lunedì 25 novembre 2019

Paura di innamorarsi?



Paura di innamorarsi?

Psicologia Quantistica


Consapevole del potenziale in esso racchiuso, la cultura ha sempre tentato di imbrigliare l’amore, fino addirittura a soffocarlo. Oggi siamo liberi di vivere l'amore come vogliamo, ma molti hanno ancora paura del sentimento più potente che muove l'uomo: perché?

Carmen Di Muro - 23/11/2019

Il seguente articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 70

Che l’amore sia una forza potentissima lo sappiamo tutti: ci catapulta fuori dal nido sicuro della famiglia, trasforma una persona ignota nell’essere più adorabile che esista, ci fa condividere emozioni, per non dire che in nome dell’amore molti mentono, tradiscono e qualcuno arriva addirittura a uccidere. E forse è proprio in virtù di questa forza che l’amore ha impiegato secoli per affermarsi come elemento fondamentale del rapporto tra persone.

Oggi tutti sono finalmente liberi di amare chi e come vogliono, ma non tutti riescono ad affrontare adeguatamente questo sentimento, nel senso di gioire fino in fondo o di arginare il dolore che può provocare. Perché questa stonatura? Consapevole del potenziale in esso racchiuso, la cultura ha sempre tentato di imbrigliare l’amore, fino addirittura a soffocarlo. Troppo a lungo siamo stati abituati a non esprimere i nostri sentimenti e a reprimere le nostre naturali esigenze affettive, e ora siamo disorientati, incapaci di padroneggiarle. Una sorta di “vertigine di libertà” che ci spiazza di fronte ai sentimenti, e che per molti si traduce in un passivo abbandono all’eccesso, per altri in un bisogno disperato di punti di sostegno, e per altri ancora, in una profonda paura di perdersi nelle braccia dell’altro.

Tante paure una sola radice

Sono di varia natura i timori che impediscono di innamorarsi (Tallis, 2005). Alcuni sono consapevoli, altri celati. Diversa è anche la loro entità: in alcuni casi sono solo timori lievi, in altri vere e proprie fobie, cioè forme patologiche di paura. Alcune persone temono, dichiaratamente, di perdere la propria libertà e diventare dipendenti, perché concepiscono le relazioni amorose non come esperienze in grado di arricchire la loro vita, ma come un vincolo, una catena che blocca i desideri personali.

Talvolta si arriva a questa conclusione in seguito a un’esperienza familiare negativa, dominata da un genitore che si è comportato da despota e ha controllato eccessivamente la vita del figlio. Oppure, in seguito a precedenti relazioni con partner aggressivi o gelosi, con la tendenza a schiavizzare l’altro con richieste assurde o a limitarne la libertà. Inoltre, la paura di innamorarsi può anche dipendere dal timore di perdere il controllo sulle proprie reazioni emotive e di lasciarsi coinvolgere troppo, smarrendo la propria stabilità. Anche un simile atteggiamento è, spesso, il risultato di esperienze precedenti che sono finite male e in cui è stata tradita la fiducia, o di legami familiari troppo stretti che hanno impedito alla persona di spiccare il volo verso l’autonomia. Hanno paura di innamorarsi, inoltre, anche le persone timide e introverse, ipersensibili al rifiuto, che temono di soffrire se la persona che li attrae non dovesse, per qualunque motivo, ricambiare il loro interesse.

Per quanto ognuno abbia personalità ed esperienze completamente diverse, c’è però un unico filo che le collega tutte: la natura di questa paura. Il fulcro affonda in larga parte in memorie antiche, nell’intensità dell’informazione emotiva legata alle primissime fasi dello sviluppo, nelle tracce indelebili lasciate su di noi dall’atteggiamento delle persone che ci hanno accudito, nonché nelle informazioni di campo generazionali, trasmesse per via genetica, che hanno plasmato profondamente i nostri tessuti cerebrali.

Vittime della neocorteccia

Dal punto di vista biologico, numerose ricerche sono concordi nell’affermare che in questi soggetti è probabile che l’amigdala, primo centro di reazione emozionale, sia costantemente tenuta sotto scacco dalla neocortex, la cosiddetta parte pensante, che la disattiva sistematicamente (Le Brecht & Badre, 2008). È il caso di persone che esercitano il massimo grado di autocontrollo e che sin dalla nascita hanno imparato, inconsciamente, ad autoregolarsi a livello del SN (Sistema Nervoso), bloccando gli stimoli che provengono dall’altro (Schore, 2003). Nel caso in cui, infatti, dovesse scattare un piccolo segnale di innamoramento, per esempio un fastidioso batticuore, o qualche pensiero di troppo riguardo a una certa persona, l’amigdala riconosce quell’informazione come risonante con sentimenti spiacevoli e di sofferenza provati in passato, facendo sì che vengano messi in atto comportamenti di fuga o altre strategie analoghe per evitare il coinvolgimento affettivo.

