Esperienze di pre-morte e coscienza: parla il cardiologo
Pin Van Lommel
Scritto da: Redazione Scienza e Conoscenza
Medicina Non Convenzionale
05/02/2018
Esperienze di pre-morte e coscienza: parla il cardiologo
Pin Van Lommel
Pin Van Lommel è un cardiologo olandese di fama
internazionale che da decenni studia le esperienze di pre morte (NDE). Insieme
alla sua equipe ha pubblicato numerose ricerche su riviste scientifiche
analizzando la fenomenologia di queste esperienze alla ricerca di una
spiegazione scientifica delle stesse. I suoi studi lo hanno portano a
interrogarsi sulla natura della coscienza umana e sul suo rapporto con il
cervello, campi di indagine scientifica ancora aperti e bisognosi, per essere
compresi e studiati, di una scienza capace di andare oltre le proprie basi
prettamente materialistiche.
Redazione: Dottor Van Lommel, come mai ha deciso di
indagare senza pregiudizio un tema di confine come quello delle NDE, spesso
relegato nei territori della para psicologia? Quali eventi della vita l’hanno
avvicinata a questo tema così spinoso e controverso?
Pin Van Lommel: Dal mio punto di vista, le NDE
(esperienze di pre-morte) non sono affatto un tema spinoso e controverso; ci
sono semmai un grosso tabù e una quantità di pregiudizi all’interno del
paradigma materialista a cui la scienza occidentale in maggioranza si attiene
ancora, per il semplice fatto che le cause e i contenuti delle NDE non possono
essere spiegati dalle teorie materialistiche dominanti.
Com’è cominciato il mio interesse per le NDE? Nel 1969,
mentre ero di turno come interno all’ospedale nell’unità coronarica riuscirono
a rianimare un paziente con la defibrillazione elettrica. All’epoca era una
cosa nuova, entusiasmante, per tutti noi; perlopiù non ci rendiamo conto, oggi,
che fino al 1967, 50 anni fa, tutti i pazienti con un arresto cardiaco morivano
perché non c’erano ancora le moderne tecniche di rianimazione, come la
defibrillazione e la compressione del torace dall’esterno. Quel paziente in particolare
riprese conoscenza dopo circa 4 minuti di incoscienza, e noi, il team dei
rianimatori, ne fummo estremamente felici, ovviamente. Il paziente, invece era
alquanto seccato: mi raccontò di aver attraversato un tunnel, di aver visto una
luce e dei colori meravigliosi, e di aver ascoltato della musica... Un evento
che non ho mai dimenticato, anche se all’epoca non sapevo cosa farne e non ne
feci nulla.
All’epoca non sapevo neppure che di quelle esperienze si
fosse parlato in molte culture e religioni, e in tutte le epoche storiche.
Solo diversi anni dopo, nel 1975, Raymond Moody descrisse
per primo le cosiddette “esperienze di premorte” o di “quasi morte”, e solo nel
1986 lessi qualcosa sull’argomento, nel libro di George Ritchie Ritorno
dall’aldilà, in cui egli raccontava ciò che gli era accaduto nei 9 minuti della
sua morte clinica nel 1943, quando ancora studiava medicina. Fu dopo aver letto
questo suo libro che cominciai a intervistare i miei pazienti sopravvissuti ad
arresto cardiaco: con mia grande sorpresa, 12 sui 50 intervistati nel giro di 2
anni mi raccontarono una NDE.
Tutto è cominciato, per me, dalla curiosità scientifica,
perché in base ai concetti attuali della medicina non è possibile avere
percezioni coscienti durante un arresto cardiaco, in assenza di circolazione
sanguigna e respiro. L’ambiente universitario in cui ero cresciuto mi aveva
insegnato che la coscienza era ovviamente il prodotto di un cervello
funzionante, e fino a quel momento avevo sempre preso per incontrovertibile questa
verità, ma il confronto con il fenomeno delle NDE mi fece sorgere parecchi
interrogativi fondamentali: come e perché si produce un’esperienza di NDE? Come
si manifesta il contenuto di una NDE? E perché, in seguito, la vita del
paziente cambia così radicalmente? La maggior parte delle risposte disponibili
mi parevano incomplete, errate o infondate.
Gli studi scientifici longitudinali che mirano a spiegare
la causa e i contenuti delle NDE sono cosa recente, e all’epoca c’erano solo
studi in retrospettiva, e anche molto selettivi nei confronti dei pazienti.
Alcuni studiosi, basandosi su di essi, ritenevano che le
esperienze di premorte fossero imputabili a mutamenti fisiologici nel cervello,
risultanti dall’anossia cerebrale (la mancanza di ossigeno); altre teorie
parlavano di reazioni psicologiche all’approssimarsi della morte,
allucinazioni, sogni, effetti collaterali dei farmaci, o, più semplicemente, di
falsi ricordi. Così nel 1988 demmo inizio, in Olanda, a uno studio
longitudinale. Nessuno studio longitudinale di vasta scala sulle NDE era ancora
stato condotto nel mondo, e il nostro si rivolse a 10 ospedali olandesi, con
l’intento di includere tutti i pazienti consecutivi con un infarto acuto del
miocardio che fossero sopravvissuti ad arresto cardiaco, e fossero stati
dichiarati “clinicamente morti”.
Coscienza oltre la Vita
Dr. Pim Van Lommel
La scienza delle esperienze di premorte
Amrita