Grassi: fanno bene o fanno male?
Alimentazione e Salute
Pensi che i grassi facciano male e debbano essere
eliminati dall'alimentazione? Nei sei proprio sicuro? Oggi la scienza conferma
che i grassi non vanno demonizzati: basta saper scegliere quali consumare, in
che quantità e come
Fiamma Ferraro - 09/06/2019
I grassi si dividono in saturi, monoinsaturi e
polinsaturi: sai quali differeze ci sono tra queste categorie e a quale classe
appartengono i grassi presenti sulla nostra tavola?
I grassi saturi
I grassi animali, a eccezione di quelli di pesce, sono
tutti prevalentemente saturi, ma vi sono anche alcuni grassi saturi vegetali,
come ad esempio l’olio di cocco.
Un sondaggio recente condotto dal Medical Research
Council ha dimostrato che gli uomini che mangiavano burro correvano la metà del
rischio di sviluppare malattie cardiocircolatorie rispetto a quelli che
mangiavano margarina.
Risultati analoghi sono stati ottenuti in numerosi altri
studi. Mi limito qui a citare il più recente e importante, una meta-analisi
condotta presso l’Università di Cambridge, in cui sono stati analizzati 76
studi che hanno coinvolto mezzo milione di persone, arrivando alla conclusione
che coloro che assumono elevate quantità di grassi saturi non soffrono di
problemi cardiaci in misura superiore a coloro che evitano questi grassi.
Non molti decenni fa si raccomandava di sostituire il
burro con la margarina, composta da oli vegetali idrogenati, e cioè trattati
con una speciale procedura diretta a renderli solidi e più a lungo conservabili
senza pericolo di diventare rancidi. Si è poi ammesso che questi consigli erano
sbagliati, poiché i grassi idrogenati erano dei prodotti del tutto
“innaturali”, simili alla plastica, e hanno provocato molti danni alla salute.
Anche oggi molte persone quando leggono sulle etichette la dizione “grassi
vegetali” si sentono tranquillizzate: occorre invece perlomeno controllare che
vi sia la dizione “grassi non idrogenati”.
Le funzioni dei grassi saturi nel nostro corpo
Costituiscono almeno il 50% delle membrane cellulari (e
infatti, guarda caso, nei grassi del latte materno sono presenti per il 48 %
circa).
Svolgono un ruolo vitale nella salute delle nostre ossa.
Affinché il calcio possa essere bene integrato nelle ossa, il 50% circa dei
grassi alimentari dovrebbe essere saturo.
Sono necessari per il corretto utilizzo degli acidi
grassi polinsaturi-essenziali. Gli acidi grassi omega 3 sono meglio conservati
nei tessuti quando la dieta è ricca di grassi saturi.
L'acido palmitico è il grasso (saturo) che si trova
intorno al muscolo cardiaco e lo protegge.
Come accennato, non tutti i grassi saturi sono animali.
Ve ne sono anche di origine vegetale, che fino a poco tempo fa erano anch’essi
sconsigliati, come quello da noce di cocco, di cui stanno emergendo sempre di
più le proprietà benefiche (per il buon funzionamento della tiroide e, grazie
all’acido laurico in esso contenuto, per le sue proprietà antibatteriche e
antivirali). I grassi animali, il colesterolo e anche i grassi vegetali saturi,
a lungo demonizzati, iniziano ora a essere in parte rivalutati, ma la
rivalutazione procede troppo lentamente, e nelle linee guida “ufficiali”, nei
consigli dietetici popolari e nell’opinione pubblica sono ancora visti come
dannosi e da evitare.
I grassi monoinsaturi
Quanto ai grassi monoinsaturi (che peraltro contengono
anch’essi una parte di grassi saturi) è quasi inutile soffermarsi
sull’argomento poiché sono ben note e provate le proprietà benefiche dell’olio
d’oliva, al quale sono attribuiti molti degli effetti positivi della dieta
mediterranea: l’acido oleico dal quale è in gran parte formato è anch’esso
contenuto in notevoli quantità nel latte materno. Altri oli con buone quantità
di acido oleico sono quelli di mandorle, noci pecan, anacardi, arachidi e
avocado.
I grassi polinsaturi
Quanto ai grassi polinsaturi: i due acidi grassi
polinsaturi che si trovano con maggiore frequenza nei nostri alimenti sono
l'acido linoleico (omega 6) e l'acido linolenico (omega 3). Il nostro corpo non
può produrre questi acidi grassi, pertanto detti “essenziali”, e quindi il
nostro fabbisogno deve essere ricoperto tramite l'assunzione di alimenti che li
contengono.
Si tratta di oli altamente reattivi, che irrancidiscono
facilmente; non dovrebbero pertanto essere esposti alla luce e all’aria e
soprattutto non dovrebbero essere riscaldati: infatti i grassi saturi e
monoinsaturi (come quelli di cocco e d’oliva) che resistono meglio al calore,
provengono da climi caldi. I grassi polinsaturi vegetali omega 6 sono estratti
dalla soia, dal mais, dal cartamo, dal girasole, dalla colza e dal altri semi,
mentre gli omega 3 si trovano soprattutto nel pesce.
Ovviamente anche i grassi polinsaturi essenziali (crudi e
freschi) sono importanti e ne abbiamo assolutamente bisogno (costituiscono
dall’8% al 12% del totale dei lipidi contenuti nel latte materno) ma le
consuete raccomandazioni alimentari che li hanno additati e continuano ad
additarli come gli unici grassi sani, hanno portato a un loro consumo
eccessivo. Meglio sarebbe, pur con gli adattamenti del caso, attenersi anche
qui alle proporzioni che si trovano nel latte materno, e assumerli in
proporzioni non superiori a una media del 10% del totale dei grassi assunti
quotidianamente.
