Percepire lo spazio con la parte destra del cervello
Quando uno spazio stimola e viene percepito con
l’emisfero destro, il sistema parasimpatico si attiva e noi ci sentiamo
rilassati vivendolo come piacevole
di Veronica Vignati - 03/11/2014
Percepire lo spazio con la parte destra del cervello
Lo spazio è il palcoscenico su cui si svolge la nostra
vita, ma lungi dall’essere cosa muta, questo continuamente invia ai nostri
sensi segnali, informazioni, stimoli che, elaborati dal cervello, provocano
reazioni chimiche che vanno a coinvolgere tutto il corpo, influenzando così il
nostro umore, il nostro modo di sentirci e persino quello di pensare.
Mentre l’intensità delle reazioni varia da individuo a
individuo e da situazione a situazione, le reazioni in sé sono comuni a tutti
gli individui; questo perché i meccanismi che le producono si attivano
automaticamente di fronte a specifici stimoli, avvengono in strutture molto
antiche del nostro cervello – sulle quali non abbiamo un controllo cosciente –
e sono il frutto di una “saggezza”che si è formata nell’arco di milioni di
anni.
Che cos’è uno spazio
Per spazio qui intendiamo un “organismo” unitario formato
dal rapporto reciproco e costante fra tre elementi fondamentali: il vuoto, il pieno
e l’uomo, o più in generale l’osservatore.
Il vuoto, che è ciò che dello spazio utilizziamo,
acquista forma, dimensioni e senso perché delimitato dagli elementi pieni che
lo separano dall’esterno, anch’esso vuoto: senza il vetro che separa il vuoto interno
di un bicchiere da quello esterno, nulla impedirebbe all’acqua che vi versiamo
di spargersi ovunque. D’altra parte un bicchiere di vetro privo del vuoto
all’interno non sarebbe utilizzabile né, senza il vuoto che lo circonda, la sua
forma sarebbe percepibile, in altre parole senza vuoto il vetro non sarebbe un
bicchiere.
Lo stesso ragionamento può essere applicato a qualunque
tipo di spazio, a quelli che nascono dall’opera dell’uomo, come a quelli
naturali: le facciate di un edificio danno forma agli spazi interni separandoli
da quelli esterni, lo spazio di una valle deve la sua forma alle montagne che
la circondano, quello di una laguna ai lembi di terra che lo abbracciano
separandolo dal mare aperto e, persino quest’ultimo, è racchiuso da un limite visuale
rappresentato dalla volta azzurra che, tutta intorno, si alza dalla linea di
orizzonte.
L’elemento da cui però dipendono il carattere e il valore
di uno spazio è il terzo, l’osservatore.
Torniamo un attimo al nostro bicchiere, ciò che lo
definisce come tale è certamente la sua forma, il rapporto che c’è fra il pieno
ed il vuoto, ma anche le sue dimensioni; se io infatti, mantenendo costante il
rapporto fra la quantità di pieno e di vuoto e mantenendo costante anche la
forma del bicchiere, ne aumentassi di quattro volte le dimensioni, quello per
me non sarebbe più un bicchiere, ma piuttosto un vaso. Quindi il fatto che
quello sia un bicchiere e non un vaso dipende non solo dal rapporto fra pieno e
vuoto, ma anche dalle dimensioni all’interno delle quali questi rapporti si
definiscono. Ma se io che osservo anziché un essere umano fossi una formica? Un
normalissimo bicchiere sarebbe per me una sorta di piscina olimpionica! E
avrebbe senso per me fare differenza fra un fiume e il mare visto che ai miei occhi
ciò che delimita quelle masse di acqua è sempre l’orizzonte?
Quando parliamo di uno spazio non possiamo quindi
prescindere dall’esperienza spaziale dell’osservatore che lo percepisce e si
rapporta ad esso. E se lo spazio è un’esperienza, come ogni esperienza, questa
può essere piacevole o spiacevole.
Emisferi ed esperienza spaziale
Le sensazioni di benessere o malessere che uno spazio può
generare dipendono dalle reazioni chimiche che, durante la percezione, cioè
l’interpretazione degli stimoli che questo invia, si verificano nell’individuo
e che, come abbiamo accennato, anche se ad intensità diverse, accomunano tutti
gli individui. Quindi partendo da queste reazioni immediate e incontrollabili e
comprendendo il legame con gli stimoli che le provocano, possiamo pensare di
modificare la forma di uno spazio in modo che questo produca sensazioni
piacevoli, o per lo meno evitare che ne produca di spiacevoli.