Come aiutare queste persone? Senza dubbio, un percorso di consapevolezza volto al superamento delle memorie antiche di dolore, attraverso l’accoglienza del pieno sentire che alberga dentro di sé – energia capace di rimodellare il funzionamento dei centri cerebrali e le successive reazioni comportamentali che da questi provengono – potrebbe far ritrovare alla persona la giusta apertura nei confronti della ventata di novità che può entrare nella vita quando ci si abbandona pienamente all’amore. E sebbene il potere di questo sentimento sia ancora un enigma nelle sue infinite coloriture affettive, la comprensione dei meccanismi sottili attraverso i quali si estrinseca non può che aiutarci nella conoscenza di questa forza misteriosa, che tocca gli animi e i nervi, stimola il funzionamento degli ormoni e ottenebra anche le menti più lucide.

Per contatti

BIBLIOGRAFIA
Lebrecht S & Brade D, 2008. Emotional regulation, or: how I learned to stop worrying and love the nucleus accumbens. Neuron; 59(6): 841-3.
Schore A.N. (2003). Affect regulation and the repair of the self (norton series on interpersonal neurobiology). WW Norton & Compan.

Tallis F, 2005. Love Sick. Love is a mental illness. Thunder’s Mounth Press.

Scienza e Conoscenza n.70 - Ottobre/Dicembre 2019 — Rivista >> http://bit.ly/2BASRPZ
Nuove scienze, Medicina Integrata
AA. VV.

giovedì 21 novembre 2019

Epigenetica e PNEI in medicina



Epigenetica e PNEI in medicina

intervista al professor Giovanni Abbate Daga

Medicina Non Convenzionale


Che cosa sono la PNEI e l'epigenetica e in che modo stanno cambiando la scienza e la medicina? Lo scopriamo in questa intervista al professor Giovanni Abbate Daga - psichiatra e direttore del Master di I livello in PNEI che si tiene presso l’Università di Torino

Carmen Di Muro - 21/11/2019

Epigenetica e PNEI stanno cambiando i paradigmi in medicina e nelle scienze umane: alla luce di queste discipline possiamo rivedere e arricchire percorsi eziologici, diagnostici e terapeutici. Per capire quali prospettive si stanno aprendo, soprattutto nell’indagare quanto la madre, prima, e i genitori, poi, possano “influire” sulla salute fisica ed emotiva del nascituro abbiamo incontrato Giovanni Abbate Data, psichiatra e ricercatore in ambito PNEI.

Ci può spiegare come, a suo avviso, la PNEI sta cambiando la medicina e, più in generale, le scienze umane?

La PNEI, ovvero la Psicoconeuroendocrinoimmunologia, è una concezione diversa di approcciare il paziente e di concepire il "sistema uomo", che viene visto non più con una prevalenza della mente sul corpo o del corpo sulla mente, ma con l'idea che esso sia un'interazione di sistemi diversificati e in continua e complessa connessione tra loro. Questi sistemi si regolano, si parlano, cooperano, qualche volta si contraddicono.

Tutto questo ha un impatto molto forte sull'aspetto medico, perché possiamo pensare che agendo su un sistema si interagisca anche con gli altri.

Facciamo un esempio: da un punto di vista clinico, una dieta non cura solamente gli esami, non fa solo scendere o aumentare di peso, ma può curare la salute mentale. Sarebbe lungo e complesso darne qui la spiegazione scientifica, basti dire che vi sono alcuni studi secondo i quali una dieta mediterranea impostata in un certo modo è in grado, in un determinato lasso di tempo, di dimezzare il rischio depressione.

E l’epigenetica? È anch’essa una rivoluzione?

Più che una rivoluzione, l'epigenetica è un passo in avanti. Da quando, negli anni Cinquanta, è stato scoperto il DNA, la genetica ci affascina molto. Nei primi anni Duemila abbiamo scoperto e codificato il genoma umano: il vero problema è non tanto sapere cosa siano i geni, ma come interagiscono fra di loro, quando si attivano e quando si disattivano. La genetica fornisce una serie di strumenti di base, diversificati fra gli esseri viventi e gli esseri umani, ma poi la vera differenza la fa l'utilizzo di questi strumenti.

