo lo dobbiamo esclusivamente a Tesla.

Lo stesso discorso vale per tanti altri marchingegni, come ad esempio il tubo catodico, la lampadina ad elevato rendimento, l’utilizzo dei raggi X per radiografia, i pannelli solari, l’iniettore elettrico, la porta logica, la turbina senza pale, l’oscillatore meccanico, la radio, il radar, l’aereo a decollo verticale, la robotica, i sistemi a radiocomando, i circuiti elettrici sintonizzati, per citarne solo una parte. Moltissime delle attuali applicazioni della tecnologia del tempo presente contengono in sé le basi poste proprio da Nikola Tesla.

Gli accademici di ieri e quelli di oggi, di fronte ad un caso peculiare come Tesla, rimangono proprio per questo interdetti: come è mai possibile che un inventore sia in grado di passare direttamente alla parte tecnico-pratica di un esperimento così mirabilmente senza aver fatto prima quasi nessun calcolo di fattibilità, ma solo dei semplici schizzi sui suoi appunti, di cui andava gelosissimo?

La scienza e l’ingegneria standard partono sempre da studi di fattibilità e da calcoli matematici preliminari che costituiscono un po’ una simulazione teorica di un dato esperimento, procedura che, oltre a permettere di controllarne il corretto funzionamento, consente anche ai vari ricercatori di confrontarsi tra loro tramite pubblicazioni tecniche, al fine di ottimizzare i risultati di una data scoperta.

Ma Tesla non desiderava condividere le sue scoperte con i colleghi e ciò potrebbe averne creato l’idea di esasperato egocentrismo e individualismo. Egli desiderava solamente che i suoi esperimenti funzionassero e che avessero un'immediata applicazione pratica, al puro e semplice beneficio di tutta l’umanità e non per ottenere il beneplacito di una ristretta cerchia accademica, a tratti ottusa.

Intanto i sistemi da lui messi in funzione andavano talmente bene da essere prodotti su scala industriale, riempiendo le tasche dei magnati che lo avevano finanziato e solo molto parzialmente o occasionalmente le sue. Tesla investiva praticamente tutti i fondi nelle sue ricerche, mentre a sé stesso non dedicava sostanzialmente nulla. Era un personaggio brillantissimo e arguto, ma al contempo poco incline alla vita di società. Aveva stranissime manie compulsive. Tutto questo lo rendeva molto singolare ed enigmatico. Ma cosa lo rendeva così?

Probabilmente la chiave del “mistero Tesla” risiedeva nella sua mente, del tutto inconsueta e per molti versi anomala. Aveva visioni delle sue scoperte tecnologiche già prima che esse fossero realizzate e queste visioni erano talmente chiare nella sua mente che egli non aveva nemmeno bisogno di metterle sulla carta in forma matematica, dal momento che dopo alcuni semplici schizzi passava immediatamente alla fase applicativa.

 

Tesla, Lampo di Genio — Libro >> https://bit.ly/3ibyefX  

La storia e le scoperte di un geniale scienziato

Massimo Teodorani

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giovedì 15 ottobre 2020

Tesla e l'energia del vuoto


Tesla e l'energia del vuoto

Scienza e Fisica

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Pur non avendo lasciato traccia di lavori tecnici con cui presentare modelli fisici autoconsistenti in materia di etere, Nikola Tesla si era lasciato andare a delle speculazioni il cui scopo era quello di tentare di spiegare in maniera non-quantitativa, o per lo meno di ipotizzare in prima battuta, quello che invece era apparso empiricamente nel corso delle sue esperimentazioni con i suoi trasmettitori e relative bobine.

Massimo Teodorani - 15/10/2020

Tratto da Tesla, lampo di genio di Massimo Teodorani, Macro Edizioni.

La premessa sopra, fa pensare che Tesla avesse intuito, a livello molto profondo, l’esistenza di un’altra energia in grado di sovrapporsi alla emissione di normali campi elettromagnetici.

Questa era la ragione per la quale lui denominava questa energia usando la definizione esotica di “onde di Tesla” o “energia radiante”, e per la quale lui era convinto di riuscire a trasmetterla ovunque nel mondo in maniera illimitata. L’emissione di potenza elettrica tramite il suo trasmettitore era dunque solo un mezzo per realizzare un fine: l’estrazione di energia dall’etere.

