Henri Becquerel e i “suoi” raggi X
Becquerel e Marie Curie: da Parigi alla Polonia, alla
scoperta della radioattività
di Emanuele Cangini - 15/01/2016
Henri Becquerel e i “suoi” raggi X
Un pizzetto mazziniano il suo, icona identificativa di
una Belle Èpoque nel pieno del proprio vigore: subito questo ho notato,
osservandone i contorni somatici, in un riquadro enciclopedico che lo ritrae
alla intuibile età di 40-45 anni.
Becquerel Henri (1852-1908) parigino di nascita e
formatosi nella più classica delle cornici scientifiche è indubbiamente,
assieme a Marie Curie, il personaggio al quale si devono i maggiori
riconoscimenti nel campo della radioattività.
«Il caso favorisce la mente preparata», era solito
affermare, nella lucida presa di posizione di chi si rende perfettamente
consapevole di quanto, al di là di impegno e passione, sia importante sapersi
tenere pronti per “imbonirsi” un destino che sa sorridere soprattutto a coloro
che sanno tendergli la mano. Successe nel 1892 al padre, Alexandre-Edmond,
pur’egli fisico, al Museo di Storia naturale: proseguendo quel filone di
ricerca sperimentale in cui già si erano saputi distinguere altri membri della
sua famiglia, incentrò le proprie metodiche d’indagine di laboratorio nel
settore relativo ai fenomeni di fosforescenza e fluorescenza. Riuscì a
osservare, nel 1896, le radiazioni emesse dai Sali d’uranio e dall’uranio in
forma metallico. Fatto non certo fortunoso questo, che anzi si pone come
prodotto di una condotta di ricerca voluta, concepita e assolutamente rigorosa:
in realtà Becquerel stava studiando un problema preciso, seppur complesso, e la
“scoperta” delle radiazioni va attribuita alla sua paziente opera di
sperimentatore. Risultarono particolarmente sensibili a questo tipo di
radiazione le emulsioni fotografiche, a tal punto da essere, le lastre stesse,
indicate come prezioso strumento adiuvante nello studio della nuova classe di
fenomeni.
Tutti i corpi risultano trasparenti»: alla scoperta dei
raggi X
Nel 1895, servendosi degli apparati strumentali e dei
dati già ottenuti da W. Crookes e H.R. Hertz, pubblicò un memoriale nel quale
esponeva le proprie osservazioni in riferimento a un agente rispetto al quale
«tutti i corpi risultano trasparenti»: i raggi X. La chiave della scoperta di
Becquerel consistette nella sua capacità d’interpretare alcuni dati il cui
verificarsi non era predicibile in base alle ipotesi che reggevano la
progettazione stessa delle esperienze. Anzi, il fisico ebbe il merito di
concentrare la propria attenzione proprio su questi dati: successe che, dopo
aver preparato alcune lastre protette e a contatto dei cristalli, il Sole era
apparso in modo intermittente e irregolare. Sviluppando le lastre alcuni giorni
dopo, Becquerel notò che, al contrario di quanto si aspettasse, cioè che
fossero visibilmente deboli, le immagini apparivano decisamente intense.
Su queste premesse, il ricercatore pensò di prodursi in
successivi esperimenti, condotti però totalmente al buio, con l’accortezza di
racchiudere lastre e sali in recipienti opachi alla luce. Sviluppando le lastre
dopo cinque ore e appurando la presenza di immagini altrettanto nitide,
rispetto a quelle ottenibili previa esposizione a luce solare, concluse che
«questo fenomeno non pare attribuibile alle radiazioni luminose emesse per
fosforescenza, in quanto, dopo un centesimo di secondo, tali radiazioni
diventano talmente deboli da essere quasi del tutto impercettibili».
Si trattava insomma di una radiazione attiva capace di
penetrare anche attraverso sottili lamine di alluminio, emessa direttamente dai
sali di uranio. Era questo dunque, il contesto effettivo della “scoperta” della
nuova radiazione e dell’individuazione della sua scoperta reale, e cioè
l’uranio.
Becquerel e Marie Curie alla scoperta del polonio e del
radio
I “raggi Becquerel” diventarono così oggetto di una
intensa ricerca scientifica. Nel 1898 i coniugi Curie pubblicarono un
memorandum in cui si esplicitavano i risultati di esperienze condotte in
laboratorio, attraverso le quali era evidente quanto certi minerali contenenti
uranio e torio emettevano “raggi Becquerel” d’intensità assai maggiore di
quella relativa ai raggi emessi dall’uranio e dal torio.
Sorgeva in tal modo l’ipotesi che, tali minerali,
contenessero una “qualche altra sostanza molto attiva”, e si giungeva alla
scoperta di due nuove sostanze “radioattive”: polonio e radio. Nonostante le
numerose e innegabili evidenze, la natura dei “raggi Becquerel” rimaneva
misteriosa: se ne conoscevano alcuni effetti e si erano individuate le
sostanze, o gli elementi, che li producevano, senza però riuscire a trovare
delle spiegazioni che andassero al di là di una mera descrizione di quanto si
osservava in laboratorio. Le spiegazioni sarebbero sorte più avanti, da un
rapido processo di ristrutturazione di vasti settori della fisica teorica che
trovava, nell’accumularsi dei nuovi dati provenienti dalle ricerche
sperimentali sulle radiazioni, un punto di riferimento essenziale.
Tanto Henri quanto Marie Curie riportarono ustioni,
talvolta anche gravi, dovute al fatto di aver manipolato le nuove sostanze
“attive” senza utilizzare schermi protettivi di alcun genere, pur disponendo di
informazioni sulla capacità di penetrazione delle “emanazioni” studiate. I
“raggi Becquerel”, oltre a ionizzare l’aria, eccitare i fenomeni di
fluorescenza e attraversare quasi tutte le sostanze, erano in grado di arrecare
danni di differente entità alle cellule dei tessuti animali e vegetali. Insieme
a Marie Curie, nel 1901, pubblicò una serie di osservazioni concernenti gli
effetti delle radiazioni su cellule animali: insieme agli stessi coniugi Curie,
conseguì nel 1903, il premio Nobel, giusto e meritato riconoscimento alla
tenacia e alla caparbietà di questo pioniere della scienza odierna.
Sotto il “segno del Sagittario”
Era nato il 15 dicembre Henri, nel cuore della capitale
francese: un Sagittario terzo decano, vibrante della forza di quel principio
igneo che, elemento d’appartenenza del segno, aveva saputo ardere nei suoi
pensieri almeno tanto quanto aveva arso nelle proprie azioni.
Una forza misteriosa e inafferrabile muoveva e ispirava
le gesta dello scienziato francese, tanto insondabile quanto quello sguardo
autorevole e austero. È bello lasciarsi cullare dall’immagine del fuoco del
sole: pensare che i raggi di quel fuoco che colpirono le lastre dei suoi
esperimenti, fossero gli stessi del fuoco ardente del suo segno zodiacale.
Quello del Sagittario.