mercoledì 3 febbraio 2016

La Cura del Perdono



La Cura del Perdono

Una nuova via per la felicità

di Daniel Lumera



La Cura del Perdono - Libro

Daniel Lumera è l'ambasciatore di una nuova via per la felicità: il perdono.

Imparare a perdonare se stessi e gli altri, è la via per trovare il benessere psicofisico.

Con la sua "International School of Forgiveness" parla nelle università, nelle scuole, nelle carceri, nelle-aziende, e insegna un percorso di consapevolezza che propone un'idea di perdono diversa da quella a cui siamo abituati, capace di donarci forza e serenità.


Estratto dal libro

Quando una persona vuole sinceramente comprendere cosa sia il perdono la prima cosa che deve fare è dimenticarsi tutto quello che sa, pensa, suppone o gli è stato detto e insegnato su questo argomento.

Perdonare è nel suo significato essenziale il puro atto del donare.
Per donare.

Senza altri perché, senza nessuna logica di opportunità o convenienza o altro desiderio che non sia la liberazione che il donare in questo modo genera.


Introduzione - La Cura del Perdono - Libro di Daniel Lumera

La cura del perdono nasce da una sofferta crisi personale che nel 2005 mi ha investito sconvolgendo salute, relazioni, lavoro, amicizie e ideali. Effimero e inefficace ogni tentativo di uscirne. Poi, quasi all'improvviso, ho scoperto il perdono: un'esperienza che si colloca oltre l'ambito psicoterapeutico, religioso e spirituale, nata e maturata in una dimensione nuova, capace di rivoluzionare il mio essere e la mia vita.

Da quel cambiamento sono scaturite, anni dopo, anche collaborazioni con università, istituzioni sanitarie e la Global University Network for Innovation dell'UNESCO, per integrare il perdono nell'educazione, nella salute e nella gestione dei conflitti.

Il perdono si è rivelato un percorso attraverso il quale alla fine ho compreso che la felicità non dipende da cosa abbiamo o facciamo, ma dalla consapevolezza di ciò che siamo.

Questo itinerario è stato tracciato nel libro in quattro parti - semi, fiori, frutti e nuovi semi -, e in ciascuna di esse ho raccolto storie, testimonianze, dialoghi, riflessioni, aforismi e anche esercizi pratici che riguardano quella che amo definire «cura del perdono».

Il perdono è un modo di essere e di camminare, un processo di realizzazione che appartiene a ogni individuo indipendentemente dal suo credo e ruolo sociale. In genere questa parola fa pensare alla religione o alla psicoterapia.

Nel libro che avete in mano, invece, si parla del perdono come di un valore universale dell'umanità, svincolato da qualsiasi appartenenza che non sia alla vita stessa. Una visione complessiva e al tempo stesso integrata che coinvolge ogni aspetto dell'essere umano, così com'è avvenuto nel mio caso.

Il perdono è un'esperienza forte. Fra tutte le persone che l'hanno condivisa con me, in questi anni di ricerca, ci sono anche degli ex tossicodipendenti. Pure loro, alla fine del percorso, hanno testimoniato che guarigione, gratitudine e amore ritrovati erano emozionalmente più travolgenti delle sensazioni provocate dall'eroina. Immergendomi nelle loro storie e nel vissuto di molte altre persone che si sono avvicinate con scetticismo a questa nuova esperienza e ne sono uscite con fiducia e ottimismo, mi sono ritrovato per qualche attimo ad accarezzare un'utopia: e se il perdono diventasse la «droga» di questo millennio?

Il perdono fa parte di una «nuova educazione» alla consapevolezza e alla felicità; una strategia evolutiva che ha effetti positivi sulla salute, il benessere e la qualità della vita. È una delle abilità personali e sociali necessarie per tutti gli individui, e soprattutto nella formazione dei nuovi leader. Appartiene alle social and life skills basilari di un nuovo modo di «essere umani».

Il processo del perdono è un allenamento neuronale per sviluppare capacità e attitudini fondamentali nella sfera personale, relazionale e sociale: trasformare i problemi in risorse, gestire i conflitti, sviluppare un'empatia matura, esprimere e celebrare una cultura della pace.

