Come è nato l'Universo?
Le leggi della fisica classica si dimostrano in grado di
alimentare quella “prima mossa” che ha rotto il torpore di un Universo che
aspettava solo di essere svegliato...
di Fausto Bersani Greggio - 17/03/2014
Come è nato l'Universo?
Il 2013, per quanto concerne la Fisica, sarà ricordato
come l’anno del bosone di Higgs, la tanto rincorsa particella, la cui scoperta
è valsa a Peter Higgs e Francois Englert il riconoscimento del premio Nobel per
la Fisica anche se, in modo del tutto discutibile, non è stato egualmente
gratificato lo sforzo sperimentale, per lo più italiano, che nei laboratori del
CERN ha condotto a tale risultato.
Il “bosone di Higgs” è una particella prevista dal
cosiddetto modello standard, e gioca un ruolo fondamentale nella cosmologia: la
teoria la indica come portatrice di un campo di forze che si ritiene sia stato
in grado di fornire la massa a tutte le particelle oggi conosciute.
Questo meccanismo prende il nome di Rottura Spontanea della
Simmetria, ed accade tutte le volte nelle quali i sistemi fisici presentano una
condizione di equilibrio instabile.
Al di là del tecnicismo che a questo punto potrebbe aver
scoraggiato la maggior parte dei lettori, tranquillizziamo tutti dicendo che è
possibile comunque tratteggiare in modo intuitivo la situazione usando
un’analogia meccanica facilmente comprensibile.
L’energia di questo campo di forze la possiamo immaginare
come il fondo di una bottiglia di spumante: ossia come una sorta di collinetta
attorniata da una valle circolare, con una pallina posta, in equilibrio
instabile, sulla sommità della collinetta stessa.
A questo punto, supponendo che una “piccola
perturbazione” modifichi lo stato iniziale di equilibrio instabile, vedremo la
pallina rotolare lentamente sottoposta all’azione di una forza antagonista
determinata dalla presenza dello “spumante”, ossia di un fluido in grado di
generare una frizione, o se si preferisce una resistenza, al moto di caduta.
Tale proprietà determina un’evoluzione iniziale molto
lenta (denominata slow rolling down) dopo la quale il campo di Higgs “cade”
rapidamente verso il minimo, ossia verso la valle circolare posta attorno alla
collinetta, subendo oscillazioni smorzate simili a quelle che otterremmo
liberando una pallina all’interno della concavità di una tazza: lo smorzamento
è accompagnato dalla liberazione di calore (reheating), in modo analogo a
quanto accade quando interviene “l’attrito”, e dalla creazione di particelle
[1]. Quindi, in sostanza, la discesa del campo di Higgs dalla collinetta fa si
che questo si fissi più in basso, in una posizione di equillibrio stabile, liberando
l’energia che servirà alla formazione della materia. Il bosone di Higgs, in
forma estremamente semplificata, rappresenta per l’appunto la particella che
opera durante questa fase.
Tuttavia, pur avendo fatto enormi progressi nella
comprensione dell’Universo, sia a livello teorico che sperimentale, siamo
ancora molto lontani dall’aver completato il puzzle cosmologico. Ad esempio,
uno dei quesiti che rimane ancora irrisolto, e al quale mi dedico da tempo, è
capire l’origine di quella “piccola perturbazione” iniziale, descritta in
precedenza, la quale determina per l’appunto la discesa del campo di Higgs
verso la valle sottostante: il problema è comprendere la genesi di quella
“prima mossa” dalla quale si è originata una straordinaria partita che ha condotto
all’Universo attuale.
In questo mio articolo cercherò di descrivere i risultati
a cui sono pervenuto, conscio del fatto che di fronte a un tentativo di
risposta si aprono scenari ricchi di nuovi interrogativi e quanto sto per
descrivere rappresenta solo un contributo parziale.
