giovedì 6 novembre 2014

Quanto più a lungo vivono i vegetariani?

Quanto più a lungo vivono i vegetariani?

Perché una dieta principalmente a base vegetale ci fa vivere meglio e più a lungo

di Joel Fuhrman - 05/11/2014



Quanto più a lungo vivono i vegetariani?

È una domanda cui è difficile rispondere con precisione, poiché ci sono pochi studi sulla durata della vita dei vegetariani nelle nazioni con elettricità, frigoriferi, buone condizioni sanitarie e una nutrizione adeguata.
Gli studi americani condotti nel 1984 sugli Avventisti del Settimo Giorno, un gruppo religioso che fornisce suggerimenti alimentari e sullo stile di vita ai propri adepti, getta un po’ di luce sulla materia. I leader della comunità degli Avventisti scoraggiano il consumo di carne rossa, pollame e uova; il maiale è proibito. Poiché il consumo di prodotti animali non è necessariamente vietato ma solo scoraggiato, c’è un ampio range all’interno del quale muoversi. Alcuni Avventisti non mangiano mai né carne né uova, mentre altri li consumano quotidianamente.

Quando si considerano meglio i dati sugli Avventisti del Settimo Giorno, ci si avvede che chi è vissuto di più apparteneva a coloro che avevano seguito per più tempo una dieta vegetariana; e quando si valutano i sottogruppi, ci si accorge che chi è stato vegetariano per almeno metà della propria vita, è vissuto circa tredici anni in più rispetto alla media della controparte californiana di non fumatori. La maggior parte dei partecipanti a questo studio che si era convertita a questa religione, non era nata nella comunità. Non c’erano dati riferiti a chi ha seguito una simile dieta fin dall’infanzia.
Comunque sia, i dati emersi grazie a questo accurato studio sono convincenti; e ciò che per me è da ritenere di considerevole interesse è l’associazione tra consumo d’insalata verde e longevità. La verdura a foglia verde, l’alimento più ricco di nutrienti del pianeta, è stato il miglior fattore predittivo dell’estrema longevità.

Alcuni esperti di nutrizione argomenterebbero come il vegetariano stretto che segue una dieta ricca di vegetali naturali e cereali non raffinati abbia, sì, il miglior potenziale di longevità, come emerge considerando i dati del China Study insieme ad altre centinaia di studi minori – ma che comunque queste restano pure speculazioni. Non voglio perdere tempo a discutere se sia assolutamente giusto o no mangiare piccole quantità di alimenti animali, perché non voglio rischiare di perdere di vista il punto cruciale che non può essere messo in discussione o contraddetto:

Sia che voi seguiate una dieta vegetariana o che consumiate piccole quantità di alimenti di origine animale, per ottenere una salute ottimale dovete trarre la maggioranza delle calorie
da alimenti vegetali non raffinati.
È la grande quantità di questi cibi che vi garantisce
la maggiore protezione possibile dalle malattie.


Tratto da

Eat to Live - Mangiare per Vivere - Libro >> http://goo.gl/opcjWO 
Joel Fuhrman
Un rivoluzionario programma nutrizionale per vivere in maniera sana e naturale - La dieta Fuhrman, una straordinaria scoperta medica - Come perdere 9 kg in sole 6 settimane
Editore: Macro Edizioni
Data pubblicazione: Marzo 2013
Formato: Libro - Pag 420 - 13,5x20,5





mercoledì 5 novembre 2014

Il Metodo Ornish per curare le Malattie Cardiache

Il Metodo Ornish per curare le Malattie Cardiache

Un sistema potente e scientificamente provato per guarire senza farmaci e interventi chirurgici - Con oltre 160 gustose ricette

di Dean Ornish



Una ricerca di importanza epocale per la salute del tuo cuore

Il Metodo Ornish sta cambiato la vita a milioni di persone in tutto il mondo

Il Dott. Dean Ornish è il primo medico a offrire prove documentate che le malattie cardiovascolari possono essere bloccate o perfino fatte regredire, semplicemente cambiando il proprio stile di vita. Dean Ornish ha dimostrato per la prima volta che cambiamenti complessivi nello stile di vita, non solo possono prevenire la progressione delle malattie cardiovascolari, ma innescare un meccanismo di regressione delle stesse senza dover ricorrere a farmaci o interventi chirurgici.

