Bambini con ADHD: quali cause?
Valerio Pignatta - 01/01/2016
Gli studi del neurobiologo Jaak Pansepp dimostrano come
l’insorgere sempre più frequente di disturbi psichiatrici nei bambini – ne è un
esempio la dilagante “epidemia” di ADHD – sia correlata all’impossibilità di
sperimentare il gioco fisico, non indirizzato, nella natura e tra coetanei. Il
gioco libero stimola la subcorteccia cerebrale, sede delle nostre emozioni di
base, e conseguentemente porta all’ottimale maturazione della corteccia, sede
di funzioni più evolute come la creatività e l’interazione sociale.
Con vari articoli pubblicati nell'ultimo trentennio su
autorevoli riviste scientifiche, il noto ricercatore americano di origine
estone Jaak Panksepp ha posto degli interrogativi e proposto delle soluzioni al
problema della sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività (conosciuta
anche come ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder).
Salvo alcuni casi illuminati e limitati a professionisti
della mente particolarmente attenti, ci pare di poter affermare che queste
enunciazioni scientifiche non siano state ancora recepite dalla comunità
internazionale degli psichiatri, sebbene siano a nostro parere di fondamentale
importanza per capire il crescente fenomeno dei disturbi comportamentali e
psiconeurologici che molti bambini vanno manifestando nei paesi
“industrializzati”.
Negli anni, questo neurobiologo ha pubblicato più di 420
articoli scientifici sui rapporti tra emozioni, intersoggettività,
socializzazione, sistemi motivazionali e comportamento.
Il suo ampissimo lavoro di ricerca vuole esplorare le
modalità attraverso le quali dallo studio dell’organizzazione neuronale delle
emozioni nel cervello dei mammiferi (e quindi anche in quello umano) si possano
capire le emozioni stesse e i loro disturbi nell’uomo adulto e nei bambini.
Egli ha condotto molte ricerche sui meccanismi cerebrali alla base della
rabbia, della paura, dell’angoscia da separazione (panico) e sui disturbi
neuropsichiatrici che derivano da un deterioramento di questi sistemi.
Panksepp ha anche studiato quali sono le sostanze
cerebrali (in particolar modo i neuropeptidi) che regolano i legami sociali e i
sentimenti sin dalla più tenera infanzia. Le conseguenze pratiche delle sue
ricerche sperimentali hanno portato alla possibilità di sviluppare un approccio
multidisciplinare nell'affrontare i disturbi dello sviluppo cognitivo e
comportamentale del bambino, come l'autismo e appunto la sindrome ipercinetica.
L’importanza del gioco non indirizzato
Panksepp ha messo in evidenza l'importanza della
socializzazione per l'acquisizione da parte del cervello in formazione dei
bambini di norme comportamentali, capacità di interagire, manifestazione delle
proprie emozioni, rispetto dell'altro ecc.
Oggigiorno, la sindrome da deficit dell'attenzione e
iperattività (ADHD) è diagnosticata sempre più spesso e questo avviene a un
ritmo allarmante. Del pari, psicostimolanti estremamente efficaci di cui non si
conoscono ancora chiaramente gli effetti sul cervello in formazione vengono
prescritti sempre più frequentemente da una classe medica che, purtroppo, non è
al corrente degli studi di neurobiologia emozionale più recenti.
Secondo le ricerche di Panksepp, si può presupporre che
l'aumento del numero di casi di ADHD si spieghi soprattutto con l'impossibilità
per questi bambini di interagire con altri coetanei mediante il gioco. Studi
pre-clinici indicano che il gioco aiuta gli animali in fase di crescita
fisiologica e psicologica a superare le proprie inibizioni comportamentali.
D'altro canto, gli psicostimolanti somministrati per tamponare i disturbi comportamentali
in bambini ipercinetici diminuiscono la loro voglia di giocare e di vivere. La
riflessione principale e determinante cui arriva Panksepp coi suoi studi è che
la natura è stata rimossa dalla vita della maggior parte dei bambini che vivono
nel mondo occidentale.