Negli ultimi anni, l'attenzione sul perdono è cresciuta a livelli esponenziali, estendendosi dall'ambito della spiritualità e della psicoterapia a quello della scienza e della medicina. Si sono moltiplicati gli studi neuro-scientifici, e qualificate pubblicazioni hanno riconosciuto gli effetti benefici del perdono sul sistema circolatorio, immunitario e nervoso, confermandone l'importanza per la salute e la qualità della vita.

È nata così la scienza del perdono, destinata ad avere un impatto sociale e educativo sempre maggiore e a incidere positivamente sulla vita di ognuno di noi.

Nell'ottica dell'evoluzionismo darwiniano possiamo considerare il perdono un comportamento funzionale alla sopravvivenza della specie, poiché influenza la qualità e la durata delle relazioni interpersonali, aumenta le probabilità di cooperare e di ricevere aiuto: alla lunga, la selezione naturale privilegia le caratteristiche genetiche che favoriscono lo sviluppo della capacità di perdonare.

In un'ottica multidimensionale e olistica, invece, il perdono funziona come un regolatore tra sistema fisiologico, espressione dei geni, sistema cognitivo, emotivo, motivazionale e tutte le azioni e i comportamenti, predisponendo chi lo applica a essere più adatto per la sopravvivenza della specie.

Per la mia ricerca è stato rilevante apprendere che la selezione naturale favorisce gli individui capaci di amare, di provare compassione e di perdonare.

Questo libro è un viaggio dentro il significato più autentico del perdono, attraverso le storie di chi la propria vita l'ha cambiata davvero, di chi ha guarito la sofferenza più profonda, ha imparato ad amare, ha ottenuto successo, ha riscoperto gli affetti.

Saper donare e sapersi donare sono i segreti che permettono ai miracoli di accadere nella nostra vita, strumenti per apprendere come guarire veramente, innanzitutto dall'indifferenza verso la bellezza della vita, e di curare la cecità interiore che rende impossibile coglierla e ammirarla.

Semi, fiori, frutti e nuovi semi sono il simbolo del viaggio di ogni essere umano su questa Terra: la nascita, la crescita, la raccolta, e poi un nuovo inizio.

Il perdono può irrompere nelle coscienze e segnare positivamente l'itinerario esistenziale di ogni uomo, restituendo a ciascun ciclo le sue naturali cadenze.


Semi - Estratto da "La Cura del Perdono" di Daniel Lumera

La potenza del pensiero muta il destino. L'uomo semina un pensiero e raccoglie un'azione; semina un'azione e raccoglie un'abitudine; semina un'abitudine e raccoglie un carattere; semina un carattere e raccoglie un destino. L'uomo costruisce il suo avvenire con il proprio pensare e agire. Egli può cambiarlo, perché ne è il vero padrone.
SIVANANDA

Se avete attraversato territori rocciosi aspri e impervi, avrete certamente notato che, anche nel suolo più duro e improbabile, i semi germogliano e portano la vita. Così è il perdono: i suoi meccanismi sono invisibili e imperscrutabili per chi non sa spingersi oltre le apparenze. I semi sono l'origine, la prima parte di questo libro.

Piantare semi significa predisporsi a coltivare la fiducia nel miracolo della vita. Innaffiarli equivale a nutrire la speranza nella vita fino a farla diventare una certezza.

Promesse e nuvole

«Vuoi che ti perdoni?»
«Sì.»
«Allora prometti.»
«Vuoi che prometta che non lo farò più?»
«No, voglio che tu mi faccia tre solenni promesse.»
«Così mi spaventi. Devo dire sì a scatola chiusa, senza sapere di cosa si tratta?»
«Sì. Questa è la condizione affinché la nostra relazione vada avanti. Accetti?»
«Sì.»
«Prometti di assumerti la totale responsabilità della tua vita?»
«Prometto.»
«Prometti di essere disponibile al cambiamento che verrà, di qualsiasi cambiamento si tratti?»
«Prometto.»
«Prometti di avere il coraggio di osare, scegliendo di vivere la vita che tu senti giusta per te e non quella che gli altri sentono giusta per te?»
«Prometto.»
«Se verrai meno a queste tre promesse, tradirai un patto non con me ma con te stesso.»

