Infinito e infinitesimo
Dalla matematica all’astronomia, dalla fisica alla
religione passando per l’astrologia: i concetti di infinito e infinitesimo ci
accompagnano in un viaggio senza fine nella storia dell’umanità
di Emanuele Cangini - 09/12/2015
Infinito e infinitesimo
Infinito e infinitesimo: due parole, semplici
all’apparenza. Così semplici da non destare più alcun stupore, non fosse altro
per i concetti sottesi ai quali sono solite rimandarci. Due termini molto
antichi, a tal punto da affossare le proprie radici nell’albeggiare della
civiltà, ma che solo in epoca più tarda troveranno terreno fertile per una
definizione e una contestualizzazione più pratiche e tangibili. Infinito e
infinitesimo, eccoli dunque: si pongono al centro di questa digressione, con la
forza trainante di chi si oppone al proprio disvelarsi, temendo di rinunciare
all’antico segreto gelosamente custodito.
L’infinito, l’incommensurabilmente grande,
l’infinitesimo, l’indicibilmente piccolo, come colonne d’Ercole, che separano
il mondo “conosciuto” da quello ignoto. Pensiamo alla geometria euclidea. per
esempio; i suoi due postulati, punto e retta, possono essere intesi, senza
incappare in contraddizioni plausibili, come rimandi metaforici proprio di
“infinitesimo e infinito”. Il punto, l’entità adimensionale, inizio dal quale
tutto sussegue, e la retta, sommatoria infinita di punti; intreccio dalle note
davvero conturbanti. Pensiamo alla scienza ora, all’astronomia e alla chimica,
pensiamo al telescopio e al microscopio: sensazionali strumenti che permettono
di proiettare l’occhio umano ai limiti dell’universo osservabile,
l’infinitamente grande, nel primo caso, mentre nel secondo concedono l’audace
privilegio di sondare gli abissi delle scale infinitesime. Anche qui, il
“dittongo infinito-infinitesimo”, ritrova la conferma della propria identità.
Infinito e infinitesimo, trascendente e immanente
Abbandoniamo per un attimo la sfera dell’immanente per
votarci a quella del trascendente: trascendenza intesa come metafisica di una
materialità dimenticata. Nella religione stessa si trovano tentativi, a tratti
un po’ maldestri e affannosi, di coniugare i poli antitetici di una stessa
dialettica: “alfa e omega”, Dio, il Principio Primo, nomi diversi di una stessa
idea, di uno stesso concetto che ricongiunge l’infinito e l’infinitesimo in uno
stesso nucleo promotore.
Il grande che sposa il piccolo, poiché nel piccolo
risiede il grande e viceversa, come se le unità fossero solo in apparenza
distinte, frutto di una distorta elucubrazione, di una errata e limitata
percezione delle cose. Concediamoci ora l’accesso alla sfera simbolica:
quell’otto orizzontale, simbolo di infinito, si affianca al simbolo
dell’infinitesimo, quasi a volerne affermare una dimensione curvilinea e
dispersiva che si oppone a una focalizzazione (il triangolo dell’infinitesimo
può essere pensato come una sorta di “obiettivo”) mirata e scansionatrice.
Anche la matematica cartesiana ci viene in soccorso, con
il suo piano bidimensionale tanto caro agli affezionati analisti: una curva
asintotica che si avvicina progressivamente a uno dei due assi, senza però
intersecarne mai la retta direttrice… non è forse questo un esempio sublime di
infinito?
Sempre la matematica, con perentoria galanteria, ci
propone uno sposalizio unico nel suo genere: gli insiemi numerici nel loro
divenire progressivo coniugato agli ordini, sempre numerici, di ordine
inferiore. I numeri naturali per esempio (N) o gli interi (Z), oppure quelli
razionali (Q). Possiamo facilmente notare il connubio dell’infinitamente grande
nell’infinitamente piccolo, semplicemente attuando una corrispondenza “uno a
uno” tra, per esempio, un numero naturale e uno razionale compreso
nell’intervallo [1,2]. Potremo sempre soddisfare tale corrispondenza, notando
che per ogni numero appartenente all’insieme N sarà sempre possibile
determinarne uno corrispondente appartenente all’insieme Q nell’intervallo
[1,2].
Due ordini di infiniti dunque, uno dei numeri naturali
che avanza in incremento di una unità, l’altro dei numeri razionali
(rappresentabili come frazioni) che, anch’esso, procede seppure con cadenza
diversa. Due diverse “densità numeriche” che celebrano una comunione di
cammino, tra un infinito inteso come canonicamente concepito, e un altro che
calandosi in una “realtà” inferiore ripropone la stessa progressione seppur in
un contesto “infinitesimale”.
Difficile perciò non pensare se infinitesimo e infinito
siano davvero separati o, diversamente, l’uno compenetri l’altro. Come del
succitato concetto di Dio, l’onnicomprensivo che tutto permea, anche la
matematica pare darci indicazioni suggestivamente divine. A buon sorriso dei
pitagorici e di Pitagora stesso che, dalla Grecia a Crotone, impartivano nelle
loro scuole misteriche, le dottrine più segrete, tanto preziose da ricordarci
gli antichi culti delle celebranti Pizie, sacerdotesse di Apollo, eredità di
antichi culti pagani, tanto nobili quanto dimenticati.
Anche nella fisica lo stesso dilemma
“Il moto perpetuo”, tanto caro alla fisica, espressione
efficace di infinito, e il "quanto”, concetto cardine della fisica dei
quanti: così lontani come categorie astratte, eppure facenti parte del medesimo
costrutto teorico di studio del creato. Anche nella fisica dunque si celano
paradossi ben lontani dalla dimensione di “esattezza” attribuitale nei secoli
della seconda metà del Novecento. L’antica ruota zodiacale, anch’essa a suo
modo, ci ripropone l’eterna altalenanza di un dilemma risolto a tratti e a
tratti ulteriormente ingarbugliato: il cerchio, come sommatoria circolare di
punti, ripropone il tema dell’infinito che ricorre su se stesso.
Un infinito identico per natura ma diverso per struttura,
che non esula però dalla sua essenza indefinita: trova convivio con esso
l’infinitesimo, espresso nelle peculiari disposizioni puntiformi planetarie,
indici delle attitudini antropologiche ed espressione del divenire
fenomenologico del soggetto studiato. Un viaggio lungo questo, del quale
probabilmente mai vedremo il capolinea. Chissà che tale dicotomia non sia solo
negli occhi di chi guarda… chissà che, se è vero che “l’essenziale è invisibile
agli occhi”, allora non sia solo il frutto di un miraggio menzognero.
Il piccolo principe allevava la sua volpe con premura e
con affetto. Sapeva bene che le piccole, infinitesime, cure del quotidiano
avrebbero senza dubbio nutrito, l’infinito legame che per sempre li avrebbe
avvicinati.
John D. Barrow
L'Infinito - libro >> http://goo.gl/fJUdvf
Breve guida ai confini dello spazio e del tempo