Troppo pochi bimbi hanno l'opportunità di buttarsi nella
mischia del gioco fisico con i loro compagni.
Intelligenza, umanità e creatività sono programmi
genetici che non trovano le condizioni ideali per svilupparsi – come dovrebbero
– con il gioco, perché il gioco naturale, soprattutto quello non organizzato
nella natura, non fa più parte del “curriculum” di molti bambini. Panksepp
precisa che i suoi surrogati, siano essi sport organizzati o giochi coordinati
o preparati (piscinetta, parco, compleanni ecc.), sono pallide imitazioni del
gioco reale. La maggior parte dei genitori e degli educatori, anche
professionisti, non riconosce ancora il profondo valore del gioco naturale,
ossia di quei “giochi che la natura stessa suggerisce a quell'età”. Molti
immaginano tali attività come forme incipienti di educazione all'aggressione e
alla prevaricazione. Ma in realtà la questione si pone in termini molto
diversi.
Sebbene il predominio sembri essere un aspetto naturale e
preponderante nel gioco fisico, con la giusta attenzione e ben indirizzato,
esso potrebbe essere finalizzato alla promozione della sensibilità sociale.
Molti genitori e altrettante scuole trascurano i bisogni
del gioco presumendo che trattare i bambini come se fossero dei piccoli adulti
faciliti la crescita di futuri cittadini perfettamente integrati nella società.
Ma, sottolinea Panksepp, non ci sono evidenze scientifiche che un giovane
ragazzo possa maturare nel modo migliore e completo senza la soddisfazione del
gioco quotidiano, il primo strumento che Madre Natura ha fornito per
l'educazione sociale.
Una maturazione del cervello in funzione favorevole alla
società forse potrebbe essere agevolata attraverso la presenza di abbondanti
quantità di gioco naturale per tutta la durata della prima infanzia. I giochi
“scalmanati” vanno interpretati come un importante preludio ai giochi
associativi maggiormente elaborati, che implicano giochi di finzione e
drammatizzazioni fantasiose nei. Secondo Panksepp, se le attuali società
industrializzate non intraprenderanno iniziative finalizzate alla promozione
del gioco naturale, oltre all'ADHD, potranno comparire in modo diffuso tra i
ragazzi altre patologie neuropsichiatriche e conseguenze psicologiche di vario
tipo.
Consistenti studi dimostrano chiaramente che tutti gli
psicostimolanti utilizzati a piene mani nelle nostre società riducono la gaia
pienezza sensoriale ed emozionale del gioco (sia nei giovani animali che negli
umani): questo è profondamente preoccupante. Il gioco “primitivo” e le soddisfazioni
a livello emozionale che esso implica riducono la frequenza dell'impulso a
scardinare l'autocontrollo, promuovendo le funzioni regolatrici del lobo
frontale che si attivano a favore di dinamiche sociali collaborative e
interagenti.
Dagli psicofarmaci ai centri per il gioco
Non è quindi privo di fondamento approfondire l'idea
secondo la quale gli interventi sotto forma di gioco intensivo con altri
bambini possono alleviare i sintomi dell'ADHD. Senza contare che potrebbero
esserci anche benefici indiretti: ad esempio Panksepp sostiene che una sessione
di trenta minuti di gioco fisico da mezzora a un'ora prima di coricarsi può
ridurre tutti i comuni problemi o rifiuti dell'andare a dormire nei bambini e
nei ragazzi. Un altro effetto collaterale di un vivere attivo, giocoso e felice
viene individuato nella riduzione dell'incidenza della depressione nei bambini
e di conseguenza negli adulti. La depressione giovanile è devastante per
l'allegra vitalità del gioco ed è noto che la cessazione della somministrazione
di psicostimolanti può indurre depressione. Secondo Panksepp la società odierna
occidentale deve arrivare a sostituire i farmaci con “centri per il gioco”
destinati ai ragazzini a rischio, al fine di favorire la maturazione del lobo
frontale del loro cervello e di svilupparne la socializzazione.