È provata l’esistenza di un rapporto biunivoco, a due
direzioni, fra le reazioni chimiche immediate e inconsce – che i
neuroscienziati chiamano reazioni emotive o emozioni – e il modo in cui, a
livello conscio, le informazioni vengono elaborate dal cervello. In parole
povere: come ci sentiamo ha influenza sul modo in cui pensiamo e il modo in cui
stiamo pensando influenza come ci sentiamo.
Il cervello umano e in particolare la neocorteccia, la
sua struttura più esterna e recente, è per lo più un organo simmetrico, formato
cioè da due metà molto simili per forma e per funzioni, emisfero destro ed
emisfero sinistro, che governano le due metà controlaterali del corpo e che si
scambiano informazioni tramite una struttura ponte centrale chiamata corpo
calloso.
L’unica vistosa differenza fra i due emisferi riguarda il
lobo frontale, quella zona della neocorteccia che si occupa delle funzioni più
elevate ed evolute, caratteristiche della razza umana, ovvero il ragionamento
logico razionale e l’intuizione. Anatomicamente il lobo frontale destro è più
grande del sinistro, ma la vera differenza fra i due è nel modo di processare
le informazioni: i due lobi mettono in atto due veri e propri sistemi di
pensiero completamente differenti, complementari ma anche antagonisti.
L’emisfero sinistro è la sede del pensiero razionale,
ragiona in base al rilevamento, l’astrazione e la catalogazione dei singoli
stimoli provenienti dall’ambiente esterno, li nomina e li confronta attraverso
successioni logiche e temporali di causa/effetto e, sulla base di queste, cerca
una soluzione coerente e forma un giudizio.
L’emisfero destro invece ragiona attraverso rapporti e relazioni,
non si sofferma sui singoli stimoli ma coglie la situazione o la composizione
nella sua globalità, considerando il tutto esattamente come si presenta nel
momento in cui lo percepisce senza esprimere un giudizio; non procede per
passaggi consequenziali ma per intuizioni e raggiunge le proprie soluzioni in
momenti illuminanti di improvvisa comprensione delle cose, basati spesso su
impressioni e schemi parziali.
L’emisfero destro è chiamato anche emisfero spaziale, e
infatti, considerando le relazioni e i rapporti che intercorrono fra i pieni e
i vuoti, riesce a costruire di uno spazio un’immagine mentale completa,
percependolo come un organismo unitario. Anche il soggetto stesso, per questo
emisfero, è un pieno, un limite dello spazio e quindi una sua componente vera e
propria in relazione costante con tutte le altre.
L’emisfero sinistro, invece, di uno spazio coglie solo
gli elementi pieni, che sono quelli che può catalogare, trascurando
completamente i rapporti che li legano al vuoto e il vuoto stesso, che per lui
è semplicemente nulla e quindi privo di interesse. In questo modo ogni elemento
pieno viene percepito a sé stante e slegato dagli altri, e anche il soggetto
percepisce se stesso come privo di rapporti con ciò che lo circonda e quindi
estraneo, diverso, indipendente dallo spazio in cui è immerso.
Ma in che modo tutto questo si relaziona con il resto del
corpo, con le sensazioni che proviamo all’interno di uno spazio, in che modo
cioè uno spazio può farci sentire a nostro agio o a disagio?
Le reazioni emotive agli stimoli esterni producono
l’attivazione del sistema nervoso simpatico o di quello parasimpatico,
comunicando al corpo come reagire a una determinata situazione. Quando il primo
viene attivato, il cuore inizia a pompare più velocemente richiamando il sangue
da tutti gli altri organi del nostro corpo, che si contraggono, per
concentrarlo sui muscoli e sul cervello e preparare il corpo all’azione e alla
risoluzione di un’emergenza; quando ad essere attivo è il sistema
parasimpatico, invece, il cuore rallenta, il sangue va a irrorare tutti i
nostri organi interni, che si espandono, e i nostri muscoli si rilassano.
È stato osservato che quando il nostro sistema nervoso
simpatico è attivo e il nostro corpo sta affrontando una qualche emergenza,
come un potenziale pericolo, l’attività del lobo frontale si sposta
principalmente sull’emisfero sinistro. Quando a essere attivo è invece il
sistema parasimpatico e il nostro corpo è rilassato, l’attività del lobo
frontale si concentra invece sull’emisfero destro.