Vanno e vengono molte persone nella vita di ognuno di noi, e per qualcuna di loro non potremo fare assolutamente niente. Con alcune l'incontro sarà breve, mentre con altre trascorreremo il resto dell'esistenza. In ogni caso, dovremo ricordare sempre che il nostro destino non ha bisogno della loro approvazione per essere compiuto.

Sono come nuvole: possiamo guardarle passare, assumere infinite forme, allontanarsi e poi svanire all'orizzonte. In questo scorrere ciò che resta di ogni incontro è un dono, che a volte cambia le loro vite e la nostra.

Perdonare è, nel suo significato essenziale, il puro atto del donare. Per donare. Senza ulteriori fini, senza nessuna logica di opportunità o convenienza o altro desiderio che non sia la liberazione che il donare in questo modo genera.

Quando chiedo a qualcuno perché vuole perdonare o essere perdonato, le risposte sono più o meno sempre le stesse: per smettere di soffrire, per levarsi un peso dal cuore, per recuperare una relazione, per liberarsi dal senso di colpa, per essere più buono e giusto, per guarire. Rarissimi i casi in cui la risposta semplicemente è: perdonare.

Perdonare non presuppone l'esistenza di una colpa, non è necessariamente legato alla sofferenza, non equivale a dimenticare o a rimuovere, non è un atto di superiorità intellettuale e non può essere incluso nella lista delle buone azioni dettate dalla morale religiosa o dal senso civico. Errore, vittima, colpevole, giudizio, riparazione, pentimento: chi associa il perdono a questi concetti e lo riconduce a degli stereotipi non ne coglie il vero significato.

Perdonare non rimanda necessariamente a qualcosa di condannabile. Spogliamolo di tutte queste implicazioni in modo da coglierne il valore essenziale, efficace e rivoluzionario, che conduce all'esperienza dell'unità: essere una cosa sola con la vita.

Se una persona vuole sinceramente comprendere cosa sia il perdono, innanzitutto deve dimenticare ciò che sa, pensa, suppone o gli è stato detto e insegnato al riguardo. Deve partire da zero. La mente deve essere sgombra da pregiudizi, dogmi religiosi o dottrine filosofiche: come un foglio bianco sul quale scrivere la più bella storia della propria vita.

Quando ho intrapreso il mio personale percorso nel mondo del perdono, ne ho trovato traccia in culture primitive: tra gli indios brasiliani, nelle Hawaii, sulle Ande, nella filosofia indovedica, nel giudaismo e nel cristianesimo. Ho sperimentato il perdono attraverso pratiche di quattromila anni fa e riscoperto ciò che si è perduto. L'arte del donare è antica quanto il mondo e si è modellata in mille forme, conservandone intimamente il valore originale ed essenziale, come un fiume sotterraneo che scava il suo passaggio nella roccia, ma alla fine emerge e sfocia inesorabilmente in mare.

Comprendere il perdono significa comprendere la vita poiché la vita è un dono e viene data per dono.

È possibile credere che questa concezione del perdono conosca un'ampia diffusione in tempi brevi? Oppure per ora è destinata a pochi cuori? È una sfida che vale la pena affrontare.

Il perdono mi ha insegnato che siamo condannati alla felicità. Dobbiamo solo smettere di resisterle. Non è difficile cogliere e sperimentare gli effetti del perdono sulla salute, il benessere, la qualità della vita, le relazioni e l'evoluzione individuale e collettiva.

La capacità di saper donare inizia dal coraggio di fare tre promesse:

Prometto di assumermi la totale responsabilità della mia vita

La parola «responsabilità» richiama solitamente una sensazione di gravità, di serietà e di ponderosità.

Quando ho chiesto a Matteo, un bambino di sette anni, cosa suscitasse in lui questa parola mi ha risposto: «È qualcosa che ci fa preoccupare. Lo so perché il papà dice che è la persona più responsabile della famiglia, ed è sempre preoccupato».

In inglese il termine è responsibility. Se ci soffermiamo sul suo significato, scopriamo che è una sintesi di ability to respond, cioè la capacità di dare una risposta. Innanzitutto a se stessi. E per dare una risposta a noi stessi dobbiamo far emergere dal nostro profondo le domande e i bisogni interiori più autentici. Perciò prometto di essere responsabile.

