La biochimica delle emozioni - 1
prima parte
Nuova Biologia
Il pionieristico studio dei neuropeptidi e dei loro
recettori, compiuto dalla dottoressa Pert, mostra come le emozioni si
sviluppano nel corpo e come sia impossibile una netta distinzione tra cervello
e corpo
di Candace Pert - 25/11/2019
Nel mio intervento esporrò una serie di nuove e
affascinanti scoperte sulle sostanze chimiche del corpo chiamate neuropeptidi.
Basandomi su queste scoperte, avanzerò l’idea che i neuropeptidi e i loro
recettori formino una rete d’informazioni all’interno del corpo. Forse sembra
un’ipotesi senza importanza, ma in realtà è gravida di conseguenze. Io credo
che i neuropeptidi e i loro recettori rappresentino una chiave per comprendere
in che modo la mente e il corpo siano interconnessi e come le emozioni si
possano manifestare in tutto il corpo. In realtà, più si approfondiscono le
nostre conoscenze sui neuropeptidi, più diventa difficile pensare al corpo e
alla mente in termini tradizionali. È sempre più appropriato parlare di una
sola entità integrata, un corpo-mente.
Parlerò soprattutto di scoperte di laboratorio, di dati
rigorosamente scientifici. Ma è importante ricordare che lo studio scientifico
della psicologia si basa tradizionalmente sull’apprendimento e la cognizione
animali. Ciò vuol dire che se date un’occhiata all’indice dei testi classici di
psicologia, non troverete molto spesso termini come consapevolezza, mente o
emozioni. Questi argomenti non fanno parte della tradizionale psicologia
sperimentale, la quale studia soprattutto il comportamento, perché esso può essere
visto e misurato.
La specificità dei siti recettori
C’è un settore della psicologia in cui la mente – almeno
la consapevolezza – viene studiata oggettivamente da almeno venti anni. È la
psicofarmacologia, nell’ambito della quale i ricercatori hanno sviluppato
metodi molto rigorosi per misurare gli effetti dei farmaci e degli stati
alterati di consapevolezza.
Le ricerche in questo campo sono partite dall’assunto che
nessun farmaco può avere effetto se non è fissato, cioè se in qualche modo non
si attacca al cervello. Quindi, all’inizio i ricercatori hanno immaginato
ipotetici tessuti costituenti ai quali un farmaco potrebbe legarsi – più o meno
come una chiave entra in una serratura – e li hanno chiamati recettori. Così,
l’idea di specifici recettori cerebrali per i farmaci divenne una teoria
centrale della farmacologia. Si tratta di un’idea vecchissima.
In anni recenti un passo avanti fondamentale è stato la
scoperta di tecniche per legare i farmaci a questi recettori e per studiare sia
la loro distribuzione nel cervello sia la loro concreta struttura molecolare.
Cominciai a lavorare in questo campo nel laboratorio di
Solomon Snyder alla Johns Hopkins Univesity, dove concentrammo l’attenzione
sull’oppio, una droga che come è noto altera la consapevolezza ed è usata in
Medicina per alleviare il dolore. Ho lavorato duramente, con molti insuccessi
iniziali, al fine di creare un metodo per misurare la materia cerebrale con cui
l’oppio interagisce producendo i suoi effetti. Per semplificare un discorso lungo
e complicato, dirò che abbiamo usato delle sostanze radioattive grazie alle
quali siamo riusciti a identificare l’elemento recettore dell’oppio nel
cervello. Potete immaginare, quindi, una molecola di oppio che si attacca a un
recettore, e da questo piccolo legame vedete svilupparsi dei grandi
cambiamenti. In seguito si scoprì che l’intera classe di farmaci cui appartiene
l’oppio – che sono chiamati oppiacei e che includono, oltre all’oppio, morfina,
codeina ed eroina – si fissa allo stesso recettore. Poi scoprimmo che i
recettori erano diffusi ovunque, non solo in tutto il cervello.
Dopo aver scoperto il recettore per gli oppiacei esterni,
il nostro pensiero si spinse un passo oltre. Se il cervello e le altre parti
del corpo hanno un recettore per qualcosa che viene assunto dall’esterno,
sembra lecito supporre che anche all’interno del corpo esista qualcosa che si
fissi al recettore. Altrimenti, perché esisterebbe il recettore?
Questa intuizione portò all’identificazione di una delle
forme di oppiaceo presente all’interno del cervello, una sostanza chimica
chiamata beta endorfina. La beta endorfina è sintetizzata nelle cellule nervose
del cervello e consiste di peptidi, quindi è un neuropeptide. Inoltre, i
peptidi si sviluppano direttamente dal DNA, che immagazzina le informazioni per
creare il nostro cervello e il corpo.
