La fisica quantistica spiegata in modo semplice 2
La dualità onda-particella e l'esperimento della doppia
fenditura
di Antonella Ravizza - 29/12/2015
La fisica quantistica spiegata in modo semplice
La fisica quantistica è la teoria fisica che descrive il
comportamento della materia, della radiazione e di tutte le loro interazioni
viste sia come fenomeni ondulatori sia come fenomeni particellari (dualismo
onda-particella), a differenza della fisica classica o newtoniana, basata sulle
teorie di Isaac Newton, che vede per esempio la luce solo come onda e
l’elettrone solo come particella.
Il dualismo onda–particella
Il dualismo onda–particella è la principale causa della
messa in discussione di tutte le teorie della fisica classica sviluppate fino
al XIX secolo. Questa teoria si può applicare anche alla luce, infatti Young
per dimostrare che la luce si propagava per onde propose un esperimento: un
fascio di raggi luminosi colpiva uno schermo in cui erano presenti due fori, o
fenditure, molto piccoli, che diventavano due sorgenti omogenee. A questo punto
mise uno schermo che raccoglieva la luce proveniente dai due fori e vide
nettamente delle frange chiare e scure, molto simili alle onde del mare
provenienti da due sorgenti diverse. Questo fenomeno non si può spiegare con la
teoria corpuscolare, ma con la teoria ondulatoria. Due onde della stessa
ampiezza possono essere in fase e, se interferiscono, originano un'onda
sinusoidale che è somma delle sue sinusoidi componenti; possono però essere in
controfase e, se interferiscono, originano un'onda nulla. Questo esperimento è
molto importante perché verrà ripreso in seguito da Richard Feynman.
Intanto nel 1803 gli atomi erano considerati i
costituenti fondamentali della materia. Nel 1874 G. Stoney scoprì l’elettrone e
poi Rutherford il nucleo atomico, caricato positivamente, circondato da
elettroni carichi negativamente come il sole in mezzo ai pianeti del sistema
solare. Però seguendo la teoria elettromagnetica di Maxwell sulle cariche in
moto accelerato, si giunse alla conclusione che l’atomo avrebbe dovuto
collassare, invece la materia che osserviamo continuamente è stabile. A cavallo
tra il XIX e il XX secolo lo studio dell’effetto fotoelettrico mise in
discussione la completezza della meccanica classica, suggerendo che la
radiazione elettromagnetica avesse il duplice comportamento ondulatorio e
corpuscolare durante l’interazione con la materia.
L'effetto fotoelettrico
Infatti in certe situazioni, come messo in evidenza nel
1905 da Einstein con l'ipotesi del fotone nell'effetto fotoelettrico, la luce
si comportava decisamente come composta da particelle. L’effetto fotoelettrico
è il fenomeno che si manifesta con l'emissione di particelle elettricamente
cariche da parte di un corpo esposto a onde luminose o a radiazioni
elettromagnetiche di varia frequenza: gli elettroni vengono emessi dalla
superficie di un conduttore metallico (o da un gas) in seguito all'assorbimento
dell'energia trasportata dalla luce incidente sulla superficie stessa. Come
diceva Planck la radiazione luminosa di frequenza ν è composta da particelle
corpuscolari (fotoni) di energia E = h ν (h è la costante di Planck). Per
riuscire a strappare un elettrone a una superficie metallica, l’energia del
fotone deve essere più grande dell’energia di legame dell’elettrone nel metallo
(W). Inserendo ora un amperometro fra anodo e catodo si misura così un
passaggio di corrente. Se invece l’energia del fotone è inferiore a W non si ha
effetto fotoelettrico, e l’amperometro non registra passaggio di corrente. La
teoria ondulatoria classica prevedeva però che, all'aumentare dell'intensità
della luce incidente, aumentasse l'energia degli elettroni emessi.
Nel 1902, il fisico tedesco Philipp Lenard mostrò invece
che l'energia dei fotoelettroni non dipendeva dall’intensità di illuminazione,
ma dalla frequenza (o dalla lunghezza d'onda) della radiazione incidente.
L’intensità della radiazione determinava invece l’intensità della corrente,
cioè il numero di elettroni strappati alla superficie metallica. Il risultato
sperimentale era inspiegabile pensando che la natura della luce fosse solo
ondulatoria.
Nel 1905 Albert Einstein spiegò l'effetto fotoelettrico
con l'ipotesi che i raggi luminosi trasportassero particelle, chiamate fotoni,
la cui energia è direttamente proporzionale alla frequenza dell’onda
corrispondente: incidendo sulla superficie di un corpo metallico, i fotoni cedono
parte della loro energia agli elettroni liberi del conduttore, provocandone
l'emissione. Allora l'energia dell'elettrone liberato dipende solo dall'energia
del fotone, mentre l’intensità della radiazione è direttamente correlata al
numero di fotoni trasportati dall’onda, e dunque può influire sul numero di
elettroni estratti dal metallo, ma non sulla loro energia. Era difficile
credere che la luce presentasse una specie di dualismo, apparendo come onda o
come particella a seconda degli esperimenti. De Broglie nel 1924 ipotizzò che
tutta la materia manifestasse lo stesso dualismo.