In questo contesto l'epigenetica è come l'esperienza della vita, i quando ci aiuta e ci insegna a utilizzare il DNA; questo vale sia per attivazioni e disattivazioni rapide, ma anche – e questo è più importante per la medicina – per il fatto che l'epigenetica può avere dei fattori costanti e che si mantengono nel tempo. Questo avviene per tutti gli eventi che intervengono nella nostra vita, soprattutto in gravidanza, nel periodo prenatale o nei primi anni di vita, dove la regolazione dei sistemi impara i suoi pattern. Cosa significa tutto questo? Oggi sappiamo che alcuni eventi, modificando in parte il DNA (si parla di acetilazione, si parla di metilazione di alcuni geni), rendono alcuni geni più attivi o meno attivi in certi momenti o per tutta la vita, cosa che può modificare il nostro approccio, ad esempio, allo stress.

Faccio un esempio caro al mio mestiere, in quanto faccio lo psichiatra. Da più di cent'anni la psicologia, la psicanalisi e la psichiatria conoscono il fatto che gli eventi precoci incidono notevolmente sulla nostra vita futura. Gli eventi precoci, nel mondo attuale, sono soprattutto eventi di interazione umana: l'importanza del rapporto con la madre, con il padre, con la famiglia, ma anche gli eventi traumatici o meno. Un evento traumatico – l'esempio classico è quello dell'abuso che un bambino può subire – può permanentemente metilare l'espressione di alcuni geni che hanno a che fare con i recettori del cortisolo a livello ippocampale. In sintesi possiamo affermare che un bambino abusato sarà un adulto più sensibile agli stimoli stressanti, con meno risorse su questo fronte.

Per far capire meglio la differenza tra genetica ed epigenetica sono state coniate alcune metafore particolarmente esemplificative. Una metafora interessante è quella dello spartito musicale e dell'esecuzione dello spartito. Nella tradizione musicale, dall’antichità ai giorni nostri, ci sono casi in cui abbiamo solo qualche traccia di spartito, come ad esempio per le tragedie greche e il coro, e non sappiamo nulla di come quello spartito venisse eseguito. Abbiamo perduto per sempre quella musica in quanto non sappiamo, effettivamente, come gli antichi greci cantassero e suonassero. Laddove, invece, abbiamo una cultura che si è mantenuta – pensiamo al Settecento, a Bach, a Beethoven – non c'è solo lo spartito che ci dice com’è quella musica, ma c'è anche l'esecuzione. L'esecuzione è qualcosa che si impara. L'orchestra si esercita a lungo per poter eseguire una sinfonia e tale esercizio è la segnatura epigenetica dei pezzi e dell'interazione dei sistemi. Pertanto, la genetica sta allo spartito, così come l'epigenetica sta poi all'esecuzione, che l'orchestra impara. Cito anche Francesco Bottaccioli, che invece utilizza la metafora del libro: la genetica è il libro e l'epigenetica sono gli appunti a margine che si annotano per tutta la durata della vita.

Continua la lettura su:

Scienza e Conoscenza n.70 - Ottobre/Dicembre 2019 — Rivista >> http://bit.ly/2BASRPZ
Nuove scienze, Medicina Integrata - AA. VV.

lunedì 18 novembre 2019

6 passi per guarire se stessi



6 passi per guarire se stessi

Medicina Non Convenzionale


Guarigioni miracolose e remissioni spontanee di mali diagnosticati come incurabili: cosa c'è dietro questi eventi anomali e cosa può favorirli? In che modo il nostro atteggiamento emotivo e mentale può influire sulla guarigione?

Lissa Rankin - 16/11/2019

Il seguente articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 70.

Da quando ho finito di scrivere il mio libro La mente supera la medicina - Mind Over Medicine, nel 2011, ho imparato molte cose e ho verificato di essermi spesso sbagliata. Ogni scienziato che vuol dirsi tale deve essere disposto ad affermare un’ipotesi, testarla, e poi raccogliere prove che dimostrino o smentiscano l’ipotesi stessa, senza avere attaccamenti rispetto al fatto che essa sia giusta o sbagliata. Quando ho iniziato a fare ricerca sulle remissioni spontanee e sull’effetto placebo nel tentativo di analizzare e forzare la guarigione, ho ipotizzato cosa potrebbe rendere il corpo pronto e maturo per un miracolo. Da quando ho finito di scrivere quel libro, e mentre vado raccogliendo evidenze per il mio nuovo lavoro, Sacred Medicine, la mia ricerca sui misteri della guarigione continua. Come risultato di questa ricerca ancora in corso e con l’acquisizione di nuove conoscenze e nuova comprensione, ora insegno gli step de “Guarire se stessi in sei passi”, riportati in La mente supera la medicina, in modo diverso. In questo blog, vorrei condividere con voi alcune cose nuove che ho imparato negli ultimi otto anni.