Gli accademici del suo tempo e soprattutto gli “scienziati canonici” del nostro tempo che hanno effettuato un’analisi a posteriori dell’operato di Tesla sviluppando una serie di calcoli sulla effettiva capacità del sistema di Tesla di trasmettere potenza elettrica senza fili, senza effettuare nemmeno un esperimento comparativo ma solo con calcoli a tavolino, hanno dedotto o creduto di dedurre che il sistema di trasmissione di Tesla non avrebbe mai potuto funzionare: energie troppo basse, dispersioni elevate, scarsa efficienza e impossibile realizzabilità. Questo il loro laconico responso. Non si può negare il fatto che i loro calcoli fossero corretti in sé.

Il problema è che i calcoli di questi “revisori” del lavoro di Tesla sono stati fatti solo ed esclusivamente sulla base dei concetti della fisica classica che in sostanza si fondano ancora sulle equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico, ma senza tenere conto di un fattore chiave non ancora contemplato. In tal modo, quand’anche essi dovessero progettare un esperimento simile a quelli effettuati da Tesla lo farebbero in maniera del tutto parziale e cieca, ovvero evitando di finalizzare l’esperimento alla rilevazione dell’anomalia.

Ma era proprio quella anomalia a interessare Tesla, perché con grande spirito di osservazione aveva avuto modo di osservarla nel corso dei suoi esperimenti.

Gli esperimenti di Nikola Tesla non erano mirati a provare una teoria o a confutarne un’altra, ma erano mirati solo ed esclusivamente ad auscultare in maniera totale e disinteressata le forze della natura. Fu proprio la sua umiltà nei confronti delle leggi del cosmo che lo pose di fronte a possibilità inimmaginabili. Purtroppo la totale assenza di un modello matematico basato sui suoi, invece, più che concreti esperimenti, hanno reso le sue affermazioni in merito all’energia libera scaturita dall’etere altamente opinabili da parte dei benpensanti della fisica tradizionalista.

Anche volendo evitare le equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo classico, e utilizzando invece le equazioni di campo di Einstein, le asserzioni di Tesla non possono essere che confutate in base alla presunta accertata non-esistenza dell’etere. Per “etere” i fisici del tempo intendevano quel mezzo, di cui poi confutarono recisamente l’esistenza, attraverso il quale vibrerebbero le onde di un campo elettromagnetico. Ma l’etere che intendeva Tesla non aveva a che fare con il campo elettromagnetico bensì con le particelle virtuali del vuoto quantistico.

Tratto da Tesla, lampo di genio di Massimo Teodorani, Macro Edizioni.

 

Tesla, Lampo di Genio — Libro >> https://bit.ly/3ibyefX  

La storia e le scoperte di un geniale scienziato

Massimo Teodorani

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mercoledì 14 ottobre 2020

Nikola Tesla e Thomas Edison: chi era il miglior inventore?


Nikola Tesla e Thomas Edison: chi era il miglior inventore?

Scienza e Fisica Quantistica

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Alla scoperta dei lati segreti e delle curiosità di due grandi titani della scienza e delle loro invenzioni

Sara Raggini - 13/10/2020

Lo scienziato serbo americano Nikola Tesla è stato un brillante genio che ha avuto il merito di diffondere nel mondo moderno l’energia e i sistemi di comunicazione di massa.

Il suo eterno rivale è l’iconico Thomas Edison, inventore della lampadina, del fonografo e del cinetoscopio. I due titani si scontrano, negli anni ’80 dell’Ottocento, in quella che viene oggi definita “Guerra delle correnti”.

Quale sistema avrebbe illuminato il mondo: la corrente alternata di Tesla o la corrente continua di Edison? Il dibattito è aperto ancora oggi e numerosi scienziati stanno ancora discutendo su chi effettivamente sia l’inventore migliore.

Nikola Tesla: il più brillante

Tesla possedeva una memoria fotografica strabiliante; ciò significa che era in grado di richiamare alla memoria in modo preciso immagini e oggetti. Questo gli permetteva di immaginare gli oggetti in 3D e dunque di giungere alla realizzazione dei prototipi delle invenzioni in pochi passaggi.