Basato su studi scientifici riconosciuti e apprezzati a livello internazionale, il Metodo Ornish – illustrato in questo libro – è in grado di produrre risultati stupefacenti.

I pazienti curati con questo metodo hanno potuto ridurre o eliminare i farmaci assunti quotidianamente, hanno visto diminuire o scomparire i dolori al petto, hanno riscoperto energia, felicità e tranquillità. Il loro peso è diminuito senza rinunciare al cibo e le occlusioni delle loro arterie coronarie sono regredite.

Se tu sia o meno preoccupato per il tuo cuore,
questo è probabilmente il libro più utile sulla salute del tuo cuore che tu possa mai leggere
Dean Ornish

In questa opera straordinaria il Dottor Ornish illustra in modo dettagliato le varie fasi del suo programma (Opening Your Heart), un metodo di cura che sta incontrando un favore sempre maggiore anche presso le compagnie assicurative che si occupano di salute.

Il programma va oltre gli aspetti puramente fisici delle malattie cardiache includendo anche i fattori psicologici, affettivi e spirituali che hanno un’importanza vitale per la guarigione. Il metodo comprende infatti: meditazione, visualizzazioni, tecniche respiratorie e di rilassamento, stretching, ginnastica, yoga e una dieta vegetariana.

Questo libro rappresenta il meglio che la medicina moderna può offrire

Inoltre contiene oltre 160 deliziose ricette
pensate appositamente per mantenere o recuperare la salute cardiaca.


Dall'Introduzione

“Questo libro tratta di come curare il cuore: in senso fisico, emozionale e spirituale.

Il metodo, qui descritto, può contribuire a trasformare la tua vita. Il programma si basa su ricerche cardiovascolari che ho svolto negli ultimi 14 anni; una di queste ricerche svolta di recente da me e da miei colleghi ha dimostrato − per la prima volta − che molte persone possono cominciare a invertire le loro malattie cardiovascolari semplicemente cambiando il proprio stile di vita.

Questo è l’unico programma scientificamente verificato per cominciare a guarire dalle malattie cardiovascolari senza utilizzare farmaci per la riduzione del colesterolo o interventi chirurgici.

Utilizzando tecnologie mediche prima non disponibili, abbiamo scoperto che le arterie coronarie di molte persone afflitte da gravi malattie cardiovascolari hanno in effetti cominciato a riaprirsi dopo aver seguito il nostro programma.

In altre parole, le arterie sono diventate meno intasate e il flusso sanguigno verso il cuore è aumentato”.

Dott. Dean Ornish


I cambiamenti nello stile di vita di persone ricche e famose

Leggi un brano estratto dal capitolo 4 del libro "Il Metodo Ornish per Curare le Malattie Cardiache" del dott. Dean Ornish

Nel precedente capitolo ho analizzato la catena causale delle malattie cardiovascolari e l’idea che, più risaliamo all’indietro nella catena degli eventi causali nel trattare la malattia, maggiori sono le possibilità di guarigione.

Mi sono concentrato finora sulle terapie convenzionali delle malattie cardiache (farmaci e chirurgia) e sul ruolo dei fattori connessi allo stile di vita: alimentazione, stress emotivo, esercizio fisico, fumo e altre sostanze stimolanti.

Tuttavia sappiamo che i fattori di rischio tradizionali – colesterolo, pressione sanguigna, età, sesso, genetica, fumo, diabete, obesità, vita sedentaria – spiegano solo il 50% circa delle malattie cardiache.

