The Bond: intervista a Lynne Mc Taggart
La competizione e il suo modello, che ha avariato ogni
settore fino alle relazioni più intime, è semplicemente una grande bufala. Noi
siamo energia di connessione!
di Elsa Masetti - 15/07/2013
The Bond: intervista a Lynne Mc Taggart
Scrive Lynne McTaggart – giornalista scientifica,
ricercatrice e autrice – nel suo blog: “La nostra generazione ha largamente
abolito il senso religioso e comunitario sostituendolo con X Factor e internet;
c’è poco da meravigliarsi se i nostri figli sperimentano il vuoto morale e un
certo sradicamento”. Il suo ultimo libro prende piede da un evento accaduto a
una delle figlie, sostituita all’ultimo momento, per la sua parte in uno
spettacolo teatrale, da un’altra ragazza che ha barato sul suo curriculum. Quando
l’autrice interroga la madre sull’accaduto, riceve una semplice risposta: «È
così che vanno le cose!». La domanda che si pone Lynne allora è: «È così, ma
deve continuare a esserlo?».
Questo tipo di mentalità, dimostra l’autrice, è poco più
che medievale e si basa su una visione del mondo di cui la scienza è la prima
responsabile. Le scienze di frontiera, tuttavia, sono ora in grado di sostenere
l’evidenza di una storia diversa da quella darwiniana del migliore e del più
adatto. Questa nuova storia ci vede connessi, supportarci gli uni con gli
altri, equanimi e leali.
Nel tuo ultimo libro, The Bond (Macro Edizioni, 2011)
sostieni che il punto non è nella cosa (nella particella, nel singolo,
nell’individuo), ma nel legame – it is not in the thing but in the bond. Questa
visione non è facile e immediata da cogliere. Che cosa intendi?
Il mondo così come visto dalla scienza accademica è
costituito da cose separate e autonome che operano con leggi fisse nel tempo e
nello spazio. Certo, questa visione è stata poi amplificata dal lavoro di
Charles Darwin, che ha spiegato che la vita si manifesta attraverso la lotta.
Così egli ha creato essenzialmente un modello di scarsità, della sopravvivenza
del migliore. Fu ispirato, del resto, da un periodo di esplosione della
popolazione e di mancanza di risorse. È così che abbiamo acquisito una mente
impostata sull’individuo, sull’individualismo e sull’individualità delle cose.
Oggi le scienze di frontiera, in ogni area, dalla fisica alla biologia, dalla
fisiologia all’antropologia, hanno scoperto che tra le particelle subatomiche,
tra il nostro corpo e l’ambiente, tra ogni cosa e persona con cui veniamo in
contatto, anche le nostre creazioni sociali, c’è un legame (bond). E per legame
intendo una connessione così profonda che non si può dire dove termina una cosa
e ne inizia un’altra.
Quindi, affermi, che non possiamo essere senza quel
legame?
Noi siamo quel legame, in nessun senso del termine siamo
individui. Noi siamo una relazione. Ora ti spiego usando l'esempio delle particelle
subatomiche. la scienza continua a guardare a piccole, piccolissime particelle
di universo, perché pensa che può spiegarlo scoprendo l’infinitamente piccolo.
Prima hanno trovato gli atomi, poi le particelle subatomiche, poi i quarks… i
muoni e tutti questi nomi buffi, per realizzare alla fine che non si tratta di
una particella, per quanto subatomica, poiché non è affatto una cosa. Esse non
sono particelle ma energie vibranti che sono scambiate avanti e indietro e
viceversa, come in una partita di tennis. Quello che gli scienziati hanno
concluso, quindi, è che non si tratta di cose ma di relazioni. Guardando il
nostro corpo, tendiamo a vederlo come autonomo e completamente autoformato dal
suo DNA. Tuttavia gli scienziati hanno ora scoperto che i geni sono come tasti
del pianoforte e se vengono suonati o meno, dipende da svariate influenze fuori
dal nostro corpo, dall’ambiente, dall’aria che respiriamo, dal cibo che
mangiamo, dagli amici che frequentiamo. Le influenze esterne influenzano gli
atomi dei geni, che a loro volta determinano se quel particolare tasto del DNA
sarà schiacciato o meno. Quello che voglio dire è che non ci formiamo
dall’interno verso l’esterno, ma viceversa.