Il caos deterministico e la meccanica quantistica
Scriveva Poincaré nel 1903: "una causa piccolissima
che sfugga alla nostra attenzione determina un effetto considerevole che non
possiamo mancare di vedere, e allora diciamo che l'effetto è dovuto al caso. Se
conoscessimo esattamente le leggi della natura e la situazione dell'universo
all'istante iniziale, potremmo prevedere esattamente la situazione dello stesso
universo in un istante successivo. Ma se pure accadesse che le leggi naturali
non avessero più alcun segreto per noi, anche in tal caso potremmo conoscere la
situazione iniziale solo approssimativamente. Se questo ci permettesse di
prevedere la situazione successiva con la stessa approssimazione, non ci
occorrerebbe di più e dovremmo dire che il fenomeno è stato previsto. Ma non è
sempre così; può accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali ne
producano di grandissime nei fenomeni finali. Un piccolo errore nelle prime
produce un errore enorme nei secondi. La previsione diviene impossibile".
Poincaré si accorse, già dalla fine dell’800, che una
piccolissima variazione delle condizioni iniziali di un sistema fisico può
amplificarsi in modo esponenziale nel tempo, generando un’evoluzione
completamente diversa da quella determinata dalla condizione invariata. Solo
negli anni ’50 e ’60 del XX secolo, una serie di simulazioni numeriche,
realizzate utilizzando i primi calcolatori elettronici, portarono alla scoperta
del cosiddetto caos deterministico [3], [4]: ossia un comportamento della
materia regolato da leggi perfettamente deterministiche che possono tuttavia
produrre un moto completamente caotico e assolutamente imprevedibile, uno
scenario senza leggi governato per intero dalle leggi. Quest’ultima
affermazione potrebbe apparire come una contraddizione in termini. D’altra
parte la fisica moderna si è accorta che sistemi all’apparenza anche molto
semplici possono portare a soluzioni talmente complesse da apparire del tutto
casuali. In modo molto lucido, Giulio Casati (1942), uno dei pionieri italiani
dello studio del caos, sintetizzò la situazione affermando che “vengono a
cadere quelle barriere psicologiche dovute a secoli di tradizione che hanno
considerato determinismo e caos come concetti contrapposti”.
Essendo la Fisica un scienza sperimentale, le condizioni
iniziali di un sistema non saranno mai note con precisione assoluta e,
pertanto, in molti casi ci troveremo nella situazione di non poter trovare una
soluzione univoca di un problema.
Il paradigma del determinismo classico si basava
sull’assunto che se le equazioni prescrivono l’evoluzione di un sistema in modo
unico, senza alcun apporto esterno casuale, il comportamento del sistema è
specificato in modo univoco per sempre.
Oggi invece stiamo dicendo che è possibile avere un
comportamento disordinato e aperiodico in un sistema deterministico a causa
dell’estrema sensibilità di alcuni sistemi alle condizioni iniziali: grandi
mutamenti non hanno necessariamente grandi cause. La casualità non dipende da
fattori esterni di disturbo ma è una proprietà intrinseca dei sistemi.
Negli anni '60 il metereologo Edward Lorenz trovò che a
livello previsionale condizioni iniziali molto simili davano luogo a dinamiche
completamente diverse. Egli stava compiendo simulazioni sul clima al computer
utilizzando un programma con dodici parametri
che simulavano gli andamenti di temperature, pressione, venti, ecc. Un
giorno dell’inverno del 1961, nel corso di una di queste simulazioni, successe
qualcosa di inatteso. Pur avendo copiato esattamente i numeri di una prova
precedente, l’evoluzione dell’ultima simulazione era assai differente dalla
precedente, contrariamente alle aspettative.
Lorenz si rese conto che, per risparmiare spazio, nella
seconda simulazione aveva approssimato i numeri a 3 decimali dopo la virgola,
invece dei 6 del calcolo precedente, ossia aveva introdotto un’approssimazione
al decimillesimo, supponendo che la differenza avesse un’incidenza del tutto
trascurabile. Il computer di Lorenz utilizzava un sistema di equazioni
puramente deterministiche. Dato un punto di partenza leggermente diverso, le
condizioni meteorologiche si sarebbero dovute evolvere in modo leggermente
diverso. Un piccolo errore numerico era come un soffio di vento, eppure nel
particolare sistema di equazioni utilizzato da Lorenz, piccoli errori si
dimostrarono catastrofici. Questo fenomeno fu da lui definito “effetto
farfalla”, per indicare la possibilità che una perturbazione infinitesima delle
condizioni iniziali, quali il battito d’ali di una farfalla in Brasile, poteva
causare un tornado in Texas, a distanza di qualche giorno: piccole differenze
nelle condizioni iniziali generano grandissime differenze nell’evoluzione del
sistema, come aveva già scoperto Poincaré.
