Dalla “Maesta'” di Simone Martini alla fisica quantistica
Scienza e Fisica Quantistica
Il famoso dipinto del pittore senese suggerisce
importanti parallelismi con l’ordine implicito di Bohm e il vuoto della teoria
quantistica dei campi
Davide Fiscaletti - 11/09/2018
Scienza e arte possono essere considerate due distinte
modalità con cui l’uomo si interrelaziona col mondo esterno, cercando di
rispondere a domande fondamentali mediante un percorso fatto di idee, rappresentazioni,
teorie e ipotesi testate in posti dove pensiero e manualità si intrecciano.
Nonostante, nell’attuale spettro dei saperi e nell’opinione comune, la scienza
sia vista come il regno delle certezze “oggettive”, come un insieme di ricette
universali con il quale decodifichiamo un codice cosmico inscritto in una
natura intesa come qualcosa di oggettivo ed immutabile, del tutto indipendente
dall’osservatore, mentre l’arte venga invece considerata il campo della
creatività e dell’intuitivo, apparentemente privi di regole oggettive, fondati
su una ineludibile sensorialità, soggettività e irrazionalità, è evidente che
arte e scienza sono legate molto più di quanto si pensi comunemente. Rilevanti
parallelismi possono essere individuati tra di esse, sia come forme di
conoscenza, in riferimento al tipo di verità in esse radicata, sia per il loro
modo di raccontare l’universo (che non è qualcosa di asettico, oggettivo,
distaccato e impersonale, ma una modalità viva e consapevole, che ci fa capire
come il mondo non si possa rappresentare con un unico linguaggio e un unico
punto di vista).
Come nel passato, ai tempi del Rinascimento Fiorentino,
l’arte fu il linguaggio più utilizzato per trasmettere cultura nel mondo, così
oggi la fisica quantistica – alla luce dei cambiamenti profondi che ha
introdotto nella descrizione della natura – suggerisce la possibilità di
trovare nuove forme di dialogo tra arte e scienza. È infatti possibile
riscontrare nell’arte contemporanea una tendenza implicita a rappresentare il
mondo microscopico invisibile descritto dalla fisica quantistica. Si pensi, per
esempio, alle opere di Teresa Iaria che descrivono, in maniera mirabile,
attraverso un originale linguaggio figurativo, concetti e temi della fisica
teorica, come il bosone di Higgs, le teorie dei twistors, delle stringhe e dei
loop, oppure all’installazione Three Solids di Attila Csörgo, apparizione
poetica di impalpabili “solidi” regolari che “galleggiano” nell’aria come per
magia, permettendo di rappresentare in qualche modo alcune caratteristiche del
vuoto della teoria quantistica dei campi.
A mio parere, tuttavia, non solo opere d’arte
contemporanee possono ricevere una rilettura diretta e finalizzata a
evidenziare e ottenere alcuni aspetti fondamentali dei fenomeni descritti dalla
fisica quantistica: a questo proposito la chiave di volta è rappresentata
soprattutto da opere d’arte del Medioevo, quando si può dire che eravamo ancora
agli albori del pensiero scientifico moderno.
Il millennio medievale, sostiene Luigi Borzacchini,
costituisce una lunga fioritura da cui la scienza moderna emerge come frutto
prezioso della civiltà cristiana, in seguito a una trasformazione epocale del
paradigma sintattico connessa a una concezione del processo conoscitivo sempre
più centrata sul ruolo attivo del soggetto e sull’importanza cruciale dei
concetti – estranei all’esistenza attuale delle cose nella visione di
Aristotele – di spazio vuoto, materia, moto, infinito. Io qui intendo
puntualizzare questa tesi di Borzacchini proponendo l’idea che il Medioevo sia
all’origine della scienza moderna come conseguenza del fatto che la pittura
medievale presenta rilevanti parallelismi e connessioni con temi, risultati e
teorie della fisica quantistica. In particolare, in questo articolo intendo
mostrare che il dipinto della “Maestà” di Simone Martini, affrescato nella Sala
del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, può essere considerato l’emblema
di “affresco quantistico implicito”, che in qualche modo anticipa rilevanti
temi, risultati e teorie della fisica quantistica contemporanea.
Simone Martini e la “Maestà”
Nei decenni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, la
città di Siena fu una delle città artisticamente più avanzate d’Italia. Si può
affermare che in quel periodo la pittura senese visse una stagione memorabile –
e per certi versi irripetibile – con la creazione di opere straordinarie per
mano, soprattutto, di pittori del calibro di Duccio di Buoninsegna (Siena, 1255
circa - 1319 circa), Simone Martini (Siena, 1284 - Avignone, 1344), Pietro Lorenzetti
(Siena, 1285 circa - 1348) e Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 circa - 1348).
Allievo di Duccio, Simone Martini fece arrivare l’arte
senese a un altissimo livello di preziosismo che trovò una straordinaria
compiutezza alla luce della sua conoscenza profonda delle tecniche
dell’oreficeria, nonché dell’esaltazione del ritmo della linea e della
raffinatezza dei colori. Il fatto fondamentale che emerge rileggendo alcuni
dipinti di Simone Martini, a mio parere, è che se la fisica quantistica cerca
di andare oltre la realtà esperita data da manifestazioni e apparizioni locali
e frammentarie, vedendola come proiezione di un background, di un livello più
profondo, invisibile e non accessibile, dato da una rete di fluttuazioni
elementari di natura non-locale e olografica (dalla teoria dell’ordine
implicito del fisico americano David Bohm fino ad arrivare alle teorie
quantistiche dei campi e ai moderni approcci alla gravità quantistica). In
un’ottica per certi versi parallela l’arte di Simone Martini rappresenta la
dicibilità del reale, con l’obiettivo di esplorare ed indagare le sue frontiere
più profonde: è una sorta di ariete di sfondamento del reale, ciò che rompe le
barriere corporee per acquisire conoscenza e potere sull’invisibile. La pittura
di Simone Martini è una frontiera che origina un canale di significato
contenuto in un livello implicito, in un palcoscenico più profondo, in assenza
del quale non sarebbe possibile pervenire alla trascendenza.