Almeno metà delle ragioni per cui le persone si ammalano di malattie cardiovascolari è sconosciuta. Allora perché alcune persone si ammalano di malattie cardiache e altre no? Chiaramente tutti questi fattori di rischio sono importanti ma non penso che qualcuno di essi sia il nucleo che spieghi perché ci si ammala di malattie cardiache. Non sono del tutto sicuro di ciò che scatena la malattia ma col tempo sto acquisendo sempre più nozioni.

Facciamo ancora un passo indietro nella catena causale.

Esistono fattori comuni di ordine psicologico – o forse anche spirituale – che portano a sviluppare malattie delle coronarie?

Negli anni Cinquanta i dottori Meyer Friedman e Ray Rosenman descrissero una sindrome che chiamarono Comportamento di tipo A da loro ritenuta la causa delle malattie cardiache.

La sindrome di Tipo A descrive qualcuno che è ostile, egocentrico, impaziente e sempre di fretta. Il Tipo A tenta ossessivamente di perseguire obiettivi poco definiti e ha un forte bisogno di essere riconosciuto e di progredire. Ha una tendenza a fare due o tre cose allo stesso tempo, come parlare e muoversi velocemente e così via.

Al principio, gli studi indicavano che il comportamento di Tipo A era collegato con le malattie cardiache; in seguito studi più precisi mancarono di confermare questa connessione.

Studi più recenti hanno contribuito a spiegare questa discrepanza.

Le ricerche del dottor Larry Scherwitz dell’Università della California di San Francisco, del dottor Redford Williams della Duke University e di altri indicano che certi elementi del comportamento di Tipo A sono connessi con le malattie cardiache mentre altre componenti non lo sono (nel suo libro The Trusting Heart, Williams descrive come queste ricerche si siano evolute).

In particolare, i fattori maggiormente tossici per il cuore sono l’egocentrismo, l’ostilità e il cinismo.

Il dottor Scherwitz, la dottoressa Lynda Powell e altri hanno scoperto che la frequenza con cui una persona si riferisce a se stessa – ossia, quanto spesso lui o lei usano termini come io, me, mio e miei nel conversare ordinario – in effetti può diventare uno dei fattori predittivi dell’infarto. Più alta è la frequenza di utilizzo di queste parole da parte di una persona e maggiore diventa la probabilità che questa persona muoia di infarto.

In un altro studio il dottor Scherwitz ha analizzato le interviste registrate di una ricerca durata nove anni che ha coinvolto 13.000 maschi. Questo studio, chiamato Multiple Risk Factor Intervention Trial (MRFIT), aveva lo scopo di determinare se moderati cambiamenti nello stile di vita potevano contribuire a prevenire le malattie cardiache. Il dottor Scherwitz ha scoperto che le persone che più spesso usavano espressioni con auto- referenze sviluppavano in seguito malattie cardiache con maggiore frequenza rispetto a chi non presentava la stessa abitudine. Ancora più sconvolgente era il grado maggiore di egocentrismo in quanti poi sarebbero morti per infarto.

Ma perché tutto ciò dovrebbe essere vero? Certamente pronunciare parole come io, me, mio, miei e simili non può di per sé costituire un pericolo.

La realtà è invece che i nostri discorsi riflettono come vediamo il mondo in cui viviamo.
Quando ci sentiamo isolati dagli altri, ci concentriamo di più su noi stessi: «Io voglio questo, io voglio quello». Queste ricerche ci hanno portato un passo più in là nella giusta direzione, ma sollevano domande ancora più rilevanti.

Le domande da farsi sono: perché siamo egocentrici? Perché siamo cinici? Perché siamo ostili?
Esiste una causa profonda di queste emozioni che può portare alle malattie cardiovascolari e ad altre malattie?...