L'esperimento della doppia fenditura
Nel 1927 Davisson e Germer ebbero la prova sperimentale
di tale comportamento: osservarono figure di diffrazione facendo attraversare un
cristallo di nichel da un fascio di elettroni (la diffrazione è un fenomeno
associato alla deviazione della traiettoria di propagazione delle onde quando
queste incontrano un ostacolo sul loro cammino). Nasceva da qui la possibilità
di utilizzare fasci di particelle per eseguire esperimenti di interferenza con
due fenditure, proprio come Young aveva fatto con la luce.
L’esperimento delle due fenditure permette di dimostrare
la dualità onda-particella della materia. Richard Feynman ripeteva che questo
esperimento era la chiave per comprendere la meccanica quantistica. Questa
volta vennero usate lastre rilevatrici moderne e una sorgente estremamente
debole di luce o elettroni. Aprendo soltanto una fenditura (ad esempio, quella
di sinistra), sulla lastra fotografica si ottiene la proiezione della
fenditura. Aprendo ora solo la fessura destra si forma una figura speculare a
quella precedente. La luce risponde quindi perfettamente alla teoria
corpuscolare di Newton. Ora, provando a prevedere che figura risulterebbe
dall’apertura contemporanea di entrambe le fenditure, secondo la teoria
corpuscolare si verificherebbe la semplice sovrapposizione delle due figure
precedenti. In realtà, quella che si genera è una figura di interferenza,
ovvero in questo caso la luce si comporta come un’onda meccanica: sulla lastra
fotografica avremmo in alcuni punti sovrapposizioni di picchi o ventri, in
altri cancellazioni. Ciò dimostra inequivocabilmente l'esistenza del dualismo
onda-corpuscolo, sia della materia che della radiazione elettromagnetica.
Niels Bohr introdusse anche il principio di
complementarità, secondo il quale i due aspetti, corpuscolare e ondulatorio,
non possono essere osservati contemporaneamente perché si escludono a vicenda,
ovvero il tipo di esperimento determina il successivo comportamento delle
particelle in esso coinvolte.
Il fenomeno dell'entanglement
Ma com’è possibile che un singolo elettrone si comporti
come un’onda e faccia interferenza con se stesso?! Fino a quando l’elettrone
non viene rivelato sul bersaglio, esso non si trova mai in un punto preciso
dello spazio, ma esiste in uno stato potenziale astratto descritto da una
funzione di probabilità, che si propaga come un’onda e non secondo una
traiettoria definita.
De Broglie e Schrödinger tentarono di descrivere tutto il
mondo quantistico in termini di onde, abolendo il concetto di particella. Ma
per cogliere l’elettrone sul fatto, dobbiamo rivelarlo. La meccanica
quantistica non ci permette di avere contemporaneamente la figura di
interferenza e la conoscenza del singolo foro da cui l’elettrone è passato. O
l’uno o l’altro: o l’elettrone viene rivelato come particella oggettiva, e
quindi non produce interferenza, o è un’onda estesa, ed in tal caso non passa
da un solo foro, bensì da tutte e due: è come se fosse passato da tutte e due.
Questo è un po’ come il conosciutissimo paradosso del
gatto di Schrödinger: gatto vivo o gatto morto; non si sa fino a che non si
vede il gatto effettivamente aprendo la scatola, altrimenti si considera vivo e
morto contemporaneamente.
Erwin Schrödinger nel 1935 introdusse il termine di
entanglement: se due particelle si fanno interagire per un certo periodo e
quindi vengono separate, quando si sollecita una delle due in modo da
modificarne lo stato, istantaneamente si manifesta sulla seconda un’analoga sollecitazione
a qualunque distanza si trovi rispetto alla prima.
Il fenomeno dell'entanglement viola il «principio di
località» per il quale ciò che accade in un luogo NON può influire
immediatamente su ciò che accade in un altro. Ecco un esempio: due particelle
vengono lanciate in direzioni opposte. Se la particella A, durante il suo
tragitto incontra una carica magnetica che ne devia la direzione verso l’alto,
la particella B, invece di continuare la sua traiettoria in linea retta, devia
contemporaneamente la direzione assumendo un moto contrario alla sua gemella.
Questo esperimento dimostra che le particelle sono in grado di comunicare tra
di loro trasmettendo ed elaborando informazioni e dimostra anche che la
comunicazione è istantanea.
Nell'Ottobre del 1998 il fenomeno dell’entanglement è
stato definitivamente confermato dalla riuscita di un esperimento effettuato
dall'Institute of Technology (Caltech) di Pasadena, in California. In
conclusione, la meccanica quantistica nel microscopico ci ha condotto ad
abbandonare la descrizione della fisica classica deterministica, per arrivare a
una descrizione probabilistica in cui gli stati e le proprietà del mondo
microscopico non sono determinati, a priori, intrinsecamente, ma acquisiscono
realtà solo se vengono misurati o se entrano in contatto con altri “oggetti”.
Questo stravolge la descrizione di un mondo che fino al
secolo scorso sembrava sensato e ragionevole. Chissà quali altre stravolgenti
scoperte ci riserverà il futuro!
Frank Kinslow
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