La “Maestà” è di fatto la prima opera firmata e datata di
Simone Martini, affrescata nella “Sala del Mappamondo” nel Palazzo Pubblico di
Siena tra il 1315 e il 1318 e restaurata nel 1321 dallo stesso Simone e dalla
sua bottega. Si tratta, questa, di un’opera di carattere religioso ma anche
civile e politico, che si riferisce alla sovranità della Repubblica di Siena.
L’affresco può essere in qualche modo considerato il
simbolo della civiltà del ‘300 in Italia, quella ugualmente fiorita con le
pagine del Canzoniere di Petrarca, amico di Simone ad Avignone, o con le
novelle di Giovanni Boccaccio. L’affresco evidenzia sia una completa
assimilazione di tutte le componenti della formazione di Simone Martini, sia
l’emergere di soluzioni nuove e moderne. Infatti, accanto all’influenza dello
stile di Duccio di Buoninsegna, in particolare della Maestà dipinta dal maestro
senese negli anni 1308-1311 per il Duomo di Siena, il dipinto di Simone si
arricchisce di elementi che rivelano una visione più moderna, evidenziando
anche spunti pittorici giunti in Italia, in particolare ad Assisi,
dall’Inghilterra e dalla Francia (in particolare, riferimenti che vanno
dall’Altare dell’Abbazia di Westminster a Londra, alle miniature francesi, ai
lavori di oreficeria, vetri dipinti, smalti che si stavano diffondendo in
Europa e a Siena nel nuovo stile gotico).
La “Maestà” è inoltre arricchita nella sua superficie
pittorica con vetri colorati, con un insieme di decorazioni e punzoni in oro
zecchino impresse sull’intonaco ancora fresco di giornata. Il grande affresco
in un certo senso può essere considerato una magnifica opera di oreficeria,
quasi avesse lo scopo di trasmettere i celebri smalti traslucidi della
contemporanea scuola senese.
Nella “Maestà” un fatto cruciale è che la linea di Simone
Martini, sottile e precisa, fluisce armoniosamente da una figura all’altra,
descrive incessantemente in un percorso continuo ogni forma, ogni piega e ogni
dettaglio, alleggerendo e smaterializzando le forme. I colori sono delicati e
astratti, fantastici, pieni di trasparenze e riflessi, contribuiscono con la
linea a rendere le forme impalpabili, eteree. Simone Martini ha realizzato
effetti molto particolari, è piuttosto difficile fotografare i suoi colori. La
tonalità scura del blu oltremare del cielo fa aumentare i contrasti, i colori
si accendono, brillano gli ori delle aureole e dei ricami.
In questo dipinto è possibile individuare un’attenzione
al particolare, al dettaglio curato. È una descrizione accurata che si può
rintracciare nella scena, nelle vesti, negli oggetti, nelle acconciature, e
serve per creare un’ambientazione fiabesca, leggendaria. Sono rappresentate
figure e ambienti tipici della società aristocratica, ricca ed elegante, che
vive in una dimensione tutta poetica, staccata dalla realtà. La Madonna, seduta
su un trono di forme gotiche, con la corona e vesti sontuose, appare come una
regina e con regale compostezza sostiene il figlio, vestito e atteggiato come
un principe. La scena si svolge in un luogo ornato e preparato come per una
festa o una cerimonia importante. I personaggi hanno forme esili e slanciate,
fisionomie riprese dalla realtà, ma idealizzate, sono elegantissimi, composti,
hanno movenze aggraziate e rappresentano un’umanità eletta.
Nonostante l’osservazione dal vero, l’evocazione a
situazioni vissute, e al folclore medievale, quello che propone qui Simone
Martini è tuttavia un mondo magico, di pura immagine, al di sopra della realtà,
fatto di sola apparenza visiva. Viene eliminato ogni riferimento alla materia:
i valori di peso, concretezza fisica, sensazioni tattili, sembrano essere
scomparsi. I personaggi sono delle apparizioni: sembrano esseri inconsistenti,
spiriti fatti solo di colore e di luce. Si trovano in uno spazio indefinito e
suggestivo con architetture fragili, sottili, decoratissime. Quello trasmesso
dalla Maestà è un luogo per certi versi impossibile: è insieme interno (come è
indicato dal pavimento in prospettiva) ed esterno (come è indicato dal cielo
sullo sfondo), ed è insieme notte (blu notturno del cielo) e giorno (luce
intensa su tutti i particolari). È un luogo "altro", soprannaturale e
superiore dove vivono queste bellissime creature eteree.
Eppure, nonostante questo mondo artificioso, c’è un
eccezionale senso di equilibrio con cui Simone Martini riesce a far apparire
tutto semplice e naturale. Il pittore senese riesce a far vivere in questo
spazio incredibile questi personaggi così irreali.
La “Maestà” e l’ordine implicito di Bohm
Sulla base di quanto detto, le caratteristiche dei
personaggi raffigurati e del background sotteso dalla scena della “Maestà” di
Simone Martini, a mio parere, ci aprono la possibilità di individuare delle
significative connessioni, e di effettuare rilevanti parallelismi, con svariati
temi e teorie della fisica quantistica, dall’ordine implicito di Bohm fino ad
arrivare al vuoto quantistico della teoria quantistica dei campi.
Scienza e Conoscenza n. 64 - Rivista Cartacea
Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza
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