Prometto di essere disponibile al cambiamento

In qualsiasi forma si presenti, prometto di accoglierlo. Ogni volta che ci si aggrappa alle esperienze, dolorose o piacevoli, si finisce per soffrire. Così come un grande amore rischia di diventare possesso, un grande dolore senza liberazione causerà ancora più sofferenza.

Essere disponibili al cambiamento significa non avvinghiarsi alle cose, alle persone e alle situazioni, e accogliere positivamente le trasformazioni che nella vita bisogna affrontare.

Prometto di avere il coraggio di osare, scegliendo di vivere la vita che io sento giusta per me e non quella che gli altri sentono giusta per me

Perdonare è imparare ad ascoltare la voce de! nostro spirito e avere il coraggio di seguirla indipendentemente da ciò che le persone pensano, credono o vogliono per noi. Senza paura di deludere, di essere giudicati o di fallire.

Osare significa riconoscere i propri talenti ed essere capaci di esprimerli e realizzarli.


Daniel Lumera
La Cura del Perdono - Libro >> http://goo.gl/1BrSUA
Una nuova via per la felicità


martedì 2 febbraio 2016

Stipsi, emorroidi, ragadi: risolvere questi fastidi


Stipsi, emorroidi, ragadi: e se bastasse poco per risolvere questi fastidi?

Risolvere alcuni fastidiosi problemi intestinali, come la stitichezza e la stipsi, non è mai stato così facile: scopri come stare subito meglio senza farmaci e integratori

di Francesca Rifici - 02/02/2016



Stipsi, emorroidi, ragadi: e se bastasse poco per risolvere questi fastidi?

Da qualche tempo siamo tutti informati sull’effetto che l’alimentazione ha sulla qualità delle nostre vite: sentiamo parlare di diete vegetariane, vegane, paleo, diete legate al gruppo sanguigno, insomma di informazioni ne riceviamo tante.
Documentarsi e informarsi su quale stile alimentare sia giusto tenere, penso sia fondamentale e oramai fuori discussione. La salute passa attraverso ciò di cui ci nutriamo, sia che si tratti di cibo che di pensieri.
Malgrado la molta informazione e un’alimentazione più o meno corretta, tante persone soffrono di disturbi legati all’intestino che inficiano in maniera importante le regolari funzioni fisiologiche.

La posizione seduta è la migliore per evacuare?

Ogni buon medico di Medicina Tradizionale Cinese, quando vi incontra, vi rivolge alcune domande legate alla funzionalità intestinale: i quesiti indagano la regolarità di evacuazione quotidiana, la consistenza delle feci, il colore e altri dettagli utili a comprendere lo stato interno di alcuni organi. Questo perché egli sa quanto sia importante che l’intestino svolga correttamente la sua funzione.
Quello che molti non sanno è che una delle cause principali dei problemi intestinali è legata alla modalità che noi uomini moderni abbiamo adottato per espletare i nostri bisogni.
La comodità di avere i servizi igienici dentro casa ha fatto sì che si curasse più l’estetica che la funzionalità del servizio stesso: è proprio la posizione da seduti che noi teniamo che provoca danni al nostro colon e impedisce una corretta evacuazione.

Un piccolo accorgimento per risolvere i problemi intestinali

Per intenderci, la posizione da seduti, fa sì che il corpo formi un angolo a 90° e avvenga uno strozzamento a livello del colon-sigma-retto (la parte finale del nostro intestino).
Questo meccanismo provoca infiammazione, contrazione della mucosa intestinale, non corretta evacuazione delle feci con conseguente perdita di funzionalità.

In natura, i nostri antenati, quale posizione assumevano per i loro bisogni?

È presto detto: ricordate le oramai in disuso vecchie “turche”? Ecco, quella era la posizione naturale che veniva assunta dai nostri antenati e quella che fisiologicamente ci appartiene di più.
Sarebbe davvero scomodo nonché costoso tornare indietro o riadattare tutti i servizi igienici.
La soluzione è semplice: basta porre un apposito sgabello ai piedi del wc per rialzare il piano di appoggio e la posizione corretta viene così assunta. Provare per credere. Davvero molti disturbi possono risolversi con questo piccolo “ritorno alle origini”.

Bernard Jensen
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lunedì 1 febbraio 2016

Quanto ci influenza il senso di colpa?



Quanto ci influenza il senso di colpa?

