L'architettura neuro-archetipica della coscienza
Psicologia Quantistica
La stratificazione del cervello secondo la neuroscienza.
Un nuovo modo di vedere la mente umana, la coscienza e l'esperienza individuale
Carmen Di Muro - 23/01/2019
L'uso della metafora archeologica per descrivere la mente
umana è stata ampiamente utilizzata da psicologi e psicoanalisti per definire
il substrato mentale come “spazio ancestrale” della galassia interiore che
poteva essere scoperto scavandone la sua profondità. S. Freud fu il primo ad
inoltrarsi in questo viaggio, paragonando la complessità e la bellezza della psiche
all’antica città di Roma, dove il trascorrere del tempo veniva fissato
indelebilmente, manifestandosi nella stratificazione monumentale che univa il
passato con l'era moderna.
Da qui il passo verso l’esplorazione dell'organizzazione
multistrato della mente da una prospettiva neuroscientifica fu breve,
conducendo molti autori ad ipotizzare che la coscienza non fosse un fenomeno
unitario, ma complesso: suddiviso in molteplici livelli sovrapposti creati non
solo nel corso dell’esperienza individuale, ma via via stratificati
dall’incedere dell’evoluzione collettiva.
Tra questi ricordiamo J. H. Jackson, padre della
neurologia inglese, che offrì una descrizione gerarchica del funzionamento
cerebrale. Le sue interessanti intuizioni furono successivamente sviluppate in
modo dettagliato da MacLean (1990), il quale integrando le prospettive
neuroanatomiche umane con quelle animali, pose le basi per una visione
neuroevolutiva essenziale alle scienze moderne.
Egli concettualizzò tre strati sovrapposti: il cervello
neocortico-razionale, caratteristico della nostra specie, un cervello
limbico-emotivo intermedio, caratteristico di tutti i mammiferi, e il cervello
viscerale-istintuale, caratteristico dei rettili. Sebbene i paradigmi dominanti
neurocognitivi localizzavano la vita soggettiva ai più alti livelli
dell'organizzazione cerebrale, principalmente come conseguenza dell'accumulo di
memorie individuali immagazzinate all'interno dei circuiti neuroplastici del
prosencefalo, questi importanti studi neuro-etologici mostravano, invece, che
animali (mammiferi, uccelli e anche altri vertebrati) possedevano forme di
soggettività emergenti dall'attività del vecchio tronco encefalico, del
diencefalo e dell'area del prosencefalo basale.
Queste scoperte illuminanti indicavano chiaramente che la
nostra identità soggettiva originava da antichi processi neuropsichici
istintuali che gli esseri umani condividevano con gli animali come parte del
loro repertorio costituzionale innato, confermando l'opinione del grande C.G.
Jung (1963) secondo cui prima che l'autocoscienza riflessiva sia acquisita
durante lo sviluppo infantile, una forma affettiva primordiale-istintuale del
Sé esiste già, esprimendosi sotto forma di un'intenzionalità affettivo-psichica
che può interagire efficacemente, in modo valutativo, con il mondo materiale,
incarnazione dei modelli archetipici creati a partire da essa. Questa era
un’idea profetica.
Oggigiorno, l'applicazione di teorie dinamiche non
lineari alle neuroscienze, sempre più ne da conferma, spostando il focus delle
ricerche da un livello materiale-neurochimico a un livello di campo
elettromagnetico-immateriale, che apre la strada dalla fisica dei corpi massivi
alla fisica quantistica e, quindi, al livello della realtà in cui i fenomeni
sincronici possono essere ammissibili (Bohm, 1981 ; Penrose, 1989) e dove il Sé viene considerato come il processo
quantistico oscillatorio che emerge dalla profondità subcorticale alla
superficie corticale, dando vita a stati di coscienza (attività dei
microtubuli), che gradualmente evolvono dal puro eccitamento di “forme” senza
oggetti a rappresentazioni complesse.
In linea con questo “gli affetti” si configurano come
"archetipi" essenziali, configurazioni organizzate primarie di eventi
valutativi intrinseci, dei veri e propri “sistemi viventi di reazioni e
attitudini" che si rivelano sia nell'azione comportamentale di schemi
disposizionali (dominio oggettivo) sia di intensi sentimenti (dominio
soggettivo). Tali configurazioni corrispondono a livello subatomico ad una
struttura dinamica di vibrazioni quantistiche di campo globale, che si
riverbera all'interno delle strutture della linea mediana sottocorticale (CMS),
di cui il cervello diviene stazione di trasformazione, collegando mente e
materia e attualizzando i processi psicologici all'interno di una dimensione
spazio-temporale lineare.
Gli affetti emotivi possono essere considerati, più
concretamente, come schemi neurodinamici che emergono all'interno della CMS per
poi esprimersi sull'attrazione del funzionamento dell'intero organismo che
viene guidato verso specifici "bacini" di attivazione neuronale.
Jung considerava gli affetti come forze di campo
potentissime che polarizzano l’essere umano verso determinati modelli o
rappresentazioni psichiche, poiché è attraverso di essi che ogni soggetto
diviene compartecipe della vita, arrivando a sentire profondamente tutto il
peso della realtà. Essi agiscono come vettori che integrano le risposte
fisiologiche che, a loro volta, orientano l'insieme di attività comportamentali
e mentali verso direzioni specifiche o nuclei di significato in base a tonalità
emotive differenti.
Tutto ciò apre un nuovo scenario di significato utile per
comprendere la potenza del nostro universo emotivo. Gli affetti sono forme
transpersonali di esperienza che pervadono un campo soggettivo primordiale, che
non sempre diviene autocosciente, poiché vive all'interno di un continuum
energetico di organismo/ambiente indifferenziato. Essi divengono il ponte tra
mente collettiva ed individuale, tra l'eredità istintiva della specie e le
esperienze personali accumulate nel corso della vita individuale ed esercitano
una forte modulazione su ogni forma di apprendimento e memoria, fornendo una
base essenziale per la formazione di tutte le successive funzioni psicologiche
di ordine superiore che rendono le menti umane uniche ed irripetibili.
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Nuove prospettive di guarigione tra fisica quantistica e
coscienza
Carmen Di Muro