I sei passi per guarire se stessi

Per prima cosa, lasciatemi riepilogare il modo in cui ho insegnato questi sei passi nel libro La mente supera la medicina, e poi passerò brevemente in rassegna cosa ho imparato da allora.

Passo 1 – Credi di guarire

Passo 2 – Trova il giusto sostegno

Passo 3 – Ascolta il tuo corpo e il tuo intuito

Passo 4 – Diagnostica le vere cause della tua malattia

Passo 5 – Scriviti la Prescrizione

Passo 6 – Lascia andare l’attaccamento ai risultati

Passo 1 – Credi di guarire
Il primo passo è nato dalla mia comprensione dell’effetto placebo. La mia definizione di effetto placebo in quel primo libro era «la potente combinazione tra credenze positive e cure amorevoli da parte dei medici». Credo ancora che le credenze positive aiutino, ma ora penso che siano meno importanti di altri fattori. Mentre sono d’accordo con ciò che Bruce Lipton, Ph.D., insegna nel suo La biologia delle credenze – su come preparano la coltura cellulare a livello corporeo che influisce poi sui cambiamenti epigenetici quando si hanno pensieri positivi sulla salute – ora ho acquisito nuovi dati che mi fanno pensare che l’effetto placebo potrebbe non essere così semplice. Sono anche venuta a conoscenza di dati che suggeriscono che non c’è bisogno di credere in un trattamento affinché funzioni. Uno scettico, per esempio, sembra essere in grado di ricevere un trattamento energetico di guarigione e anche di sperimentarne il massimo beneficio. Mentre la convinzione probabilmente ha un suo ruolo, ora ritengo che, per esempio, se si rimuove un proprio trauma non guarito si potrebbe essere risanati, anche se non si crede che ciò sia possibile.

Passo 2 – Trova il giusto sostegno

Il passo 2 è pieno di paradossi, come “Puoi guarire te stesso, ma non puoi farlo da solo”. Anche questo step è nato dalla mia comprensione dell’effetto placebo, e ora credo che esso sia molto più importante di quanto avevo afferrato un tempo. La conclusione cui sono arrivata è che l’amore guarisce. Punto. Scienziati e ricercatori continuano a cercare di separare l’amore e la medicina. Vogliamo verificare che la chemioterapia funzioni, non la persona che la somministra. Io, non mi sento affatto a disagio nel concludere che trovare il giusto sostegno e sentirsi amati è essenziale per il processo di guarigione. Ma non mi dire... È abbastanza ovvio, non è vero? È anche abbastanza scientifico. Quando ci si sente amati, ci si sente al sicuro. Quando ti senti al sicuro, il tuo sistema nervoso si rilassa favorito dall’attività del sistema nervoso parasimpatico, e solo allora i meccanismi naturali di autoguarigione del corpo si attivano e svolgono la loro gloriosa missione.

Quindi sì, penso ancora che il passo 2 sia essenziale, e se non vi sentite amati dai vostri operatori sanitari, trovatevene di nuovi. La competenza è gran cosa, ma non è sufficiente per una guarigione permanente. Le persone che sperimentano remissioni radicali si sentono amate dal loro team di supporto.

Passo 3 – Ascolta il tuo corpo e il tuo intuito

Il passo 3 riguarda il collegamento con quella che io chiamo la tua Luce Pilota Interiore. Ho appena scritto un intero libro, The Daily Flame, su come la connessione con il proprio medico interiore, mentore, terapeuta, genitore, con l’Amato nonché con un sistema di guida è fondamentale per l’autoguarigione. Ora ho più strumenti di quanti ne avevo quando ho scritto La mente supera la medicina rispetto a ciò che in realtà assicura questa Divina connessione con il nostro vero centro. Senza di essa, tutti gli sforzi del mondo non ottimizzeranno il processo di guarigione. Nessuno al di fuori di te stesso può sapere cosa è meglio per il tuo cammino di guarigione. Proprio come ho descritto nella storia del mio viaggio di guarigione, dopo che sono stata ferita da un cane che mi ha aggredito due anni fa, la tua Luce Pilota Interiore conosce la tua strada. E la tua strada è unica per te solo.

Continua la lettura su

Scienza e Conoscenza n.70 - Ottobre/Dicembre 2019 — Rivista >> http://bit.ly/2BASRPZ
Nuove scienze, Medicina Integrata
AA. VV.