Edison, al contrario, era un disegnatore e un pensatore.

Alla fine della carriera, Edison aveva collezionato ben 1.093 brevetti, Tesla ne raggiunge solo 300 (in queste considerazioni è necessario sottolineare anche lo staff di collaboratori di cui Edison usufruiva).

Edison: il più lungimirante

Nonostante sia Edison l’inventore ufficialmente riconosciuto della lampadina, del telegrafo e del cinetoscopio, numerosi erano gli scienziati che in quell’epoca lavoravano a progetti affini.

Edison aveva screditato il sistema a corrente alternata di Tesla, considerandolo poco pratico, mentre aveva fortemente sostenuto il suo pratico ma meno efficiente sistema a corrente diretta.

Le idee di Tesla erano dirompenti, ma non venivano accolte sul mercato perché poco fruibili.

Quali furono le invenzioni con maggiore impatto

Edison detiene un numero di brevetti elevatissimo, ma è necessario riconoscere che spesso era responsabile soltanto di avere l’idea del prototipo; la fase di progettazione e lavorazione era spesso affidata al suo team di collaboratori.

Le invenzioni di Tesla sono la spina dorsale della comunicazione di massa contemporanea, ma finirono nell’oscurità nel XX secolo, quando molte delle sue invenzioni andarono perse nella storia.

Il miglior carattere: Tesla o Edison?

All’apogeo della sua carriera, Tesla era carismatico, raffinato e spiritoso. Parlava ben 8 lingue ed era circondato dall’amicizia di numerosi personaggi noti, come Mark Twain e Rudyard Kipling.

Al contrario Edison era introverso e con pochi amici al suo fianco. Edison aveva anche un lato meschino, dimostrato spesso durante quella che venne definita come la Guerra delle Correnti. Nella disputa con Westinghouse, per dimostrare i pericoli della corrente alternata, arrivò a fulminare in pubblico un elefante.

Ed infine... il più fashion!

Tesla era alto, snello imponente con vistosi baffi e un impeccabile senso dello stile. Edison, invece, era poco curato: addirittura indossava scarpe di 2 numeri più grandi in modo da indossarle senza doversi fermare ad allacciarle!

 

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La storia e le scoperte di un geniale scienziato

Massimo Teodorani

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lunedì 12 ottobre 2020


Riconoscere l'emozione terapeutica

Neuroscienze e Cervello

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L’emozione terapeutica è un’emozione indotta dal nostro pensiero razionale capace di modificare la struttura del nostro cervello al fine di restituirci la stessa emozione in termini non più artificiosi ma autentici

Redazione Scienza e Conoscenza - 10/09/2020

Il seguente articolo è scritto da Flavia Petralia*

Con le neuroscienze, abbiamo imparato ad attribuire alle emozioni un ruolo determinante per quanto riguarda il processo di modifica della struttura cerebrale. Oggi conosciamo l’impatto che un’emozione può avere sulla codifica di un evento e sulle conseguenze legate alla qualità della nostra vita.

Volendo chiarire il concetto, potremmo descrivere una situazione vissuta come stressante che viene elaborata negativamente, fino a diventare una fobia. Possiamo portare un esempio che nell’arco di una vita può verificarsi, ma che ha dei risvolti totalmente diversi da individuo a individuo, come il cibo che accidentalmente va, per così dire, di traverso. Nella maggior parte dei casi, questo episodio si risolve in un brutto spavento, eppure, su determinati soggetti può causare un raro disturbo chiamato anginofobia, ovvero: “paura di soffocare”, con la conseguente modifica del proprio stile alimentare e una persistente sensazione d’ansia durante i pasti.

Questa fobia cambia radicalmente le abitudini di chi la subisce che sarà portato a condizionare ogni aspetto della propria vita in conseguenza a questo disturbo. Nell’evento traumatico, infatti, la nostra emozione corrispondente alla paura, ha giocato un ruolo determinante nella codifica di ciò che stava accadendo e ha scatenato un cambiamento dei nostri pensieri riguardo al cibo, trasformandolo da momento di piacere a condizione di pericolo.

