Come funziona il cervello?
Neuroscienze e Cervello
Cervello umano: quali sono gli strumenti utilizzati per
studiarlo e per capire come funziona, dall'elettroencefalografo alla risonanza
magnetica funzionale (RMF)
Redazione Scienza e Conoscenza - 27/06/2020
Il seguente articolo è tratto dal libro Blue Mind. Mente
ed Acqua.
Come possiamo affrontare lo studio del cervello umano?
Ciò è possibile grazie allo sviluppo di tecniche e
strumentazioni non invasive che hanno consentito agli scienziati di
monitorarlo. Il primo di questi apparecchi è stato l’elettroencefalografo
(EEG), basato sulla comprensione delle proprietà elettriche del tessuto
vivente. Il primo impiego dell’EEG su esseri umani è avvenuto nel 1924.
L'elettroencefalografo (EEG)
Nel corso del Ventesimo secolo i tracciati EEG sono state
impiegati sia come strumento diagnostico che per la ricerca.
Un EEG funziona perché i neuroni nel cervello attivandosi
generano piccole cariche elettriche, e quando gruppi di neuroni si accendono
insieme, creano un’“onda” elettrica che può essere rilevata e registrata. I
dati vengono generati applicando gli elettrodi dell’EEG (spesso inseriti in una
cuffia, una rete, o una fascia) sulla testa e monitorando i picchi e gli
avvallamenti dell’elettricità generata nel cervello. (Per poter essere
analizzato il segnale viene amplificato).
L’EEG può monitorare l’attività cerebrale individuando
quale parte del cervello è coinvolta in un “evento cognitivo”: attraverso il
tipo di onda cerebrale (alfa, beta, teta e delta, ciascuna corrispondente a una
distinta gamma di frequenza e al corrispettivo livello di attività cerebrale,
il che rende cruciale l’EEG per gli studi sul sonno), e attraverso l’attività
anomala (come nell’epilessia, disturbo che produce schemi di picchi ravvicinati
nell’attività elettrica del cervello). Certi elettroencefalografi sofisticati
possono campionare in modo non in vasivo sessantotto canali di dati ogni
quattro millisecondi o anche meno, e registrare eventi elettrici della durata
di un millisecondo.
I neuroscienziati cognitivi hanno scoperto che l’EEG può
essere uno strumento estremamente utile per monitorare le funzioni
cerebrali come l’attenzione, le risposte emozionali, il
modo in cui tratteniamo le informazioni e così via.
E in un eccitante sviluppo per chi di noi fa ricerca
fuori dall’ambiente del laboratorio, gli elettroencefalografi stano diventando
sempre più piccoli e più portatili, e alcuni assomigliano addirittura agli
auricolari che si usano per i videogame al computer.
Altri strumenti di indagine del cervello
Tuttavia, i tracciati EEG indicano l’attività elettrica
solo a una profondità superficiale, e molte funzioni critiche nel cervello
hanno luogo a profondità molto maggiori. Per esplorarle, erano necessari altri
strumenti. Negli ultimi cinquant’anni la RM (la buona vecchia risonanza
magnetica), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia
computerizzata a emissione disingolo fotone (SPECT) sono state impiegate per
produrre immagini dell’attività profonda del cervello monitorando i cambiamenti
nel flusso sanguigno o nell’attività metabolica.
Ma mentre l’EEG si affida soltanto ai campi magnetici e
alle onde radio, la PET e la SPECT impiegano isotopi radioattivi iniettati, il
che ne limita l’utilità. Una nuova risposta è arrivata negli anni Novanta con
la risonanza magnetica funzionale per immagini, o RMF.
La risonanza magnetica funzionale (RMF): cosa ci dice del
cervello?
A seconda del compito che dev’essere svolto, aree diverse
del cervello si attivano in momenti diversi. Una maggiore attività richiede più
ossigeno, e questo provoca un incremento del flusso sanguigno in quelle aree
cerebrali. Come i loro fratelli più anziani, le macchine per la RMF impiegano
potenti campi magnetici per allineare i protoni degli atomi di idrogeno nel
sangue, per poi rompere l’allineamento mediante l’uso di onde radio. Una RMF
cerca le differenze nei segnali provenienti dagli atomi di idrogeno per
distinguere tra diversi tipi di materia. Riallineandosi, i protoni emettono
segnali diversi per il sangue ossigenato e per quello non ossigenato, e sono
quei segnali a essere rilevati dall’apparecchio. Quando un soggetto intraprende
un’attività, come stringere una mano o guardare una certa immagine, la RMF
misura la percentuale di sangue ossigenato e non ossigenato, oppure il
contrasto dipendente dal livello di ossigeno (BOLD) in diverse aree del
cervello in quel dato momento.
Il computer della macchina quindi utilizza un sofisticato
algoritmo per interpretare i dati ricevuti e rappresentarli nella forma di
infinitesime unità tridimensionali dette voxel. Colori diversi vengono usati
per indicare l’intensità dell’energia in quella particolare area, con il rosso
che indica l’attività più intensa, e il porpora o il nero un’attività bassa o
nulla. Quanto più brillante è il colore, tanto maggiore è l’attività in quella
particolare regione del cervello, motivo
per cui si dice che un’area del cervello attivata “si
accende”.
Negli ultimi vent’anni la RM è diventata il metodo
preferito per misurare la funzione cerebrale, utilizzato da scienziati
cognitivi, neurologi, neurobiologi, psicologi, neuroeconomisti e altri.
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Il Legame Nascosto tra l'acqua e la nostra mente
Wallace J. Nichols