Se immaginate una comune cellula nervosa, potete
visualizzare il meccanismo generale. Al centro (come in ogni cellula) c’è il
DNA, e una “stampa” diretta del DNA porta alla produzione di un neuropeptide,
che a quel punto attraversa gli assoni della cellula nervosa per venire
immagazzinato nelle piccole sfere poste all’estremità, in attesa di particolari
eventi elettro-fisici che lo libereranno. Il DNA produce anche i recettori, che
sono composti della stessa sostanza dei peptidi, ma sono molto più grandi. Ciò
che va aggiunto a questo quadro è il fatto che sono stati identificati da
cinquanta a sessanta neuropeptidi, ognuno dei quali specifico come il
neuropeptide beta endorfina. Siamo di fronte dunque a un sistema enormemente
complesso.
Fino a tempi recenti si pensava che le informazioni del
sistema nervoso fossero distribuite nello spazio tra due cellule nervose,
chiamato sinapsi. Ciò significava che la vicinanza delle cellule nervose
determinava ciò che poteva essere comunicato.
Ma ora sappiamo che la maggior parte delle informazioni
provenienti dal cervello non dipende direttamente dalla sovrapposizione fisica
delle cellule nervose, ma dalla specificità dei recettori. Quello che veniva
ritenuto un sistema lineare altamente rigido sembra invece dotato di schemi di
distribuzione molto più complessi.
Dunque, quando una cellula secerne i peptidi oppiacei,
questi possono agire a “chilometri” di distanza sulle altre cellule nervose. Lo
stesso vale per tutti i neuropeptidi. In qualsiasi momento, molti neuropeptidi
possono scorrere all’interno del corpo, e ciò che li rende capaci di fissarsi
al giusto recettore è, lo ripetiamo, la specificità di quest’ultimo. Quindi, i
recettori sono il meccanismo che regola lo scambio di informazioni nel corpo.
La biochimica delle emozioni
Dove ci porta tutto ciò? A un concetto affascinante: i
recettori dei neuropeptidi sono in realtà la chiave per capire la biochimica
delle emozioni. Negli ultimi anni i ricercatori del mio laboratorio hanno
formalizzato questa idea in molti documenti teorici, e ora farò una sintesi
delle prove a sostegno di questa tesi.
Devo dire che alcuni scienziati potrebbero essere
inorriditi da questa idea. In altre parole, essa non fa parte delle conoscenze
acquisite. Di fatto, venendo da una tradizione in cui i libri di testo non
contengono nemmeno la parola emozioni nell’indice, non è senza trepidazione che
abbiamo osato cominciare a parlare del substrato biochimico delle emozioni.
Comincerò facendo notare un fatto su cui i
neuroscienziati si sono dichiarati d’accordo per molti anni: le emozioni sono
mediate dal sistema limbico del cervello. Il sistema limbico include
l’ipotalamo (il quale controlla i meccanismi omeostatici del corpo e talvolta
viene chiamato il “cervello” del cervello), la ghiandola pituitaria (che regola
gli ormoni del corpo) e l’amigdala. Noi parleremo soprattutto dell’ipotalamo e
dell’amigdala.
Gli esperimenti che dimostrano il legame tra le emozioni
e il sistema limbico vennero fatti per la prima volta da Wilder Penfield e
altri neurologi che lavoravano su individui consci e svegli. I neurologi
scoprirono che usando elettrodi per stimolare la corteccia sopra l’amigdala si
poteva suscitare un’ampia gamma di emozioni: rabbia, dolore, piacere associati
ad antichi ricordi, con tutte le corrispondenti manifestazioni somatiche. Il sistema
limbico venne identificato per la prima volta, quindi, grazie a esperimenti
psicologici.
Ebbene, quando abbiamo cominciato a individuare
l’ubicazione dei recettori dell’oppio nel cervello abbiamo scoperto che il
sistema limbico ne era ricco (in seguito avremmo scoperto che ciò valeva anche
per altri recettori). L’amigdala e l’ipotalamo, entrambi tradizionalmente
considerati i componenti principali del sistema limbico, sono in realtà pieni
di recettori oppiacei: essi ne contengono quaranta volte di più delle altre
aree del cervello.
Questi “punti caldi” corrispondono a nuclei o gruppi
cellulari molto specifici che psicologi e fisiologi hanno identificato come
mediatori di processi quali il comportamento sessuale, l’appetito e
l’equilibrio dell’acqua nel corpo. Il punto importante è che la nostra mappa
dei recettori ha confermato ed espanso in modo significativo gli esperimenti
psicologici che definivano il sistema limbico.
Ora vorrei parlare di altri neuropeptidi. Ho già detto
che oggi vengono considerate neuropeptidi da cinquanta a sessanta sostanze. Da
dove vengono? Molte di loro sono analoghi naturali delle droghe psicoattive. Ma
un’altra fonte importante – davvero inaspettata – sono gli ormoni.
