Nel nome dell'evidenza
Medicina Integrata
Nella moderna medicina tutto deve rientrare in rigidi
protocolli e il medico è un dispensatore di farmaci: dov’è finita la clinica?
Redazione Scienza e Conoscenza - 03/02/2020
di Franco Mastrodonato* - Scienza e Conoscenza 71
“Nella clinica come nella vita, bisogna avere un
preconcetto, uno solo, ma inalienabile: il preconcetto che tutto ciò che si
afferma e che par vero può essere falso”
Augusto Murri (1841-1932), medico italiano
Questa frase di Augusto Murri, illustre clinico italiano,
a prima vista può sembrare datata e anacronistica, se ci limitiamo a guardare
le date di nascita e morte del medico bolognese: in realtà è di un’attualità
incredibile e può rappresentare un monito e un viatico per il medico moderno.
Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica, afferma che il
rapporto tra ciò che conosciamo e ciò che non conosciamo è di uno a un
miliardo.
Dubito ergo sum: vale ancora qualcosa?
La scienza, oggi, ci dice che ciò che è vero deve essere
misurabile e ripetibile, statisticamente significativo, tanto da trasformarsi
in evidenza e assurgere a valore di legge, almeno sino a che un’altra realtà,
altrettanto inoppugnabile, arrivi a superarla. Ciò che si accetta per vero
oggi, domani potrebbe non esserlo iù, ma l’assurdo è che, secondo alcuni, il
vero non può neppure essere messo in discussione, non può essere neanche
oggetto di dubbio, e colui che critica e dubita costruttivamente è accusato di
essere antiscientifico. La questione ci riporta a un problema di metodo e, in
un momento in cui lo scientismo sembra dominare, i risvolti sono tali da
incidere in modo pesante soprattutto su alcuni settori, uno tra tutti la
medicina.
L’affermazione estremistica del ruolo dell’evidenza e dei
protocolli che ne consegue porta a contrastare aspramente tutte quelle forme
mediche – per lo più naturali, tradizionali o complementari – che, partendo dal
singolo paziente e non dalla sua malattia, personalizzano al massimo sia la
diagnosi che la terapia, sfuggendo dunque alle regole della statistica e della
ripetibilità dei dati.
L’importanza della tecnologia, degli esami strumentali ed
ematochimici in medicina è sempre più rilevante; ciò comporta sicuramente dei
vantaggi, ma in alcuni ambiti, pur arrecando notevole progresso, può assumere
dei risvolti negativi. Il problema non è legato tanto all’innovazione in sé,
quanto al valore metodologico che assume.
Il medico come artista
Nella clinica questa contraddizione raggiunge ancora
maggiore rilievo. La medicina è un’arte e la clinica ne rappresenta la sua
massima espressione. La clinica è il contesto in cui il medico-artista trova
maggiore possibilità di realizzare la sua opera.
Le posizioni di cui sopra, per alcuni, sono
anacronistiche e finanche pericolose, per cui il medico non è un artista, bensì
un paladino della scienza asservito ai suoi dogmi e alle sue leggi ferree, da
conosce in quanto misurabile e rifuggire da tutto ciò che non può essere
oggettivamente evidenziato. Ci si dimentica poi che in alcune specializzazioni
mediche, quali ad esempio la psichiatria, le misurazioni e le validazioni
oggettive di una problematica pressoché non esistono; la prescrizione di uno
psicofarmaco piuttosto che un altro viene svolta esclusivamente su dati
anamnestici; i pochi meccanismi biochimici che conosciamo e che possono essere
a monte del disturbo stesso non sono quantificabili in termini di esami
specifici.
L’altare dell’evidenza
In altri campi medici la tecnologia entra prepotentemente
nella clinica e la fa da padrona, s’impone ad essa invece di esserne al suo
servizio. Il medico perde il valore della semeiotica, quello del sapere che
nasce dall’esperienza, abiura il famoso occhio clinico e si sottomette a una
moltitudine di dati ed esami. In nome, ancora una volta, dell’evidenza, tutto
deve essere oggettivabile per dare accesso a protocolli validati, a percorsi
terapeutici che riducono il paziente a un numero, ma che hanno il merito di
sollevare il medico da responsabilità e possibili errori.
Di fronte a tale condizione, Murri, ma anche Cardarelli,
Frugoni, Puddu, Valdoni e tutti gli illustri clinici italiani di un tempo
sarebbero inorriditi. La libertà di scelta del medico operata in scienza e
coscienza, e di conseguenza quella del paziente che a lui si affida, viene
condannata; tutti devono attenersi a regole già dettate, quelle secondo cui la
medicina non è democratica.
La Medicina Biointegrata ‒ ponendo al centro il paziente
e la sua identità costituzionale, integrando le varie forme mediche in una
metodologia che esalta l’aspetto clinico, senza rinunciare alle evidenze,
intese quali utile punto di riferimento, valorizzando i dati scientifici al
servizio del medico ‒ vuole restituire dignità e valore alla vera clinica, a
quell’arte che fa grande il medico stesso e la medicina.
Questa posizione, innovativa rispetto agli orientamenti
oggi prevalenti, verrà ribadita con forza al terzo Meeting SIMeB, Società
Italiana di Medicina Biointegrata, che si terrà a Rimini nei giorni 28 e 29
marzo 2020; Clinical Innovation sarà appunto il tema e il nuovo format su cui
confrontarsi.
Franco Mastrodonato*
Nato nel 1954, laureato in Medicina e Chirurgia presso
l’Università “La Sapienza” di Roma. diplomato in agopuntura e medicina
tradizionale cinese, omeopatia ed omotossicologia, fitoterapia, kinesiologia
applicata, iridologia. Caposcuola della Medicina Biointegrata, è Direttore
Scientifico e docente IMeB (Istituto di Medicina Biointegrata). Presidente
SIMeB (Società Italiana di Medicina Biointegrata). Docente Corso di
Perfezionamento in Medicina Biointegrata Università di Chieti. Docente Master
in Medicine Naturali Università Tor Vergata. Direttore sanitario Casa della
Salute “Domus Medica” di Bagnoli del Trigno (IS).
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Scienza e Conoscenza n.71 - Gennaio/Marzo 2020 - Rivista
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