Cervello, movimento ed emozioni
Molte evidenze empiriche supportano l'esistenza di un
minimo di sette prototipi di sistema emozionale in tutti i cervelli mammiferi:
ricerca (seeking), rabbia, paura, sessualità, cura, panico e gioco. In modo
grossolano si può dire che il primario processo di coscienza affettiva sembra
essere fondamentalmente un incondizionato dono della natura piuttosto che una
capacità acquisita, anche se quei sistemi, base di partenza presente nello
sviluppato apparato attivo emozionale dei cervelli dei mammiferi, facilitano
acquisizioni di capacità attraverso vari rafforzamenti del “sentito”. Il
comportamento comunque sopravvive a una decorticazione cerebrale radicale.
Panksepp ha dimostrato che animali senza alcuna neocorteccia giocano
vigorosamente (1).
Secondo Panksepp, è nell'area del tronco encefalico che
si fonda la genesi evolutiva della coscienza. Essa è la sede dei primi sistemi
motori organizzati che originerebbero gli stati di coscienza affettivi. Studi
condotti su pazienti colpiti da ictus che hanno subito la lesione di parti
rilevanti della superficie corticale confermerebbero questa ipotesi dato che,
tranne rare eccezioni, in questi casi i soggetti conservano sia la coordinazione
motoria che un buon livello di coerenza individuale.
Il neurobiologo pone quindi il centro del Sé (self,
simple ego life form) a livello subcorticale e le condizioni del suo sviluppo a
uno stadio evolutivo precoce, a partire da processi motori organizzati in modo
riflesso e via via sempre più orientati in senso affettivo e cognitivo. Sono
ovvie quindi le implicazioni di tutto ciò per disturbi comportamentali come
l'ADHD che si vogliono sedare con risposte neurochimiche indotte e non con
stimoli in primis motorio-comportamentali e di conseguenza cognitivo-emozionali.
Le attività del cervello si compongono di un
funzionamento subcorticale e di un funzionamento corticale. Panksepp ci spiega
che «le zone subcorticali nel cervello sono la fonte delle emozioni di base
degli esseri umani. Le zone corticali nel cervello – sede di funzioni quali la
creatività e l’interazione sociale – maturano se permettiamo al bambino di
giocare».
Mentre questo funzionamento subcorticale è inconscio nella vita umana
adulta, nella vita infantile è
centrale, sia perché l’attività corticale nella prima infanzia non è ancora coordinata e
quantitativamente limitata, sia perché il cervello umano raggiunge la sua
maturità solo se si procede a partire dai primi gradini della scala –
l’attività subcorticale – un gradino alla volta, nel modo giusto.
Per
questo Panksepp afferma che una società
che non investe sulla possibilità
del bambino di giocare e di trovarsi nella natura, molto facilmente potrà essere una società di individui adulti non
perfettamente maturati secondo il progetto della natura stessa.
Il gioco come pulsione neurologica
Dunque Panksepp incoraggia gli educatori a non
sottovalutare il valore del gioco, e incoraggia a ritrovare i momenti ludici
del bambino nella natura, eliminando gli interventi razionali di persone che
non riconoscono le sue reali necessità: il bambino è diverso dall'adulto e ha
bisogno del gioco. L´adulto potenziale che è in ogni bambino ha bisogno del
gioco come strumento di crescita di strutture neurologiche programmate dal
nostro genoma.
«Lo stimolo al gioco – scrive Panksepp – è una pulsione
neurologica. L'attività di circa un terzo dei 1.200 geni del cervello che noi
valutiamo essere presenti nelle regioni corticali frontale e posteriore è
significativamente modificata dal gioco nell'ora seguente una sessione di
attività ludica di trenta minuti» (2).
Tali impulsi neurobiologici filtrano continuamente, ogni
giorno, in ogni bimbo normale. Già nel 1988 (3) Panksepp avvertiva che se
questi impulsi avessero continuato a rimanere per la maggior parte inappagati,
si sarebbero presentate delle conseguenze, e una di queste poteva essere
l'aumento dell'incidenza di ADHD. Le sue predizioni si sono rivelate veritiere.
