Cosa sono le onde gravitazionali?
Sull’onda gravitazionale della storia, da Empedocle,
passando per Anassagora e Newton, fino a Einstein
di Emanuele Cangini - 17/03/2016
Cosa sono le onde gravitazionali?
«L’amor che move il sole e l’altre stelle». Con questo verso
Dante termina la Divina Commedia, andando a chiudere il sipario sul lungo
viaggio iniziato all’Inferno e conclusosi, appunto, al canto XXXIII del
Paradiso. E chissà se il Sommo, contemplando l’Empireo assieme a Beatrice, si
sarà mai chiesto per mezzo di cosa l’amor divino muovesse quei cieli e quei
pianeti in esso sospesi, ben poggiati sulla struttura geocentrica felice parto
di Tolomeo (e di Aristotele).
Qualche secolo dopo, Copernico e Galileo ci insegneranno
che la Terra altro non è che un pianeta periferico facente parte di un ordine
cosmico più grande, nel quale il Sole occupa uno dei due fuochi delle ellissi
orbitali prodotte dai pianeti in rotazione attorno ad esso. Ma cosa causa, cosa
condiziona questa reciprocità di movimenti tra i corpi celesti? Sappiamo per
certo oggi essere le onde gravitazionali le responsabili, principali indiziate,
di questo mutuo peregrinare. Ma il percorso per giungere a queste conclusioni,
che Einstein introdusse nella prima metà del XX secolo, è stato tutt’altro che facile
e privo di ostacoli.
Facciamo un passo indietro nella storia e cerchiamo di
capire come questo percorso si è evoluto e quali svolte concettuali
fondamentali ha subìto durante questo decorso progressivo. Già presso l’antica
Grecia possiamo scorgere chiare tracce dei primi tentativi di descrivere il
fenomeno: certamente contestuale a una visione animistica del creato e della
natura, perfetta sintesi di un costrutto antropologico in essere, Empedocle ci
accenna all’origine delle forze agenti e aggreganti; amore e odio, nella loro
reciprocità di azione, determinerebbero l’attivazione della motricità delle
forze visibili.
Anassagora, altro pensatore eccelso, si distacca dal
filone bipolare empedocliano, per votarsi a una concezione più metafisica e
trascendentale (mente suprema come attivatore dell’azione in divenire).
Secondo Platone, la materia in generale, quindi anche i
pianeti in conseguenza, sarebbe pervasa da una sorta di energia intimamente
intrinseca, per mezzo della quale si eserciterebbe l’attrazione del “simile
verso il simile”; riflessione dalla quale non molto si distacca “l’acerrimo”
allievo-rivale Aristotele, per il quale il creato tenderebbe, secondo un
anelito implicito alla natura stessa, alla perfezione del principio primo. La
tensione a questa ricerca della perfezione, quindi le forze che ne
risulterebbero vettori ed espressioni, si esprimerebbe per mezzo del movimento
delle sfere celesti, da una condizione iniziale di ipotetica perfezione
circolare a una finale “corruzione” al moto rettilineo.
La teologia cristiana, che saprà riprendere la dottrina
neoplatonica, porrà nel logos divino la cagione dell’attrazione verso di esso
di stelle e pianeti, quindi dei loro movimenti, e questo proprio in quella
parentesi medioevale nella quale l’ordine superiore può essere rappresentato
secondo precise e ordinate gerarchie angeliche (come peraltro già accennato in
esordio). È a partire dai secoli XVI e XVII che le cose cominciano davvero a
cambiare: è proprio in questa precisa collocazione storica che i prodotti del
pensiero si contestualizzano in una nuova coniugazione, espressa questa nel
simbolico, ma non per questo privo del concreto, passaggio dalla suddetta
visione animistica del creato a una più pragmatica concezione meccanicistica.
Galileo fornì una sua spiegazione delle forze del
visibile, conferendo a questo impianto teorico forti connotazioni di carattere
quantitativo (soprattutto in riferimento alla forza terrestre di gravità).
Cartesio si unì al coro, precisando però che, a parer
suo, la gravità dovesse necessariamente consistere in un modello intrinseco,
riconducendosi in tal modo verso la direzione dei suddetti precetti platonici
(forza intrinseca che viene però inserita nel contesto dell’etere e della
improrogabile conservazione del moto). Di tutt’altro parere era Leibniz, il
quale contestava a Cartesio l’impossibilità di descrivere l’essenza di una
forza, semplicemente focalizzandosi, appunto, sulla legge di conservazione del
moto constante con risultante nulla delle forze esterne.
Vicino a Cartesio seppe porsi Newton, il quale conferì
alla massa un valore fondamentale nell’architettura del suo elaborato sulla
meccanica gravitazionale. La mela caduta sulla testa, oltre all’evocativo e
prosaico valore poetico e figurativo, assume una valenza nel concreto: la forza
che ha prodotto la caduta della mela è la stessa che influenza e coordina il
movimento dei pianeti intorno al Sole e, ad esso, li tiene vincolati. Pur
avendo modelli descrittivi del “come”, capaci a loro volta di formulare modelli
predittivi, latitava ancora un modello che sapesse descrivere il “cosa”.
Fu proprio Einstein, ai primi del Novecento, a dare un
contributo prezioso in tal senso. Secondo il fisico tedesco l’onda
gravitazionale sarebbe una deformazione del tessuto spazio temporale
dell’universo: la presenza della massa, in sostanza, produrrebbe una
incurvatura in tale tessuto deformandolo e distorcendolo. Pensiamo a un’arancia
posta al centro di una tovaglia, tenuta quest’ultima in tensione: se pensassimo
di lasciare la tovaglia, vedremmo istantaneamente il tessuto “accartocciarsi”
verso il centro, proprio dove si trova l’arancia, increspandosi come una sorta
d’imbuto.
Esempio forse banale ma certo efficace per cercare di
meglio descrivere il concetto sotteso all’esempio stesso: la gravita è prodotta
dalla massa, la quale deforma e distorce il tessuto spaziotemporale. Le onde
gravitazionali possono perciò essere considerate alla medesima stregua di
radiazioni gravitazionali. In sostanza l’onda gravitazionale come prodotto della
gravità, come prodotto della massa: ergo, onda gravitazionale, per proprietà
transitiva, prodotto della massa.
Trovo prosaico pensare al classico sasso scagliato nello
stagno, guardarlo nel mentre produce le onde concentriche che partono dal
centro e si propagano verso l’esterno, come l’antica Atlantide. Chissà se il
mito platonico atlantideo, un giorno a venire, verrà scientemente collegato
alla gravità: parrà strano, forse solo una coincidenza, ma leggenda vuole che
proprio quest’antica proto-cultura avanzatissima fosse depositaria di una
tecnologia molto progredita e di un sapere assai sofisticato. A tal punto
avveniristici da riuscire, per mezzo di talenti a noi sconosciuti, ad annullare
proprio la forza di gravità. Chissà. Come direbbe Hans Landa nel film Bastardi
senza gloria: «i fatti possono essere fuorvianti, le chiacchiere, vere o false,
spesso sono rivelatrici».
video Conversione in onde sonore delle onde
gravitazionali prodotte dalla collisione di due buchi neri
Licia Troisi
Dove Va a Finire il Cielo - Libro >> http://goo.gl/TiX1mK
e altri misteri dell'universo