lunedì 30 ottobre 2017

Le prove sperimentali del Big Bang




Le prove sperimentali del Big Bang

Scritto da: Michio Kaku

Scienza e Fisica Quantistica



Le prove sperimentali del Big Beng

Tratto dal libro Iperspazio

Ogni anno troviamo ulteriori prove scientifiche che ci dimostrano come il Big Bang  abbia avuto luogo circa 15-20 miliardi di anni fa. Esaminiamo alcuni di questi dati.

Per prima cosa, il fatto stesso che le stelle si stiano allontanando da noi a una velocità fantastica è stato verificato più volte misurando la distorsione della loro luce. Si tratta del cosiddetto red shift : la luce di una stella che si allontana dal nostro sistema solare è caratterizzata da uno spostamento verso le lunghezze d’onda superiori, ovvero verso la parte terminale rossa dello spettro, proprio come accade con il fischio del treno, che ha un suono più alto del normale se il treno si sta avvicinando, e più basso se si sta allontanando. Tale fenomeno prende il nome di “effetto Doppler”. Abbiamo inoltre la “legge di Hubble”, secondo la quale più una stella o una galassia è lontana da noi, più rapidamente si sta allontanando. Tale dato venne annunciato per la prima volta nel 1929 dall’astronomo Edwin Hubble, ed è stato ampiamente verificato durante gli ultimi cinquant’anni. Nelle galassie più distanti non è mai stato registrato alcuno spostamento verso il blu (blue shift ), e ciò significa che l’universo non sta collassando.

Secondariamente, sappiamo che l’esatta distribuzione degli elementi chimici all’interno della nostra galassia concorda quasi perfettamente con la stima della produzione di elementi pesanti sia nel Big Bang sia nelle stelle. Nel Big Bang  originale, a causa dell’enorme calore, i nuclei d’idrogeno elementare urtarono violentemente gli uni contro gli altri ad una velocità tale da provocarne la fusione, formando un nuovo elemento: l’elio. La teoria del Big Bang  sostiene che l’elio e l’idrogeno dovrebbero essere presenti nell’universo in una proporzione del 25% d’elio e del 75% dell’idrogeno. Ciò concorda con i risultati ottenuti in seguito a ricerche volte a determinare la quantità d’elio presente nell’universo.

Terzo, i più vecchi oggetti dell’universo possono essere fatti risalire a 10-15 miliardi di anni fa, e ciò tenderebbe a suffragare il calcolo citato all’inizio del paragrafo. Non ci sono prove dell’esistenza di oggetti più vecchi dello stesso Big Bang . Giacché il materiale radioattivo decade (per esempio, attraverso le interazioni deboli) con un ritmo conosciuto e definito, possiamo determinare l’età di un qualsiasi oggetto calcolando l’abbondanza relativa di un certo materiale radioattivo. Per esempio, la metà di una sostanza radioattiva chiamata carbonio-14 decade ogni 5.730 anni, e ciò ci permette di determinare l’età di certi manufatti archeologici contenenti l’elemento carbonio.
Altri elementi radioattivi (come l’uranio-238, con un tempo di dimezzamento di più di 4 miliardi di anni) ci permettonodi determinare l’età delle rocce lunari (recuperate durante la missione Apollo). Le rocce e le meteore più vecchie mai trovate sulla Terra possono essere fatte risalire a 4-5 miliardi di anni, ovvero la presunta data di nascita del sistema solare. Calcolando la massa di certe stelle, la cui evoluzione è nota, possiamo dimostrare che le più antiche stelle della nostra galassia hanno al massimo 10 miliardi di anni.

Quarto e ultimo punto, di certo il più rilevante, il Big Bang produsse un’eco cosmica, il cui riverbero si propagò in tutto l’universo, e i cui effetti avrebbero ben dovuto essere misurabili anche a livello del nostro pianeta. In effetti, Arno Penzias e Robert Wilson, della Bell Telephone Laboratories, nel 1978 si meritarono il premio Nobel per essere riusciti a individuare quell’eco, che ha la forma di una microonda, irradiata uniformemente in tutto l’universo conosciuto. Il fatto stesso che l’eco del Big Bang  dovesse circolare per l’universo miliardi di anni dopo quell’evento era stato previsto da George Gamow e dai suoi studenti Ralph Alpher e Robert Herman, ma nessuno li aveva presi sul serio. In effetti, allorché, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, proposero di tentare una misurazione di quel “rumore” proveniente dall’istante della creazione, sembrò proprio si trattasse di una gran stupidaggine.


Esistono gli universi paralleli?

Possiamo raggiungere queste nuove dimensioni?

La scienza ufficiale per molto tempo non si è occupata di queste ipotesi; oggi invece, nuove teorie come quella dell'Iperspazio, sono il fulcro dell’attività scientifica e sostengono che dimensioni inesplorate potrebbero essere incredibilmente vicine. Capaci di circondare completamente la nostra realtà e di attraversare lo spazio in cui ci muoviamo, esse sarebbero tuttavia al di fuori della portata dei nostri sensi.

Se davvero dovessero esserci altre dimensioni parallele a quella che abitiamo, non è affatto improbabile che esistano anche punti di contatto, passaggi tra una dimensione e l’altra.

Con questo libro, Michio Kaku si rivolge a quei lettori che vogliono comprendere meglio l'universo, portandoli a conoscenza delle moderne ricerche scientifiche al riguardo.

In questo modo viene finalmente resa disponibile anche al grande pubblico la teoria dell’Iperspazio, presentata dall'autore con rigore scientifico ma con un linguaggio comprensibile. Essa potrebbe rappresentare ciò che Einstein inseguì invano: una teoria capace di spiegare e includere tutte le leggi della natura, dalla più piccola particella atomica alla più vasta galassia.

Continua la lettura di questo straordinario libro

Iperspazio - Hyperspace
Un viaggio scientifico attraverso gli universi paralleli, le distorsioni del tempo e la decima dimensione.
Michio Kaku

Michio Kaku (San José, 24 gennaio 1947) è un fisico statunitense, figlio di immigrati giapponesi.

Noto per la sua intensa attività di divulgatore, Michio Kaku è un fisico teorico impegnato da anni nello studio della teoria delle stringhe, di cui è stato il primo a dare una formulazione in termini di teoria di campo. In particolare con il collega Keiji Kikkawa si è dedicato allo studio delle interazioni delle stringhe di tipo I, catalogandole e stabilendo che per le stringhe aperte sussistevano cinque interazioni possibili, mentre per quelle chiuse una era sufficiente.