Lobo frontale e ADHD
Misurazioni del flusso sanguigno cerebrale con PET
(tomografia a emissione di positroni) hanno mostrato che soggetti con una
attenuata attività del lobo frontale presentavano una diminuita creatività,
deficit psichici e abbondanti sintomi negativi sia mentali che emozionali. Ora,
al fine di facilitare la maturazione del lobo frontale e lo sviluppo salutare
di menti favorevoli alla vita sociale, i bambini necessitano del gioco. E per
sfruttare al massimo questi doni genetici dovremmo creare ambienti sociali per
i bambini che non solo permettano, ma incoraggiano il soddisfacimento dei naturali,
gioiosi e imperiosi bisogni di gioco (4). Panksepp sostiene che se impariamo a
ristabilire il potere del gioco nei nostri programmi educativi pre-scolastici
in modi nuovi e creativi, potremmo promuovere le funzioni esecutive del lobo
frontale (5) e, in tal modo, invertire l’inarrestabile proliferazione
dell’ADHD.
È quindi assolutamente dimostrato che l'ADHD ha a che fare con
la maturazione del cervello: a livello neuroscientifico sappiamo che i bimbi
con ADHD presentano qualche insufficienza nelle funzioni esecutive del lobo
frontale (6). La regolazione delle capacità del lobo frontale promuove il
miglioramento di attitudini come «autoriflessione, immaginazione e creatività
nel gioco»: queste abilità esecutive favoriscono una specie di «flessibilità e previdenza
comportamentale» che costituisce «comportamenti in direzione di uno scopo e ben
focalizzati».
Va precisato che le cognizioni sono in gran parte
corticali, mentre le affezioni in gran parte subcorticali. Ma i processi
cortico-cognitivi superiori che aiutano a regolare l'emozionalità emergono solo
gradualmente man mano che l'organismo matura. Questi due stati sovrapposti,
subcorticale e corticale, interagiscono continuamente anche se noi non ce ne
rendiamo conto. Studi sull'immaginazione ci dicono che molte aree superiori del
cervello (corticale, cognitiva) ‘‘si accendono’’ durante l'induzione di
emozioni.
In pratica se una persona è triste è anche più facile che
commetta un maggior numero di errori. Le aree subcorticali sono adibite a scopi
molto speciali: si tratta di circuiti geneticamente dedicati alle varie
emozioni e motivazioni che nelle regioni subcorticali sono condivise da tutti i
mammiferi.
La natura distante: verso la standardizzazione
tecnologica
«Dubitiamo – afferma Panksepp – che sarà mai possibile
svelare l'intrinseca natura degli aspetti superiori del binomio cervello-mente
umani senza prima avere una solida comprensione degli aspetti che ne stanno
alla base – i processi archetipici emozionali-motivazionali che tutti i
mammiferi condividono».
Per contro, come società, reagiamo all'ADHD con
psicofarmaci come il Ritalin e altri medicinali chimici della stessa specie. Ma
la sensibilizzazione agli psicostimolanti rende i soggetti ancor più
insistentemente materialisti – più desiderosi di ogni specie di ricompensa
edonistica (7). La sensibilizzazione agli psicostimolanti riduce gli stimoli
dei bambini al gioco e quindi non aiuta una normale e salutare maturazione del
cervello.
Inoltre, le sempre crescenti aspettative educative
standardizzate insieme all'aumento dell'intolleranza nei confronti gaia
giocosità dei bambini potrebbero costituire un’ulteriore ragione del dilagare
delle diagnosi di ADHD (8).
Già Platone (9) nell'antichità invitava a lasciar giocare
liberamente i bambini, perché riteneva che fosse un'attività determinante per
la loro formazione. Oggi siamo a tal punto immersi nella tecnologia da esserci
completamente dimenticati che là fuori esiste un mondo reale con il quale,
volenti o nolenti, dobbiamo avere a che fare se vogliamo evolvere completamente
secondo le nostre predisposizioni e potenzialità, genetiche e antropologiche.