Perché siamo così legati a questo senso di peccato e terrore?

di Kenneth Wapnick - 01/02/2016



Quanto ci influenza il senso di colpa?

Quello che facciamo con la colpa, questo senso di peccato e terrore che sentiamo, è far finta che non ci sia.
Lo spingiamo semplicemente via dalla nostra consapevolezza, e questo spingere via è conosciuto come repressione o negazione.
Semplicemente ne neghiamo l’esistenza a noi stessi.

Il senso di colpa: la negazione

Per esempio, se siamo troppo pigri per spazzare il pavimento, mettiamo lo sporco sotto il tappeto e poi facciamo finta che non ci sia; o uno struzzo impaurito che ficca la testa nella sabbia così da non dover affrontare né guardare ciò che lo sta terrorizzando tanto. Beh, questo non funziona per ovvi motivi. Il continuare a spazzare lo sporco sotto il tappeto lo renderà pieno di protuberanze e alla fine incespicheremo, mentre lo struzzo potrebbe farsi seriamente male se restasse nella sua posizione a testa in giù. Ma a un qualche livello sappiamo che la nostra colpa c’è.

Così torniamo dall’ego e diciamo che «la negazione andava molto bene, ma devi fare qualcos’altro. Questa roba sta montando e io sto per esplodere. Per favore aiutami». E allora l’ego risponde: «Ho proprio la cosa che fa per te». […]

Proiezione: come l’ego ci risponde

Proiezione significa molto semplicemente che prendi qualcosa da dentro di te e dici che in realtà non è lì: è fuori in qualcun altro.

La parola stessa significa letteralmente buttare fuori, o scagliare via da o verso qualcun altro; e questo è ciò che noi tutti facciamo con la proiezione.
Prendiamo la colpa o il senso di peccato che crediamo essere dentro di noi e diciamo: «In realtà non è dentro di me, ma è in te. Non sono io ad essere colpevole, sei tu il colpevole. Non sono io a essere responsabile per come mi sento miserevole e infelice: tu lo sei».

Dal punto di vista dell’ego non ha importanza chi sia “tu”.
All’ego non importa su chi proietti fintanto che trovi qualcuno su cui scaricare la tua colpa. Questo è il modo in cui l’ego ci dice che possiamo liberarci dalla colpa. […]
Prendiamo i nostri peccati e diciamo che non sono in noi: sono in te. E poi interponiamo della distanza tra noi e i nostri peccati.

Nessuno vuole stare vicino alla propria peccaminosità e così la prendiamo da dentro di noi e la piazziamo su qualcun altro, e poi bandiamo quella persona dalla nostra vita.

Ci sono due modi fondamentali per fare ciò. Uno è di separarci fisicamente da un’altra persona; l’altro è di farlo psicologicamente. La separazione psicologica è in realtà la più devastante e anche la più sottile.

Il modo in cui ci separiamo da qualcun altro, una volta che gli abbiamo messo addosso i nostri peccati, è di attaccarlo o di arrabbiarci con lui.

Qualsiasi espressione della nostra rabbia – sia nella forma di un lieve fastidio o di furia intensa (non fa alcuna differenza: sono entrambe la stessa cosa) – è sempre un tentativo di giustificare la proiezione della nostra colpa, non importa quale sembri essere la causa della nostra rabbia.

La vera causa della rabbia

Questo bisogno di proiettare la nostra colpa è la causa prima di tutta la rabbia.

Non è necessario essere d’accordo con quello che gli altri dicono o fanno, ma nel momento in cui si fa l’esperienza di dare una risposta personale di rabbia, giudizio, o critica, è sempre perché si è visto in quell’altra persona qualcosa che si è negato in se stessi.
In altre parole, si sta proiettando il proprio peccato e la propria colpa su quella persona e la si attacca lì. Ma questa volta non li si sta attaccando in se stessi: li si sta attaccando in quell’altra persona e si vuole fare in modo che quella persona stia il più lontano possibile.

Ciò che si vuol fare in realtà è portare il proprio peccato il più possibile lontano da se stessi.

Tratto dal libro “Introduzione a un corso in miracoli” di Kenneth Wapnick
 
Kenneth Wapnick
Introduzione a Un Corso In Miracoli - Libro >> http://goo.gl/kqknwp
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