Paura di innamorarsi?
Psicologia Quantistica
Consapevole del potenziale in esso racchiuso, la cultura
ha sempre tentato di imbrigliare l’amore, fino addirittura a soffocarlo. Oggi
siamo liberi di vivere l'amore come vogliamo, ma molti hanno ancora paura del
sentimento più potente che muove l'uomo: perché?
Carmen Di Muro - 23/11/2019
Il seguente articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 70
Che l’amore sia una forza potentissima lo sappiamo tutti:
ci catapulta fuori dal nido sicuro della famiglia, trasforma una persona ignota
nell’essere più adorabile che esista, ci fa condividere emozioni, per non dire
che in nome dell’amore molti mentono, tradiscono e qualcuno arriva addirittura
a uccidere. E forse è proprio in virtù di questa forza che l’amore ha impiegato
secoli per affermarsi come elemento fondamentale del rapporto tra persone.
Oggi tutti sono finalmente liberi di amare chi e come
vogliono, ma non tutti riescono ad affrontare adeguatamente questo sentimento,
nel senso di gioire fino in fondo o di arginare il dolore che può provocare.
Perché questa stonatura? Consapevole del potenziale in esso racchiuso, la
cultura ha sempre tentato di imbrigliare l’amore, fino addirittura a
soffocarlo. Troppo a lungo siamo stati abituati a non esprimere i nostri
sentimenti e a reprimere le nostre naturali esigenze affettive, e ora siamo
disorientati, incapaci di padroneggiarle. Una sorta di “vertigine di libertà”
che ci spiazza di fronte ai sentimenti, e che per molti si traduce in un
passivo abbandono all’eccesso, per altri in un bisogno disperato di punti di
sostegno, e per altri ancora, in una profonda paura di perdersi nelle braccia
dell’altro.
Tante paure una sola radice
Sono di varia natura i timori che impediscono di
innamorarsi (Tallis, 2005). Alcuni sono consapevoli, altri celati. Diversa è
anche la loro entità: in alcuni casi sono solo timori lievi, in altri vere e
proprie fobie, cioè forme patologiche di paura. Alcune persone temono,
dichiaratamente, di perdere la propria libertà e diventare dipendenti, perché
concepiscono le relazioni amorose non come esperienze in grado di arricchire la
loro vita, ma come un vincolo, una catena che blocca i desideri personali.
Talvolta si arriva a questa conclusione in seguito a
un’esperienza familiare negativa, dominata da un genitore che si è comportato
da despota e ha controllato eccessivamente la vita del figlio. Oppure, in
seguito a precedenti relazioni con partner aggressivi o gelosi, con la tendenza
a schiavizzare l’altro con richieste assurde o a limitarne la libertà. Inoltre,
la paura di innamorarsi può anche dipendere dal timore di perdere il controllo
sulle proprie reazioni emotive e di lasciarsi coinvolgere troppo, smarrendo la
propria stabilità. Anche un simile atteggiamento è, spesso, il risultato di
esperienze precedenti che sono finite male e in cui è stata tradita la fiducia,
o di legami familiari troppo stretti che hanno impedito alla persona di
spiccare il volo verso l’autonomia. Hanno paura di innamorarsi, inoltre, anche
le persone timide e introverse, ipersensibili al rifiuto, che temono di
soffrire se la persona che li attrae non dovesse, per qualunque motivo,
ricambiare il loro interesse.
Per quanto ognuno abbia personalità ed esperienze
completamente diverse, c’è però un unico filo che le collega tutte: la natura
di questa paura. Il fulcro affonda in larga parte in memorie antiche,
nell’intensità dell’informazione emotiva legata alle primissime fasi dello
sviluppo, nelle tracce indelebili lasciate su di noi dall’atteggiamento delle
persone che ci hanno accudito, nonché nelle informazioni di campo
generazionali, trasmesse per via genetica, che hanno plasmato profondamente i
nostri tessuti cerebrali.
Vittime della neocorteccia
Dal punto di vista biologico, numerose ricerche sono
concordi nell’affermare che in questi soggetti è probabile che l’amigdala,
primo centro di reazione emozionale, sia costantemente tenuta sotto scacco
dalla neocortex, la cosiddetta parte pensante, che la disattiva
sistematicamente (Le Brecht & Badre, 2008). È il caso di persone che
esercitano il massimo grado di autocontrollo e che sin dalla nascita hanno
imparato, inconsciamente, ad autoregolarsi a livello del SN (Sistema Nervoso),
bloccando gli stimoli che provengono dall’altro (Schore, 2003). Nel caso in
cui, infatti, dovesse scattare un piccolo segnale di innamoramento, per esempio
un fastidioso batticuore, o qualche pensiero di troppo riguardo a una certa
persona, l’amigdala riconosce quell’informazione come risonante con sentimenti
spiacevoli e di sofferenza provati in passato, facendo sì che vengano messi in
atto comportamenti di fuga o altre strategie analoghe per evitare il
coinvolgimento affettivo.
Come aiutare queste persone? Senza dubbio, un percorso di
consapevolezza volto al superamento delle memorie antiche di dolore, attraverso
l’accoglienza del pieno sentire che alberga dentro di sé – energia capace di
rimodellare il funzionamento dei centri cerebrali e le successive reazioni
comportamentali che da questi provengono – potrebbe far ritrovare alla persona
la giusta apertura nei confronti della ventata di novità che può entrare nella
vita quando ci si abbandona pienamente all’amore. E sebbene il potere di questo
sentimento sia ancora un enigma nelle sue infinite coloriture affettive, la
comprensione dei meccanismi sottili attraverso i quali si estrinseca non può
che aiutarci nella conoscenza di questa forza misteriosa, che tocca gli animi e
i nervi, stimola il funzionamento degli ormoni e ottenebra anche le menti più
lucide.
Per contatti
BIBLIOGRAFIA
Lebrecht S & Brade D, 2008. Emotional regulation, or:
how I learned to stop worrying and love the nucleus accumbens. Neuron; 59(6):
841-3.
Schore A.N. (2003). Affect regulation and the repair of
the self (norton series on interpersonal neurobiology). WW Norton & Compan.
Tallis F, 2005. Love Sick. Love is a mental illness.
Thunder’s Mounth Press.
Scienza e Conoscenza n.70 - Ottobre/Dicembre 2019 —
Rivista >> http://bit.ly/2BASRPZ
Nuove scienze, Medicina Integrata
AA. VV.