Oggi noi sappiamo che le istituzioni fondamentali della
fisica teorica sono rappresentate dalle leggi della meccanica quantistica,
mentre le leggi della fisica classica forniscono solo una descrizione
approssimata della realtà, valida per sistemi macroscopici. È quindi lecito
chiedersi se esista una relazione tra caos deterministico e meccanica
quantistica ed eventualmente di che tipo.
Intanto va detto che è possibile dimostrare che le
distanze tra stati quantistici diversi rimangono costanti nel tempo. Ossia se
consideriamo due sistemi fisici posti in condizioni iniziali leggermente
diverse tra loro, descrivibili dalle leggi della meccanica quantistica, si può
verificare che, in genere, essi manterranno, nel tempo, la medesima
separazione. In questo senso il caos in meccanica quantistica non esiste o, per
meglio dire, può esistere solo come fenomeno transitorio.
Infatti, vari esperimenti numerici con modelli semplici
hanno mostrato che l’evoluzione di un sistema quantistico segue il suo analogo
classico, con tanto di dinamica caotica, solamente fino ad un tempo critico,
detto tempo di rottura TR.
Per tempi maggiori di TR l’evoluzione temporale dello
stato quantistico non segue più quella del suo analogo classico, lo stato
quantistico rimane “localizzato”, nel senso che la divergenza esponenziale
delle traiettorie caotiche scompare. In questo caso si parla di soppressione
quantistica del caos classico [4].
Anche se la descrizione di questi effetti non è ancora
completa, si è tuttavia dimostrato che il tempo di rottura dipende dalla costante
fondamentale presente in tutti i fenomeni quantistici, ossia la costante di
Planck ћ (ћ ≅ 10^-34 J·s),
e dal numero N di particelle che compongono il sistema secondo una relazione
del tipo
TR ≅ ћ^(1-3N). (1)
Pertanto, se il numero di particelle è molto grande, il
tempo di rottura può essere molto lungo. Ad esempio, nei sistemi macroscopici,
dove N >>1, il tempo di rottura è così lungo che di fatto non viene mai
osservato e permane un regime sostanzialmente caotico classico.
La regola d’Oro
La descrizione dell’Universo primordiale, basata sul
modello del big bang caldo, così come ci viene fornita dalla Relatività
Generale presenta, per vari motivi sui quali non entriamo in questa sede,
alcuni problemi che i fisici tentano di risolvere nell’ambito di teorie
quantistiche dei campi di forze.
La teoria di Higgs è per l’appunto una di queste teorie
la quale presuppone una transizione verso una fase in cui l’Universo,
inizialmente “vuoto”, si popola di particelle e, contestualmente, evolve
attraverso un periodo caratterizzato da un’espansione accelerata nota con il
nome di “inflazione”.
Per inquadrare la situazione da un punto di vista
spazio-temporale, diciamo che si prevede che questi eventi si siano verificati
in un’epoca successiva all’età di Planck, epoca alla quale l’Universo aveva
un’età di 10^-43 sec e dimensioni incredibilmente piccole, dell’ordine di
10^-33 cm.
A questo livello microscopico è ragionevole supporre che
la fisica quantistica rappresenti il miglior apparato teorico a disposizione,
specie se si vuole studiare il passaggio dall’epoca di Planck a quella del
campo di Higgs.
Supponiamo che un sistema quantistico si trovi
inizialmente in un certo stato e si voglia studiare la sua evoluzione nel
tempo, in particolare si voglia calcolare la probabilità, per unità di tempo,
di trovarlo, ad un istante successivo, in un altro stato. In altri termini,
consideriamo la probabilità di transizione, tra stati diversi di energia,
operata dall’azione di un campo di forze.
Il formalismo matematico che si utilizza in questi casi
ebbe un’applicazione così vasta nei fenomeni quantistici che fu chiamata la
Regola d’Oro di Enrico Fermi [5].