Indice

NOTA DELL'AUTORE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE - CUORE E ANIMA

PRIMA PARTE - "APRI IL TUO CUORE"

CAPITOLO 1 - «PERCHÉ NON FAI QUALCOSA DI PIÙ CONVENZIONALE?»
CAPITOLO 2 - «INSOMMA... COSA CI PUÒ ESSERE DI PIÙ DEBOSCIATO?»
CAPITOLO 3 - «SÌ, È VERO, MA QUAL È LA CAUSA?»
CAPITOLO 4 - I CAMBIAMENTI NELLO STILE DI VITA DI PERSONE RICCHE E FAMOSE
CAPITOLO 5 - "QUESTO È UN CORSO A ELIMINAZIONE!"
CAPITOLO 6 - «TI ARRABBI MOLTO FACILMENTE»

SECONDA PARTE - IL PROGRAMMA "APRI IL TUO CUORE"

INTRODUZIONE AL PROGRAMMA "APRI IL TUO CUORE"
CAPITOLO 7 - "APRI IL TUO CUORE" AI SENTIMENTI E ALLA PACE INTERIORE
CAPITOLO 8 - "APRI IL TUO CUORE" AL PROSSIMO
CAPITOLO 9 - "APRI IL TUO CUORE" A UN IO SUPERIORE
CAPITOLO 10 - LE DIETE DI REGRESSIVA E PREVENTIVA
CAPITOLO 11 - COME SMETTERE DI FUMARE
CAPITOLO 12 - COME FARE MOVIMENTO FISICO

TERZA PARTE - LE RICETTE DI "APRI IL TUO CUORE"

INTRODUZIONE ALLE RICETTE
LE RICETTE

EPILOGO - «IO HO SPERANZA»

APPENDICE - Delle sostanze nutritive contenute negli alimenti più comuni

BIBLIOGRAFIA SCELTA

RINGRAZIAMENTI
INDICE ANALITICO
INDICE ANALITICO DELLE RICETTE


Dean Ornish
Il Metodo Ornish per curare le Malattie Cardiache - Libro >> http://goo.gl/Zt5AJy
Un sistema potente e scientificamente provato per guarire senza farmaci e interventi chirurgici - Con oltre 160 gustose ricette
Editore: Macro Edizioni
Data pubblicazione: Novembre 2014
Formato: Libro - Pag 544 - 17x24 cm



martedì 4 novembre 2014

Percepire lo spazio con la parte destra del cervello

Percepire lo spazio con la parte destra del cervello

Quando uno spazio stimola e viene percepito con l’emisfero destro, il sistema parasimpatico si attiva e noi ci sentiamo rilassati vivendolo come piacevole

di Veronica Vignati - 03/11/2014



Percepire lo spazio con la parte destra del cervello

Lo spazio è il palcoscenico su cui si svolge la nostra vita, ma lungi dall’essere cosa muta, questo continuamente invia ai nostri sensi segnali, informazioni, stimoli che, elaborati dal cervello, provocano reazioni chimiche che vanno a coinvolgere tutto il corpo, influenzando così il nostro umore, il nostro modo di sentirci e persino quello di pensare.
Mentre l’intensità delle reazioni varia da individuo a individuo e da situazione a situazione, le reazioni in sé sono comuni a tutti gli individui; questo perché i meccanismi che le producono si attivano automaticamente di fronte a specifici stimoli, avvengono in strutture molto antiche del nostro cervello – sulle quali non abbiamo un controllo cosciente – e sono il frutto di una “saggezza”che si è formata nell’arco di milioni di anni.

