Cosa significa la parola scienza?
Scienza e Fisica Quantistica
Cosa significa la parola scienza? Il rapporto tra scienza
e scienziati come è cambiato nel corso dei secoli? In questo entusiasmante
estratto dal libro Fenomeni impossibili di Dean I. Radin capiamo il vero
significato della parola scienza
Redazione Scienza e Conoscenza - 14/11/2018
La scienza può essere definita come un corpo di fatti
diffusamente accettato e un metodo per procurarsi tali fatti. Gli scienziati
sono pronti a discordare, tuttavia, su che cosa significhi “diffusamente
accettato”, quali “fatti” e quali “metodi” si intendano, che cosa si intenda
con “intendere”, e addirittura a volte che cosa “significhi”.
Ne risulta che la definizione di scienza dipende in gran
parte dalla persona a cui la si chiede. Non siamo troppo lontani dal vero se
ripetiamo la definizione concisa “la scienza è ciò che fanno gli scienziati”.
In ogni caso, la maggior parte degli scienziati sarebbe probabilmente d’accordo
sul fatto che ciò che ha reso grande la scienza è stato il metodo scientifico.
In cosa consiste, quindi, questo metodo, e perché è così grande? Se gli
scienziati non riescono facilmente a mettersi d’accordo su che cosa sia la
scienza, sembra improbabile che possano concordare su qualcosa di più complesso
come “il” metodo scientifico. Gli psicologi Robert Rosenthal, dell’Università
di Harvard, e Ralph Rosnow, della Temple University sostengono che il “metodo
scientifico” sia difficile da definire in quanto «il termine “metodo
scientifico” è di per sé circondato di controversie, ed è una definizione
inappropriata di cui bisogna liberarsi, dal momento che nella scienza esistono
molti metodi riconosciuti e legittimati».
Un elemento comune alla maggior parte delle diverse
varianti del metodo scientifico è l’uso dell’osservazione controllata e
disciplinata. Tuttavia, la sola osservazione è insufficiente. Come ha scritto
il filosofo Jérome Black: «Nessuna osservazione o generalizzazione, né
l’ipotetico uso deduttivo delle presupposizioni, né l’utilizzo di strumenti, né
la costruzione matematica, né tanto meno tutte queste cose insieme si possono
considerare essenziali alla scienza». Molti altri scienziati e filosofi hanno
concordato sul fatto che le semplici definizioni sono troppo restrittive per
catturare l’essenza del metodo scientifico. I tentativi per chiarire la
definizione spaziano dall’arguzia («Lo scienziato non ha altro metodo che fare
del suo meglio» all’anarchico («Il successo nella scienza si raggiunge soltanto
perché gli scienziati infrangono ogni regola metodologica e adottano il motto
“tutto fa brodo”»). Ma questo non è molto illuminante.
Il metodo scientifico e le sue particolarità
La particolarità del metodo scientifico può essere
illustrata con maggior efficacia confrontandolo con i precedenti e
prescientifici metodi di ricerca della conoscenza. Come spiega L.L. Whyte:
«Intorno al 1600 Keplero e Galileo hanno simultaneamente e dipendentemente
formulato il principio per cui le leggi della natura devono essere scoperte per
mezzo della misurazione, e applicato questo principio nel proprio lavoro.
Laddove Aristotele aveva classificato, Keplero e Galileo hanno cercato di
misurare». Oltre alle attente osservazioni e misurazioni, un punto di forza
fondamentale del metodo scientifico è il suo affidarsi al pubblico e comune
accordo sull’effettiva correttezza delle misurazioni. Questo approccio alla
conoscenza si distingue drasticamente da quelli precedenti, come le
argomentazioni logiche predilette dai filosofi o l’accettazione dogmatica delle
scritture richiesta dalle autorità religiose. L’idea di un comune accordo sulle
misurazioni ha portato al rigoroso requisito della scienza (o almeno delle
scienze sperimentali) che i fenomeni siano indipendentemente e ripetutamente
misurabili perché questo consenso si possa formare. In altre parole, l’idea di
ripetibilità, o riproducibilità, è diventata approssimativamente l’equivalente
di una verifica di stabilità. Se un fenomeno è altamente instabile, non
possiamo essere sicuri di stare misurando un effetto reale, un qualche altro
effetto o semplicemente delle variazioni casuali. Con questo genere di
confusione nessun consenso può essere raggiunto e l’esistenza dell’effetto in
questione rimane dubbia.
Gli scienziati del diciassettesimo secolo non avevano
ancora sviluppato dei metodi per distinguere chiaramente tra effetti reali e
caso, e dunque erano costretti a girare intorno a molti interessanti fenomeni
fisici, biologici e psicologici, ovvero quasi tutto ciò che oggi è oggetto di
scienza. Fortunatamente, qualche effetto fisico e astronomico era abbastanza
stabile (o così esattamente periodico) da assicurare il successo ai primi
tentativi di misurazione. Senza tali effetti stabili la scienza come la
conosciamo sarebbe miseramente fallita e staremmo ancora discutendo come ai
tempi di Aristotele. Questi dibattiti filosofici tipicamente erano qualcosa
come: «Sì, è così». «No, non è così». «Sì, lo è». «No, non lo è». «Sì! No!».
Come ha fatto notare il filosofo Bertrand Russell: «Questo può sembrare strano,
ma non è colpa mia».
Leggi l'interessante articolo di Dean I. Radin uscito su
Scienza e Conoscenza
Scienza e Conoscenza n. 64 - Rivista Cartacea >> http://bit.ly/2PSx3rV
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