Ma se a scatenare questo processo è stata un’emozione forte come la paura, un’altra emozione, di natura opposta potrebbe, dunque, ripristinare la normalità desiderata.

Riporto il caso di una ragazza affetta da questo disturbo che mentre mangiava ha sentito la sensazione del soffocamento (non reale, ma causato dalla fobia con cui conviveva da tempo). Presa dal panico, corse dallo zio sostenendo di stare soffocando. Lo zio iniziò a ridere e spiegò alla nipote che non era possibile soffocare e poter nel contempo parlare e respirare. La risata dello zio e il suo minimizzare l’evento, ha causato nella ragazza una reazione a specchio**, innescando in lei lo stesso divertimento dello zio. Da quel momento, il disturbo non si è più presentato.

È possibile dire che l’emozione della paura è stata sostituita con un più efficiente stato di scherno.

Le emozioni possono dunque innescare paure terrificanti ma, allo stesso modo, possono liberarcene.

Volendo semplificare il processo che nasce con l’emozione scatenante per arrivare alla fobia, potremmo ricorrere a questo schematico modello:

emozione scatenante

|

pensiero negativo conseguente

|

emozioni negative

|

modifica struttura cerebrale

|

fobia


Per ottenere un risultato in chiave positiva, dobbiamo modificare il processo:

 

pensiero indotto

|

emozione terapeutica

|

modifica struttura cerebrale

|

emozione autentica

 

L’emozione scatenante, come la paura, genera dunque una distorsione del nostro pensiero che crea emozioni negative capaci di modificare della nostra struttura cerebrale, generando così la fobia.

Eseguendo questo procedimento al contrario, useremo il pensiero indotto, per generare un’emozione positiva che giorno dopo giorno, creerà una modifica nella nostra struttura cerebrale restituendoci lo stato desiderato in termini di emozioni spontanee.

Riconoscere l’emozione terapeutica

L’aspetto chiave per iniziare questo procedimento di “ricostruzione” è dato dal riconoscimento dell’emozione terapeutica. È facile credere che se una fobia è stata causata da una forte paura, potremmo identificare nel suo opposto la possibile soluzione.

L’opposto della paura è rinomatamente il coraggio. In realtà l’individuazione dell’emozione terapeutica richiede un procedimento più complesso. Infatti, dobbiamo ricordare che la paura è stata la conseguenza ovvia del soffocamento, ma a creare la fobia non è stato l’inevitabile spavento, ma il nostro continuo pensiero riguardo alla possibilità che quell’evento possa verificarsi nuovamente.

Questa possibilità ha innescato una profonda sfiducia in noi stessi e nel comune atto della deglutizione. Detto ciò, è probabile che l’emozione terapeutica si possa individuare nella riconquista, attraverso il pensiero indotto, di una “profonda fiducia” verso noi stessi e verso quello che il nostro corpo è capace di fare anche senza il nostro razionale controllo.

Ad ogni stato emotivo, corrisponde un’azione coerente che si traduce in termini di cambiamento per la nostra qualità della vita.

Una volta riusciti ad individuare quali emozioni possono portarci il nostro beneficio personale, bisogna, quindi, imparare ad indurle attraverso il pensiero razionale e mantenerle nella nostra quotidianità fino alla percezione di un reale cambiamento.

L’emozione terapeutica è, dunque, un’emozione indotta dal nostro pensiero razionale capace di modificare la struttura del nostro cervello al fine di restituirci la stessa emozione in termini non più artificiosi ma autentici.

*Flavia Petralia

È una Life & Business Coach.

Laureata in comunicazione con un Master in Coaching Evolutivo, pubblica nel 2017: Yakamoz, romanzo di crescita personale in chiave fantasy e redige articoli di attualità per la testata giornalistica: La spia. Nel 2020 pubblica il magazine-book: Successo e Neurocoaching incentrato sul trait d’union filosofico, scientifico ed esperienziale.

**I Neuroni specchio scoperti dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, sono una classe di neuroni che si attiva selettivamente generando, per empatia, una reazione uguale a quella del soggetto osservato.

 

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Autore: Joe Dispenza