Che cos’è uno spazio

Per spazio qui intendiamo un “organismo” unitario formato dal rapporto reciproco e costante fra tre elementi fondamentali: il vuoto, il pieno e l’uomo, o più in generale l’osservatore.
Il vuoto, che è ciò che dello spazio utilizziamo, acquista forma, dimensioni e senso perché delimitato dagli elementi pieni che lo separano dall’esterno, anch’esso vuoto: senza il vetro che separa il vuoto interno di un bicchiere da quello esterno, nulla impedirebbe all’acqua che vi versiamo di spargersi ovunque. D’altra parte un bicchiere di vetro privo del vuoto all’interno non sarebbe utilizzabile né, senza il vuoto che lo circonda, la sua forma sarebbe percepibile, in altre parole senza vuoto il vetro non sarebbe un bicchiere.
Lo stesso ragionamento può essere applicato a qualunque tipo di spazio, a quelli che nascono dall’opera dell’uomo, come a quelli naturali: le facciate di un edificio danno forma agli spazi interni separandoli da quelli esterni, lo spazio di una valle deve la sua forma alle montagne che la circondano, quello di una laguna ai lembi di terra che lo abbracciano separandolo dal mare aperto e, persino quest’ultimo, è racchiuso da un limite visuale rappresentato dalla volta azzurra che, tutta intorno, si alza dalla linea di orizzonte.
L’elemento da cui però dipendono il carattere e il valore di uno spazio è il terzo, l’osservatore.

Torniamo un attimo al nostro bicchiere, ciò che lo definisce come tale è certamente la sua forma, il rapporto che c’è fra il pieno ed il vuoto, ma anche le sue dimensioni; se io infatti, mantenendo costante il rapporto fra la quantità di pieno e di vuoto e mantenendo costante anche la forma del bicchiere, ne aumentassi di quattro volte le dimensioni, quello per me non sarebbe più un bicchiere, ma piuttosto un vaso. Quindi il fatto che quello sia un bicchiere e non un vaso dipende non solo dal rapporto fra pieno e vuoto, ma anche dalle dimensioni all’interno delle quali questi rapporti si definiscono. Ma se io che osservo anziché un essere umano fossi una formica? Un normalissimo bicchiere sarebbe per me una sorta di piscina olimpionica! E avrebbe senso per me fare differenza fra un fiume e il mare visto che ai miei occhi ciò che delimita quelle masse di acqua è sempre l’orizzonte?
Quando parliamo di uno spazio non possiamo quindi prescindere dall’esperienza spaziale dell’osservatore che lo percepisce e si rapporta ad esso. E se lo spazio è un’esperienza, come ogni esperienza, questa può essere piacevole o spiacevole.

Emisferi ed esperienza spaziale

Le sensazioni di benessere o malessere che uno spazio può generare dipendono dalle reazioni chimiche che, durante la percezione, cioè l’interpretazione degli stimoli che questo invia, si verificano nell’individuo e che, come abbiamo accennato, anche se ad intensità diverse, accomunano tutti gli individui. Quindi partendo da queste reazioni immediate e incontrollabili e comprendendo il legame con gli stimoli che le provocano, possiamo pensare di modificare la forma di uno spazio in modo che questo produca sensazioni piacevoli, o per lo meno evitare che ne produca di spiacevoli.
È provata l’esistenza di un rapporto biunivoco, a due direzioni, fra le reazioni chimiche immediate e inconsce – che i neuroscienziati chiamano reazioni emotive o emozioni – e il modo in cui, a livello conscio, le informazioni vengono elaborate dal cervello. In parole povere: come ci sentiamo ha influenza sul modo in cui pensiamo e il modo in cui stiamo pensando influenza come ci sentiamo.

Il cervello umano e in particolare la neocorteccia, la sua struttura più esterna e recente, è per lo più un organo simmetrico, formato cioè da due metà molto simili per forma e per funzioni, emisfero destro ed emisfero sinistro, che governano le due metà controlaterali del corpo e che si scambiano informazioni tramite una struttura ponte centrale chiamata corpo calloso.
L’unica vistosa differenza fra i due emisferi riguarda il lobo frontale, quella zona della neocorteccia che si occupa delle funzioni più elevate ed evolute, caratteristiche della razza umana, ovvero il ragionamento logico razionale e l’intuizione. Anatomicamente il lobo frontale destro è più grande del sinistro, ma la vera differenza fra i due è nel modo di processare le informazioni: i due lobi mettono in atto due veri e propri sistemi di pensiero completamente differenti, complementari ma anche antagonisti.

