Psicobiologia della Resilienza
Psicologia Quantistica
Connessioni umane, connessioni nervose: come le prime
fasi della vita modulano epigeneticamente la nostra risposta futura allo stress
Carmen Di Muro - 22/07/2020
Questo articolo è tratto da Scienza e Conoscenza 73.
A tutti è capitato di pensare quanto sarebbe bello avere
una corazza sull’anima, una difesa contro le spine della vita che con le sue
richieste, le sue sfide, le sue sorprese, mette continuamente alla prova la
nostra natura profonda: il nostro potere umano. Nella commedia Penthesilea, il
drammaturgo tedesco Kleist scrisse: «La quercia morta resiste alla tempesta, ma
quella sana né è schiantata e travolta, perché questa può afferrarla per le
fronde». Infatti, è proprio nel mezzo della tormenta che è capace di generarsi
il prodigio della vita. Un attaccamento disperato in cui è la risposta al
dolore a creare il coraggio nel darsi alla vita, nell’affrontarla, nel piegarsi
senza spezzarsi, lasciando che l’impeto emotivo faccia il suo corso per poi
cedere spazio al sereno.
Questa straordinaria capacità è nota come resilienza,
ossia quella forza misteriosa che ci abita
dentro e che permette di resistere alle pressioni
dell’ambiente, di guardare sempre avanti con fiducia, vivendo pienamente
durante le situazioni critiche, sapendo che sebbene gli imprevisti accadano,
esiste un’intelligenza misteriosa che sostiene la vita, data dall’abilità di
essere come rocce in mezzo ai flutti.
Come si risvegli questo potere silente è stato uno tra i
maggiori rompicapo per la scienza, la quale, solo agli inizi degli anni
Novanta, ha iniziato a occuparsi fattivamente dei processi che lo sottendono,
svelando come siano la forza della connessione e della sopravvivenza, che sono
alla base della resilienza, a essere in grado di anticipare il meglio mentre si
vive il peggio, la guarigione dopo la ferita, la calma dopo la tempesta, un
nuovo senso della vita e nuovi valori che altrimenti non avrebbero potuto
essere scoperti.
Essere resilienti non significa essere infallibili, non
sentirsi in difficoltà o non provare dolore, ma essere malleabili, disposti al
cambiamento quando necessario, grazie a quella forza nel rimanere in
connessione con la realtà, ciò che lo stesso Platone definiva Thumos (o
Thymos), ossia la forza d’animo passionale insista in ogni essere vivente,
capace di mobilitare le risorse necessarie per affrontare le situazioni
avverse, facendolo sentire a casa, presso di Sé.
E in questo grande gioco di forza, adattamento e scoperta,
l’azione della resilienza è inscindibile dall’azione del Sistema Nervoso (SN),
che media il nostro rapporto con l’ambiente rispondendo efficacemente alle
situazioni di stress e ai colpi della vita.
La resilienza, infatti, è iscritta nel nostro patrimonio
genetico, insieme alla capacità di svilupparsi, di rafforzarsi e indebolirsi a
seconda delle esperienze che si vivono, soprattutto negli anni infantili, a
contatto con le figure di attaccamento o in loro assenza.
E in questo biologia, biografia e capacità di far fronte
a situazioni avverse sono strettamente interconnesse. Infatti, la forza della
resilienza si getta già nella prima infanzia, ma si può rinforzare durante
tutta la vita.
Stress, epigenetica e resilienza
Parlare di resilienza implica necessariamente fare
riferimento alla nostra capacità di affrontare lo stress, il quale è una
componente indispensabile per la vita, una risposta di sopravvivenza
fondamentale. L’evoluzione ci ha dotati, infatti, di numerosi meccanismi per
adattarci alla mutevolezza dell’esistenza: sofisticati strumenti di crescita e
protezione.
Nell’essere umano essi sono controllati dal Sistema
Nervoso, che ha il compito di monitorare i segnali ambientali, interpretarli e
organizzare le successive risposte comportamentali. Quando il SN riconosce un
fattore di stress – sia esso fisico, tossico, psichico o emotivo – allerta la
comunità delle cellule riguardo al pericolo imminente, attivando un sistema di
protezione essenziale per la difesa, ossia il Sistema Simpatico e l’asse
ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), i quali sono responsabili della risposta fight
or flight (attacco-fuga).
Questa funzione è adattiva quando lo stimolo è
transitorio, ma diviene disadattiva nel momento in cui l’agente stressante
perdura nel tempo. Infatti, quando lo stress è cronico non è così benefico...
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Scienza e Conoscenza n. 73 - Luglio/Settembre 2020 —
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