Il suono del cosmo
di Dario Giardi
Siamo stati erroneamente portati a pensare che nello
spazio cosmico non ci siano suoni. Una convinzione che ci fa sorridere davanti
alle esplosioni fragorose presenti nei film di fantascienza. Pensiamo che i
suoni delle battaglie interstellari o i rumori dei motori a curvatura di Star
Trek non siano altro che errori scientifici perdonabili solo perché inseriti in
film di genere. La fantascienza d’altronde non sarebbe tale se non guardasse
“oltre” la scienza.
Ci hanno inculcato che il suono è il prodotto esclusivo
dell’onda acustica, un’onda generata dall’oscillazione meccanica di atomi e
molecole in un mezzo, come ad esempio l’aria. E siccome nello spazio la scienza
ha trovato sempre e solo il vuoto, è stato impossibile ipotizzare che potessero
svilupparsi e trasmettersi dei suoni.
In realtà, oggi, grazie alle recenti scoperte della
fisica quantistica, sappiamo che accanto a quella acustica esiste un’onda
elettromagnetica, dovuta alla contemporanea propagazione di un campo elettrico
e magnetico, capace anch’essa di generare una vibrazione e quindi un suono.
Un’onda, peraltro, capace di muoversi nel cosmo dato che questo non è per nulla
vuoto. Dalle recenti scoperte della fisica quantistica, oggi sappiamo che la
materia che vediamo non è che una piccola parte di quella esistente, e perciò
il vuoto in realtà non esiste. È solo “pieno” di una sostanza diversa che
conosciamo pochissimo, chiamata “materia oscura”.
Che cosa significa tutto questo? Che la differenza tra
l’onda acustica e quella elettromagnetica è solo un problema di percezione!
Infatti, entrambe possono trasportare energia, informazioni e suoni muovendosi
in un mezzo più o meno oscuro e rarefatto.
Il Cosmo è quindi un luogo in cui trovare suoni
certamente a noi poco famigliari e sintonizzati su frequenze molto diverse
della nostra capacità uditiva, ma ciò non di meno, questi suoni ci sono. Il non
udire determinate frequenze, per noi, è normale anche sulla Terra. Basti
pensare agli ultrasuoni che sono impercettibili all’uomo ma non per alcuni
animali. La gamma di frequenze su cui è tarato il nostro orecchio è limitata e
al di fuori di questo range, anche l’ambiente terrestre ci appare silenzioso
(ma non significa che lo sia realmente).
Pitagora e la musica delle sfere
Che lo spazio abbia una voce, lo scoprì già Pitagora. Il
suo orecchio fine gli permise di ascoltare il suono dei pianeti che vibrano
nell’Universo tanto che parlò della musica delle sfere. Credeva che un corpo
emettesse una nota tanto più alta quanto maggiore fosse la sua velocità,
quindi, nel caso di un pianeta, quanto più esso era distante dalla Terra. Anche
Keplero s’interessò al suono del cosmo. Nel libro Harmonices Mundi, datato
1619, l’astronomo asseriva che i pianeti intonavano un motivo polifonico e che
la loro estensione vocale cresceva all’aumentare della distanza dal Sole:
Mercurio rappresentava il soprano, la Terra e Venere il contralto, Marte il
tenore, Giove e Saturno il basso. In poche parole, il Sistema Solare era per
Keplero una vera e propria orchestra cosmica.
Appurato che lo spazio è più rumoroso di quello che
possiamo percepire, c’è un’altra cosa che possiamo scoprire. Oggi possiamo
ascoltare i suoni che l’Universo ci regala. Nello spettro elettromagnetico,
infatti, è presente una radiazione particolare: le onde radio. Abbiamo con il
tempo imparato ad addomesticare queste onde, arrivando a decifrarle e
commutarle in suoni udibili.
Attraverso questo meccanismo di ascolto, è stato
possibile sentire come risuonano gli impulsi elettromagnetici che ci giungono
dai pianeti, da galassie lontane, etc. Le recenti sonde Voyager lanciate dalla
Nasa hanno registrato proprio questi suoni profondi.
Il suono era ed è matematica. Rapporti e proporzioni che
hanno da sempre regolato il linguaggio musicale come la vita sulla Terra e nel
cosmo. Pitagora teorizzò la prima scala musicale avendo compreso che c’era una
relazione diretta tra suoni e numeri. Secondo quanto ci racconta Boezio nel suo
De Institutione Musica, un giorno Pitagora passeggiava immerso nei suoi
pensieri riguardo alle armonie e alle proporzioni del cosmo. A un tratto sentì
dei suoni che provenivano da un’officina. Dei fabbri stavano battendo del ferro
con quattro mazze su altrettante incudini. Nel battere contro l’incudine, i
diversi martelli producevano una cacofonia disordinata e assordante. E
tuttavia, di tanto in tanto, il fragore metallico sembrava ammorbidirsi e
fondersi in un unico suono gradevole. Pitagora decise di scoprire la ragione
del fenomeno, ed entrò nella bottega. I martelli erano di peso differente, e
risultò che ciascuno di essi dava origine a una nota distinta. Un momento ne
fuoriusciva un rombo indistinto, l’attimo dopo una risonanza armoniosa. C’era
qualcosa di concreto in quelle fuggevoli concordanze, quasi ombre di forme
appartenenti a un mondo invisibile. Tornato a casa, per studiare meglio il
fenomeno, trovando probabilmente scomodo per la sua schiena di studioso il
pestare con il maglio, preferì costruirsi uno strumento ad hoc: il Kanon o
monocordo. Era formato da una piccola cassetta rettangolare sormontata da una
corda. Una volta messa in vibrazione tale corda, Pitagora, probabilmente con
l’aiuto di una cassa armonica, ascoltò il suono generato. Provò poi a dimezzare
la lunghezza della corda (come quando pigiamo il polpastrello sulla tastiera di
una chitarra), ascoltando il suono ottenuto. Scoprì che questo suono era in
stretta relazione con il primo, risuonando con una frequenza doppia in un
rapporto di 2 a 1. Se, poi, la corda veniva divisa in 3 parti uguali, la corda
vibrava in un rapporto di 3 a 1. Proporzioni matematiche che potevano
ritrovarsi nel moto dei pianeti, nelle maree, nella spirale delle galassie o
nella struttura della conchiglia del mollusco Nautilus.
Coincidenza? No, perfezione, armonia, quell’insieme di
apparenti casualità agli occhi degli uomini che in realtà è l’Ordine del
Divino. Proprio per questa sorprendente corrispondenza, Pitagora paragonò il
mondo stesso a un grande Monocorde, dove l'estremità superiore della corda era
legata allo spirito assoluto (Cielo), mentre quella inferiore alla materia
assoluta (Terra). La metafora di Pitagora è profonda e importante perché aveva
compreso l’esistenza di un’armonia perfetta fra ogni cosa in natura e che la
Vibrazione ne era origine e principio. Non a caso Pitagora disse: “Studiate il
monocorde e scoprirete i segreti dell'universo”.
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