L’emisfero sinistro è la sede del pensiero razionale, ragiona in base al rilevamento, l’astrazione e la catalogazione dei singoli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, li nomina e li confronta attraverso successioni logiche e temporali di causa/effetto e, sulla base di queste, cerca una soluzione coerente e forma un giudizio.

L’emisfero destro invece ragiona attraverso rapporti e relazioni, non si sofferma sui singoli stimoli ma coglie la situazione o la composizione nella sua globalità, considerando il tutto esattamente come si presenta nel momento in cui lo percepisce senza esprimere un giudizio; non procede per passaggi consequenziali ma per intuizioni e raggiunge le proprie soluzioni in momenti illuminanti di improvvisa comprensione delle cose, basati spesso su impressioni e schemi parziali.
L’emisfero destro è chiamato anche emisfero spaziale, e infatti, considerando le relazioni e i rapporti che intercorrono fra i pieni e i vuoti, riesce a costruire di uno spazio un’immagine mentale completa, percependolo come un organismo unitario. Anche il soggetto stesso, per questo emisfero, è un pieno, un limite dello spazio e quindi una sua componente vera e propria in relazione costante con tutte le altre.

L’emisfero sinistro, invece, di uno spazio coglie solo gli elementi pieni, che sono quelli che può catalogare, trascurando completamente i rapporti che li legano al vuoto e il vuoto stesso, che per lui è semplicemente nulla e quindi privo di interesse. In questo modo ogni elemento pieno viene percepito a sé stante e slegato dagli altri, e anche il soggetto percepisce se stesso come privo di rapporti con ciò che lo circonda e quindi estraneo, diverso, indipendente dallo spazio in cui è immerso.

Ma in che modo tutto questo si relaziona con il resto del corpo, con le sensazioni che proviamo all’interno di uno spazio, in che modo cioè uno spazio può farci sentire a nostro agio o a disagio?

Le reazioni emotive agli stimoli esterni producono l’attivazione del sistema nervoso simpatico o di quello parasimpatico, comunicando al corpo come reagire a una determinata situazione. Quando il primo viene attivato, il cuore inizia a pompare più velocemente richiamando il sangue da tutti gli altri organi del nostro corpo, che si contraggono, per concentrarlo sui muscoli e sul cervello e preparare il corpo all’azione e alla risoluzione di un’emergenza; quando ad essere attivo è il sistema parasimpatico, invece, il cuore rallenta, il sangue va a irrorare tutti i nostri organi interni, che si espandono, e i nostri muscoli si rilassano.
È stato osservato che quando il nostro sistema nervoso simpatico è attivo e il nostro corpo sta affrontando una qualche emergenza, come un potenziale pericolo, l’attività del lobo frontale si sposta principalmente sull’emisfero sinistro. Quando a essere attivo è invece il sistema parasimpatico e il nostro corpo è rilassato, l’attività del lobo frontale si concentra invece sull’emisfero destro.

Visto che la relazione fra reazioni emotive e modo di pensare è a doppio senso, ne consegue che quando l’attività cerebrale è concentrata sul lobo sinistro, se stiamo ad esempio facendo dei calcoli matematici impegnativi, questa condizione attiva il nostro sistema nervoso simpatico e il nostro corpo si irrigidisce vivendo una situazione di tensione, come se fosse in potenziale pericolo. Quando invece concentriamo l’attività cerebrale nell’emisfero destro, ad esempio ascoltando la musica, disegnando o dipingendo, allora è il sistema parasimpatico ad attivarsi e il nostro corpo si rilassa.
Quando uno spazio stimola e viene percepito con l’emisfero destro, dunque, il sistema parasimpatico si attiva e noi ci sentiamo rilassati vivendolo come piacevole, se invece uno spazio stimola l’attività dell’emisfero sinistro, ad attivarsi è il sistema nervoso simpatico e noi ci sentiamo in tensione e non a nostro agio. Perché lo spazio di un edificio, come quello di una piazza o di una via, possa stimolare l’emisfero destro, deve essere stato concepito in modo che i rapporti che legano i pieni con i vuoti di cui definiscono forma e dimensioni, siano non solo percepibili, ma anche rapportabili e relazionabili all’osservatore. Possiamo dire che uno spazio per essere percepito con l’emisfero destro, deve anche essere stato concepito con l’emisfero destro.