Il legame con il nostro ambiente personale, quindi, crea
le persone che siamo. Siamo creati da quel legame con l’ambiente. Sono quelle
relazioni che accendono e spengono i nostri geni. Fisicamente saresti una
persona diversa senza quelle specifiche relazioni. E non sto parlando del
colore dei capelli e degli occhi.
Gli esperimenti di epigenetica confermano pienamente
l’attivazione dei geni da parte d’influenze ambientali, come il cibo che
mangiamo per esempio. Riporto estesamente alcuni di questi studi nel mio libro.
In che modo la tua visione si avvicina e si differenzia
da quella di Bruce Lipton?
Il suo lavoro è totalmente focalizzato sull’epigenetica.
La mia ricerca si apre a molti altri aspetti. Indago soprattutto – con il
sostegno della scienza di frontiera – su ciò che noi pensiamo sia
l’individualità, sulla storia che è stata creata intorno al fenomeno chiamato
individuo.
Un aspetto per me molto toccante della tua ricerca è
quello relativo all’appartenenza, al bisogno di appartenere. Vuoi dire qualcosa
a proposito?
Ci hanno detto che siamo nati per essere egoisti e che
abbiamo necessità di essere degli individui separati. Il mio argomento nel
libro è: no. Ogni aspetto del nostro comportamento sociale mostra che siamo
cablati (hard wired) per condividere, prenderci cura e essere equanimi, cablati
per connettere. Il nostro bisogno sopra ogni cosa è appartenere e siamo molto
deboli se questo senso di appartenenza viene a mancare. A questo proposito
possiamo guardare alla scoperta di uno dei tuoi compaesani: Giacomo Rizzolatti,
il neuroscenziato che, lavorando con le scimmie, ha scoperto i neuroni specchio
ovvero la condivisione dei circuiti neuronali. Ora, partendo da questa
sorprendente scoperta, valida anche per l’uomo, vediamo che gli stessi neuroni
attivati dall'esecutore durante l'azione o l’insorgere di una emozione, vengono
attivati anche nell'osservatore delle stesse. La credenza che i nostri
pensieri, quindi, siano completamente individuali cade: i pensieri sono nostri
quanto di quelli che ci circondano. Per comprendere le persone che ci
circondano dobbiamo stimolarle mentalmente e in un certo senso fonderci con
esse.
Guardiamo per esempio il comportamento del sole – e ci
coccorrono qui svariate verifiche scientifiche. Si chiama “cronoastrobiologia”
l’effetto del sole sulle cose viventi. Se prima si era scoperto che l’attività
solare influenza soprattutto alcune parti del corpo umano – una di queste è il
cervello – ora hanno verificato che influenza l’intero comportamento. Molte
evidenze dimostrano che siamo influenzati dalle attività geomagnetiche. Esse
aumentano o diminuiscono certi atteggiamenti e certi stati mentali. Di fronte a
tali dimostrazioni, quindi, come possiamo continuare a pensare in termini
d’individualità e non appartenenza? Siamo piuttosto un superorganismo
intergalattico. Siamo totalmente interdipendendi e interconnessi. Questo
dimostra di nuovo che la natura ci ha progettati non per competere, ma per connettere.
Tuttavia, la storia che finora ci hanno raccontato, ha reso la competizione
scontata, ovunque nel mondo. La competizione è il motore delle relazioni. Il
modello imperante dice che se vuoi vincere, qualcuno deve perdere. Nel mio
libro dico che dobbiamo cambiare questa credenza, in questo modo il mondo non
può più andare avanti. Penso che siamo alla fine del periodo in cui tale
credenza può sopravvivere. Ora, molto di ciò che ha funzionato, si dimostra
disfunzionale e sta saltando in aria.
Tuttavia abbiamo dovuto attraversare questo malinteso
storico-scientifico, se così vogliamo chiamarlo… Avremmo potuto evitarlo?