L’idea che ho sviluppato, circa l’applicazione della
Regola d’Oro all’evoluzione cosmologica dell’Universo, è quella di immaginare
una situazione simile a quanto accade durante il decadimento di una particella
instabile. In questo caso la probabilità P che avvenga questa trasformazione è
inversamente proporzionale alla vita media T della particella stessa
P ≅ 1/T (2)
Per semplificare possiamo dire che aumenta la probabilità
di assistere al decadimento della particella quanto più è breve la sua vita
media.
Ispirandoci a questa analogia possiamo ipotizzare che la
transizione dalla fase di Planck a quella di Higgs dipenda proprio dal tempo di
rottura (TR)
P ≅ 1/TR (3)
ponendo nella (1) N = 0 dal momento che l’Universo,
inizialmente, era ancora privo di materia.
Infatti, con questa ipotesi si ottiene TR = 10^-34 sec,
coerentemente con quanto previsto dalle moderne teorie “inflazionistiche”.
Calcoli più approfonditi, dimostrano inoltre l’esistenza
di un’energia potenziale iniziale EP
EP ≅ -1/ћ (4)
L’interpretazione che emerge da questo quadro è quella di
un campo energetico dominante e costante, sovrapposto a quello di Higgs, il
quale, tuttavia, divenne immediatamente trascurabile appena l’Universo si
popolò di particelle. In altri termini è come se avessimo avuto a disposizione
un enorme serbatoio di energia, inizialmente ricolmo, che in seguito si è
svuotato trasformando il proprio contenuto nella materia ordinaria e
probabilmente non solo, infatti dai calcoli emerge che la quantità di energia
liberata è tale, forse, da poter giustificare anche l’esistenza di altre forme
di materia/energia quali la materia oscura (dark matter) e/o l’energia oscura
(dark energy), i due grandi enigmi, o se preferite, le due grandi sfide della
cosmologia contemporanea.
Conclusioni
È naturale chidersi che cosa, ad un certo punto, abbia
fatto virare il destino dell’Universo. Tornando all’analogia con il fondo della
bottiglia, è come se l’energia iniziale, espressa dalla (4), ne abbia modellato
la forma della sommità, rendendola praticamente piatta, quindi
sostanzialmente stabile per un’eventuale
sferetta postavi sopra la quale si verrebbe a trovare come su una sorta di
“altopiano”.
Ricordiamoci che per tempi inferiori al “tempo di
rottura” (10^-34 sec), la dinamica era di fatto caotica, di tipo classico,
nonostante fossero presenti “fluttuazioni quantistiche”. L’Universo
microscopico infatti è un ribollire caotico di energia che si forma e scompare
spontaneamente e il principio di indeterminazione di Heinsenberg fissa la
durata dell’esistenza di questi stati eccitati in modo tale da risultare
inversamente proporzionale alla loro energia.
Tali “fluttuazioni quantistiche”, in presenza di un
regime caotico classico, possono tuttavia aver generato “la prima mossa”, ossia
l’allontanamento irreversibile della sferetta dalla zona centrale
dell’altopiano spingendola verso il bordo del precipizio, facendola precipitare
e trasformando l’energia potenziale iniziale in calore e materia.
In sostanza l’idea che vorrei suggerire è quella
dell’esistenza di una fase, antecedente al tempo di rottura, in cui l’Universo
era sicuramente quantistico, ma in pratica regolato da un comportamento caotico
classico in cui perturbazioni infinitesime sono state amplificate nella loro
azione da una sorta di “effetto farfalla comologico”. In altri termini siamo di
fronte a una rivalutazione delle leggi della fisica classica, le quali si
dimostrano in grado di alimentare quella “prima mossa” che ha rotto il torpore
di un Universo che aspettava solo di essere svegliato.
NOTE
[1] Introduzione alla cosmologia – F. Lucchin, Zanichelli
(1990).
[2] Determinismo e caos – A. Vulpiani, NIS (1994)
[3] La fisica del caos – U. Amaldi, Zanichelli (2011)
[4] Meccanica quantistica, caos e sistemi complessi – L.
Maccone, L. Salasnich, Carocci ed. (2009).
[5] Introduzione alla meccanica quantistica – P. T.
Matthews, Zanichelli (1978)
Alessio De Angelis, Alessandro De-Angelis
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