Note
1) Panksepp J., Normansell L. A., Cox J.F., Siviy S.,
“Effects of neonatal decortication on the social play of juvenile rats”, in
Physiology & Behavior, vol. 56, 1994, pp. 429–443.
2) Burgdorf J., Panksepp J., Brudzynski S.M., Kroes R.,
Moskal J.R. “Breeding for 50-kHz positive affective vocalizations in rats”, in
Behav Genet 2005, 35:67–72.
3) Panksepp J., Affective neuroscience: The foundations
of human and animal emotions, Oxford University Press,
New York, 1998.
4) Panksepp J., Affective neuroscience: The foundations
of human and animal emotions, Oxford University Press,
New York, 1998.
Panksepp J., “The long-term psychobiological consequences
of infant emotions: Prescriptions for the twenty-first century”, Infant Mental
Health Journal, 22, 2002, 132–173.
5) Barkley R. A., “ADHD and the nature of self-control”,
Guilford Press, New York, 1997.
Panksepp J., Burgdorf J., Gordon N. & Turner C.,
“Modeling ADHD-type arousal with unilateral frontal cortex damage in rats and
beneficial effects of play therapy”, Brain and Cognition, 52, 2003, 97-105.
6) Castellanos F.X. & Tannock R., “Neuroscience of
attention deficit/hyperactivity disorder: The search for endophenotypes”,
Nature Reviews Neuroscience, 3, 617-628, 2002.
7) Nocjar C., Panksepp J. “Chronic intermittent
amphetamine pretreatment enhances future appetitive behavior for drug- and
natural-reward: interaction with environmental variables” in Behav Brain Res
2002, 128:189–203.
8) Panksepp J., “Attention deficit disorders,
psychostimulants, and intolerance of childhood playfulness. A tragedy in the
making?”, Current Directions in Psychological Sciences, 7, 1998, 91–98.
9) Platone, Leggi, libro VII, 794.
Chi è Jaak Panksepp
“Neuroscienziato delle emozioni” – così come è stato
definito – lavora al Dipartimento di veterinaria, anatomia comparata,
farmacologia e fisiologia della Washington State University ed è professore
emerito al Dipartimento di psicologia della Bowling Green State University. In
aggiunta al suo impegno nella ricerca e nella didattica accademica, Panksepp ha
fondato e diretto l'organizzazione no-profit “Memorial Foundation for Lost
Children”, che ha avuto il merito di fornire informazioni indipendenti e
consigli ai genitori dei bambini affetti da disordini neuropsichiatrici, in
particolare autismo e ADHD.
Il professor Panksepp è comparso due volte in popolari
trasmissioni televisive: in una trasmissione alla BBC intitolata “Oltre il
gioco” e su Discovery Channel in “Perché il cane sorride e lo scimpanzè
piange”. In queste occasioni Paksepp ha parlato della sua scoperta relativa
allo squittio di gioia dei topi, emesso ad una frequanza di 50 kHz, conseguente
l'induzione al gioco.
Bibliografia
Panksepp, J., “Attention deficit hyperactivity disorders,
psychostimulants, and intolerance of childhood playfulness: A tragedy in the
making?”, in Current Directions in Psychological Science, vol. 7 (9), 1998, pp.
1-98.
Panksepp, J., “Affective consciousness: Core emotional
feelings in animals and humans”, in Consciousness and Cognition, vol. 14, 2005,
pp. 30-80.
Panksepp, J., “Can PLAY Diminish ADHD and Facilitate the
Construction of the Social Brain?”, in J. Can. Acad. Child. Adolesc.
Psychiatry, vol. 16(2), maggio 2007, pp. 57-66.
Panksepp, J. e Burgdorf, J., “'Laughing’ rats and the
evolutionary antecedents of human joy?”, in Physiology & Behavior., vol.
79, 2003, pp. 533– 547.
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