Non tutte le società conoscono la competizione allo
stesso modo. Non tutte le culture sono competitive. Alcuni gruppi tradizionali,
e anche i nostri antenati, hanno dimostrato che all’interno del gruppo poteva
esserci una larga cooperazione. Ma se guardi a cosa ci è successo negli ultimi
300 anni vedi bene che c’è stato un movimento per rafforzare e definire una
mentalità avversativa e competitiva tra singoli. C’è stata la rivoluzione
scientifica che ci ha definito quali individui. Ricorda che all’inizio abbiamo
dovuto creare la struttura, la storia che ci portasse a credere che siamo
singoli, individualmente separati e la più grande influenza sull’uomo
contemporaneo probabilmente è da attribuire proprio alla scienza. Il concetto
di singolo, d’individuo è nato nel 1700 e Darwin con L’origine della specie ha
completato l’opera. Da allora è anche nato il concetto del migliore, del numero
uno. E questo ha giustificato molte delle strutture culturali, sociali,
economiche dominanti che oggi conosciamo. Nel sistema finanziario, per esempio,
i pochi non hanno pensato ai molti, ma un gruppetto di persone selezionate ha
creato strumenti finanziari instabili che hanno portato il sistema vicino alla
distruzione.
In molti dei cammini spirituali, e a misura
dell’evoluzione attraverso i diversi livelli di coscienza, appare la necessità
di cristallizzarsi prima nella nostra natura individuale per poi eventualmente
dissolversi di nuovo in un campo più grande, più vasto. È questo il processo
che anche la scienza sta attraversando?
Credo di comprendere quello che vuoi dire. Non sto
argomentando contro persone che vanno attraverso una scoperta individuale e
spirituale della loro natura. Di fatto, nel libro parlo molto di come ognuno di
noi abbia bisogno di imparare a vivere in modo più olistico e di cambiare la
modalità d’entrare in relazione. Quello che intendo è: siccome ci autodefiniamo
così tanto, costantemente focalizzati sul me, crediamo che la competizione sia
necessaria per guidare il mondo e l’abbiamo esportata in ogni area della nostra
vita. Abbiamo modelli altamente competitivi nell’educazione, la concorrenza è
il motore centrale negli affari, nell’economia e spesso tale motore è presente
anche nelle semplici relazioni, le quali diventano avversative in quanto basate
sul modello del "se io voglio vincere tu devi perdere". Se vinco deve
essere a tue spese. Ora, l’altro aspetto di questa mentalità è: uffa, chi se ne
importa, mi prendo cura di me e solo di me… Questa attitudine è molto
pervasiva, per questo nel mio libro insisto sul fatto che questo schema mentale
vada cambiato, perché ci sta uccidendo: toccheremo il fondo di quel tipo di
vecchia mente visto che ci sta spegnendo come l’acqua il fuoco, spingendoci in una
direzione contro natura. La natura ci connette spontaneamente l’uno all’altro.
Siccome lo ignoriamo e abbiamo creato credenze sociali che ci vogliono l’uno
contro l’altro ora siamo nei guai, siamo deboli.
Comprenderlo significa anche cominciare a soffrire di
meno?
Certo, esattamente. Ho scritto questo libro per offrire
alla gente una storia diversa e dire che viviamo secondo una teoria sbagliata e
questa è la nuova, che, di fatto, è antica, ma trova ora supporto in molta
della nuova scienza. È recuperare terreno su quello che molti maestri
spirituali hanno detto in migliaia di anni. Con questa nuova storia
riconosciamo che quando condividiamo la nostra cura ed equanimità, “cresciamo”
e quando non lo facciamo, quando entriamo in competizione, siamo deboli. Prima
è necessario mostrare una nuova storia, poi arrivano i “nutrienti” per
recuperare la connessione. E questo ci spinge a imparare a vivere in modo molto
più olistico. Nel pensare esclusivamente a ottenere per me e nel guardare alle
singole cose, ci viene a mancare la chiave sottile e la connessione tra le
cose. E non tutte le culture – come dico nel libro – la vedono in questo modo.