Omega 3 e 6: quanti ne consumiamo?
I problemi associati a un eccesso di acidi grassi
polinsaturi sono aggravati dal fatto che la maggior parte degli oli vegetali
polinsaturi commerciali sono sotto forma di acido linoleico (omega 6) con
pochissimo acido linolenico (omega 3). Numerose recenti ricerche hanno rivelato
che troppi omega 6 nella dieta creano uno squilibrio che può interferire con la
produzione di prostaglandine, il che può provocare una tendenza a coaguli nel
sangue, infiammazione, pressione alta, irritazione del tratto digestivo,
funzione immunitaria ridotta, sterilità, cancro e aumento di peso.
L’omega 3, spesso carente in proporzione all’omega 6, è
necessario per l'apporto di ossigeno alle cellule, per metabolizzare importanti
aminoacidi contenenti zolfo e per mantenere il giusto equilibrio nella
produzione di prostaglandine. Il giusto rapporto tra omega 6 e omega 3 sarebbe
di circa 4 volte più omega 6 che omega 3, ma dato che l’omega 6 è contenuto in
un’infinità di prodotti preconfezionati, spesso assumiamo oltre 20 volte più
omega 6 che omega 3. Le carenze di omega 3 sono state associate anche ad asma,
malattie cardiache e difficoltà di apprendimento.
Uno dei motivi per cui gli omega 6, ma anche gli omega 3,
possono causare problemi di salute è che tendono a ossidarsi e irrancidire se
sottoposti al calore, all'ossigeno e all'umidità. Gli oli rancidi sono
caratterizzati da radicali liberi. Il consumo eccessivo di oli polinsaturi ha
dimostrato in molti studi di contribuire a varie patologie tra cui il cancro e
le malattie cardiache, la disfunzione del sistema immunitario, diabete,
problemi alla prostata, danni al fegato, alla tiroide, agli organi riproduttivi
e ai polmoni, disturbi digestivi, crescita ridotta e aumento di peso.
Va tenuto presente che questi oli sopportano molto male
l’ossigeno e il calore e, anche se non li si riscalda o si assume l’omega 3
tramite pillole di olio di pesce, dentro di noi essi sono comunque sottoposti
al contatto con ossigeno e calore (alla temperatura interna del corpo umano) e
producono radicali liberi. Vanno quindi assunti insieme ad antiossidanti. In
particolare, quanto all’olio di pesce: i pesci che vivono in mari freddi hanno
14 volte più omega 3 rispetto ai pesci che vivono in mari più caldi, e noi, che
abbiamo una temperatura del corpo di 37 gradi, abbiamo probabilmente un bisogno
ancora minore di questa sostanza, pur indispensabile.
Inoltre, per assimilare bene gli omega 6 e 3 serve iodio,
di cui molti sono carenti. Come osservo spesso l’intero è meglio della parte:
mangiare pesce, che contiene anche iodio, sembra preferibile rispetto a
prendere pillole con solo olio di pesce. Meglio sarebbe assumere olio di krill
(il krill è un minicrostaceo che occupa il gradino più basso della catena
alimentare e quindi non accumula inquinanti; inoltre contiene omega 3 in forma
fosfolipidica e anche antiossidanti).
Quanti e quali: le raccomandazioni su grassi per chi è in
buona salute
Le mie raccomandazioni in relazione ai grassi, valide per
le persone in buona salute, sono di assumere una percentuale ragionevole di
grassi, pari al 45% circa delle calorie quotidiane, nella forma di grassi sia
saturi (un po’ meno della metà del totale dei grassi quotidiani) che
monoinsaturi (un po’ meno dell’ altra metà, in particolare nella forma
dell’olio d’oliva) completando il rimanente 10% circa con grassi polinsaturi,
comprendenti omega 6 in proporzioni di poco superiori agli omega 3 (facendo
attenzione a conteggiare l’omega 6 che, sotto forma di olio di girasole o con
la dizione generica di “oli vegetali” si trova in tanti prodotti
preconfezionati).
Una raccomandazione essenziale è inoltre quella di
cercare di assumere i grassi nella forma cruda (la loro consistenza viene
alterata quando sono surriscaldati). Se ogni tanto si deve friggere è bene
usare il grasso di cocco o semmai di oliva, mentre gli oli polinsaturi
(girasole, mais) non vanno mai usati. Tra l’altro, uno dei motivi per cui i
grassi saturi vegetali sono da preferire a quelli animali è che è difficile
poter mangiare grassi animali (anche quelli di pesce) nella forma cruda; per i
latticini vale la pena di cercare delle fonti igienicamente affidabili che li
offrono in forma non pastorizzata e omogeneizzata.
Non è infine nemmeno il caso di citare, in questo
articolo dedicato ai grassi alimentari, le margarine e i grassi
idrogenati-trans, che non sono degli alimenti ma sono dei non-cibi, dei
composti artificiali chimici che hanno già fatto gravi danni a seguito di una
pubblicità martellante che nei decenni trascorsi ha indotto molti a ritenere
questi grassi molto più sani di quelli saturi. Mi risulta incomprensibile il
fatto che dei prodotti chimici-industriali ottenuti riscaldando dei grassi
insaturi a temperature di oltre 200° con un catalizzatore a base di nickel o
altro, siano per decenni stati ritenuti più sani rispetto a un grasso che
costituisce la metà dei grassi contenuti nel latte materno.
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Helene Lemaire
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