Spostamento dell’attività emisferica a sinistra: ragioni fisiologiche, culturali e ricaduta sulla composizione degli spazi

Studi recenti hanno dimostrato che, con il passare del tempo, l’attività del lobo frontale si sposta gradualmente verso sinistra. Quando infatti facciamo esperienze nuove o impariamo qualcosa, l’attività cerebrale si concentra sul lobo frontale destro che, usando come base le informazioni già archiviate dal lobo sinistro, elabora i nuovi dati attraverso le sue associazioni libere e le sue intuizioni, passandoli poi come conosciuti all’emisfero sinistro, che li astrae e poi li archivia. In poche parole l’emisfero destro intuisce il significato di quello che stiamo vivendo o imparando, l’emisfero sinistro ci permette di spiegarlo e di ragionarci su. Più un’informazione è simile ad altre già presenti nell’archivio, più veloce è il passaggio dall’emisfero destro al sinistro, fino al punto da non essere più richiesto l’intervento del primo. Con l’accumularsi delle esperienze, è sempre più probabile quindi che, nella vita quotidiana, ci troviamo a svolgere operazioni di routine, consolidando gli schemi che già conosciamo e utilizzando sempre meno l’emisfero destro. La neuroscienza ci dice che i circuiti cerebrali che vengono usati più frequentemente si attivano anche più velocemente di quelli meno usati, quindi con il passare del tempo, i circuiti dell’emisfero sinistro, poiché usati più spesso di quelli del destro, tenderanno ad attivarsi anche per svolgere funzioni che normalmente non sarebbero di loro competenza, prevaricando l’emisfero controlaterale – nelle persone anziane sono infatti osservabili tendenze come rifiuto della novità e difficoltà a mutare abitudini o giudizi.
Nella cultura occidentale, completamente orientata allo sviluppo, all’uso e allo stimolo delle facoltà razionali, lo spostamento già fisiologico dell’attività cerebrale prevalente di un individuo, dal lobo destro a quello sinistro, viene esasperato e il processo di prevaricazione dell’emisfero sinistro sul destro nello svolgimento delle funzioni risulta molto più rapido e diffuso di quanto non lo sarebbe seguendo il suo naturale decorso. Volendo tralasciare ora le ripercussioni psicofisiche devastanti di questa situazione sugli individui e sulla società in generale, quelle sullo spazio che ci circonda sono evidenti; basta vedere la forma delle piante delle città moderne, dei nuovi quartieri e degli edifici, per rendersi conto che sono state concepite in modo completamente razionale.

Tendenza opposta hanno seguito cultura e scienze orientali – arti, educazione, medicina – focalizzandosi non sul pensiero razionale, che vede la realtà come un insieme di fenomeni distinti l’uno dall’altro, non sulla separazione cartesiana tra l’individuo e il mondo, ma sul pensiero intuitivo, su una realtà frutto dell’intima correlazione e interdipendenza tra tutti i fenomeni visibili e invisibili, di cui l’individuo è solo una delle manifestazioni in rapporto reciproco con le tutte altre. Nel pensiero orientale assume importanza sostanziale il vuoto in ogni sua forma – mentale, temporale, spaziale – che, ponendosi in rapporto e in equilibrio dinamico con il suo opposto, il pieno, rende possibile l’esperienza e l’esistenza di ogni fenomeno. Le pratiche meditative sono volte proprio alla creazione del vuoto mentale come condizione perché ogni esperienza, compresa quella spaziale, possa essere vissuta pienamente; bisogna infatti fare il vuoto nella mente, ovvero liberarla da costruzioni, schemi razionali, preconcetti e giudizi, per riuscire a vedere la realtà nella sua essenza relazionale; in altre parole bisogna fare tacere l’emisfero sinistro per far sì che quello destro possa intuire le relazioni che legano ogni cosa e farci sentire veramente partecipi di questa unità. Il giardino Zen rappresenta probabilmente la più alta espressione di spazio concepito per comunicare con l’emisfero destro; in questi luoghi la reciproca e continua relazione fra gli elementi, il vuoto e colui che li osserva, si fa quasi tangibile e l’equilibrio raggiunge livelli tali che, nonostante l’osservatore non possa fisicamente entrare all’interno del giardino, se ne sente ugualmente parte integrante.