Qui, in Occidente, siamo abituati a focalizzarci sulla cosa, sull’oggetto
centrale e questo è il modo con cui vediamo le relazioni. Ci è stato insegnato
costantemente a guardare a noi stessi come singoli, a metterci al primo posto.
Dobbiamo imparare che esistono molte versioni della realtà. Ci è stato
insegnato che la nostra via è l’unica e che nessun’altra conta. La nostra visione
deve essere la verità. Porto un esempio. Conosco una persona che lavora come
mediatore di pace e usa viaggiare in regioni dove ci sono forti conflitti
sociali. Si trovava in terra palestinese, nei territori occupati.
Stava lavorando con un’organizzazione che includeva
entrambi: israeliani e palestinesi. A un certo punto ha sollevato una domanda:
«Com’è possibile che lavoriamo così bene insieme?». E gli altri hanno risposto:
«Perché abbiamo imparato a vivere con il paradosso». E lui ha aggiunto: «Che
significa?». «Bene, ti faremo un esempio: i palestinesi scriveranno il
paragrafo del conflitto narrando della lotta, dei morti, della fatica per
creare i loro rifugi, dei disagi e dell’orrore di rimanere senza tetto… Gli
Israeliani scriveranno lo stesso paragrafo raccontando della mortificazione,
dell’estorsione della loro indipendenza, che di fatto gli era stata affidata
alla fine dell’ultima guerra, e di quanto terribile sia non poter vivere in
pace nella loro unica terra…». E la “tragedia” è che entrambe le storie sono
vere.
C’è sempre almeno un’altra versione della realtà e anche
questo significa imparare a essere olistici. Questa è la prima cosa. La seconda
è come cambiare il modo di entrare in relazione, gli uni con gli altri,
cessando di utilizzare l’altro per giochi personali e focalizzandoci davvero
sulla relazione – letteralmente lo spazio tra di noi – in modo da conquistare
un diverso tipo di prospettiva e fare il necessario per andare incontro
all’altra persona.
In che modo l’idea scientifica d’indeterminazione – il
fatto che non puoi mai conoscere pienamente tutto su una particella subatomica
– s’interfaccia con lo sforzo enorme, in risorse umane e denaro, intrapreso da
chi persegue il modello standard, per cercare proprio quel tutto?
Arrivo a una risposta in modo indiretto, poiché mi rendo
conto che è necessaria una parentesi sui luoghi comuni della scienza. Pensiamo
alla scienza come a un qualcosa di assolutamente vero: di fatto ogni nuova
scoperta rende quella a monte dubitabile e talvolta obsoleta. Così, la fisica
quantistica è una delle spiegazioni accettabili. Tuttavia, sebbene i fisici
quantistici diano per buono il concetto d’indeterminazione, non puoi sapere
niente su una particella quantistica finché non procedi a una sorta di misurazione
e, solo a quel punto, diventa qualcosa di reale, non solo un potenziale. Così,
il mondo scientifico intorno alla fisica quantistica, in questo momento, crede
che la particella sia, in concreto, inconoscibile perché non è ancora in atto,
è soltanto in potenza. E magari, in futuro, scopriremo che è sbagliato e
qualcosa d’altro prende il suo posto e avremo a quel punto una comprensione
migliore. Tuttavia questo è ciò che sappiamo ora. Anche il modello standard è
solo una cruda approssimazione di ciò che c’è. Prendi per esespio la materia
oscura. Gli scienziati dicono che non sappiamo praticamente niente del 95%
dell’universo o qualcosa di simile. Ora, questo è straordinario… siamo appena
agli inizi.
Quindi è oscura, poiché è davvero oscura, nel senso che non
sappiamo niente a proposito?
Esattamente – (ridendo).
Scrivi nel tuo ultimo libro: «mi auguro di risvegliarti a
chi sei veramente!». Devo supporre quindi che tu sia risvegliata. Lo sei?