Visto che la relazione fra reazioni emotive e modo di
pensare è a doppio senso, ne consegue che quando l’attività cerebrale è
concentrata sul lobo sinistro, se stiamo ad esempio facendo dei calcoli
matematici impegnativi, questa condizione attiva il nostro sistema nervoso
simpatico e il nostro corpo si irrigidisce vivendo una situazione di tensione,
come se fosse in potenziale pericolo. Quando invece concentriamo l’attività
cerebrale nell’emisfero destro, ad esempio ascoltando la musica, disegnando o
dipingendo, allora è il sistema parasimpatico ad attivarsi e il nostro corpo si
rilassa.
Quando uno spazio stimola e viene percepito con
l’emisfero destro, dunque, il sistema parasimpatico si attiva e noi ci sentiamo
rilassati vivendolo come piacevole, se invece uno spazio stimola l’attività
dell’emisfero sinistro, ad attivarsi è il sistema nervoso simpatico e noi ci
sentiamo in tensione e non a nostro agio. Perché lo spazio di un edificio, come
quello di una piazza o di una via, possa stimolare l’emisfero destro, deve
essere stato concepito in modo che i rapporti che legano i pieni con i vuoti di
cui definiscono forma e dimensioni, siano non solo percepibili, ma anche
rapportabili e relazionabili all’osservatore. Possiamo dire che uno spazio per
essere percepito con l’emisfero destro, deve anche essere stato concepito con
l’emisfero destro.
Spostamento dell’attività emisferica a sinistra: ragioni
fisiologiche, culturali e ricaduta sulla composizione degli spazi
Studi recenti hanno dimostrato che, con il passare del
tempo, l’attività del lobo frontale si sposta gradualmente verso sinistra.
Quando infatti facciamo esperienze nuove o impariamo qualcosa, l’attività
cerebrale si concentra sul lobo frontale destro che, usando come base le informazioni
già archiviate dal lobo sinistro, elabora i nuovi dati attraverso le sue
associazioni libere e le sue intuizioni, passandoli poi come conosciuti
all’emisfero sinistro, che li astrae e poi li archivia. In poche parole
l’emisfero destro intuisce il significato di quello che stiamo vivendo o
imparando, l’emisfero sinistro ci permette di spiegarlo e di ragionarci su. Più
un’informazione è simile ad altre già presenti nell’archivio, più veloce è il
passaggio dall’emisfero destro al sinistro, fino al punto da non essere più
richiesto l’intervento del primo. Con l’accumularsi delle esperienze, è sempre
più probabile quindi che, nella vita quotidiana, ci troviamo a svolgere
operazioni di routine, consolidando gli schemi che già conosciamo e utilizzando
sempre meno l’emisfero destro. La neuroscienza ci dice che i circuiti cerebrali
che vengono usati più frequentemente si attivano anche più velocemente di
quelli meno usati, quindi con il passare del tempo, i circuiti dell’emisfero
sinistro, poiché usati più spesso di quelli del destro, tenderanno ad attivarsi
anche per svolgere funzioni che normalmente non sarebbero di loro competenza,
prevaricando l’emisfero controlaterale – nelle persone anziane sono infatti
osservabili tendenze come rifiuto della novità e difficoltà a mutare abitudini
o giudizi.
Nella cultura occidentale, completamente orientata allo
sviluppo, all’uso e allo stimolo delle facoltà razionali, lo spostamento già
fisiologico dell’attività cerebrale prevalente di un individuo, dal lobo destro
a quello sinistro, viene esasperato e il processo di prevaricazione
dell’emisfero sinistro sul destro nello svolgimento delle funzioni risulta
molto più rapido e diffuso di quanto non lo sarebbe seguendo il suo naturale
decorso. Volendo tralasciare ora le ripercussioni psicofisiche devastanti di
questa situazione sugli individui e sulla società in generale, quelle sullo
spazio che ci circonda sono evidenti; basta vedere la forma delle piante delle
città moderne, dei nuovi quartieri e degli edifici, per rendersi conto che sono
state concepite in modo completamente razionale.