Lavorare sui vuoti per uno spazio più rilassante

Visto che sugli spazi delle nostre città, quartieri ed edifici, per lo più non abbiamo molta possibilità di intervenire, possiamo almeno modificare, con l’uso di mobili e complementi, i nostri spazi personali in modo che almeno questi, se non lo sono già, diventino piacevoli. Se lo spazio è rilassante, oltre a sentirci meglio, abbiamo anche maggiori possibilità di trovare soluzioni nuove e creative a problemi che ci assillano, di apprendere più facilmente e di contenere il nostro stress nonostante l’attività che stiamo svolgendo ce ne procuri.
Purtroppo, o per fortuna, per rendere il nostro spazio più piacevole non ci sono regole fisse, quelle appartengono al mondo razionale. Un buon inizio, comunque, sarebbe quello di non avere intorno spigoli vivi, perché rappresentano un segnale pericolo e tendono a farci mantenere uno stato di tensione. Ma se i mobili li abbiamo già tutti, non preoccupiamoci troppo, l’importante è creare un equilibrio.

Per prima cosa, facciamo ordine e riponiamo i piccoli oggetti in modo che non attirino la nostra attenzione, è preferibile vedere solo i mobili nella loro forma pura in questo momento. Ora rilassiamoci; se vogliamo che lo spazio ci faccia stare bene, dobbiamo sentirci bene anche mentre lo componiamo. Quindi mettiamoci comodi, chiudiamo gli occhi e concentriamo l’attenzione sul nostro respiro e sul nostro corpo, un po’ di musica adatta ci può aiutare. Stiamo così una decina di minuti o fino a quando non ci sentiamo rilassati, e poi apriamo gli occhi.
Per evitare che l’emisfero sinistro si attivi nuovamente concentriamo la nostra attenzione non sui mobili, ma sugli spazi che li dividono tra loro, dalle pareti, dal soffitto e sul pavimento; è il vuoto che ci interessa. Diamo uno sguardo alla forma di tutti i vuoti della stanza o dell’angolo che abbiamo deciso di sistemare e iniziamo a spostare, piano piano, i pieni, in modo che i vuoti, uno per uno, ci sembrino più piacevoli; quando siamo in una condizione di “emisfero destro”, infatti, ciò che ci piace, non essendo influenzato da ciò che sappiamo, che ci hanno detto o che abbiamo imparato, è esattamente ciò che ci fa stare bene.
Cerchiamo di fare sempre in modo che, del vuoto che stiamo osservando, ci siano ben chiari tutti i contorni, per cui avviciniamoci e allontaniamoci in modo che questa visione sia completa. Mano a mano che spostiamo i pieni e che i vuoti acquistano per noi una forma sempre più piacevole, le intuizioni su come migliorarli verranno da sole. Non esiste una soluzione giusta, ce ne sono tante.

Questo articolo è tratto dalla rivista

Scienza e Conoscenza - N. 36 >> http://goo.gl/aSazrf
Disponibile in versione cartacea, pdf e abbonamenti.
Editore: Scienza e Conoscenza - Editore
Data pubblicazione: Aprile 2011
Formato: Rivista - Pag 80 - 18,5x29