Beh, io sono solo una messaggera, (non affermo un mio
risveglio o come perseguirlo), segnalo un certo tipo di lavoro che andrebbe
fatto per uscire dal vecchio tipo di mente. Offro due cose in The Bond: una è
una nuova porta scientifica e l’altra è una blue print dell’area in cui io
penso sia necessario cambiare. Penso a un approccio più olistico, a come
relazionarci più olisticamente, a come allargare la visione di ciò che pensiamo
di essere, a come avvicinare le persone verso un obbiettivo più grande (vedi
capitolo 11) e anche a come trasformare il nostro scopo, così che non sia cosa
c’è qui per me o come ottenere per me, ma come posso essere al servizio, come
posso essere il cambiamento che è in corso. Quello che davvero suggerisco nel
libro è come cambiare il nostro disco rigido interno. Il nostro hard drive ora
è basato sulla visione di essere un individuo e dal paragonarsi. Questo è il
programma in atto, e io dico che va cambiato. Sto lavorando insieme a molti
altri per cambiare tale programma e quello che cerco di fare con il mio ultimo
libro è capire ciò che, a mio avviso, stiamo sbagliando e in quale diversa
direzione penso si debba andare. Il solo scrivere il libro mi ha trasformata
interiormente, come anche scrivere The Field.
È affascinante seguirti nel tuo chiarire e documentare
scientificamente che di base la materia invece che essere una piccola, piccola
particella è una relazione tra due energie e il campo di fondo.
Assomiglia al modo in cui veniamo alla vita nella carne.
Ti pare?
Inoltre, secondo te, questo solido qualcosa arriva a
essere percepito da una connessione nello spazio tra una grande ragnatela (web)
d’energia di fondo e un piccolo nodo d’energia. E solo ciò che è osservato
viene alla luce. Potrebbe facilmente apparire che la materia-carne è illusoria
e che vivere sia un semplice nodo d’energia che attende di sciogliersi nella
grande ragnatela?
Si, è così, siamo energia subatomica, siamo fondamentale
la stessa cosa… Tuttavia percepiamo noi stessi, ci sentiamo reali, non penso
che possiamo dire che la materia-carne sia illusoria. La carne non è semplicemente
illusoria, ma il nostro senso di separazione lo è. Poiché non vediamo tutte le
vibrazioni delle particelle sub atomiche, fuori e dentro di noi, fatichiamo a
comprendere che c’è dell’energia trattenuta, qui e là, e noi siamo quei nodi di
energia nel grande campo, nella grande ragnatela, come dici tu.
Quale sarebbe nel tuo cuore di madre il più grande
augurio/speranza per le tue figlie?
Oh mio dio, questa sì che è una grande, grande domanda.
Il mio più vibrante pensiero per loro… Spererei… che siano in grado di entrare
in connessione con lo spazio del cuore verso tutti e tutto ciò che le circonda,
libere da qualsiasi senso di competizione. La mia più grande speranza per loro
penso sia che possano essere pienamente loro stesse, perché sono entrambe due
ragazze straordinarie, in modi molto diversi, e spero che possano realizzare
ciò e incoraggiare a loro volta la connessione, sperimentandola veramente nella
loro vita. Gioire del senso di connessione. Il mio migliore augurio è che
crescano in un mondo migliore di questo ed entrino in sintonia con l’immensa
responsabilità di un mondo più felice, perché sono due ragazze, insieme a
molte/molti altri, in un mondo in crisi.
Abbiamo intervistato Lynne McTaggart
Brillante conferenziere, giornalista e scrittrice di fama
internazionale, Lynne McTaggart è esperta di scienze di frontiera e di medicina
alternativa. Dirige insieme al marito l’associazione What the Doctors Don’t
Tell You ed è conosciuta per la pubblicazione di importanti riviste e saggi di
salute e spiritualità. Attualmente Lynne McTaggart vive in Inghilterra insieme
al marito e alle due figlie.
Questo articolo è tratto dalla rivista
Scienza e Conoscenza - N. 39 >> http://goo.gl/wCGRj
Editore: Scienza e Conoscenza - Editore
Data pubblicazione: Febbraio 2012
Formato: Rivista - Pag 80 -
The Bond - Il Legame Quantico - Libro >> http://goo.gl/xUHdE
Lynne McTaggart
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