Storicamente, si è sempre pensato che gli ormoni fossero sintetizzati dalle
ghiandole, non dalle cellule nervose. Un ormone, presumibilmente, era
immagazzinato in un punto del corpo, poi viaggiava verso i suoi recettori in
altre parti del corpo. L’ormone fondamentale è l’insulina, che è secreta dal
pancreas. Ma ora si è scoperto che l’insulina non è soltanto un ormone. Di
fatto, l’insulina è un neuropeptide, sintetizzato e immagazzinato nel cervello,
e nel cervello vi sono recettori dell’insulina. Facendo la “mappa” delle
posizioni dell’insulina, troviamo di nuovo punti caldi nell’amigdala e
nell’ipotalamo. In breve, è diventato sempre più chiaro che il sistema limbico,
sede delle emozioni nel cervello, è anche il punto focale dei recettori per i
neuropeptidi.
Un altro punto critico. Studiando la distribuzione di
questi recettori, abbiamo scoperto che il sistema limbico non è solo nel
proencefalo, la classica ubicazione dell’amigdala e dell’ipotalamo. Sembra che
nel corpo ci siano altri punti che contengono recettori per molti diversi
neuropeptidi, punti nei quali avviene un’intensa attività chimica e che abbiamo
chiamato punti nodali. Dal punto di vista anatomico, essi sono localizzati in
luoghi in cui avviene una grande modulazione delle emozioni.
Un punto nodale è il corno dorsale della spina dorsale,
che è il punto da cui entrano le informazioni sensoriali. Questa è la prima
sinapsi nel cervello dove vengono elaborate le informazioni sensoriali. Abbiamo
scoperto che, praticamente, per tutti i sensi di cui conosciamo l’area di
ingresso, quest’ultima è sempre un punto nodale di recettori di neuropeptidi.
Credo che queste scoperte siano importantissime per capire e apprezzare ciò che
le emozioni sono e possono fare. Considerate la sostanza chimica angiotensina,
un altro classico ormone che è anche un peptide e che ora è considerato un
neuropeptide. Quando facciamo la mappa dei recettori dell’angiotensina nel
cervello, ci imbattiamo nuovamente in punti caldi nell’amigdala. Da molto tempo
si sa che l’angiotensina controlla la sete: infatti, impiantando un tubicino nell’area
del cervello di un topo ricca di recettori di angiotensina e versandovi un po’
di quest’ultima, entro dieci secondi il topo comincerà a bere, anche se è
totalmente sazio di acqua. Quindi, dal punto di vista chimico, l’angiotensina
crea uno stato alterato di consapevolezza, uno stato che fa dire agli animali
(e agli uomini): “Voglio acqua”. In altre parole, i neuropeptidi ci portano in
uno stato di consapevolezza e in stati alterati di quest’ultimo.
Ugualmente importante è il fatto che i recettori dei
neuropeptidi non sono soltanto nel cervello, ma anche nel corpo. Abbiamo
dimostrato dal punto di vista biochimico che nei reni vi sono recettori
dell’angiotensina uguali a quelli del cervello, e che i recettori situati nei
reni conservano l’acqua in modi non ancora ben compresi. Il punto è che il
rilascio del neuropeptide angiotensina porta sia a bere sia a conservare acqua
nel corpo. Questo è un esempio di come un neuropeptide – che forse corrisponde
a uno stato d’animo – può integrare ciò che avviene nel corpo con ciò che
avviene nel cervello (un ulteriore, importante punto che qui mi limito ad
accennare è che l’integrazione generale del comportamento sembra concepita per
facilitare la sopravvivenza).
Il mio ragionamento fondamentale è che i neuropeptidi
forniscono la base fisiologica delle emozioni. Come io e i miei colleghi
abbiamo scritto in un articolo sul Journal of Immunology: “La singolare
distribuzione dei recettori dei neuropeptidi nelle aree del cervello che
regolano l’umore, così come il loro ruolo nel mediare la comunicazione in tutto
l’organismo, fa dei neuropeptidi i primi candidati alla mediazione biochimica
delle emozioni. Potrebbe anche essere che i neuropeptidi influenzano il
processo delle informazioni solo quando occupano i recettori nei punti nodali
del cervello e del corpo. Se è così, ogni neuropeptide può evocare un solo
«tono», equivalente a uno stato di animo”.
All’inizio del mio lavoro, pensavo realisticamente che le
emozioni erano nella testa o nel cervello. Ora direi che esse sono anche nel
corpo. Si esprimono nel corpo e fanno parte del corpo. Non riesco più a fare
una netta distinzione tra il cervello e il corpo.
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L’incontro tra le Teorie Quantistiche, la Mente e la
Spiritualità
Gioacchino Pagliaro