Tendenza opposta hanno seguito cultura e scienze
orientali – arti, educazione, medicina – focalizzandosi non sul pensiero
razionale, che vede la realtà come un insieme di fenomeni distinti l’uno
dall’altro, non sulla separazione cartesiana tra l’individuo e il mondo, ma sul
pensiero intuitivo, su una realtà frutto dell’intima correlazione e
interdipendenza tra tutti i fenomeni visibili e invisibili, di cui l’individuo
è solo una delle manifestazioni in rapporto reciproco con le tutte altre. Nel
pensiero orientale assume importanza sostanziale il vuoto in ogni sua forma –
mentale, temporale, spaziale – che, ponendosi in rapporto e in equilibrio
dinamico con il suo opposto, il pieno, rende possibile l’esperienza e
l’esistenza di ogni fenomeno. Le pratiche meditative sono volte proprio alla
creazione del vuoto mentale come condizione perché ogni esperienza, compresa
quella spaziale, possa essere vissuta pienamente; bisogna infatti fare il vuoto
nella mente, ovvero liberarla da costruzioni, schemi razionali, preconcetti e
giudizi, per riuscire a vedere la realtà nella sua essenza relazionale; in
altre parole bisogna fare tacere l’emisfero sinistro per far sì che quello
destro possa intuire le relazioni che legano ogni cosa e farci sentire
veramente partecipi di questa unità. Il giardino Zen rappresenta probabilmente
la più alta espressione di spazio concepito per comunicare con l’emisfero
destro; in questi luoghi la reciproca e continua relazione fra gli elementi, il
vuoto e colui che li osserva, si fa quasi tangibile e l’equilibrio raggiunge
livelli tali che, nonostante l’osservatore non possa fisicamente entrare
all’interno del giardino, se ne sente ugualmente parte integrante.
Lavorare sui vuoti per uno spazio più rilassante
Visto che sugli spazi delle nostre città, quartieri ed
edifici, per lo più non abbiamo molta possibilità di intervenire, possiamo
almeno modificare, con l’uso di mobili e complementi, i nostri spazi personali
in modo che almeno questi, se non lo sono già, diventino piacevoli. Se lo
spazio è rilassante, oltre a sentirci meglio, abbiamo anche maggiori
possibilità di trovare soluzioni nuove e creative a problemi che ci assillano,
di apprendere più facilmente e di contenere il nostro stress nonostante
l’attività che stiamo svolgendo ce ne procuri.
Purtroppo, o per fortuna, per rendere il nostro spazio
più piacevole non ci sono regole fisse, quelle appartengono al mondo razionale.
Un buon inizio, comunque, sarebbe quello di non avere intorno spigoli vivi,
perché rappresentano un segnale pericolo e tendono a farci mantenere uno stato
di tensione. Ma se i mobili li abbiamo già tutti, non preoccupiamoci troppo,
l’importante è creare un equilibrio.
Per prima cosa, facciamo ordine e riponiamo i piccoli
oggetti in modo che non attirino la nostra attenzione, è preferibile vedere
solo i mobili nella loro forma pura in questo momento. Ora rilassiamoci; se
vogliamo che lo spazio ci faccia stare bene, dobbiamo sentirci bene anche
mentre lo componiamo. Quindi mettiamoci comodi, chiudiamo gli occhi e
concentriamo l’attenzione sul nostro respiro e sul nostro corpo, un po’ di
musica adatta ci può aiutare. Stiamo così una decina di minuti o fino a quando
non ci sentiamo rilassati, e poi apriamo gli occhi.
Per evitare che l’emisfero sinistro si attivi nuovamente
concentriamo la nostra attenzione non sui mobili, ma sugli spazi che li
dividono tra loro, dalle pareti, dal soffitto e sul pavimento; è il vuoto che
ci interessa. Diamo uno sguardo alla forma di tutti i vuoti della stanza o
dell’angolo che abbiamo deciso di sistemare e iniziamo a spostare, piano piano,
i pieni, in modo che i vuoti, uno per uno, ci sembrino più piacevoli; quando
siamo in una condizione di “emisfero destro”, infatti, ciò che ci piace, non
essendo influenzato da ciò che sappiamo, che ci hanno detto o che abbiamo
imparato, è esattamente ciò che ci fa stare bene.
Cerchiamo di fare sempre in modo che, del vuoto che
stiamo osservando, ci siano ben chiari tutti i contorni, per cui avviciniamoci
e allontaniamoci in modo che questa visione sia completa. Mano a mano che
spostiamo i pieni e che i vuoti acquistano per noi una forma sempre più
piacevole, le intuizioni su come migliorarli verranno da sole. Non esiste una
soluzione giusta, ce ne sono tante.
Questo articolo è tratto dalla rivista
Scienza e Conoscenza - N. 36 >> http://goo.gl/aSazrf
Disponibile in versione cartacea, pdf e abbonamenti.
Editore: Scienza e Conoscenza - Editore
Data pubblicazione: Aprile 2011
Formato: Rivista - Pag 80 - 18,5x29